La rilevanza della distinzione tra conto scoperto e conto passivo nella nuova disciplina della revocatoria di rimesse in conto corrente bancario
Pubblicato il 18/03/06 02:00 [Articolo 923]






1. Premessa.
Con specifico riferimento all'azione revocatoria delle rimesse in conto corrente, il legislatore ha introdotto numerose novità di rilievo, tra le quali l'abbreviazione da un anno a sei mesi del periodo sospetto, l'introduzione della esenzione dalla revocatoria delle "rimesse che non abbiano ridotto in modo consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca"[1] e la disposizione contenuta nel nuovo art. 70 l.f. che, con riguardo agli atti estintivi dei rapporti continuativi e reiterati, limita l'importo revocabile alla differenza tra l'ammontare massimo delle pretese del terzo e l'ammontare residuo delle stesse alla data di apertura del concorso. [2]

Le nuove disposizioni intervengono in una materia in buona parte elaborata da una copiosa produzione giurisprudenziale che, ai fine dell'applicazione del principio generale della revocabilità degli atti a carattere solutorio di cui all'art. 67, II comma l.f., aveva individuato i criteri per stabilire se i versamenti confluiti sul conto corrente avessero o meno natura solutoria e fossero quindi assoggettabili a revocatoria. [3]

L'intervento del legislatore non ha toccato (se non per l'abbreviazione del termine di cui si è detto) il secondo comma dell'art. 67, per cui il principio generale che regola la revoca dei pagamenti con natura solutoria è rimasto intatto ed è tuttora vigente. [4]

E poiché la fattispecie della rimessa in conto corrente è compresa nel più ampio genere dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili,[5] l'interprete dovrà affrontare il compito di coordinare le nuove norme con quelle preesistenti e di vagliare la compatibilità e l'eventuale sopravvivenza ed utilità dei principi elaborati dalla giurisprudenza prima della riforma.


2. La tesi della distinzione tra conto passivo e conto scoperto: critica.

Tra i molti interrogativi che si pongono allorché si cerchi di coordinare le norme sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario vi è sicuramente quello che riguarda la rilevanza o meno della distinzione tra conto passivo e conto scoperto. [6]

Ci si chiede in sostanza se, allo scopo di valutare la revocabilità di una rimessa, dopo aver fatto applicazione delle regole dettate dalla lettera b) del nuovo terzo comma dell'art. 67 (riduzione consistente e durevole della esposizione debitoria), si debba anche tener conto dell'esistenza di eventuali affidamenti e limitare quindi l'importo revocabile alla parte di esso che attua il rientro del correntista entro i limiti del fido o che, in assenza di affidamenti, lo riporta in attivo.

In tale ipotesi, dovranno essere individuate le rimesse che hanno ridotto in modo consistente e durevole l'esposizione debitoria e successivamente sottoporre ognuna di esse al vaglio dell'effetto solutorio secondo la ben nota logica dell'oscillazione dei saldi rispetto agli affidamenti concessi.

A sostegno di questa tesi depone la considerazione per la quale ogni singola rimessa (consistente o durevole che sia), per essere revocabile, deve comunque sortire l'effetto di pagare un debito, situazione questa che si verifica solo quando il conto è scoperto.[7] Questa soluzione si presta tuttavia ad alcune critiche di notevole rilievo, in quanto sembrerebbe non tener conto del fatto che la norma contenuta nella lettera b) del III comma dell'art. 67 l.f. tende a porsi in rapporto di specialità rispetto alla norma generale dettata dal II comma dello stesso articolo. [8]

Con l'introduzione della lett. b) , infatti, il legislatore ha dettato una nuova regola di carattere generale espressamente riferita alle sole rimesse in conto corrente bancario, secondo la quale dette rimesse non possono essere comunque assoggettate a revocatoria. [9]

La norma contiene però un'eccezione a tale regola generale, eccezione in forza della quale sono soggette a revocatoria le rimesse che hanno ridotto l'esposizione debitoria in modo consistente e durevole.

Specificando le condizioni alle quali le rimesse sono revocabili, il legislatore ha inteso dettare il criterio da seguire per stabilire se una rimessa abbia o meno carattere solutorio; il legislatore, in sostanza, ha dettato una regola che si sostituisce a quella di elaborazione giurisprudenziale sino ad oggi adottata per definire la natura solutoria delle rimesse.

I due criteri, pertanto, quello elaborato dalla giurisprudenza, che si fonda sulla distinzione tra conto scoperto e conto passivo, e quello ora dettato dal legislatore hanno carattere alternativo e non possono sommarsi, avendo entrambi il medesimo scopo di stabilire quando una rimessa in conto corrente possa essere revocata.

La tecnica di redazione della norma di creare un'esenzione per le rimesse che costituisce un'eccezione alla regola generale e quindi un'eccezione all'esenzione sortisce da un lato l'effetto di mantenere l'azione de qua nell'ambito di operatività del secondo comma dell'art. 67 e dall'altro quello di delimitare le ipotesi di revocabilità a quelle dettate ex novo dal legislatore (riduzione consistente e durevole).

Se così è, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che il criterio introdotto dal legislatore, dettato con specifico riferimento alla revocatoria di rimesse in conto corrente, assuma carattere di specialità rispetto ad ogni altro.[10]


3. Ulteriori elementi.

E' opportuno ora svolgere una breve e sintetica indagine sul concetto di "esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca" soprattutto al fine di verificarne la compatibilità con le tesi sopra esposte.

Le nuove norme sulla revocatoria bancaria hanno lo scopo di innovare il regime previgente riducendo in modo drastico la possibilità di promuovere questo genere di azioni. Per comprendere il significato dei termini utilizzati dal legislatore può pertanto essere utile partire da un confronto con la situazione sulla quale le nuove norme hanno inteso incidere.

Come si è già detto, prima della riforma, la rimessa in conto corrente poteva essere revocata se aveva l'effetto di ridurre il saldo debitore del conto corrente.

A ben vedere, il legislatore del 2005 non ha riprodotto nelle nuove norme un analogo concetto, non ha cioè parlato di saldo debitore del conto corrente bancario, ma ha utilizzato una espressione, da alcuni definita generica, che ha una portata di sicuro più ampia. Nella esposizione debitoria è certamente compreso il debito del correntista nei confronti della banca provocato da un eventuale sconfinamento sul conto corrente, ma vi è compreso anche ogni altro debito.

Se così è, occorre chiedersi quali altri elementi il legislatore abbia inteso prendere in considerazione per formare l'esposizione debitoria.

Autorevole dottrina ha già affermato che la definizione di riduzione "durevole" della esposizione comporta l'assunzione di un giudizio a posteriori,[11] nel senso, che richiedendosi la valutazione di un effetto che dura nel tempo, il giudizio definitivo su tale effetto potrà essere dato solo alla chiusura del conto corrente. Pertanto, solo alla conclusione di tale rapporto potrà dirsi se determinate rimesse abbiano o meno sortito l'effetto di ridurre in modo consistente e durevole l'esposizione.

Questo elemento è fortemente significativo per i fini che ci interessano. Nella teoria tradizionale della revocatoria delle rimesse in conto corrente, l'effetto della riduzione del debito doveva essere valutato all'istante, con esclusivo riferimento al saldo del conto corrente che, come sappiamo, poteva oscillare e riportarsi successivamente in zona "scoperta" per essere di nuovo ridotto da altra rimessa pure revocabile. Ora, invece, il fatto che la valutazione dell'effetto della riduzione possa essere effettuata solo a posteriori, alla conclusione del rapporto, implica che l'effetto conto scoperto-conto passivo non sia più preso in considerazione dalla norma.

Se quindi la necessità di valutare la durevolezza impone un giudizio che si sposta nel tempo sino a giungere alla chiusura del rapporto, è possibile affermare che l'esposizione debitoria che si riduce è solo quella ricavabile alla conclusione dei rapporti tra banca e cliente.

Il termine ampio di esposizione debitoria, utilizzato in luogo di quello più tecnico ma di diverso significato di saldo debitore del conto, indica che il giudizio sulla riduzione dell'esposizione può e deve essere formulato con riferimento a tutti i rapporti tra banca e cliente e non solo con riferimento ad un singolo rapporto di conto corrente. [12]

Ulteriore argomento a sostegno di siffatta ipotesi interpretativa può essere dedotto dall'utilizzo, in questo specifico contesto, del termine fallito in luogo di altro termine quale quello di imprenditore peraltro utilizzato alla lettera d) dello stesso comma per definire una diversa causa di esclusione.

L'uso del termine fallito assume particolare significato in questo contesto in quanto, in sintonia con gli altri elementi testè indicati, tende a rafforzare il concetto di esposizione debitoria complessiva dell'impresa insolvente quantificata in un momento conclusivo dei rapporti con la banca, momento che coincide o comunque è sicuramente prossimo all'apertura del concorso tra i creditori.

Ancora. Il nuovo art. 70 l.f. disciplina gli effetti della revocatoria e, con riferimento ai rapporti continuativi o reiterati, fa propria la tesi, peraltro rimasta isolata in giurisprudenza, della revocabilità del rientro effettivo, risultante dalla differenza tra il massimo scoperto e il saldo alla chiusura del conto. 13[13]

La norma, benché faccia riferimento ai "rapporti continuativi o reiterati" in genere, appare dettata esplicitamente allo scopo di regolare gli effetti della revocazione delle rimesse in conto corrente bancario.

La formulazione di questa norma può offrire ulteriori elementi a conforto della tesi che si intende sostenere della impossibilità di applicare alla nuova revocatoria bancaria la distinzione tra conto scoperto e conto passivo.

Allorché, infatti, la norma pone i due termini iniziale e finale per il computo della differenza che dovrebbe costituire il tetto massimo dell'importo revocabile, ancora una volta non utilizza i concetti di saldo massimo debitore o di saldo finale del rapporto, ma semplicemente quello di "pretese". [14]

Questo vocabolo, definito da alcuni autori atecnico,[15] non esprime il significato di saldo, significato che dovrebbe per sua natura intendersi limitato ad un determinato rapporto, volendo invece riferirsi ancora una volta al complesso di tutte le possibili richieste che il terzo avrebbe potuto avanzare nei confronti dell'imprenditore.

Il legislatore ha quindi volutamente omesso di richiamare il concetti di saldo debitore e di saldo finale proprio allo scopo di evitare che il computo della differenza fosse limitato all'ambito di un singolo e determinato rapporto.

L'intenzione parrebbe, in sostanza, quella di voler valutare l'effetto solutorio dei pagamenti con riferimento a tutti i rapporti intercorsi tra impresa e terzo, al fine di quantificare il rientro effettivo del debito complessivo maturato alla data dell'apertura del concorso.

Anche questo ulteriore elemento dovrebbe quindi deporre a favore della irrilevanza della distinzione tra conto scoperto e conto passivo elaborata dalla giurisprudenza nel regime revocatorio previgente.

Il fatto che nel giudizio di revocabilità debbano essere presi in considerazione tutti i rapporti tra imprenditore e terzo, che la valutazione debba essere compiuta alla conclusione di tali rapporti in sostanziale coincidenza dell'apertura del concorso dei creditori e che la fissazione del tetto massimo dell'importo revocabile faccia espresso riferimento al coacervo delle pretese del terzo, depone a favore del definitivo tramonto della tecnica tradizionale cui si è più volte fatto cenno e dovrebbe sicuramente consentire la valutazione delle rimesse non come singole entità a sé stanti, delimitate dall'effetto istantaneo della variazione dei saldi, ma nel loro insieme, e quindi nella loro pluralità, non essendo più possibile la valutazione isolata dell'effetto provocato da ognuna di esse. [16]

NOTE
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[1] "Non sono soggetti all'azione revocatoria: b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca".

[2] "Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo corrispondente a quanto restituito".

[3] La distinzione tra conto scoperto (ove il correntista è realmente "a debito" nei confronti della banca perché il saldo del conto è negativo e non dispone di affidamenti o, pur disponendo di affidamenti, perchè il saldo è andato oltre il fido concesso) e conto passivo (ove il saldo è negativo ma entro i limiti dell'affidamento) è stata inaugurata dalla nota sentenza Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413, in Giur. Comm., 1983, II, 179 e quindi ripresa da altre sentenze e mai contraddetta da tutte le successive della S.C.

[4] Così M. Fabiani, L'alfabeto della nuova revocatoria, in Il Fallimento, 2005, 579, il quale afferma che deve essere rifiutata una interpretazione rovesciata secondo cui nell'impianto revocatorio le eccezioni siano diventate la regola ed i casi in cui l'istituto trova applicazione l'eccezione, in quanto nella costruzione della norma è rimasta inalterata la scansione dei commi e soprattutto perché le stesse esenzioni vanno necessariamente collegate alle fattispecie di cui al primo e al secondo comma.

[5] In questo senso S. Bonfatti, La nuova disciplina dell'azione revocatoria, Milano, 2005, pag. 130. L'A. sostiene che, in caso di rimesse effettuate a riduzione di esposizioni bancarie registrate su conti correnti accesi a nome del correntista, sarebbe applicabile la disciplina generale della revocabilità degli atti a titolo oneroso, mentre, nel caso le rimesse producano la riduzione di esposizioni registrate su conti altrui, sarebbe applicabile la disciplina generale della revocabilità degli atti a titolo gratuito.

[6] Della tematica si sono occupati: F. Guglielmucci, La nuova normativa sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente, Dir. Fall., I, 805; M. Arato, Fallimento, Le nuove norme introdotte con la l. 80/2005, Dir. Fall., 2006, I, 157; S. Bonfatti, La nuova disciplina dell'azione revocatoria, cit.; G. Tarzia, Le esenzioni (vecchie e nuove) dall'azione revocatoria fallimentare nella recente riforma, Il Fallimento, 2005, 835; A. Patti, L'esenzione da revocatoria delle rimesse bancarie, Il Fallimento, 2006, 238; M. Fabiani, La revocatoria fallimentare "bonsai" delle rimesse in conto corrente, Foro It., 2005, I, 3297.

[7] In presenza di apertura di credito, il saldo passivo di un conto corrente regolarmente funzionante non può propriamente definirsi un debito in quanto rappresenta l'utilizzo della liquidità messa a disposizione dalla banca.

[8] Anche G. Tarzia, cit., 841, parla del 67, III comma lett. b) come di una norma speciale, ma allo scopo di distinguerne l'ambito operativo dall'art. 70, formulando l'ipotesi che tra le due norme "vi sia un rapporto di genus (tutti i rapporti continuativi e reiterati) a species (il rapporto di conto corrente bancario)".

[9] Che l'esenzione in parola si ponga come regola generale per le rimesse in conto corrente bancario: G. Tarzia, cit., 841; A. Patti, cit, 239; A. Fabiani, cit., 3298, il quale evidenzia che "... la regola, per le rimesse in conto corrente, è data dall'esonero dalla revocatoria, talchè l'onere di provare l'esistenza delle condizioni che fanno rivivere l'inefficacia dell'atto-rimessa, grava sicuramente sul curatore."

[10] In questo senso, anche se in termini dubitativi, S. Bonfatti, cit., 123. L'A. però, nel suggerire una lettura coordinata degli artt. 67 e 70 l.f. parla di presupposti generali di revocabilità che dovrebbero preesistere all'applicazione del criterio della riduzione consistente e durevole.

[11] M. Fabiani, cit., 3301, afferma la necessità di "indagare su ciò che è avvenuto sul conto dopo il versamento"; M. Arato, cit., 182.

[12] L. Guglielmucci, cit., 807, sostiene che l'esposizione debitoria deve essere valutata alla data della dichiarazione di fallimento quando il rapporto si scioglie; l'A. afferma, però, che costituisce un problema solo apparente la distinzione tra esposizione debitoria complessiva ed esposizione debitoria del conto corrente. S. Bonfatti, cit., 123, richiama l'attenzione sul carattere "volutamente atecnico" dell'espressione "esposizione debitoria" compatibile sia con la situazione di saldo debitore di conto passivo, sia con quella di saldo di conto scoperto. G. Tarzia, cit., 841, afferma che la nuova norma di cui alla lett. b) dell'art. 67, III comma, allorché richiede il requisito della durevolezza delle rimesse, importa il passaggio dalla visiona "atomistica" dello svolgimento del rapporto di conto corrente bancario adottata dalla prevalente giurisprudenza, ad una visione "di durata" o "complessiva". A. Patti, cit., 240, si esprime negli stessi termini in favore di una considerazione complessiva o di durata dell'andamento del rapporto di conto corrente.

[13] Tesi accolta da App. Firenze 28 gennaio 2004, in Foro it., 2004, I, 1713.

[14] M. Arato, cit., 184, secondo l'A. il termine esprime un "concetto economico" che

prescinde dalla presenza di una apertura di credito.

[15] M. Arato, cit., 184.

[16] M. Fabiani, cit., 3299, nel definire il significato del termine consistente sostiene che può essere considerata tale anche la sommatoria di più rimesse singolarmente marginali ma chiaramente estintive del debito" e che pertanto anche una serie di rimesse di modesta entità possa divenire revocabile se con valutazione ex post è possibile affermare che hanno posto in essere il rientro.


















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