Lo scritto è stato pubblicato ed è dunque reperibile anche in "Il diritto fallimentare e delle società commerciali", 2006.
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Oggetto di questa breve riflessione è la tesi -prospettata dalle banche convenute- secondo la quale la norma contenuta nel decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, che ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina della revoca delle rimesse in conto corrente bancario, avrebbe natura di norma interpretativa con efficacia retroattiva.
Sulla base di tali premesse, i sostenitori di detta tesi ritengono applicabile l'esenzione prevista dalla lettera b) del nuovo III° comma dell'art. 67 l.f. (che prevede l'esclusione dall'azione revocatoria delle rimesse su conto corrente bancario che non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria dell'imprenditore fallito nei confronti della banca), anche alle azioni revocatorie relative a procedure concorsuali già iniziate e quindi anche a quelle pendenti alla data di entrata in vigore della novella legislativa.
Questa impostazione, che ha indubbiamente il pregio di stimolare il dibattito in ordine ad una norma di vastissima applicazione e sulla quale si è incentrata per anni l'attenzione di dottrina e giurisprudenza, non può tuttavia essere condivisa.
Le modifiche apportate alla disciplina dell'azione revocatoria, contenuta nell'art. 67 della legge fallimentare, sono entrate in vigore il 17 marzo 2005, giorno di pubblicazione del decreto 35/2005 sulla Gazzetta Ufficiale.
La norma transitoria, contenuta nell'art. 2 del citato decreto, prevede che le disposizioni del comma 1, lettere a) e b) dello stesso articolo (quelle che novellano, sostituendoli, gli artt. 67 e 70 della legge fallimentare) si applichino alle azioni revocatorie proposte nell'ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del decreto medesimo.
Il legislatore ha quindi emanato una norma specifica con lo scopo di regolare la decorrenza degli effetti e quindi dell'efficacia delle modifiche apportate ed ha escluso, con esplicito riferimento alle novità introdotte dalle
lettere a) e b) citate che le stesse potessero applicarsi alle cause pendenti ed a quelle promosse nell'ambito di procedure non ancora iniziate alla data del 17 marzo 2005.
Senonchè le banche convenute sostengono che le modifiche in questione sono state apportate con un norma alla quale deve essere riconosciuta natura di norma interpretativa.
Secondo tale assunto, in sostanza, l'art. 2 del d.l. 14 marzo 2005 sarebbe norma di interpretazione autentica dell'art. 67 della legge fallimentare. E poiché le norme di interpretazione autentica hanno normalmente efficacia retroattiva anche in mancanza di una specifica disposizione in tal senso, il nuovo assetto revocatorio dell'art. 67 dovrebbe essere applicato anche alle vicende anteriori all'entrata in vigore delle modifiche e quindi anche ai giudizi che la norma transitoria avrebbe espressamente escluso.
Benché la tesi in esame appaia facilmente confutabile dall'evidenza rappresentata dalla norma transitoria di cui si è detto, non sarà del tutto inutile esaminarla e vedere dunque se la nuova normativa possa avere in un certo qual modo contenuto di interpretazione autentica.
E' noto che l'art. 11, I° c., disp. prel. cod. civ. fissa il principio di irretroattività della legge escludendo che una norma giuridica possa produrre effetti giuridici in relazione ad atti, fatti, eventi o situazioni verificatesi prima della sua entrata in vigore (Corte Cost. 49/1970).
E' altresì noto che l'art. 11, c. I° citato è una disposizione di rango legislativo e che come tale può essere derogata da altre leggi, a differenza del principio di irretroattività della legge penale (art. 2 cod. pen e art. 25, II c. cost.) che è un principio non meramente legislativo ma di rango costituzionale (Corte Cost. 167/1986, 42/1986, 68/1984, 122/1980).
Il caso che ci occupa non coinvolge norme di carattere penale, per cui è possibile che una norma di legge deroghi, sia pure in via eccezionale, alla regola generale della irretroattività della legge.
Si dice "autentica" l'interpretazione di un documento normativo compiuta dall'autore stesso del documento interpretato. Interprete autentico della legge può pertanto essere solo lo stesso legislatore, mediante altra legge successiva. Si dice quindi "interpretativa" -questa la dizione espressamente usata dalle convenute- una legge il cui contenuto sia l'attribuzione di significato ad una legge precedente (GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Giuffrè, 1998) (Corte Cost. 79/1977).
Se questi sono il valore e la portata di una legge interpretativa, allora è logico che tali leggi, dovendo attribuire un significato a leggi precedenti,
hanno -e non possono non avere- efficacia retroattiva (Corte Cost. 2162/1980, 1110/1972, 373/1988) essendo "la retroattività il naturale effetto di una legge che contenga l'interpretazione autentica di un'altra legge" (Filomusi-Guelfi, Enciclopedia giuridica, Napoli, 1917).
Funzione delle leggi interpretative non può quindi essere quella di innovare il diritto nel senso di dettare nuove norme, bensì quella di chiarire il significato di leggi già esistenti e già suscettibili di essere interpretate in quel dato modo. Le leggi interpretative, in sostanza, non innovano il diritto, non statuiscono nuove norme ma sono semplicemente ricognitive di norme precedenti (GUASTINI, cit.).
Detto questo, occorre stabilire il metodo per identificare una norma interpretativa, posto che una norma di legge può avere tale portata e natura indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dal legislatore.
Si tratta quindi di interpretare la stessa norma interpretativa al fine di valutare se essa si limiti a spiegare ed a chiarire il contenuto della norma interpretata o se la spiegazione sia solo apparente, comportando invece evidenti effetti innovativi.
Occorre vedere se l'ambito logico della legge interpretanda e quello della legge interpretata coincidono; nel caso in cui vi fosse questa coincidenza, la legge interpretativa avrebbe carattere dichiarativo e la retroattività sarebbe ammissibile, nel caso invece non vi fosse tale coincidenza, la nuova legge avrebbe carattere innovativo e come tale non potrebbe avere effetto retroattivo (PARESCE, Enciclopedia del diritto, Giuffrè)
Costituisce, altresì, criterio di valutazione il fatto che le disposizioni della legge di interpretazione non siano suscettibili di applicazione autonoma, indipendente dalla legge interpretata (Corte Cost. 7297/1983, 5533/1981).
A ben vedere, a modesto parere di chi scrive, il nuovo articolo 67 della legge fallimentare ha una portata fortemente innovativa, tanto da modificare radicalmente l'impianto revocatorio della legge fallimentare.
Senza volerci intrattenere sulla disamina di ogni singolo aspetto innovativo della norma, sarà, in questa sede, sufficiente e doveroso accennare alla specifica disposizione la cui applicazione viene invocata dalla banche convenute, quella contenuta nella lettera b) del nuovo III° c., che prevede l'esenzione dalla revocatoria per le rimesse che non abbiano diminuito in modo consistente e durevole l'esposizione del debitore nei confronti della banca.
Senonchè, appare a chiunque di estrema evidenza il fatto che questa norma introduce nel sistema della revoca delle rimesse in conto corrente bancario una chiara deroga a quello che era il sistema previgente che aveva trovato nell'interpretazione giurisprudenziale di merito e di legittimità una linea pressoché univoca scandita dalla nota pronuncia della S.C. del 1982 che ha indicato il criterio, seguito poi da tutti i giudici di merito, per distinguere le rimesse con effetto solutorio da quelle ripristinatorie.
L'introduzione nel sistema legislativo revocatorio della specifica deroga riservata alle rimesse in conto corrente bancario e l'introduzione del principio secondo il quale la rimessa è revocabile solo ove abbia provocato una effettiva diminuzione dell'esposizione debitoria del solvente nei confronti della banca costituisce una regola assolutamente nuova nel nostro ordinamento giuridico, un principio che per essere assunto a regola di giudizio da parte dei giudici non poteva non essere introdotto con una espressa disposizione legislativa.
Se il legislatore avesse voluto emanare una norma di interpretazione autentica della disciplina delle azioni revocatorie di rimesse in conto corrente bancario non avrebbe introdotto una eccezione alla regola generale previgente, ma si sarebbe limitato a chiarire il contenuto della portata del secondo comma dell'art. 67. Ed invece la regola generale di tale norma, quella che fissa i criteri per la revoca degli atti con natura solutoria, è rimasta intatta e funge, anche dopo la novella, da criterio generale interpretativo del sistema revocatorio.
Nella costruzione della norma è rimasta inalterata la scansione dei commi e le stesse esenzioni vanno necessariamente collegate alle fattispecie di cui al primo ed al secondo comma. Viene, quindi, mantenuta la distinzione tra regola ed eccezione secondo l'interpretazione tradizionale.
La scelta del legislatore appare quindi evidente: lasciare la regola della revocazione degli atti solutori inalterata salvo introdurre nuove eccezioni a tale regola, eccezioni tra le quali rientra quella dell'esenzione delle rimesse in conto corrente che presentino le caratteristiche di cui si è detto.
Ulteriore eccezione alla regola, quindi, e non chiarificazione ed interpretazione della regola stessa che è stata anzi confermata in tutta la sua precedente portata.
Non ha natura interpretativa una disposizione che, pur riformulando in modo più chiaro una norma preesistente, la abroghi e provveda a regolare autonomamente la stessa materia (Cass. 5533/1981).
E questo è proprio ciò che si è verificato nel caso di specie: è stato riformulato l'intero articolo 67, apportandovi modifiche che non potevano in alcun modo essere dedotte dalla interpretazione della norma abrogata.
In questa breve riflessione, non possono poi essere ignorati gli altri contenuti fortemente innovativi che caratterizzano l'intervento del legislatore, contenuti e scelte di forte cambiamento che non possono essere in alcun modo ricondotti ad una prassi interpretativa preesistente.
Così hanno portata innovativa le disposizioni relative alla abbreviazione dei termini per il computo a ritroso del periodo sospetto, l'esenzione dalla revocatoria per le vendite a giusto prezzo degli immobili ad uso abitativo, quella relativa ai pagamenti effettuati nell'esercizio della attività di impresa nei termini d'uso, ed ancora quella dei pagamenti e degli atti posti in essere in esecuzione di un piano di risanamento, il limite contenuto nel nuovo art. 70, che contiene l'importo di cui deve rispondere chi subisce la revoca nella differenza tra l'importo massimo del debito ed il saldo alla data di apertura del concorso.
Sostenere che il legislatore si sia limitato ad interpretare le norme già in vigore è affermazione avulsa dalla realtà. Sostenere che l'ambito logico della previdente normativa coincide con quello della nuova significa non solo formulare una interpretazione discutibile, ma addirittura ignorare l'esistenza dello stesso nuovo testo legislativo.
Sostenere che le nuove norme hanno portata solo interpretativa e che non avrebbero senso di esistere se non per chiarire il significato delle norme precedenti, significa ignorare del tutto il loro contenuto e le intenzioni del legislatore secondo una inaccettabile lettura, contraria ad ogni criterio logico.
La circostanza che, prima della entrata in vigore della nuova norma, un giudice (App. Firenze 28 gennaio 2004) si fosse espresso per l'applicazione del criterio accolto nel nuovo art. 70 non è assolutamente decisiva per ritenere che con la riformulazione degli artt. 67 e 70 la legge abbia posto in essere un intervento interpretativo allo scopo di comporre un contrasto giurisprudenziale. In proposito si osserva come non si possa certo parlare di contrasto di fronte ad una sola sentenza di segno contrario alle centinaia che da anni hanno connotato le statuizioni di merito e di legittimità. Ed in ogni caso, la valutazione volta ad appurare se una norma abbia o meno portata interpretativa prescinde dalla esistenza di un contrasto giurisprudenziale. La natura interpretativa di una norma dipende, infatti, esclusivamente dal contenuto della norma stessa e non dal fatto che, in relazione alla sua applicazione, fossero o meno sorti problemi interpretativi.
"Costituiscono infatti principi affermati -nella giurisprudenza sia costituzionale sia di legittimità- che, indipendentemente dalla qualificazione espressa dalla legge, la norma interpretativa può prescindere da un contrasto ermeneutico in atto nella giurisprudenza, rivelandosi giustificata sol che la
scelta imposta dalla legge -anche solo per evitare interpretazioni giurisprudenziali divergenti dalla line politica del legislatore- rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario" (cfr. per tutte Corte Cost. 413/1988, 163/1991, 402/1993, 15 e 311/1995, 525/2009; Cass. Sez. I, 5822/1981, Sez. Lav., 5552/1985, 7182/1986, 3702/1992, Sez. V, 9895/2003).
L'indagine, come si è visto, si attua attraverso il raffronto tra la nuova norma e la previgente, non rilevando in alcun modo il precedente orientamento della giurisprudenza. Il legislatore può infatti intervenire con un atto di interpretazione autentica anche al solo fine di imporre una interpretazione da lui voluta ed anche in presenza di una giurisprudenza applicativa unanime di segno completamente opposto a quello indicato dalla norma interpretativa. Le leggi interpretative hanno, in sostanza, lo scopo di obbligare gli interpreti ad attribuire alla legge interpretata il significato voluto dal legislatore e nessun altro (Cass. 168/1957, 843/1957).
Concludendo è possibile sostenere, con sufficiente grado di certezza, che le nuove disposizioni legislative in tema di revocatoria hanno comportato l'introduzione nel nostro sistema di nuove eccezioni alla disciplina generale e che non è possibile, nel modo più assoluto, attribuire natura esclusivamente interpretativa a tali norme.
Se così è, appare evidente che la nuova legislazione non potrà avere la portata retroattiva tipica delle norme di interpretazione autentica e che l'esenzione contenuta nella lettera b) del terzo comma del nuovo art. 67 l.f. non potrà essere applicata ai giudizi pendenti ed a quelli relativi a procedure già iniziate.
Chiarito che la norma di cui si discute non è di interpretazione autentica, non può essere trascurato un altro dato normativo contenuto nel nuovo testo legislativo -al quale si è già fatto cenno- che contraddice in modo palese l'assunto su cui poggia la tesi in discussione.
Come si è detto, l'art. 2 del d.l. 35/2005 contiene una norma transitoria specificamente dettata per regolare l'efficacia nel tempo delle nuove norme contenute nelle lettere b) e c) del III° comma dell'art. 67.
Il legislatore ha quindi dettato una disciplina transitoria che si riferisce in modo specifico e diretto proprio alla esenzione invocata dalla banca.
La presenza di una norma che espressamente regola gli effetti temporali della nuova disciplina priva di ogni valore qualsiasi disquisizione in ordine alla natura interpretativa della modifica ed alla sua retroattività.
In sostanza, se anche la norma de qua fosse di interpretazione autentica -il che, come si visto, non è- la stessa non potrebbe avere efficacia retroattiva
e ciò per espressa previsione legislativa, posto che il legislatore è intervenuto a regolarne l'efficacia temporale.
Il fatto poi che il legislatore si sia pronunciato con una nuova formulazione della disciplina e nel contempo abbia precisato l'ambito temporale di riferimento della stessa, significa che il legislatore stesso ha escluso, a chiare lettere, che la normativa di cui si discute possa anche solo lontanamente avere portata interpretativa ed essere applicata alle procedure concorsuali iniziate prima della sua entrata in vigore.