I doveri informativi dell'intermediario relativi alla singola operazione
Pubblicato il 08/11/09 02:00 [Articolo 628]






Commento a Trib. Mantova 31 marzo 2009, in questa Rivista, I, 1737

Sommario: 1. Il caso; 2. Informazione sulla specifica operazione e informazione in presenza di operazioni inadeguate: distinzione ed autonomia dell'ambito operativo delle due disposizioni; 3. Il compimento di scelte consapevoli come scopo dei doveri informativi relativi alla singola operazione e Cass. n. 17340/2008; 4. La forma dell'informazione relativa alla singola operazione; 5. L'onere della prova; 6. L'informazione specifica nella MIFID e la consapevolezza delle scelte di investimento.


1. Il caso
Un risparmiatore che ha accusato la banca di non averlo informato delle specifiche caratteristiche delle obbligazioni argentine e dell'inadeguatezza del relativo acquisto. L'istituto di credito si è difeso affermando che il cliente aveva effettuato l'operazione mediante il servizio di phone banking, ordinando il titolo in completa autonomia grazie all'inserimento di un codice identificativo dello strumento finanziario prescelto e che, pertanto, nella specie, l'operazione era stata decisa dal cliente in piena consapevolezza. Secondo la banca, la conoscenza del codice del titolo stava ad indicare che l'investitore aveva ottenuto le debite informazioni dall'operatore addetto al servizio telefonico o da un promotore finanziario.
L'istruttoria orale, svoltasi mediante l'audizione di un dipendente dell'intermediario, non ha, però, consentito di accertare come il cliente si sia procurato il codice e, soprattutto, non ha chiarito se e quali informazioni gli fossero state date. Il Tribunale ha, quindi, accolto la domanda dell'investitore.
Ciò che rende la decisione senza dubbio interessante - e per certi versi unica - è che la domanda sia stata accolta per il solo fatto che l'intermediario aveva omesso di fornire al cliente le informazioni relative alla specifica operazione indipendentemente dall'aspetto dell'adeguatezza dell'operazione che nemmeno viene preso in considerazione.
Benché gli ordini potessero, nel caso di specie, essere validamente impartiti mediante il phone banking, la banca avrebbe dovuto comunque fornire al cliente le informazioni sulle caratteristiche dei titoli negoziati ed eventualmente sull'inadeguatezza dell'operazione e dette informazioni avrebbero dovuto essere date o da un operatore o da un messaggio pre­registrato. In ogni caso, afferma la sentenza, le modalità di esecuzione dell'operazione avrebbero dovuto essere tali da impedire l'acquisto ove l'investitore non avesse prima ascoltato le informazioni.
L'onere informativo sulla specifica operazione serve a rendere edotto l'investitore delle caratteristiche del singolo strumento finanziario, così che egli possa conoscere l'oggetto dell'investimento che sta compiendo. Nel caso di specie, secondo il Tribunale, il mancato assolvimento di tale onere ha impedito al cliente di porre in essere un investimento consapevole che si presume non avrebbe effettuato se ne avesse conosciuto i rischi e le implicazioni.

2. Informazione sulla specifica operazione e informazione in presenza di operazioni inadeguate: distinzione ed autonomia dell'ambito operativo delle due disposizioni.
Questa decisione del Foro virgiliano offre l'occasione per svolgere una breve riflessione su di un aspetto dei doveri informativi dell'intermediario che ci pare sia rimasto ai margini del dibattito dottrinale e giurisprudenziale di questi ultimi tempi.
L'art. 28, comma 2, del regolamento approvato dalla Consob con la delibera 1 luglio 1998, n. 11522, stabilisce che: "Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all' investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento."
L'art. 29 dello stesso regolamento, dopo aver precisato, al primo comma, che gli intermediari devono astenersi dall'eseguire operazioni inadeguate per tipologia, frequenza e dimensione, e che per operare la valutazione di adeguatezza devono tener conto di ogni informazione in loro possesso, al terzo comma, prescrive che gli stessi possono comunque dar corso ad un'operazione inadeguata solo sulla base di un ordine scritto nel quale l'investitore dia atto di essere stato avvertito delle ragioni dell'inadeguatezza.2
L'informazione relativa alla singola operazione o servizio è stata presa in esame dalla giurisprudenza in molteplici occasioni e non si corre il rischio di sbagliare se si afferma che la maggior parte delle cause tra investitori ed intermediari attengono alla violazione dei doveri informativi di questi ultimi. Quasi tutte le decisioni sono però basate sull'indagine volta ad accertare l'adeguatezza dell'operazione impugnata dal cliente e l'assolvimento degli obblighi informativi previsti dall'art. 29 del regolamento, norma che, come abbiamo visto, disciplina in modo specifico gli obblighi di comportamento dell'intermediario a fronte di un'operazione inadeguata.3
Quasi mai, in tali decisioni, è stato dato opportuno risalto all'art. 28, comma 2, alla norma cioè che regola l'informazione dovuta in relazione alla singola operazione o servizio e che non contempla affatto l'ipotesi dell'operazione inadeguata.
Le decisioni che abbiano sino ad oggi avuto modo di leggere hanno esplorato ed indagato i doveri informativi dell'intermediario previsti dagli artt. 28, comma 2, e 29 del citato regolamento, senza mai approfondire la distinzione dell'ambito operativo di ciascuna norma e senza mai basarsi soltanto sul criterio della violazione dei doveri previsti dal secondo comma dell'art. 28. In quasi tutti i casi in cui è stata ritenuta sussistente la responsabilità dell'intermediario per violazione degli oneri informativi a suo carico l'indagine del giudice è transitata attraverso la valutazione dell'adeguatezza dell'operazione e la responsabilità dell'intermediario è stata riconosciuta sussistente solo quando è risultato che l'operazione impugnata fosse comunque inadeguata al profilo di rischio dell'investitore.
Eppure, a mio modesto parere, è necessario distinguere le fattispecie disciplinate dalle norme in questione e valutare se ed in che misura la regola contenuta nella prima possa assumere distinta ed autonoma rilevanza.
Una distinzione tra le due disposizioni è rintracciabile mediante l'esame di un aspetto comune ad entrambe e che consiste nello scopo di far sì che l'investitore sia messo in condizioni di effettuare scelte consapevoli, così come espressamente prescrive l'art. 28, ove sta scritto che le informazioni relative alla specifica operazione o servizio che l'intermediario deve dare al cliente sono quelle la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento.
L'art. 29, dal canto suo, non enuncia espressamente la finalità perseguita, ma impone all'intermediario una specifica modalità di esecuzione delle operazioni inadeguate, prescrivendo che tali operazioni possano essere eseguite solo ove il cliente dia atto per iscritto di essere stato avvertito delle ragioni dell'inadeguatezza.
E' pertanto evidente che quest'ultima norma ha lo scopo di indurre il cliente a riflettere ed a ben ponderare la scelta di effettuare un'operazione inadatta al suo profilo di rischio, aumentando così la sua attenzione e quindi la sua consapevolezza.
Ma se entrambe le norme esaminate si prefiggono lo scopo di fornire al cliente informazioni tali da porlo in condizioni di raggiungere un'idonea consapevolezza in ordine alla specifica operazione, credo che notevolmente diverse - anche se parzialmente coincidenti - siano le aree nelle quali le stesse sono destinate ad operare.
Mentre, infatti l'art. 29 si riferisce solo all'ipotesi dell'operazione
inadeguata, l'art. 28 comma 2, è destinato a regolare l'informazione prima del compimento di qualsiasi operazione.
L'informazione prescritta dall'art. 28 è dovuta sempre e comunque, tutte le volte che l'investitore che non sia operatore qualificato si accinge a compiere un'operazione in strumenti finanziari o a fruire di un servizio fianziario.
Ritengo allora si possa affermare che l'art. 28, da un lato enuncia il principio di carattere generale secondo il quale l'informazione sulla specifica operazione o servizio deve essere quella ritenuta necessaria per effettuare scelte consapevoli e, dall'altro lato, prescrive un onere di comportamento, una regola di condotta suscettibile di essere applicata a tutti i tipi di operazioni, anche a quelle che siano in linea con il profilo del cliente e quindi adeguate.
L'informazione di cui stiamo parlando costituisce, dunque, a mio modesto parere, un momento piuttosto importante e rilevante nell'economia del rapporto. In presenza di operazioni inadeguate e quindi nell'ipotesi contemplata dall'art. 29, l'intermediario dovrà, infatti, dare al cliente sia l'informazione prevista dall'art. 28 (che, come detto, deve essere adatta e modulata al fine di porre il cliente in condizioni di effettuare scelte consapevoli), sia l'avvertimento scritto sulle specifiche ragioni dell'inadeguatezza previsto dall'art. 29.
Ne deriva che l'informazione relativa alla singola operazione dovrà essere sempre data con le modalità previste dall'art. 28, comma 2, del Regolamento n. 11522/98, che detta, sia pure sinteticamente, le modalità di attuazione di quello che ben può essere considerato uno dei principi cardine della normativa di settore, normativa che si prefigge di ridurre l'asimmetria informativa tra intermediario ed investitore per consentire a quest'ultimo di avere piena coscienza delle proprie scelte.4
Il fine della consapevolezza della scelta è un valore che costituisce un fondamentale obiettivo non solo della legislazione dei mercati finanziari, ma in genere delle norme che regolano gli atti di autonomia privata dando il massimo rilievo alla volontà dell'agente. Ben si comprende allora come la disposizione in esame assuma un'importanza del tutto peculiare, posto che la stessa fissa il principio secondo il quale la consapevolezza deve caratterizzare tutte le scelte dell'investitore e non solo quelle relative ad operazioni inadeguate.5
Altro aspetto comune alle due norme riguarda il concetto di adeguatezza dell'operazione. Benché, infatti, l'informazione imposta dal secondo comma dell'art. 28 non faccia riferimento all'adeguatezza dell'operazione, ma solo all'adeguatezza dell'informazione, ci pare opportuno ricordare che il primo dei due parametri dovrà comunque essere tenuto presente dall'intermediario nel momento in cui darà l'informazione prevista dell'art. 28, perché solo attraverso la valutazione di tale aspetto l'intermediario potrà modulare ed adattare l'informazione al caso concreto ed alla capacità di comprensione del cliente.6
L'importante funzione svolta dal principio di adeguatezza dell'operazione è stata da tempo messa in evidenza: «...il riferimento alle informazioni adeguate può essere utilizzato come strumento per rafforzare le regole informative previste a livello regolamentare e allo stesso tempo per attenuarne la rigidità. Il concetto di adeguatezza costituisce, dunque, nel settore in esame, il momento di congiunzione con i principi generali, così che gli obblighi informativi possono far leva sul principio di buona fede oggettiva e di professionalità ed essere applicati con gradazioni e intensità diverse in tutte le fasi del rapporto tra le parti».7
I precedenti giurisprudenziali citati, che hanno fatto applicazione del principio dell'adeguatezza dell'operazione,8 testimoniano come questo aspetto costituisca il punto centrale dell'attività interpretativa delle norme sull'informazione e si risolva di fatto in una modalità di graduazione degli obblighi informativi rimessa all'intermediario nella fase di operatività ed al giudice nella fase contenziosa.9
Ulteriore aspetto comune alle due norme è costituito dal fatto che entrambe non si limitano a prevedere gli obblighi informativi in termini di semplice dovere di diligenza dell'intermediario. Entrambe hanno, infatti, accompagnato la prescrizione di questi obblighi con un esplicito divieto di operare. L'art. 28, comma 2, prevede che gli intermediari non possono effettuare o consigliare operazioni se non dopo aver informato il cliente; l'art. 29 che, in mancanza di specifica autorizzazione scritta, l'intermediario si debba astenere dall'effettuare l'operazione.
Non è questa la sede per soffermarsi su tale peculiare ed importante aspetto della normativa; ciò che vorrei tuttavia evidenziare è che il dovere di informazione è in entrambi i casi presidiato, rafforzato da un divieto di operare, elemento, questo, che consente di affermare che i doveri informativi contenuti negli articoli 28 e 29 sono di cruciale importanza, posto che il legislatore ne ha voluto assicurare e tutelare l'osservanza in modo sicuramente diverso e più rigoroso di quanto abbia con altri doveri previsti dal TUF e dal relativo regolamento di attuazione.

3. Il compimento di scelte consapevoli come scopo dei doveri informativi relativi alla singola operazione e Cass. n. 17340/2008
Se il primo dei due momenti informativi che abbiamo esaminato è così rilevante, soprattutto perché si prefigge l'obiettivo di far sì che il risparmiatore ponga in essere decisioni consapevoli, viene allora spontaneo chiedersi se la sua violazione sia tale, di per sé sola, da obbligare l'intermediario al risarcimento dei danni subiti dall'investitore e se sia possibile condannare l'intermediario a risarcire al cliente la perdita derivante da una determinata operazione solo perché sia stata omessa o non sia stata raggiunta la prova dell'informazione di cui stiamo parlando. Viene altresì da domandarsi se la condanna dell'intermediario possa essere pronunciata anche nel caso in cui l'operazione venga ritenuta adeguata al profilo di rischio del cliente.
Il fatto è che quasi tutte le decisioni che in questi anni abbiamo avuto di leggere si basano su un'impostazione che solo in casi assai rari e molto recenti ha preso in considerazione il dovere informativo previsto dall'art. 28, comma 2, come autonomo elemento fondante la decisione.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, la soluzione delle controversie tra investitore ed intermediario che implicano la valutazione dell'adempimento a doveri informativi sono incentrate sulla violazione della regola prescritta dall'art. 29 per le operazioni inadeguate e la responsabilità dell'intermediario è stata ritenuta sussistente solo in presenza di un'operazione inadeguata e non segnalata con le particolari modalità di cui si è detto.
E questa impostazione seguita dalla giurisprudenza di merito appare, ai fini che ci interessano, ancor più significativa perché è capitato di frequente che le domande degli investitori sono state respinte in virtù della constatazione che l'operazione era comunque adeguata al loro profilo di rischio, senza alcuna verifica in ordine all'adempimento del dovere informativo previsto dall'art. 28.
Ma se sono corrette le osservazioni che abbiamo svolto in ordine all'ambito operativo delle norme in esame, ci pare giusto affermare che la valutazione del giudice non può prescindere dalla verifica dell'informazione prevista dall'art. 28, comma 2.
Se il cliente deve poter essere in grado di compiere scelte di investimento consapevoli, egli subirebbe certamente un danno qualora fosse convinto che il prodotto acquistato abbia caratteristiche in realtà inesistenti o differenti da quelle auspicate. Ed in questo caso, il danno che potrebbe riportare sarebbe la conseguenza non di una operazione inadeguata ma del fatto che il prodotto oggetto dell'operazione non è quello voluto o non ha le caratteristiche desiderate, e ciò indipendentemente dalla circostanza che quella determinata operazione sia o meno compatibile con il suo profilo di rischio.
L'eventualità che tale inconveniente si possa verificare ci consente di comprendere come la possibilità di effettuare scelte consapevoli sia un valore che l'ordinamento si preoccupa di tutelare prima ed indipendentemente dal fatto che l'operazione sia allineata con gli obiettivi di investimento dichiarati dal cliente o ricavabili dalle informazioni che lo riguardano.
Il pericolo che un'operazione non sia quella che l'investitore ha voluto eseguire è, a mio parere, più grave di quello insito nel compimento di un'operazione inadeguata, poichè implica l'accettazione del rischio di una distorsione della volontà dell'investitore e la conseguente violazione di uno dei principali precetti enunciati dall'art. 21 del TUF, il quale impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati.
La mancanza di consapevolezza dell'investitore in ordine al tipo di prodotto negoziato, e quindi riguardo agli effetti dell'operazione da lui posta in essere, lede in primo luogo l'interesse dello stesso investitore, che compie atti di rilevante contenuto economico con il pericolo che la scelta non corrisponda alla sua volontà10, e lede altresì l'integrità dei mercati, i quali non trarrebbero di certo alcun beneficio, soprattutto in termini di fiducia11, se gli investitori fossero strumenti inconsapevoli pilotati dagli operatori professionali.
Il momento informativo contemplato ed imposto dal secondo comma dell'art. 28 realizza perciò uno degli scopi principali della legislazione in materia di mercati finanziari, che è quello di ridurre il gap informativo tra investitori ed operatori professionali e di imporre all'intermediario di collaborare con l'investitore.12
Tuttavia, come si è detto, in casi molto rari e piuttosto recenti, la giurisprudenza ha fondato la decisione in merito alla sussistenza della responsabilità dell'intermediario solo ed esclusivamente sull'omissione dell'informazione dell'art. 28, comma 2.
La sentenza in commento del Tribunale di Mantova e quella del medesimo Tribunale che di poco l'ha preceduta13 sono state emesse in casi in cui l'investitore aveva impartito gli ordini di negoziazione tramite il servizio di phone banking, avvalendosi dunque del telefono ed operando mediante l'inserimento dei propri dati identificativi e di un codice corrispondente al titolo negoziato.
Il Tribunale ha accolto le domande degli investitori perché la banca convenuta in giudizio non ha provato di avere dato loro l'informazione prevista dall'art. 28, comma 2, relativa alla specifica operazione ed ha affermato che tale obbligo informativo deve sempre essere assolto, anche nel caso di utilizzo del phone banking ed a prescindere dalle effettive conoscenze in possesso dell'investitore nonchè dalle modalità in cui in precedenti occasioni lo steso abbia operato.
Le due decisioni non prendono affatto in esame l'aspetto dell'adeguatezza dell'operazione, sul quale non effettuano alcuna indagine, e condannano l'intermediario al risarcimento del danno.
Questi significativi arresti giurisprudenziali del Tribunale di Mantova costituiscono, a mio parere, il logico completamento di un percorso interpretativo caratterizzato da una graduale presa d'atto da parte dei giudici di merito della rilevanza dell'informazione come momento di verifica della consapevolezza della scelta del cliente e del notevole rilievo che questa può assumere nel compimento delle singole operazioni.14
I precedenti che connotano il percorso interpretativo della giurisprudenza possono essere indicati in due pronunce della Corte di Appello di Milano e in una successiva, di fondamentale importanza, della Corte di Cassazione. La Corte milanese ha dapprima affermato che le operazioni con rischio superiore a quello consigliabile per un profilo conservativo devono essere sempre evidenziate, anche quando vengano eseguite da investitori con adeguato profilo di rischio.15 Con una decisione di poco successiva, compiendo un ulteriore passo nel dar rilievo all'informazione di cui ci stiamo occupando, la Corte ambrosiana ha statuito che il fatto che l'investitore possa considerarsi esperto di strumenti finanziari, perché aduso ad operazioni caratterizzate dalla ricerca di alti rendimenti, non esime l'intermediario dall'adempimento degli obblighi informativi, ancorché diversamente calibrati a seconda della tipologia del cliente, giacchè l'esigenza di conoscere le caratteristiche dell'investimento offerto è propria di qualsiasi investitore, anche di quello più disposto ad affrontare rischi.16
Ma il cammino della giurisprudenza su questo sentiero ha trovato un decisivo riconoscimento nella recente sentenza della Prima Sezione della Corte di Cassazione,17 la quale, dopo aver sostenuto che i doveri informativi previsti dall'art. 21 del TUF assoggettano la prestazione dei servizi di investimento ad una disciplina diversa e più intensa rispetto a quella discendente dall'applicazione delle regole di correttezza previste dal codice civile,18 ha espressamente posto l'accento sul fatto che siffatti doveri hanno lo scopo di porre il risparmiatore nella condizione di effettuare consapevoli e ragionate scelte di investimento o di disinvestimento.19
La Corte ha, poi, fatto esplicito richiamo al precetto contenuto nell'art. 28, comma 2, del reg. 11522/98, secondo il quale le informazioni devono essere adeguate e necessarie (al fine della consapevolezza) ed ha ribadito che le stesse debbono «essere modellate alla luce della particolarità del rapporto con l'investitore, in modo da soddisfare le esigenze proprie di quel singolo rapporto».
Questo punto della decisione merita particolare attenzione perché spiega che l'informazione relativa alla singola operazione deve essere adeguata, tale cioè da soddisfare le esigenze del singolo rapporto e deve quindi essere adattata alle caratteristiche del cliente in modo che questi la comprenda e possa, questo è lo scopo che la norma si propone, effettuare scelte consapevoli.
E la Corte, ritengo, giunge ancor più a valorizzare il dettato della norma in esame ove afferma che il giudice di merito non ha dato conto di quali concrete avvertenze e specifiche indicazioni sul «tipo di rischio sotteso all'operazione siano state date agli investitori», consacrando così il momento informativo oggetto di questa nostra riflessione come basilare ed indefettibile.20
La Corte, inoltre, dopo aver precisato che l'obbligo di fornire informazioni appropriate deve essere assolto anche nel caso in cui il cliente abbia in precedenza acquistato altro titolo a rischio, perché ciò non basta a renderlo un operatore qualificato,21 chiarisce, in via definitiva, la distinzione tra l'informazione dell'art. 28 e quella dell'art. 29. Il quesito di diritto al quale il giudice del rinvio si dovrà attenere, è, infatti, distinto in due parti: la prima interpreta la regola dell'informazione dovuta in occasione di ogni singola operazione, precisando che la stessa deve essere adeguata in concreto al fine di soddisfare le esigenze del singolo rapporto; la seconda ricorda che, a fronte di un'operazione inadeguata, è necessaria l'autorizzazione scritta del cliente in cui sia fatto specifico riferimento alle informazioni ricevute. 22
La formulazione del quesito con queste modalità costituisce l'ulteriore conferma che le norme in esame impongono una netta distinzione tra i doveri informativi cui l'intermediario è tenuto prima di effettuare ogni operazione e quelli, ulteriori e specifici, che sul medesimo incombono solo in presenza di un'operazione inadeguata.
E l'autonomia di questi due precetti normativi consente di pervenire, come ha fatto il Tribunale di Mantova con la decisione in commento, a ritenere sussistente la responsabilità dell'intermediario che abbia violato i doveri previsti dall'art. 28, comma 2, anche ed indipendentemente dal fatto che l'operazione impugnata dall'investitore non sia inadeguata al suo profilo di rischio.23

4. La forma dell'informazione relativa alla singola operazione
Una volta sottolineata l'autonomia del dovere informativo imposto dall'art. 28, comma 2 del reg. Consob n. 11522/98, al quale l'intermediario deve adempiere con riferimento alla singola operazione, occorre accennare, sia pur brevemente, al problema della forma e verificare se le norme prevedano, per quest'onere, particolari requisiti.
Ebbene, il secondo comma dell'art. 28 non contiene alcun riferimento alla forma dell'informazione sui rischi e le implicazioni della specifica operazione o servizio, né ci sembra che un particolare tipo di forma sia previsto da altre norme.
L'art. 23 del TUF richiede la forma scritta ad substantiam per il solo contratto di negoziazione e la giurisprudenza prevalente è ormai orientata nel senso che questa prescrizione debba essere applicata al solo contratto quadro e non ai singoli ordini di negoziazione.24
Se, poi, si tien conto della circostanza che il legislatore, quando ha voluto che determinate informazioni fossero fornite per iscritto, l'ha prescritto in modo esplicito (come nel caso dell'obbligo di consegna del documento sui rischi di investimento,25 dell'avvertimento relativo alle operazioni inadeguate,26 della perdita in strumenti derivati e warrant pari o superiore al 50%,27 delle perdite della gestione pari o superiori al 30%,28) mi pare si possa tranquillamente concludere che per l'informativa di cui stiamo parlando non vi sia l'obbligo della forma scritta.
Lo stesso art. 30, comma 1, reg. Consob n. 11522/98, attuativo dell'art. 6, comma 2 del TUF, che indica il contenuto obbligatorio del contratto con l'investitore, nulla dispone in ordine alla forma dell'informazione di cui si tratta, per cui credo sia condivisibile che tale forma rimane sostanzialmente libera e può anche essere oggetto di specifica pattuizione tra intermediario ed investitore, i quali, così come avviene per le modalità con cui vengono impartiti gli ordini, avranno la facoltà di concordare l'adozione di una determinata forma, con il solo onere, in tal caso, di farne menzione nel contratto quadro.29
La prova dell'adempimento di questo obbligo potrà, quindi, essere data dall'intermediario anche mediante testimoni. In tale ipotesi, ove i testi dedotti siano i dipendenti o i funzionari che hanno eseguito l'operazione, occorrerà essere particolarmente attenti alla valutazione della prova, anche in considerazione delle oscillazioni che si sono avute in giurisprudenza in ordine alla ammissibilità della testimonianza del dipendente della banca.30
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la sentenza che ha di recente composto il contrasto giurisprudenziale sulla sanzione applicabile alla violazione delle norme di condotta degli intermediari - questione risolta, come noto, a favore dell'inadempimento31 - hanno affermato, pur senza esercitare su questo specifico problema la funzione dirimente, che i dipendenti o funzionari dell'intermediario i quali hanno intrattenuto rapporti con il cliente da cui sono scaturite le pretese risarcitorie non sono per ciò solo titolari di un interesse che ne giustifichi la personale partecipazione al giudizio e non sono pertanto incapaci a testimoniare.32 Mi sembra tuttavia da condividere la raccomandazione che, in ogni caso, tale deposizione dovrà essere valutata con la dovuta cautela e non potrà comunque consentire di superare l'ostacolo dell'eventuale mancanza di forma scritta delle raccomandazioni relative al rischio di un'operazione inadeguata.33

5. L'onere della prova
Per quanto riguarda la distribuzione dell'onere della prova di aver ottemperato alla disposizione dell'art. 28, comma 2 del regolamento, la soluzione dovrà a mio parere essere rintracciata nello speciale regime probatorio dell'art. 23 del TUF, nella parte ove dispone che "nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta."34
Benchè in dottrina non vi sia uniformità di consensi in ordine al fatto che la regola contenuta nell'art. 23 comporti una vera e propria inversione dell'onere della prova,35 la giurisprudenza è sostanzialmente concorde nel ritenere che, nelle cause in cui l'investitore deduca la negligenza dell'intermediario nell'adempimento ai propri doveri informativi e comportamentali, spetti a quest'ultimo l'onere di provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta.36
In particolare, sul punto, è stato affermato che attesa l'inversione dell'onere probatorio di cui all'art. 23 del TUF e comunque in ragione del fatto che gli artt. 26 e ss. del reg. Consob impongono ai soggetti abilitati precisi obblighi positivi della cui violazione non può essere addossata la prova ai singoli risparmiatori (in ossequio alla regola generale secondo cui sull'attore non può incombere la prova di circostanze negative), l'intermediario dovrà provare: di aver assunto adeguate informazioni sul rischio dei titoli negoziati; di aver adottato idonee procedure interne di controllo per trasmettere tali informazioni alla propria rete di vendita; di aver informato gli investitori dei rischi connessi con le specifiche operazioni di investimento; di aver segnalato per iscritto la non adeguatezza delle singole operazioni e l'esistenza di un interesse in conflitto, indicandone in entrambi i casi le ragioni.37
L'intermediario dovrà pertanto dimostrare di aver fornito l'informazione relativa alla singola operazione e, per consentire al giudice di dare ingresso alla prova, dovrà altresì allegare la relativa circostanza. E l'onere di allegazione e della prova graveranno sull'intermediario indipendentemente dal fatto che l'operazione sia o meno inadeguata poiché, come è accaduto nel caso deciso dalla sentenza in commento, non è escluso che il giudice accolga la domanda del risparmiatore anche in presenza di un'operazione adeguata, per il solo fatto che sia stata omessa l'informazione specifica ad essa relativa.
Se la giurisprudenza è abbastanza concorde nel ritenere che spetti all'intermediario la prova di aver agito con la dovuta diligenza e, quindi, di aver dato al cliente l'informazione relativa alla specifica operazione, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la prova del nesso di causalità tra l'omissione informativa ed il danno subito dall'investitore.
Molti tribunali, sia pur con qualche rara eccezione,38 hanno sostenuto che, una volta accertata la responsabilità dell'intermediario per aver omesso l'informazione prescritta dalla legge, spetta comunque al cliente l'onere di provare che, se fosse stato correttamente informato, egli avrebbe indirizzato altrove i propri investimenti e non avrebbe subito danno alcuno o lo avrebbe subito in misura diversa.39
Questa linea di pensiero si fonda sulla considerazione che, in mancanza di specifiche disposizioni di legge che prevedano un regime probatorio differente e più favorevole all'investitore, la prova del nesso causale tra condotta omissiva e danno dovrà essere regolata dalle norme generali in materia di obbligazioni, secondo le quali è il creditore che deve provare il danno conseguente all'inadempimento.
In una posizione che può essere definita intermedia si collocano alcune decisioni40 che, prendendo atto dell'obiettiva difficoltà per il cliente di fornire un tal genere di prova, specialmente nell'ambito di un mercato caratterizzato da notevole alea, hanno affermato che la prova in questione può essere raggiunta anche tramite presunzioni. Si è quindi ritenuto verosimile che un investitore con profilo di rischio conservativo avrebbe, se correttamente informato, posto in essere operazioni in linea con il proprio profilo e si è determinata l'entità del danno per differenza tra l'esito dell'operazione impugnata e quella che il cliente avrebbe effettuato in coerenza con la propria propensione al rischio.
La questione è stata anche esaminata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, in tema di conflitto di interessi, hanno sancito che ai fini di un eventuale danno risarcibile subito dal cliente e del nesso di causalità tra detto danno e l'illegittimo comportamento dell'intermediario, assumono rilievo le conseguenze del fatto che l'intermediario medesimo non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi.41
La S.C., ha dunque censurato la valutazione del giudice di merito che, in presenza di un conflitto di interessi non segnalato ed in mancanza della autorizzazione ad operare da parte del cliente, ha negato la sussistenza del nesso di causalità tra condotta e danno.
Il principio per cui, in presenza di un divieto di operare, non è necessaria la prova del nesso di causalità perché il danno è la conseguenza della violazione del divieto di astensione, è stato prontamente recepito da alcuni giudici di merito.42
Il Tribunale di Milano,43 prendendo spunto dalle Sezioni Unite, ha ribadito l'irrilevanza dell'indagine sul nesso di causalità in tutte quelle situazioni in cui la legge non si limita a richiedere all'intermediario di agire con diligenza, ma addirittura gli impone un obbligo di astensione superabile solo a determinate condizioni. La sentenza milanese sostiene che, proprio in questa specifica materia, ove la perdita di valore di uno strumento finanziario può dipendere dall'andamento sfavorevole del mercato, la previsione di un divieto legale di agire ha la precipua funzione di prevenire e, in caso di violazione, trasferire il rischio sul soggetto che viola il divieto e che il dovere di fedeltà e di diligenza dell'intermediario deve atteggiarsi in modo ancor più stringente laddove si consideri che le operazioni di investimento sono intrinsecamente pericolose.
Tornando al tema della riflessione, vorrei ricordare44 che anche la norma che regola i doveri informativi dell'intermediario in relazione alla singola operazione o servizio prevede un divieto di operare che, come nel caso delle operazioni inadeguate e di quelle in conflitto di interessi, ha lo scopo di rafforzare il dovere informativo per prevenirne la violazione.
Ritengo perciò che meritino adesione le proposte di coloro i quali, sollevando l'investitore da una prova non certo semplice, tendono a valorizzare il divieto di operare posto dal legislatore a tutela di particolari e delicate situazioni e che anche nel caso della violazione dell'informazione relativa alla singola operazione possa presumersi sussistente - ovviamente salvo prova contraria45 - il nesso di causalità tra la violazione del divieto di operare ed il danno subito dall'investitore.

6. L'informazione specifica nella MIFID e la consapevolezza delle scelte di investimento
Se nel reg. Consob n. 11522/98 le norme sull'informazione relativa alla singola operazione sono molto sintetiche, altrettanto non può dirsi di quelle introdotte dalla MIFID46 e quindi dalla normativa regolamentare emanata dalla Consob con il Regolamento Intermediari approvato con delibera 29 ottobre 2007, n. 16190, che ha dato attuazione al TUF riformato dal d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164 ed abrogato, con effetto dal 2 novembre 2007, il precedente regolamento n. 11522/9847.
Le disposizioni volte a disciplinare l'informazione di cui stiamo trattando sono contenute sia in norme di carattere generale, che in norme più dettagliate dirette a regolare specifici servizi.
Così, il secondo comma dell'art. 27 del Nuovo Regolamento Intermediari48, con una formulazione molto simile a quella del secondo comma dell'art. 28 che abbiamo esaminato, prescrive che gli intermediari debbono fornire informazioni appropriate affinchè i clienti possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati ed i rischi ad essi connessi.
Il successivo nuovo art. 28 detta, poi, le modalità che devono essere rispettate perché le informazioni siano corrette, chiare e non fuorvianti, precisando, tra le altre cose, che non devono essere sottolineati i vantaggi di un servizio o strumento finanziario senza fornire un'informazione corretta ed evidente anche sui rischi; che il raffronto tra servizi di investimento e tra i vari strumenti finanziari deve essere corretto ed equilibrato ed indicare le fonti delle informazioni; che quando le informazioni contengono un'indicazione sui risultati passati di uno strumento, di un indice finanziario o di un servizio di investimento, i dati devono riferirsi ad almeno cinque anni precedenti e specificare che, essendo riferiti al passato, non sono indicativi dell'andamento futuro.
Particolarmente rilevanti, ai fini che ci interessato, sono le disposizioni contenute nel nuovo art. 31, anch'esso ricco di norme di dettaglio, specificamente dettate con riguardo all'informativa sugli strumenti finanziari. L'articolo indica, in primo luogo, che le informazioni devono tener conto della classificazione del cliente come cliente al dettaglio o professionale e che la descrizione deve illustrare le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato ed i relativi rischi in modo sufficientemente dettagliato così da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate. Il secondo comma prescrive il contenuto minimo dell'informazione sui rischi, sull'effetto leva, sulla liquidabilità, sulla volatilità ed anche sul rischio connesso alla combinazione di due o più strumenti.
Il nuovo art. 36 stabilisce, poi, la forma con la quale devono essere date le informazioni, distinguendo i casi di utilizzo del cd. supporto duraturo e dei siti internet.
Le norme di dettaglio si presentano molto minuziose, tanto che non pare semplice il compito di ricondurre le singole disposizioni a principi guida ed a clausole generali che consentano all'interprete di enucleare principi di riferimento in grado di adattare la normativa alle molteplici sfaccettature che caratterizzano i singoli casi concreti.49
Con riferimento al tipo di informazione di cui discutiamo, sono dell'avviso che sia tuttavia possibile affermare che anche nella normativa introdotta con la MIFID l'informazione relativa allo specifico strumento o servizio finanziario debba essere tale da consentire all'investitore di effettuare scelte consapevoli.
Come, infatti, si è avuto modo si evidenziare nei paragrafi precedenti, la consapevolezza della scelta da parte dell'investitore in ordine alle caratteristiche, ai rischi ed alle implicazioni della singola operazione costituisce un elemento essenziale per la protezione dello stesso investitore, dell'integrità dei mercati ed in definitiva del risparmio come valore tutelato dall'art. 47 della Costituzione.50
Se il secondo comma dell'art. 28 del regolamento n. 11522/98 vietava di dar corso a qualsiasi operazione in difetto di un'informazione adeguata, allo stesso modo, l'art. 27, comma 1, del Nuovo Regolamento richiede che le informazioni inerenti il tipo specifico di strumenti finanziari siano idonee a consentire ai clienti di prendere decisioni in modo consapevole. E analoga disposizione è contenuta nel nuovo art. 31, comma 1, il quale prescrive che le informazioni relative allo specifico strumento interessato devono essere sufficientemente dettagliate da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate.
Anche nel nuovo regolamento, così come nel precedente, viene quindi ribadito, in più punti, che il fine che l'informazione si propone è quello di metterlo l'investitore in condizioni di agire in modo informato e consapevole.
Non solo, il nuovo art. 34 detta un'ulteriore regola che va nella direzione di garantire la consapevolezza: quella che impone di fornire l'informazione in tempo utile prima della sottoscrizione dei contratti e soprattutto (terzo comma) prima della prestazione dei servizi di investimento ed accessori.
La nozione di "tempo utile" è contenuta nell'art. 48 della direttiva, la quale prevede che si debba "tenere conto, in funzione dell'urgenza della situazione e del tempo necessario perché il cliente assimili e reagisca, del periodo di tempo di cui il cliente necessita per poter leggere e comprendere tali informazioni prima di adottare una decisione di investimento"
Credo allora che la necessità di consentire all'investitore di operare in condizioni di reale consapevolezza sia un principio di riferimento basilare cui l'interprete potrà rifarsi al fine di valutare se le informazioni date dall'intermediario siano quelle adeguate e necessarie allo scopo o se si risolvano invece in una congerie di dati formalmente rispettosi del precetto normativo, ma di fatto incomprensibili o comunque inefficaci.










1) Relazione tenuta al convegno "Risparmiatori e imprese: criticità nei rapporti bancari" che ha avuto luogo a Salerno il 3 luglio 2009.
2) Art. 29 reg. Consob approvato con delibera n. 11522 del 1 luglio 1998: (Operazioni non adeguate) 1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all'articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dare corso all'operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l'operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.
3) Tra le decisioni che hanno ritenuto adeguate le operazioni di investimento si segnalano: Trib. Milano, 25 luglio 2005, in Danno e resp., 2005, 1227; Trib. Vasto, 9 novembre 2006, in IL CASO.it, I, 420; Trib. Massa, 21 giugno 2007, ivi, I, 978; Trib. Milano, 24 settembre 2008, ivi, I, 1343; Trib. Savona, 11 luglio 2007, ivi, I, 1042; Trib. Savona, 9 maggio 2007, ivi, I, 1079; Trib. Monza, 16 dicembre 2004, ivi, I, 699; Trib. Torre Annunziata, 27 giugno 2007, ivi, I, 986; Trib. Ancona, 2 marzo 2007, ivi, I, 986; Trib. Vigevano, 7 agosto 2006, ivi, I, 586; Trib. Padova, 17 maggio 2007, ivi, I, 351; Trib. Catania, 5 maggio 2006, ivi, I, 319; Trib. Mantova, 11 aprile 2006, ivi, I, 290; Trib. Milano, 15 marzo 2006, ivi, I, 324; Hanno invece ritenuto non adeguate le operazioni: Trib. Torino, 7 novembre 2005, in Giur. it., 2006, 521; Trib. Livorno, 21 novembre 2007, in IL CASO.it, I, 1118; Trib. Padova 31 ottobre 2007, ivi, I, 1128; App. Torino, 19 ottobre 2007, ivi, I, 1075; Trib. Roma, 20 agosto 2007, ivi, I, 1081, la quale afferma che qualora l'intermediario non abbia provveduto ad assumere informazioni sulla situazione economica e sull'esperienza dell'investitore, si deve presumere che l'operazione di negoziazione posta in essere costituisca l'intero patrimonio dell'investitore; Trib. Barcellona Pozzo di Gotto, 21 giugno 2007, ivi, I, 1046; Trib. Vicenza, 15 giugno 2007, ivi, I, 1050; Trib. Mantova, 8 febbraio 2007, ivi, I, 541.
4) Trib. Firenze, 6 luglio 2007, in IL CASO.it, I, 1102/2008, secondo la quale "gli obblighi informativi dell'intermediario possono dirsi concretamente adempiuti solo quando l'investitore abbia pienamente compreso le caratteristiche dell'operazione, atteso che la conoscenza deve essere una conoscenza effettiva e l'intermediario o il promotore devono verificare che il cliente abbia compreso le caratteristiche essenziali dell'operazione proposta non solo con riguardo ai relativi costi e rischi patrimoniali ma anche con riferimento alla sua adeguatezza."
5) F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, p. 192 ss. Il quale evidenzia come il consentire all'investitore di effettuare investimenti consapevoli caratterizzasse, già prima della normativa più recente, le scelte dei sistemi giuridici occidentali, fosse stato inserito tra le business rules elaborate dal CESR ed inserito nei principi IOSCO (www.iosco.org). Ma sul punto deve essere evidenziato quanto l'autorevole Autore afferma in Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell'effettività delle regole di condotta, in Riv. Dir. Privato 3/2009e in IL CASO.it, II, 159/2009, ove, attraverso un percorso che evidenzia la necessità adottare il criterio interpretativo della simmetria informativa al fine di «creare un contratto giusto, efficiente, ove una parte non può approfittare della propria posizione di vantaggio conoscitivo», l'Autore afferma che la legislazione speciale di recente emanazione, anche con riferimento al problema dell'operatore qualificato, ha «scelto apertamente la strada eterodeterminata dell'effettività della conoscenza, soppiantando definitivamente il principio dell'autoresponsabilità che giustificava la rilevanza giuridico-sociale della dichiarazione».
6) L'intermediario dovrà quindi adempiere ai propri obblighi informativi in modo che gli stessi possano essere «diversamente calibrati ... soddisfando le specifiche esigenze informative proprie del singolo rapporto», così G.ALPA, Commento all'art. 21, in ALPA-CAPRIGLIONE, Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, p. 225, Padova, 1998.
7) F.SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, cit., p. 199; INZITARI­PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, p. 71, 2008, Padova.
8) Vedi nota 3.
9) Per una approfondita disamina del concetto di adeguatezza dell'operazione si rimanda a F.SARTORI, Le regole di condotta, cit, p. 198, cui va aggiunto il recente contributo dello stesso Autore Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell'effettività delle regole di condotta, in Riv. Dir. Privato, 3/2009 e in IL CASO.it, II, 159/2009, per il quale la regola dell'adeguatezza dell'informazione da regola informativa, essenziale perché l'investitore possa autodeterminarsi, nell'ambito del mercato finanziario diviene regola di solidarietà. Sempre sull'adeguatezza dell'operazione: P.FIORIO, La non adeguatezza delle operazioni di investimento, in Il CASO.it, II, 71; F.BENASSI, Il direttore di banca investitore retail e l'"inadeguatezza" dell'art. 31 del reg. Consob 11522/98, in Banche, Consumatori e tutela del risparmio, a cura di AMBROSINI-DEMARCHI, Milano, 2009; Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in IL CASO.it, I, 1169, la quale evidenzia che il profilo di rischio dell'investitore può variare nel corso del rapporto, per cui l'adeguatezza di ogni singola operazione deve tener conto dei mutamenti del profilo dell'investitore ricavabili dagli acquisti dallo stesso mano a mano posti in essere.
10) D.MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. Dir. Privato, 3/2009 e in IL CASO.it, II, 158/2009, il quale afferma che l'esecuzione dell'ordine del cliente debba attuare la volontà del cliente stesso e non il suo profilo di rischio.
11) D.MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento, cit., la disciplina dei mercati avrebbe come obiettivo la massima espansione dei mercati finanziari e quindi della loro liquidità, fattore, questo, che presuppone la fiducia degli investitori; l'Autore afferma altresì che l'integrità dei mercati deve essere considerata un «limite di ordine pubblico all'autonomia contrattuale». G.LA ROCCA, Autonomia privata e mercato dei capitali, La nozione civilistica di "Strumento finanziario", Torino, 2009, p. 151: valori come "impresa" e "libera iniziativa" rischiano di essere compromessi se non si tutela il risparmio, in quanto è un dato oramai indiscusso che il risparmiatore che non si ritiene adeguatamente tutelato nella sua azione sul mercato finanziario, si astiene dallo scambio, facendo così venir meno la fonte degli investimenti.
12) F.SARTORI, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell'effettività delle regole di condotta, cit.
13) Dello stesso Tribunale si segnala anche la sentenza 5 febbraio 2009, Est. Venturini, di analogo contenuto.
14) Particolarmente efficace è in proposito l'affermazione contenuta nella sentenza in commento secondo la quale «..l'onere di informazione che si assume violato ..serve a rendere edotto l'investitore delle caratteristiche del singolo strumento finanziario in modo da conoscere l'oggetto dell'investimento che sta compiendo, a prescindere dalle sue generali conoscenze e da quanto avvenuto in altre occasioni.» (sottolineatura nostra); l'espressione "oggetto dell'investimento" conferisce concretezza all'esigenza che l'investitore abbia piena contezza del significato e degli effetti del proprio atto negoziale, atto che senza la necessaria consapevolezza rischia di essere viziato, contrario ai principi del TUF (art. 21) e più in generale a quelli dell'ordinamento giuridico che tutela in vari modi l'effettiva volontà delle parti di un negozio.
15) App. Milano, 26 aprile 2006, in IL CASO.it, I, 287.
16) App. Milano, 19 dicembre 2006, in IL CASO.it, I, 602.
17) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, in Foro It., 2009, I, 189.
18) Sul punto si veda G.LA ROCCA, Sezione Prima vs. Sezioni Unite: differenti visioni del diritto dei contratti del mercato finanziario in Cassazione, in IL CASO.it, II, 150/2009, il quale osserva come, con questa affermazione, la Cassazione abbia posto gli obblighi di informazione a carico dell'intermediario fuori dai doveri di correttezza e buona fede previsti dal codice civile.
19) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit., testualmente «Questa regola - nell'assoggettare la prestazione dei servizi di investimento ad una disciplina diversa e più intensa rispetto a quella discendente dall'applicazione delle regole di correttezza previste dal c.c., impone all'operatore il dovere sia di farsi parte attiva nella richiesta all'investitore di notizie circa la sua esperienza e la sua situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento e la propensione al rischio, sia di informare adeguatamente il cliente, al fine di porre il risparmiatore nella condizione di effettuare consapevoli e ragionate scelte di investimento o disinvestimento.»
20) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit., «..l'argomentazione dei Giudici del gravame, nella sua genericità, non da conto di quali concrete avvertenze e specifiche indicazioni sul tipo di rischio sotteso all'operazione siano state date agli investitori e nulla dice circa l'adeguatezza dell'informazione fornita dall'intermediario, se cioè essa sia stata tale da soddisfare le esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria dei clienti; e, soprattutto, non indica se, a fronte di un'operazione ritenuta dalla stessa Banca non adeguata, questa abbia osservato la norma che consente di darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.»
21) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit.:«il dovere di fornire informazioni appropriate e l'obbligo di astenersi dall'effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensioni, se non sulla base di un ordine impartito dall'investitore per iscritto contenente l'esplicito riferimento alle avvertenze ricevute, sussiste in tutti i rapporti con operatori non qualificati, e tale è anche chi - non rientrante in una delle speciali categorie di investitori menzionate nei regolamenti Consob (Delib. n. 10943, art. 8, comma 2; Delib. n. 11522, art. 31, comma 2), abbia in precedenza occasionalmente investito in titoli a rischio.»
22) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340, cit.: «Il Giudice del rinvio (omissis) si adeguerà al seguente principio di diritto: "In tema di servizi di investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l'obbligo di fornire all'investitore una informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente; e, a fronte di un'operazione non adeguata (nella specie, avente ad oggetto obbligazioni Mexico 10%), può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall'investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. All'operatività di detta regola - applicabile anche quando il servizio fornito dall'intermediario consista nella esecuzione di ordini - non è di ostacolo il fatto che il cliente abbia in precedenza acquistato un altro titolo a rischio (nel caso: obbligazioni Telecom Argentina), perché ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob".»
23) Alla sentenza della Cassazione hanno fatto seguito le decisioni di alcuni tribunali, i quali hanno iniziato a dare rilevo al momento informativo di cui stiamo trattando. Trib. Pisa, Sez. Dist. Pontedera, 13 ottobre 2008, in IL CASO.it, I, 1693/2009 ha affermato che, prima del compimento della singola operazione di negoziazione, debba essere comunicato al cliente il rating del titolo, posizione, questa, rintracciabile anche in alcuni precedenti che hanno cercato di dar contenuto agli obblighi informativi relativi alla singola operazione con particolare riferimento alla comunicazione del rating: Trib. Gorizia, 30 gennaio 2009, ivi, I, 1739/2009; Trib. Milano, 26 aprile 2006, ivi, I, 287/2006; Trib. Catania, 5 maggio 2006, ivi, I, 319/2006; Trib. Prato, 11 maggio 2007, ivi, I, 584/2007; Trib. Parma, 24 maggio 2007, ivi, I, 601/2007; Trib. Firenze, 6 luglio 2007, ivi, I, 1102/2008, la quale ha precisato che «Il rating costituisce un'informazione se non determinante, quanto meno indicativa del tipo di investimento che si è in procinto di effettuare e la sua mancata indicazione rappresenta la violazione dei più elementari obblighi informativi. L'intermediario pertanto ha il preciso obbligo di segnalare al risparmiatore in modo non generico ed approssimativo la natura dell'investimento alla stregua della valutazione operata dalle maggiori agenzie di rating, trattandosi di dato che costituisce fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell'investitore»; Trib. Palermo, 13 febbraio 2008, ivi, I, 1203/2008. La linea tracciata dalla Corte di Cassazione con la decisione n. 17340/2008 è stata seguita anche da App. Torino, 31 marzo 2009, ivi, I, 1710/2009 e da App. Milano, 15 aprile 2009, ivi, I, 1730/2009, le quali hanno ribadito l'irrilevanza, ai fini dell'obbligo informativo in questione, della pregressa operatività del cliente ed altresì che la spontaneità dell'iniziativa del cliente medesimo non esonera l'intermediario dall'adempimento degli obblighi informativi relativi ad un determinato titolo, anche nel caso in cui sia il cliente stesso a richiedere l'esecuzione di una determinata operazione.
24) In senso conforme Trib. Venezia, 22 novembre 2004, in IL CASO.it, I, 705; Trib. Milano, 25 luglio 2005, ivi, I, 55; Trib. Genova, 2 agosto 2005, ivi, I, 309/2005; Trib. Milano, 15 marzo 2006, ivi, I, 324/2006; Trib. Milano, 26 aprile 2007, ivi, I, 546/2007; Trib. Santa Maria Capua Vetere, ivi, I, 1019/2007. Affermano, invece, la necessità della forma scritta anche per i singoli ordini di negoziazione App. Venezia, 19 novembre 2007, ivi, I, 1108/2008; Trib. Lodi, 30 ottobre 2008, ivi, I, 1365/2008. Per una puntuale disamina della questione si veda INZITARI-PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari, a cura di B.INZITARI, 2008, Padova, p. 2 ss.
25) Art. 28, comma 1, lett. b) reg. Consob n. 11522/98.
26) Art. 29, reg. Consob n. 11522, cit.
27) Art. 28, comma 3, reg. Consob n. 11522, cit.
28) Art. 28, comma 4, reg. Consob n. 11522, cit.
29) Nel caso le parti concordino una forma convenzionale, la relativa clausola dovrà risultare dal contratto quadro ai sensi dell'art. 30, comma 1, reg. Consob n. 11522/98, attuativo dell'art. 6, comma 2 del TUF, il quale indica il contenuto obbligatorio del contratto con l'investitore e prevede, alla lettera f), l'indicazione delle altre condizioni contrattuali eventualmente convenute con l'investitore per la prestazione del servizio.
30) Si sono espressi per l'incapacità a deporre dei dipendenti dell'intermediario che hanno partecipato all'operazione Trib. Mantova, 16 novembre 2002, in IL CASO.it, I, 759/2002; Trib. Mantova, 18 marzo 2004, ivi, I, 686; Trib. Genova, 15 marzo 2005, ivi, I, 39/2005; Trib. Genova, 12 aprile 2005, ivi, I, 38/2005; Trib. Genova, 22 aprile 2005, ivi, I, 40/2005; Trib. Bologna, 27 novembre 2006, ivi, I, 1030/2007; Trib. Bologna, 23 maggio 2007, ivi, I, 1031/2007; Trib. Forlì, 5 settembre 2007, ivi, I, 1205/2008; Trib. Bologna, 18 ottobre 2007, ivi, I, 1029/2007. Si sono invece espressi a favore della testimonianza, oltre a Cass. Sez. Un. di cui infra, Trib. Parma, 3 marzo 2006, ivi, I, 281/2006; Trib. Mantova, 11 aprile 2006, ivi, I, 290/2006; App. Brescia, 10 gennaio 2007, ivi, I, 534/2007; Trib. Parma, 18 marzo 2008, ivi, I, 1263/2008; App. Milano, 15 aprile 2009, ivi, I, 1730/2009.
31) Cass., Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26724 e n. 26725, le quali hanno sostenuto che alla violazione dei doveri di comportamento dell'intermediario non debba essere applicata la sanzione della nullità bensì quella dell'inadempimento. La decisione è reperibile in Foro it., 2008, I, 784, con nota di E.SCODITTI, La violazione delle regole di comportamento dell'intermediario finanziario e le sezioni unite; in Giust. Civ. 2008, 1175, con nota di A.NAPPI; in Giur. Comm., 2008, 604, con nota di BRUNO- ROZZI. Sull'argomento si segnalano anche: D.MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: Le sezioni unite e la notte (degli investitori) In cui tutte le vacche sono nere, in IL CASO.it, II, 97; F.SARTORI, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, (S.u.) 19 dicembre 2007, n. 26725, ivi, II, 97; A.A.DOLMETTA, Strutture rimediali per la violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa) ivi, II, 83; D.MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, ivi, II, 80.
32) Cass., Sez. Un. Civ., 19 dicembre 2007, n. 26725, cit.
33) App. Milano, 15 aprile 2009, cit.
34) Art. 23, comma 6, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
35) Si sono espressi a favore dell'inversione dell'onere della prova: M.TOPINI, L'onere della prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello svolgimento di servizi di investimento, in Giur. Comm., 1991, I, 701 ss.; P.FIORIO, Gli obblighi di comportamento al vaglio della giurisprudenza di merito, in Giur. It., I, 2, 769. In senso contrario: F.ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, 381 ss.
36) Così Trib. Roma, 8 ottobre 2004, in IL CASO.it, I, 702; Trib. Palermo, 17 gennaio 2005, ivi, I, 76; Trib. Genova, 15 marzo 2005, ivi, I, 39/2005; Trib. Mantova, 15 marzo 2005, ivi, 57/2005; Trib. Mantova, 5 aprile 2005, ivi, I, 64. In senso contrario Trib. Milano, 9 marzo 2005, ivi, I, 53.
37) App. Torino, 19 ottobre 2007, in IL CASO.it, I, 1075/2007.
38) Trib. Genova, 15 marzo 2005, in IL CASO.it, I, 39/2005.
39) In questo senso Trib. Milano, 9 marzo 2005, in IL CASO.it, I, 53; Trib. Milano, 9 novembre 2005, ivi, I, 213/2005; Trib. Mantova, 15 marzo 2005, ivi, I, 57/2005; Trib. Milano, 5 gennaio 2006, ivi, I, 229/2006; Trib. Palermo, 17 febbraio 2005, ivi, I, 405; Trib. Palermo, 24 novembre 2006, ivi, I, 427/2005; Trib. Milano, 10 gennaio 2007, ivi, I, 459/2007; Trib. Milano, 27 marzo 2007, ivi, I, 540/2007; Trib. Pisa, 9 marzo 2008, ivi, I, 1428/2008; Trib. Rovigo, 31 marzo 2008, ivi, I, 1247/2008; Trib. Lucca, 23 settembre 2008, ivi, I, 1417/2008; Trib. Bergamo, 27 aprile 2009, ivi, I, 1741/2009; Trib. Ferrara, 26 maggio 2009, ivi, I, 1786/2009.
40) Trib. Milano, 18 aprile 2007, in IL CASO.it, I, 608/2007; Trib. Torino, 18 settembre 2007, ivi, I, 998/2007; Trib. Milano, 7 febbraio 2008, ivi, I, 1194/2008; Trib. Parma, 18 marzo 2008, ivi, I, 1272/2008; Trib. Catania, 19 giugno 2008, ivi, I, 1380/2008.
41) Cass. Sez. Un. Civ. 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.
42) Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in IL CASO.it, I, 1169/2008 «Ove l'intermediario non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente astenersi - abbia, ad esempio, dato corso ad un'operazione in conflitto di interessi senza comunicare per iscritto l'esistenza di tale conflitto e senza ottenere la preventiva autorizzazione scritta del cliente oppure abbia eseguito un'operazione inadeguata in mancanza di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordine telefonico, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui fosse fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute - deve ritenersi che l'intermediario abbia concorso alla determinazione del danno. In tali ipotesi il nesso di causalità tra condotta dell'intermediario e danno subito dall'investitore è in re ipsa, mentre al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal legislatore delegato in cui sussiste a carico dell'intermediario un esplicito divieto di astensione, l'inadempimento degli obblighi comportamentali non è sufficiente, di per sé, a dar luogo ad una pronuncia risarcitoria, essendo necessario che il risparmiatore dimostri l'esistenza del nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo informativo (omessa consegna del documento sui rischi generali, omessa raccolta delle informazioni sul profilo di rischio, omessa o carente informazione sulle caratteristiche e sui rischi dell'operazione, etc.) ed il danno.»; Trib. Biella, 17 luglio 2008, ivi, I, 1719/2009; Trib. Mantova, 5 febbraio 2009, ivi, I, 1771/2009; Trib. Milano, 14 febbraio 2009, ivi, I, 1510/2009; Trib. Milano, 18 febbraio 2009, ivi, I, 1681/2009.
43) Trib. Milano, 14 febbraio 2009 e 18 febbraio 2009, cit., la prima con commento di D.MAFFEIS, La natura e la struttura dei contratti di investimento, cit.
44) Vedi il paragrafo dedicato alla definizione dei reciproci ambiti operativi dell'art. 28, comma 2, e dell'art. 29 reg. Consob 11522/1998.
45) Trib. Milano, 14 febbraio 2009, cit., precisa che una volta escluso il rimedio della nullità ed intrapresa la strada del risarcimento del danno, il fatto che la perdita dipenda dalla violazione del dovere di astensione non esclude che non si possano prendere in considerazione circostanze idonee ad interrompere il nesso di causalità o a configurare un concorso di colpa del cliente nella produzione o nell'aggravamento del danno; App. Milano, 24 aprile 2009, in IL CASO.it, I, 1779/2009 «L'inadempimento ai doveri informativi relativi alla rischiosità dell'investimento ed all'inadeguatezza dell'operazione è causa efficiente non solo del minor valore dell'investimento ma anche delle perdite conseguenti al mancato incasso delle cedole programmate.»
46) Dall'acronimo inglese "Marked in Financial Instrument Directive", è la direttiva n. 2004/39/CE del 21 aprile 2004 sui Mercati di Strumenti Finanziari che rientra nel Piano d'azione degli strumenti finanziari (FSAP dall'inglese Financial Services Action Plan) adottato dalla Commissione Europea nel maggio 1999. Il FSAP è un insieme di 42 direttive finalizzate alla creazione di un mercato europeo dei capitali integrato, che dovrebbe in certo senso contrapporsi, in termini concorrenziali, con i mercati statunitensi e nell'ambito del quale la Direttiva MiFID è considerata l'intervento di maggiore rilevanza.
47) Alla direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004 hanno fatto seguito il regolamento attuativo n. 1287/2006/CE e la direttiva «di secondo livello» 2006/73/CE del 10 agosto 2006, quindi l'art. 10 della l. 6 febbraio 2007, n. 13, che contiene la delega al Governo per il recepimento della direttiva 2004/39/CE. La delega è stata poi attuata con il d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164, che ha apportato rilevanti modifiche al T.U.F. (d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Sono poi seguiti i regolamenti Consob di attuazione del d.lgs. n. 58/1998, e precisamente il regolamento n. 16190 ed il regolamento n. 16191 (cd. Nuovo Regolamento Mercati), che contiene le innovazioni di maggior rilievo in materia di mercati finanziari. La nuova normativa è entrata in vigore dal 1 novembre 2007 (il reg. 16191 il 2 novembre 2007) e sostituisce la precedente legislazione comunitaria che ha la sua fonte nella direttiva n. 93/22/CEE sui "Servizi di investimento nel settore degli strumenti finanziari" (Investment Services Directive - ISD), in vigore dal 10 maggio 1993. L'ISD era stata recepita nell'ordinamento italiano dal d.lgs 415/1996 poi confluito nel d.Lgs. n. 58/1998 (Testo Unico della Finanza - TUF), nonché dalla regolamentazione attuativa CONSOB (delibere n. 11522/1998, n. 11768/1998, e n. 11971/1999).
48) Reg. Consob approvato con delibera 29 ottobre 2007, n. 16190, cit.
49) Critico sull'eccesso di minuziosità della normativa secondaria che «comporta fatalmente il rischio di una rigidezza eccessiva dei precetti» è R.RORDORF, La tutela del risparmiatore: norme nuove e problemi vecchi, in Distribuzione di prodotti finanziari bancari e assicurativi, A.ANTONUCCI-M.T.PARACAMPO, a cura di, Bari, 2008, p. 95 ss., il quale ha altresì evidenziato il rischio che la minuzia delle regole e degli adempimenti formali non corrisponda ad una effettiva maggiore tutela del risparmiatore.
50) G.LA ROCCA, Autonomia privata e mercato dei capitali, La nozione civilistica di "Strumento finanziario", Torino, 2009, cit., p. 146 ss.


















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