In base alla sentenza della Cassazione S.U. n. 24418/10 ogni annotazione di interesse illegittimo, pagato in conto con rimesse solutorie, non è più ripetibile decorso il termine prescrizionale dei dieci anni.
Nelle numerose vertenze che interessano la ripetizione dell'indebito, su indicazione dei quesiti posti dai giudici, i consulenti chiamati alla rideterminazione del saldo di conto corrente, in accordo ai principi posti dalla menzionata sentenza della Cassazione S.U. 24418/10, determinano le rimesse solutorie, intervenute oltre il decennio a ritroso, imputandole prioritariamente ex art. 1194 c.c., a pagamento degli interessi, frequentemente senza distinzione alcuna fra interessi relativi al fido ed interessi relativi all'extra fido.
Dopo un decennio dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite, perdura una sostanziale incertezza sulle modalità tecniche di accertamento delle rimesse solutorie e di espunzione degli interessi illegittimamente addebitati.
Più recentemente la Cassazione n.9141 del 18 maggio 2020, è intervenuta apportando un sostanziale chiarimento su due aspetti di rilevante importanza per la ripetizione degli interessi indebitamente annotati in conto. La pronuncia in parola stabilisce, infatti, che:
- E' evidente che per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all'esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall'istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest'ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento. L'eventuale prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato non influisce sulla individuazione delle rimesse solutorie, ma solo sulla possibilità di ottenere la restituzione di quei pagamenti coperti da prescrizione.
- del tutto infondata è l'affermazione dell'istituto di credito formulata in termini puramente astratti - secondo cui gli interessi intrafido sarebbero esigibili "alle scadenze pattuite (nella specie trimestralmente)" e che l'inesigibilità del capitale finanziato non influirebbe sugli interessi pattuiti come corrispettivo dell'utilizzazione del finanziamento. Non vi è dubbio che il debito per interessi, quale accessorio, debba seguire il regime del debito principale, salvo una diversa pattuizione tra le parti che dovrebbe, tuttavia, specificare una modalità di calcolo degli interessi (intrafido) idonea a scongiurare in radice il meccanismo dell'anatocismo.
La sentenza in parola definisce chiaramente sia il riferimento al saldo depurato delle indebite annotazioni per la distinzione ed accertamento delle rimesse solutorie, sia l'ambito di operatività di quest'ultime ristretto esclusivamente agli interessi riferiti all'extrafido.[1] Quest'ultimo aspetto discende dal principio interpretativo dell'art. 1194 c.c., richiamato dalla sentenza sopra riportata, compiutamente delineato dalla precedente Cassazione n. 10941 del 26 maggio 2016: 'L'art.1194 c.c., al 1° comma dispone che: "Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore." Detto disposto normativo, che detta il principio, secondo il quale ogni pagamento deve essere imputato prima al capitale e successivamente agli interessi, salvo il diverso accordo con il creditore, postula che il credito sia liquido ed esigibile, dato che questo, per la sua natura, produce gli interessi, ex art. 1282 c.c. Come infatti ritenuto nelle pronunce 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009, la disposizione dell'art. 1194 cod. civ. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibilì'
Nonostante la menzionata sentenza, taluni Tribunali trascurano il principio della simultanea liquidità ed esigibilità degli interessi e del capitale di riferimento, disponendo che le rimesse solutorie siano rivolte prioritariamente a saldare gli interessi, indipendentemente dalla natura di questi ultimi, senza alcuna specifica distinzione fra fido ed extrafido. Un tale orientamento pregiudica significativamente l'ambito di ripetizione delle indebite annotazioni, con risvolti economici di apprezzabile rilievo.
Nella circostanza dinanzi descritta, se si considerano liquidi ed esigibili gli interessi relativi al fido, alla prescrizione a favore del creditore della ripetizione dei pagamenti ultradecennali a ritroso, si accompagna la prescrizione, a favore del debitore, degli interessi addebitati dalla banca e non pretesi nei cinque anni successivi. Infatti, in linea con il medesimo assetto dei principi adottato per le rimesse solutorie, gli interessi a debito annotati in conto, se ritenuti liquidi ed esigibili, indipendentemente dalla natura legittima o illegittima, in assenza di intervenuta rimessa solutoria, risultano prescritti decorso un quinquennio e non possono essere pretesi dalla banca.
Se gli interessi annotati in conto vengono considerati liquidi ed esigibili, in assenza di rimesse di pagamento e/o di esplicite richieste, perdurando l'inerzia dell'intermediario a pretenderne il pagamento, il diritto viene meno decorso il quinquennio. L'art. 2948 c.c. al punto 4) è chiaro nell'enunciato: 'si prescrivono in cinque anni: gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi.'
Indiscutibile è la netta autonomia che viene riconosciuta al debito per interessi rispetto all'obbligazione principale. Il debito dell'accipiens per interessi si pone su un piano autonomo in considerazione della diversità di causa, nonché della configurabilità di una distinta possibilità di azione, o d'inerzia del solvens: il credito di interessi resta soggetto ad autonoma prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2948 n. 4 c.c.[2]
La Cassazione, con orientamento consolidato, ha stabilito che la prescrizione quinquennale prevista per gli interessi dall'art. 2948, n. 4 c.c. è applicabile, come si desume dall'interpretazione letterale e dalla ratio della citata disposizione, soltanto nell'ipotesi che la relativa obbligazione si riferisca a crediti da pagarsi con cadenza annuale o infrannuale e cioè nel caso in cui sia previsto - per legge o per contratto - che il creditore possa ottenere il pagamento a scadenza annuale (o inferiore). Se gli interessi illegittimamente annotati - indifferentemente riferiti al fido e all'extra fido - quando coperti da una rimessa di pagamento, divengono irripetibili decorsi dieci anni, la totalità degli interessi annotati in conto, legittimi e illegittimi, che la banca ha omesso di pretendere nel quinquennio successivo all'annotazione, non potranno più essere esatti. La banca che impropriamente ha ritenuto, con l'annotazione, di capitalizzare gli interessi, si viene a confrontare con limitazioni che, congiuntamente, comprimono l'alveo di legalità fra gli stringenti presidi posti dall'art. 1283 c.c. e la tempistica dettata dall'art. 2948 c.c., con i criteri di pagamento dettati dalla Cassazione S.U. 24418/00, entro le circoscritte deroghe consentite dalla Delibera CICR 9/2/00.
Solo con la nuova formulazione dell'art. 120 TUB, introdotta dalla legge n. 49/2016, si è espressamente previsto, per le aperture di credito e gli scoperti di conto, in assenza di fido o oltre il fido concesso - qualora sia presente una preventiva autorizzazione del cliente - che l'addebito degli interessi in conto nel momento in cui divengono esigibili, viene considerato 'sorte capitale'.
Nel principio di pagamento sancito dalla sentenza della Cassazione n. 9141/20 si dischiude implicitamente un limite ulteriore, che integra e completa il divieto disposto dall'art. 1283 c.c.: la prassi bancaria di praticare in via automatica l'anatocismo nei rapporti bancari induce un ritardo nella riscossione degli interessi che incontra un presidio temporale nell'art. 2948 c.c..
I principi giuridici rivenienti dalle pronunce della Suprema Corte - in tema di pagamenti e applicazione dell'art. 1194 c.c., congiuntamente considerati con i principi che presiedono l'apertura di credito e la Delibera CICR - tracciano un alveo del processo di ricostruzione del legittimo rapporto di conto entro il quale i consulenti sono chiamati ad operare. I principi di prescrizione assumono un apprezzabile rilievo economico: come il pagamento degli interessi illegittimi da parte del cliente è colpito dalla prescrizione decennale, così la mancata esazione degli interessi legittimi da parte dell'intermediario è colpita dalla prescrizione quinquennale. Ancor più se gli interessi relativi al fido vengono ritenuti esigibili e pertanto soggetti a prescrizione decennale dal momento della successiva rimessa solutoria - come spesso, con un'impropria lettura, si pratica nelle ricostruzioni ai fini della ripetizione dell'indebito - non si ravvisano elementi logici o giuridici per discriminare una stessa epurazione con riferimento alla prescrizione quinquennale degli interessi addebitati, privi di una formale costituzione in mora e non esatti.
Questo limite può costituire un singolare ed inesplorato terreno di contestazioni che, per gli anni pregressi - prima e dopo la Delibera CICR 9/2/00 - può trovare un concreto e sostanziale fondamento giuridico nella stessa pronuncia della menzionata Cassazione n. 24418/10. Tanto più se i Tribunali, discostandosi dalla recente sentenza della Cassazione n. 9141 del 18 maggio 2020, ritengono gli interessi annotati in conto immediatamente liquidi ed esigibili. Se da un lato la banca può avanzare la prescrizione sugli addebiti illegittimi, che risultano pagati da oltre dieci anni, dall'altro il correntista può esimersi dal pagare gli interessi, ancorché legittimi, che la banca ha mancato di esigere nei cinque anni successivi alla loro maturazione ed annotazione in conto.
[1] Riporta la sentenza: 'Proprio per sterilizzare l'effetto della capitalizzazione, la Corte d'Appello ha correttamente recepito il percorso ricostruttivo del CTU, il quale, dopo aver eliminato gli addebiti indebiti, ha ricalcolato separatamente sia gli interessi intrafido che quelli extrafido, ricongiungendoli "al saldo capitale alla chiusura del conto o alla prima rimessa dopo la scadenza dell'affidamento".(
) la Corte d'Appello ha correttamente individuato le rimesse solutorie eliminando dal conto corrente gli addebiti per la porzione di interessi maturati sul capitale intrafido'.
[2] Osserva Pandolfini che l'accessorietà, intesa nel senso più classico del termine, si riferisce solo al momento genetico dell'obbligazione principale, dovendosi intendere 'nel senso che l'obbligazione degli interessi presuppone l'esistenza di un debito relativo alla somma capitale. Viceversa, una volta venuta ad esistenza, l'obbligazione degli interessi acquista un'autonomia tale da renderla oggetto di rapporti giuridici separati e da farla sopravvivere anche al debito principale', di modo tale che 'non spiegano effetti sull'obbligazione di interessi eventuali vicende attinenti all'obbligazione principale, determinate da cause successive alla nascita della stessa'. A titolo esemplificativo: la prescrizione del debito principale non comporta la prescrizione del debito da interessi, né gli atti interruttivi della prima si riflettono sulla seconda; l'obbligazione di interessi può formare oggetto di atti di disposizione separatamente dall'obbligazione principale. (Cfr. V. Pandolfini, La disciplina degli interessi pecuniari, Padova 2004).