Discipline preventive nei servizi di investimento: Le sezioni unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere
Pubblicato il 11/03/08 02:00 [Articolo 721]
Erano attese e suscitano vivo interesse, testimoniato dai numerosi commenti, le Sezioni Unite in materia di rimedi nella prestazione dei servizi di investimento. Sono giunte, con le pronunce nn. 26724 e 26725 in data 19 dicembre 2007 (Primo Pres. V. Carbone - Rel. R. Rordorf).
La sezione I della Corte di cassazione, nel settembre del 2005, aveva ritenuto che ««i comportamenti illegittimi tenuti dalle parti (segnatamente l'intermediario abilitato nei confronti del cliente) nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto, quale che sia la natura della norma violata, essendo estranei alla fattispecie negoziale, non danno luogo alla nullità del contratto, a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore»» [1].
A sorpresa, nel febbraio del 2007 la stessa sezione I ha pronunciato un'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite rilevando, in contrasto con l'orientamento manifestato dalla stessa sezione solo un anno e mezzo prima, che ««una pluralità di indici pone in evidenza un tendenziale inserimento, in sede normativa, del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto»» e che ««una volta messo in discussione il principio di non interferenza delle regole di comportamento con le regole di validità e ammesso che il comportamento della parte possa rilevare ai fini della nullità del negozio, non sembra esservi ragione perché, in presenza di comportamenti contrattuali che violino precetti che si ritengano imperativi, anche se non assistiti dalla esplicita sanzione di nullità, non possa trovare applicazione la disposizione dell'art. 1418 c.c., che configura un'ipotesi di nullità virtuale rivolta a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagni una espressa sanzione di nullità»» [2].
Per queste ragioni, l'ordinanza ha rimesso alle sezioni unite ««il (...) contrasto giurisprudenziale interno (alla) Corte»» poiché vi ha ravvisato ««una questione di massima di particolare importanza, su cui è (...) necessaria, a fini di certezza del diritto, l'uniformità dell'orientamento giurisprudenziale, che può derivare soltanto da una definitiva pronuncia delle Sezioni Unite»».
Nei mesi scorsi i termini della questione di principio sono apparsi netti e accattivanti: risarcimento o nullità (recte: restituzione, dipendente da nullità).
Le Sezioni Unite, con le due sentenze nn. 26724 e 26725 in data 19 dicembre 2007, riconducono le regole inerenti ai contratti di investimento - tutte le regole, indistintamente, come le vacche nere nella notte - ad obblighi di informazione ed escludono - per tutte, come le vacche nere nella notte, senza spunti eccettuativi - il rimedio della nullità.
Si tratta di due sentenze sui rimedi, criticabili perché rivelano una fedeltà decisamente datata ad una concezione rigida della distinzione tra regole di validità e regole di responsabilità.
Ma, prima e più, si tratta di due sentenze sulle regole, severamente censurabili perché ignorano la complessità e la vastità delle discipline preventive (conflitto di interessi; adeguatezza) posti a tutela sia dell'interesse di ciascun singolo cliente sia dell'integrità dei mercati.
Un principio di diritto vigente dodici anni fa
Il Relatore si fa scrupolo in entrambe le sentenze di datare al 1995 il principio di diritto affermato, ricordando che la Corte sta elargendo il principio vigente al tempo dei fatti, e così dodici anni fa: si legge che ««molte delle disposizioni invocate a sostegno (della nullità) sono posteriori ai fatti di causa, e non varrebbero quindi a dimostrare che già a quell'epoca il legislatore avesse abbandonato la tradizionale distinzione (tra regole di validità e di responsabilità)»».
Resta lo smarrimento sul significato della nomofilachia, posto che il principio di diritto enunciato nel 2007 e sul quale ci interroghiamo nel 2008 è dichiaratamente quello vigente nel 1995 e quindi non può risolvere il contrasto attuale fra le corti di merito, che è vivacissimo.
Le sezioni unite non distinguono, ma l'intermediario è un cooperatore del cliente, non un qualsiasi controinteressato
Al pari dell'ordinanza di rimessione del 19 febbraio 2007 e della sentenza 19024 del 2005, anche le sentenze di oggi delle Sezioni Unite trascurano che l'intermediario abilitato agisce quale cooperatore ed è tenuto a fare l'interesse esclusivo del cliente, non il proprio, e che il contratto della cui conclusione si tratta non è un normale contratto fra controinteressati, ma un atto gestorio; sicché gli obblighi informativi a carico dell'intermediario dipendono dalla natura stessa del rapporto e sono sempre dovuti quale complemento ex lege dell'obbligazione principale, a differenza di quanto accade per le informazioni precontrattuali nei contratti di scambio. E ciò, è appena il caso di sottolineare, vale non soltanto quando l'intermediario abilitato agisce per conto del cliente contrattando con terzi (dentro o fuori dai mercati regolamentati), ma anche quando compie operazioni in contropartita diretta contrattando in proprio con il cliente, come accade nel caso della conclusione di contratti derivati over the counter, perché, anche quando contratta in proprio, l'intermediario resta per l'appunto un intermediario, e non diviene un controinteressato qualsiasi che possa opporre al cliente il caveat emptor [3], e continua a svolgere un'attività che è riservata, e lo è per l'esigenza di ordine pubblico che i servizi di investimento siano prestati in condizioni e con modalità che garantiscano l'integrità dei mercati.
Per queste ragioni è giocoforza escludere che in materia di servizi di investimento tutto possa risolversi col richiamo alla disciplina generale dell'art. 1337 cod.civ., essendo codificato a livello legislativo, fra i ««criteri generali»», quello per cui gli intermediari debbono ««operare in modo che (i clienti) siano sempre adeguatamente informati»» [4] e dovendosi supporre che questo precetto, che domina l'intiera disciplina speciale, non sia ridondante. Ed invece è proprio questo l'approccio delle Sezioni Unite.
Le sezioni unite non distinguono, ma accanto agli obblighi di informazione esistono sia obblighi di astensione sia requisiti di forma o di contenuto con funzione informativa
Le motivazioni delle sentenze delle Sezioni Unite sono incentrate sugli obblighi informativi che non si traducono in forme o in contenuti informativi imposti dalla disciplina speciale.
Senonché, simili obblighi non esauriscono affatto il panorama delle discipline preventive e non ne costituiscono neppure il tratto più caratterizzante, atteso che, a presidio del conflitto di interessi e dell'adeguatezza, la disciplina speciale prevede innanzitutto (i) obblighi di astensione e (ii) forme e contenuti informativi ed entrambi i profili investono direttamente la fattispecie, non le mere condotte.
Quanto alla violazione degli obblighi di astensione, entrambe le sentenze delle Sezioni Unite dedicano ad essa due paginette scarne scarne (cfr. punto 1.10 della sentenza n. 26725) [5] per confermare i risultati raggiunti nelle lunghe pagine di motivazione precedenti, e così per ribadire come ««il legislatore abbia qui sempre voluto contemplare obblighi di comportamento precontrattuali e contrattuali, non già regole di validità del contratto»».
Si tratta di una statuizione apodittica [6], posto che l'obbligo di astenersi dal compimento di operazioni inadeguate o in conflitto di interessi manifesta la disapprovazione dell'ordinamento per le operazioni compiute in consimili situazioni di pericolo, che ne comporta la sicura nullità per illiceità in omaggio all'esigenza di ordine pubblico di garantire l'integrità dei mercati contro la diffusione di operazioni pericolose (e molto probabilmente dannose) [7]. E poiché diversi e rilevanti obblighi di astensione sono contemplati anche dalla freschissima disciplina introdotta con il recepimento della Mifid, il modello dell'obbligo di astensione senza sanzione offerto dalle Sezioni Unite, oltre che erroneo, si rivela particolarmente intempestivo.
Assolutamente nulla dicono le Sezioni Unite della violazione delle forme e dei contenuti informativi: prosegue così l'operazione concettuale inaugurata da Cass. n. 19024 del 2005 - e comune a molti giudici di merito - che appiattisce le discipline preventive riconducendole tutte indistintamente a meri obblighi informativi, e ciò a costo di perpetuare l'affermazione due volte sconcertante secondo cui la mancanza di un'autorizzazione scritta da parte del cliente costituirebbe una regola di condotta (invece che un requisito di contenuto e di forma, quale invece in effetti è) e - quel che è più grave ed abbiamo altrove definito frutto di solipsismo [8] - una regola attinente alla condotta dell'intermediario (invece che del cliente, quale invece in effetti è) [9].
Ed invece la sanzione per la violazione delle forme e dei contenuti informativi non può che consistere nella nullità per difetto di forma e di struttura delle fattispecie [10] (essendo invece valide le operazioni, nel caso di sussistenza dei requisiti, salva la responsabilità dell'intermediario per violazione degli obblighi informativi [11]).
Si badi che, in materia, la via della nullità per violazione di un divieto di agire rappresenta anche la soluzione al problema, generalmente male impostato [12], del requisito di forma per la validità: se il TUF (art. 23, comma 1) la preveda per il contratto di investimento o per i singoli ordini [13].
Difatti, la forma è indubitabilmente richiesta per il contratto di investimento, non perché esso sia un mandato, bensì perché la legge richiede che il cliente sia informato fin dall'inizio, conosca cioè da subito ed analiticamente quali sono i tratti fondanti che inderogabilmente caratterizzanno il rapporto con l'intermediario. Se è nullo, per mancanza di forma, il contratto quadro, sono nulli anche i singoli ordini, non perché questi siano meri atti esecutivi del contratto quadro, ma perché alla banca è vietato dal TUF eseguire ordini se prima un contratto normativo non è stato sottoscritto e consegnato in copia al cliente; e la sanzione per la violazione del divieto di prestare quell'attività è la nullità ai sensi dell'art. 1418, comma 1 cod.civ.
Le sezioni unite non ne danno conto, ma una rigida distinzione fra regole di comportamento e regole di validità è superata, in dottrina, da tempo
Chiarito (ma era ovvio [14]) che il carattere imperativo di una norma non comporta automaticamente che la sua violazione dia luogo a nullità [15], le Sezioni Unite si concentrano sull'alternativa fra nullità e risarcimento e statuiscono, all'esito di dense pagine di motivazione, che i comportamenti contrari a norme imperative, così nella disciplina generale come nella disciplina speciale dei servizi di investimento, possono esporre i contraenti al risarcimento del danno, a titolo di responsabilità precontrattuale o contrattuale, ma non possono dare luogo a nullità virtuale del contratto, ai sensi dell'art. 1418, comma 1 cod.civ.: ed è questa la statuizione salvifica che molti attendevano di sentire pronunciare dalle Sezioni Unite, chiamate a ribadire una concezione rigida della antica distinzione tra regole di comportamento e regole di validità [16]. Si legge nelle sentenze che ««non è dato assolutamente rinvenire indici univoci dell'intenzione del legislatore di trattare sempre e comunque le regole di comportamento, ivi comprese quelle concernenti i doveri d'informazione dell'altro contraente, alla stregua di regole di validità degli atti»».
In realtà, da chi vede il problema nella sua giusta dimensione, che è quella dei rapporti di cooperazione, è già stato detto assai bene che l'alternativa fra nullità e risarcimento è ««limitativa»» e ««abusata»» [17].
In ogni caso se è certo che la distinzione fra regole di comportamento e regole di validità costituisce un dato di diritto positivo [18] è altresì sicuro che il dato di diritto positivo presenta numerose e rilevanti smentite e, soprattutto, è ben noto che una sua concezione rigida, qual è quella che esclude incondizionatamente che la violazione di regole di comportamento dia luogo a nullità del contratto, è superata nella dottrina civilistica da diversi lustri [19].
Per questa ragione, il principio di diritto (dichiaratamente del 1995) sicuramente non può accogliersi nel 2008 [20].
Le sezioni unite lo accennano: omettere specifiche informazioni dovute integra sempre raggiro omissivo, al quale segue l'annullamento e la restuituzione della somma investita
Le statuizioni delle Sezioni Unite, formulate in termini generici e generalizzanti, muovono dalla considerazione dei soli obblighi informativi che non si traducono in obblighi di astensione o in forme o contenuti informativi [21].
Anche volendo convenire che la violazione di pure regole di informazione inerenti alla natura degli strumenti finanziari, come pure dell'obbligo di consulenza incidentale, non comporti sempre la nullità delle operazioni, bisogna tuttavia considerare che l'omissione di informazioni espressamente dovute per legge o per regolamento per assicurare la formazione di un consenso consapevole del cliente opererà quale causa di annullamento per raggiro omissivo, anche colposo, ai sensi dell'art. 1439 cod.civ. [22], ogni volta che il cliente provi che la specifica informazione, che l'intermediario non ha dato, non era già in suo possesso, con la conseguenza che la dichiarazione reticente o il silenzio hanno reso il suo consenso meno consapevole di quanto avrebbe dovuto.
Le Sezioni Unite non ne traggono il corollario, ma - se pure a fatica - riconoscono come si possa, ««(ove) si voglia (...), ammettere che nella fase prenegoziale la violazione dei doveri di comportamento dell'intermediario (...) sia idonea ad influire sul consenso della controparte contrattuale, inquindandolo»».
È un'ammissione a denti stretti ed ancor più stretta, notoriamente, è la via dell'annullamento per vizio del consenso davanti giudici di merito. Tuttavia si tratta di uno spunto che merita di essere maggiormente valorizzato, anche perché l'annullamento per vizio del consenso è un rimedio consegnato dalla tradizione che conduce (come la nullità) alla restituzione al cliente della somma investita.
Un aspetto che non si può sottacere: la rigidità delle sezioni unite è a senso unico
Accogliendo, come ha fatto, una concezione rigida della distinzione fra regole di validità e regole di comportamento la Corte Suprema avrebbe dovuto comporre il contrasto giurisprudenziale segnalato dall'ordinanza di rimessione e così statuire il superamento dell'orientamento, favorevole agli intermediari - i quali godono del privilegio del carattere riservato dell'attività [23] - che fa discendere la nullità virtuale da un comportamento, posto che la nullità per la c.d. prestazione abusiva non è testualmente prevista ai sensi dell'art. 1418, comma 3 cod.civ. [24].
La conseguenza sarebbe stata coerente con la massima pronunciata [25], ma si sarebbe rivelata contraria all'obiettivo politico di perpetuare la più severa effettività di un privilegio - la riserva di attività - di natura corporativa [26], ribadito ancora di recente dalla Corte con assoluta fermezza con la statuizione che ««l'esecuzione di una prestazione (...) effettuata da chi non sia iscritto (...) dà luogo (...) a nullità assoluta del rapporto privando il contratto di qualsiasi effetto»» [27]. Per evitare una simile conseguenza, le Sezioni Unite precisano, in via di premessa, che esse non concordano con quanto espresso nell'ordinanza di rimessione e si considerano chiamate a pronunciarsi su una questione di massima di particolare importanza, ma non a comporre un contrasto giurisprudenziale.
Le sezioni unite non se ne occupano, ma l'archetipo tradizionale del rimedio contro l'atto contrario all'interesse del cliente è reale, non risarcitorio
Le Sezioni Unite si attardano sul problema, che è facile, delle discipline preventive e non si occupano dell'atto che, pur nel rispetto delle discipline preventive, tuttavia risulti per il suo contenuto contrario all'interesse del cliente.
Di questo profilo conviene brevemente dar conto qui, al fine di smentire in radice l'idea che alla stregua dei principi la patologia della gestione del cooperatore sia sanzionabile soltanto sul piano risarcitorio.
È vero, infatti, l'esatto opposto.
L'intermediario è un cooperatore che deve compiere una o più operazioni rispondenti all'interesse del cliente. L'intermediario non garantisce il risultato, inteso come il buon esito economico dell'investimento, ma garantisce la massima diligenza professionale e quindi la rispondenza all'interesse del cliente del contenuto e così del programma contrattuale di cui l'operazione di investimento consiste.
Se l'operazione non risponde all'interesse del cliente, perché è inadeguata al suo profilo di rischio, il cliente dispone del rimedio della reiezione degli effetti dell'operazione, ai sensi dell'art. 1711, comma 1 cod.civ., sia che le discipline preventive siano state rispettate, sia che siano state violate [28]. Si tratta di un rimedio di carattere reale, non risarcitorio. Esso spetta al cliente, giova ripetere, in ragione del contenuto del programma di cui l'operazione consiste e dunque del tutto indipendentemente dal risultato dell'investimento.
Nei rapporti di cooperazione il precetto di agire nell'interesse rileva non soltanto sul piano dell'attività del mandatario, ma anche su quello del risultato dell'attività, e così del contenuto dell'atto, che deve rispondere all'interesse del mandante; dal che discende che il rimedio principale e caratterizzante, in materia, è reale, ed è la reiezione degli effetti dell'atto, che restano a carico dell'intermediario, col presidio (ma in aggiunta ed in funzione sussidiaria) anche del rimedio risarcitorio. E se ciò è vero nella disciplina codicistica del mandato, che è intieramente dettata nell'ottica del carattere puramente privato degli interessi in gioco, a fortiori vale quando, come nei servizi di investimento, si tratta di tutelare l'integrità dei mercati, prima e più che l'interesse del cliente.
La condivisibile riconduzione del conflitto di interessi alla mera situazione
Pur decidendo, al pari di Cass. SS.UU. n. 26725, in maniera non condivisibile il problema del rimedio, Cass. SS.UU. n. 26724 ricostruisce in maniera corretta, come già Cass. n. 19024/2005, la fattispecie del conflitto di interessi in materia di servizi di investimento.
La giurisprudenza di merito dominante continua a ricondurre la fattispecie del conflitto di interessi nella materia dei servizi di investimento al modello del risultato dell'azione, così escludendo qualsiasi patologia se l'operazione non risulta contraria agli interessi del cliente per l'incidenza dell'interesse in conflitto; detto altrimenti, e con le parole dei giudici, il conflitto di interessi è escluso se manca il danno [29].
Senonché, il modello del conflitto di interessi come risultato dell'azione caratterizza la rappresentanza (ed ivi la disciplina archetipica dell'art. 1394 cod.civ.) e più in generale la prestazione del cooperatore (quando sono in gioco interessi privati), mentre è radicalmente inapplicabile ai servizi di investimento, nei quali, poiché si tratta di tutelare, prima e più che l'interesse del cliente, l'interesse pubblico all'integrità dei mercati, l'ordinamento interviene a monte, identificando, nella mera presenza di un interesse in conflitto, una situazione di pericolo che fonda un vero e proprio divieto di agire, derogabile soltanto in presenza dei contenuti e delle forme analiticamente predisposti dal TUF e dal Regolamento Intermediari (modello del conflitto di interessi come situazione) [30].
Cass. SS.UU. n. 26724 rileva correttamente che ««La corte d'appello non si è soffermata a valutare se sussistesse o meno la situazione di conflitto di interessi (...) poiché ha escluso che, comunque, vi fosse la prova della dannosità dell'eventuale conflitto. E lo ha escluso sulla base della considerazione che le operazioni in questione, se anche compiute con un diverso intermediario, non avrebbero dato risultati differenti»» e chiarisce condivisibilmente che ««se la situazione di conflitto (è) configurabile, non (sono) le concrete e specifiche modalità esecutive a venire in questione, ma il compimento stesso dell'operazione che non avrebbe dovuto affatto aver luogo»».
La disciplina, incentrata sulla prevenzione dell'incidenza dell'interesse in conflitto vieta alla banca di concludere il contratto senza previa informazione e senza previa autorizzazione. Lo vieta: perché essendo in gioco un interesse pubblico, l'incidenza dell'interesse in conflitto deve essere prevenuta. Il modello della disciplina preventiva, incentrata sulla situazione di conflitto di interessi - adottato per i servizi di investimento, non in via generale dall'art. 1394 cod.civ. -, è molto diffuso. La diffusione del modello si spiega perché il pericolo dell'incidenza di interessi in conflitto non è, ovviamente, una peculiarità dei servizi di investimento, né lo è la presenza di un interesse pubblico che presidia la tutela dell'interesse del dominus [31].
Modello analogo opera per l'adeguatezza.
Stupisce che la Corte dia mostra di non avvedersi dell'incoerenza fra le conclusioni cui essa giunge in punto di individuazione del rimedio applicabile ed i passaggi comuni alle motivazioni delle due sentenze in cui la stessa Corte correttamente descrive la situazione che tipicamente dà luogo a nullità del contratto come quella in cui, in violazione di un divieto legale, ««il contratto viene stipulato (ed) è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa»». Un'incoerenza che sembra acuita, e non mitigata, dai passaggi delle motivazioni in cui la Corte osserva che ««i doveri di comportamento in generale sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite»». È questo uno fra i passaggi più apodittici, in cui si tocca con mano come la Corte sia più preoccupata di allontanare con argomenti tradizionali i fulmini della nullità che di controllare se la nullità si giustifichi nella materia oggetto di esame, in cui, in pieno contrasto con la premessa implicita del ragionamento della Corte, esistono, eccome, ««regole predefinite»», anzi, esiste una pletora continuamente rinnovantesi, di riforma in riforma, di regole di condotta, di forma, di contenuto, così estesa e dettagliata da meritare - se la si svuota - l'appellativo di ««manieristica»» [32].
Violazione del divieto di agire, mancanza delle forme e dei contenuti informativi e prova del nesso di causalità
Nell'attesa di un auspicato mutamento di indirizzo, bisogna lavorare anche con il principio di diritto affermato dalle sentenze nn. 26274 e 26725.
Com'è ben noto, la via della responsabilità è meno agevole per il cliente, sia perché essa presuppone la violazione dell'obbligo di diligenza professionale dell'intermediario [33], sia perché il cliente ha l'onere dell'allegazione dell'inadempimento dell'intermediario e della prova del danno e del nesso causale, sia perché l'intermediario è ammesso a provare il concorso del cliente nella causazione del danno - rilevabile anche d'ufficio [34] - o una mancanza di diligenza che abbia contribuito a causarne l'aggravamento [35].
Ascoltiamo le Sezioni Unite.
Escluso che presupponga il danno, la responsabilità sussiste ««per il fatto che (l')obbligo di astensione (...) sia stato violato dall'intermediario»». L'illecito è questo.
Quanto alle conseguenze, precisa la Corte che ««assumono rilievo le conseguenze del fatto che l'intermediario non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi (...), non quelle derivanti dalle modalità con cui l'operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario»».
Orbene, una volta ammesso che la violazione della diligenza professionale dell'intermediario risiede nel fatto di non essersi astenuto dal compimento dell'operazione, il danno che segue in via immediata e diretta al compimento dell'operazione va commisurato all'interesse positivo, come le Sezioni Unite chiariscono, e non può che consistere nella perdita integrale o parziale del capitale, restando del tutto irrilevanti, come precisano le Sezioni Unite, ««le modalità con cui l'operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario»».
Non vale ad interrompere il nesso causale il fatto che la perdita del capitale dipenda anche dall'andamento del mercato degli strumenti finanziari. L'andamento del mercato, infatti, costituisce il rischio tipico di qualsiasi investimento, e la previsione di un divieto di agire - che le Sezioni Unite si incaricano di individuare e di valorizzare - ha esattamente la funzione di prevenire e, in vaso di violazione, di trasferire il rischio tipico sul soggetto che viola il divieto, e così sull'intermediario. Perché quando l'agente ««abbia violato (non) il generale precetto di condotta prudente (bensì) un precetto specifico e precostituito (...) sembra opportuna l'estensione della responsabilità a tutti gli eventi che siano realizzazione del pericolo in relazione al quale la regola è stata posta, indipendentemente da ciò che l'agente abbia previsto o potesse prevedere»» [36]. Il principio non è limitato all'area della responsabilità. Ai sensi dell'art. 1359 cod.civ. ««La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa»». La norma si spiega perché il contraente si deve astenere dall'influenzare l'avveramento della condizione e se, in presenza di un interesse contrario all'avveramento della condizione, non resta inerte, ma favorisce la verificazione dell'evento, resta completamente irrilevante il giudizio ipotetico sull'ordine degli eventi che si sarebbero verificati se egli fosse rimasto inerte [37]. Analogamente, se il contraente, in situazione di conflitto di interessi, non si astiene, come dovrebbe, dall'agire, resta irrilevante il giudizio se la perdita sia stata determinata dall'incidenza dell'interesse in conflitto al pari del giudizio ipotetico se la perdita del capitale si sarebbe verificata anche in assenza dell'interesse in conflitto. Ciò che conta è che l'intermediario ha posto l'investitore in una situazione di pericolo che il legislatore intendeva prevenire esattamente per scongiurare il rischio tipico della perdita totale o parziale del capitale investito.
Né può ipotizzarsi un concorso del cliente nella causazione del danno. Altro è infatti considerare la colpa del cliente come un fattore che interrompa il nesso causale, quando l'illecito dell'intermediario risieda nella mancanza di informazione, e si tratti di ipotizzare - sulla falsariga di un percorso da tempo segnalato dalla dottrina [38] - come l'informazione avrebbe inciso sulla formazione della volontà del cliente [39]. In tal caso, può risultare agevole per
il giudice del merito argomentare che, anche se informato, il cliente non avrebbe desistito dal fare eseguire l'operazione. Altro è, una volta riconosciuto correttamente che opera un divieto di agire, che l'illecito consista nel semplice fatto di agire in violazione di un divieto. In tal caso, appare assai arduo ravvisare un concorso di colpa del cliente nella causazione del danno, ai sensi dell'art. 1227, comma 1 cod.civ. [40].
Il problema è diversissimo se - come assai spesso accade (si pensi alla commercializzazione di derivati over the counter o di strumenti finanziari con bassissimo rating) - la negoziazione di strumenti finanziari integra esercizio di un'attività che la natura degli strumenti rende pericolosa (art. 2050 cid.civ.).
In questo caso, l'investitore non è onerato della prova del nesso causale, essendo tutto al contrario l'intermediario a dover fornire la prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, e così - in un'ottica non di colpa professionale, bensì di oggettiva organizzazione dell'attività d'impresa [41] - di avere non soltanto rispettato ogni disposizione legislativa e regolamentare [42], bensì anche posto in essere ogni possibile ««cura o misura atta ad impedire l'evento dannoso»» [43] della perdita del patrimonio del cliente, e cioè dell'azzeramento del valore dello strumento finanziario o della sopravvenuta onerosità del prodotto derivato speculativo [44].
Breve postilla: una replica anticipata
È sicuro che le sentenze delle Sezioni Unite, per aver prescelto il rimedio meno agevole per gli investitori, non mancheranno di essere apprezzate, in modo un po' bislacco, come un argine doveroso a supposte concezioni socialmente orientate dell'ordine giuridico del mercato.
Ci sarà tempo e modo di replicare che in tanto è concettualmente isolabile una concezione socialmente orientata del mercato, pretesamente contrapposta ad una concezione orientata al libero mercato, in quanto si trascuri che il libero mercato è ««una istituzione di utilità sociale»», secondo l'insegnamento di Luigi Mengoni [45].
Come replica anticipata basta ricordare che la qualità dell'offerta è una componente qualificante del mercato, sicché non sembra particolarmente acuta l'idea di suggellare la trasformazione del mercato finanziario in un mercato dei bidoni, governato da sicura e comprovata sfiducia nella compliance degli intermediari [46].
[1] Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Contratti, 2006, 446.
[2] Cass. (ord.), 16 febbraio 2007, n. 3683, in Corr.giur., 2007, 633.
[3] Ampiamente D. MAFFEIS, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002, 245 ss. Così anche S. SCOTTI CAMUZZI, I conflitti di interessi fra intermediari finanziari e clienti nella Direttiva Mifid, in Banca borsa tit. cred., 2007, I, 130. Aderisce A. ALBANESE, Regole di condotta e regole di validità nell'attività di intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi ?, in Corr.giur. 2008, 119. Contra A. LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto di gestione, in Riv.dir.civ., 2007, 749.
[4] Art. 21, comma 1, lett. b) TUF.
[5] Sul punto le sentenze sono ««frettolose»» anche secondo F. SARTORI, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione (S.U.), 19 dicembre 2007, n. 26725, in www.ilcaso.it, 6. Già G. ALPA, La legge sul risparmio e la tutela contrattuale degli investitori, in Contratti, 2006, 929 denunciava, a proposito di Cass. 19024 del 2005, ««il modo sbrigativo con cui la Corte risolve il problema della nullità, dicendo che l'omessa informazione preventiva non inciderebbe sui requisiti essenziali del contratto»».
[6] La premessa ricostruttiva delle Sezioni Unite, non condivisibile, è che il contratto di investimento abbia natura di mandato e che per questo le singole operazioni di investimento costituiscano atti gestori esecutivi del rapporto di mandato. Discorre la Corte, con palpabile vaghezza, di ««contratto quadro cui può darsi il nome di contratto d'intermediazione finanziaria e che per alcuni aspetti può essere accostato alla figura del mandato»». In realtà, la denominazione è facilmente ricavabile dal TUF ed è ««contratto di investimento»», il quale non può essere al tempo stesso ««contratto quadro»» e ««mandato»», bensì è un contratto quadro riconducibile alla categoria del contratto normativo, deve essere redatto in forma scritta e non vincola l'intermediario al compimento di alcuna operazione. La disciplina del mandato è applicabile in via residuale - data la tendenziale completezza della disciplina del sottotipo del contratto di investimento, in specie del contratto di negoziazione - alle singole operazioni di investimento, che costituiscono altrettanti contratti di mandato (per i quali la disciplina specialistica non prevede un requisito di forma).
[7] Ampia dimostrazione in D. MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv.dir.civ., 2007, II, 71 ss.; aderisce F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 10. In giurisprudenza, Trib. Milano, 9 marzo 2005 in www.ilcaso.it ha affermato che ««appare dubbia la praticabilità di una azione di nullità con riferimento all'ipotesi di conflitto di interessi non segnalato»».
[8] D. MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante, cit., 85.
[9] In senso contrario a quanto esposto nel testo Trib. Milano, 27 marzo 2007 secondo cui ««La violazione dell'obbligo di acquisire il preventivo assenso scritto del cliente (...) pone, all'evidenza, a carico della banca un obbligo comportamentale precedente alla conclusione del contratto e che non costituisce requisito di forma di quest'ultimo»».
[10] Così anche F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 10 s. Esattamente Trib. Venezia 22 ottobre 2007, in www.ilcaso.it: ««Ha natura imperativa la norma di cui all'art. 29 del reg. Consob 11522/98 che prescrive la forma scritta per l'avvertenza relativa all'operazione inadeguata e tale requisito di forma costituisce un elemento intrinseco alla fattispecie negoziale in quanto attiene alla struttura o al contenuto del singolo contratto di negoziazione con la conseguenza che la sua violazione importa nullità del contratto stesso»». Al pari delle Sezioni Unite non distingue, invece, App. Torino, 19 ottobre 2007, in www.ilcaso.it: ««La mancata indicazione delle ragioni di non adeguatezza dell'operazione e della portata e dell'estensione del conflitto di interessi comportano un'informazione incompleta ed integrano una violazione degli artt. 28 e 29, 3° co. Reg. Consob»».
[11] Trib. Prato, 18 dicembre 2006, in www.ilcaso.it ha statuito che ««Eventuali sottoscrizioni circa presunte consapevolezze della rischiosità dell'investimento o il diniego di fornire informazioni sul proprio profilo di rischio non possono ritenersi significativi qualora la personalità ed il livello culturale del soggetto sia manifestamente incompatibile con il tipo di investimento»».
[12] Perché, come subito nel testo, la forma per la validità è richiesta per il solo contratto di investimento, e lo è testualmente dall'art. 23, comma 1 TUF, mentre quello dei singoli ordini è un problema di forma della prova.
[13] D. MAFFEIS, Servizi di investimento: l'onere della prova del conferimento dei singoli ordini di negoziazione, in Contratti, 2007, 231.
[14] A.A. DOLMETTA, La violazione di "obblighi di fattispecie" da parte di intermediari finanziari, in Contratti, 2008, 82.
[15] L'orientamento, fonte dell'equivoca impostazione con cui il problema è stato portato all'attenzione delle Sezioni Unite è riscontrabile in Trib. Brindisi, 18 luglio 2007: ««Gli obblighi informativi previsti dagli artt. 21 e ss. del TUF hanno natura più stringente di quelli, generici, di correttezza ed informazione (artt. 1337-1375 c.c.) gravanti su qualunque parte del rapporto negoziale e ciò in considerazione della particolare natura dei contratti cui si rivolgono, che presentano un elevato grado di rischio ed espongono quindi il risparmiatore ad una perdita potenzialmente illimitata del capitale investito. L'aderente all'investimento, inoltre, è un soggetto privo delle cognizioni tecniche necessarie per operare in un settore altamente specializzato, quale quello dei mercati dei valori mobiliari. Ne deriva che deve considerarsi condicio sine qua non per la validità del contratto di investimento la circostanza che in sede di stipula il risparmiatore abbia ricevuto adeguata informazione circa il tipo e le caratteristiche essenziali del contratto stesso. Le norme regolanti i servizi di investimento in prodotti finanziari - in quanto volte alla tutela sia del singolo investitore, sia più ingenerale, dell'intero mercato dei valori mobiliari - hanno, quindi, natura e portata di norme imperative, il che implica la loro inderogabilità ad opera delle parti e la sanzione della nullità per la loro violazione»». In dottrina si leggano le osservazioni di G,. SICCHIERO,Un buon ripensamento del S.C. sulla asserita nullità del contratto per inadempimento, in Giur.it, 2006, 1602 ss.
[16] Sommariamente, a favore della nullità G. ALPA, La legge sul risparmio, cit., 930; G. PIAZZA, La responsabilità della banca per acquisizione e collocamento di prodotti finanziari "inadeguati" al profilo del risparmiatore, in Corr.giur. 2005, 1029 ss.; D. MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante, cit., 71 ss.; Id., Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv.dir.priv., 2005, 656 ss; contro la nullità A. PERRONE, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, in Riv.soc., 2005, 1015, 1023 s.; V. MARICONDA, Regole di comportamento nella trattativa e nullità dei contratti: la criticabile ordinanza di rimessione della questione alle sezioni unite, in Corr.giur., 2007, 635 ss.; M. AMBROSOLI, Doveri di informazione dell'intermediario finanziario e sanzioni, in Contratti, 2005, 1110; L. NIVARRA, Teoria e Storia. Clausole generali e principi generali del diritto nel pensiero di Luigi Mengoni, in Eur.dir.priv., 2007, 416; M. PELLEGRINI, Brevi note sulla vexata quaestio dei bonds argentini, in Banca borsa tit.cred., 2005, II, 682.
[17] A. LUMINOSO, Il conflitto di interessi, cit., 741.
[18] La distinzione fra regole di validità e regole di responsabilità trova la sua più autorevole esposizione in V. PIETROBON, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, 104 s. Resta fedele ad una concezione rigida della distinzione D'AMICO, "Regole di validità" e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, passim ed in particolare 250 ss.; cfr. anche Id., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv.dir.civ., 2002, I, 37 ed ora in DI MARZIO (cur.), Il nuovo diritto dei contratti. Problemi e prospettive, Milano, 2004, 51 ss.
[19] Si vedano almeno V. SCALISI, Il contratto e le invalidità, in Riv.dir.civ., 2006, 244 s. e Id., Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Eur.dir.priv., 2005, 497 ed ancora Id., Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, Riv.dir.civ., 2003, I, 201. Si consultino anche A. GENTILI, Nullità, annullabilità, inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, 200 ss.; G. AMADIO, Autorità indipendenti e invalidità del contratto, in Gitti (cur.), L'autonomia privata e le autorità indipendenti, Bologna, 2006, 227; S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Torino, 2007, 135 ss. e già F. BENATTI, Culpa in contraendo, in Contr.impr., 1987, 302 e R. SACCO, in R. Sacco - G. De Nova, Il contratto, II, Torino, 2004, 313.
[20] Ragioni di critica alle sentenze delle Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2007 si rinvengono, sotto diversi profili, in V. SCALISI, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv.dir.civ., 2007, 852; D. MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante, cit., 71 ss. e Id., Forme informative, cit., 548; A.A. DOLMETTA, La violazione, cit., 80 ss.
[21] Obbligo dell'intermediario di informarsi (know your customer rule, know tour merchandise rule) e di informare - e prestare consulenza incidentale - al cliente. Cfr. F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 6.
[22] Da ultimo P. GALLO, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv.dir.civ., 2007, 666.
[23] Art. 18, comma 1 T.U.F.
[24] Cass., 7 marzo 2001, n. 3272, in Giust. civ., 2001, I, 2109; Cass., 15 marzo 2001, n. 3753, in Giur. it., 2001, 2083.
[25] In senso analogo F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 7, 9; una prospettiva diversa è manifestata da A.A. DOLMETTA, La violazione, cit., 83 e da A. ALBANESE, Regole di condotta, cit., 110 ad avviso dei quali non sarebbe sussistito un contrasto di orientamenti giurisprudenziali.
[26] Ex plurimis F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, III, 1, Padova, 1999, pag. 12; G. MARCHETTO - A. PRADI, voce Professioni intellettuali, in Digesto IV disc. priv., sez.civ., s.d. ma Torino, 1997, 358.
[27] Cass., sez. II, 12 ottobre 2007, n. 21495, inedita.
[28] D. MAFFEIS, Tutela dell'interesse e conflitto di interessi nella rappresentanza e nel mandato, in Riv.dir.priv., 2004, 280; adde ora A. LUMINOSO, Il conflitto di interessi, cit., 765 s. il quale riconosce che ««qualora l'intermediario non adempia l'obbligo di curare l'interesse del risparmiatore (...) nei casi in cui l'intermediario agisca in nome proprio e per conto del cliente non dovrebbero esservi ostacoli ad applicare l'art. 1711 c.c. sulla reiezione degli effetti (...)»».
[29] Fra le molte, Trib. Milano, 10 gennaio 2007, in www.ilcaso.it ha deciso che ««L'investitore che alleghi l'esistenza di un conflitto di interessi dell'intermediario, deve dimostrare i seguenti profili incidenti sul nesso causale, tra loro strettamente correlati: a) che la corretta spiegazione circa il conflitto di interesse l'avrebbe distolto dall'operazione de qua ; b) che tale operazione, effettuata in conflitto di interesse, gli ha procurato un danno collegato, appunto, alla specifica condizione della banca»».
[30] D. MAFFEIS, Conflitto di interessi, cit., 479 ss. Aderisce A. LUMINOSO, Il conflitto di interessi, cit., 764. Non così G. GABRIELLI, Il conflitto di interessi autorizzato, in Contr.impr., 2007, 116 il quale considera ««l'ordinamento settoriale dei contratti del mercato finanziario (...) opportuna esplicitazione delle regole generali, non già deviazione da esse»».
[31] Nello stesso codice civile del 1865, da ben prima che il legislatore ideasse la disciplina contenuta nell'art. 1394 del codice civile it. del 1942, erano contenute, e sono ora contenute nel codice civile del 1942, discipline del conflitto di interessi nel contratto incentrate sulla situazione e cioè sulla prevenzione dell'incidenza dell'interesse in conflitto. Si tratta delle discipline del contratto concluso in conflitto di interessi dal rappresentante legale in violazione del dovere di astenersi e di far nominare un curatore speciale (artt. 320, comma 6, 347, 360, 394, comma 4, 424 cod.civ.). E lo stesso modello troviamo anche in assenza di un interesse pubblico terzo, nella norma immediatamente successiva all'art. 1394, l'art. 1395 cod.civ., che disciplina il contratto concluso dal rappresentante volontario con se stesso, che è, testualmente, annullabile in difetto di una specifica autorizzazione del rappresentato (e così di un accordo tra rappresentante e rappresentato quantomeno sugli elementi essenziali del contratto, che richiede una preventiva informazione da parte del rappresentante sulle caratteristiche dell'affare di cui si tratta).Troviamo il modello, fuori dall'ambito contrattuale, anche in materia di deliberazioni delle assemblee di società di capitali (art. 2391 cod.civ.) dove sono disciplinati molto analiticamente gli obblighi di informazione a carico dell'amministratore che abbia un interesse nell'operazione. Ed in materia di divieto di concorrenza (art. 2390 cod.civ.), la cui ratio è il conflitto di interessi. E l'elenco potrebbe arricchirsi di molto. Ora, in tutti i casi, il rimedio alla violazione della disciplina tesa a prevenire l'incidenza dell'interesse in conflitto, previsto testualmente, è un rimedio impugnatorio, l'annullamento.
[32] La denuncia della ««moda»» dell'informazione e del ««manierismo informativo»» del legislatore si trova ora in V. ROPPO, L'informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano, e prospettive di diritto europeo, in Riv.dir.priv., 2004, 762.
[33] A. LUMINOSO, Il conflitto di interessi, cit., 749.
[34] Art. 1227, comma 1 c.c. Cass., 6 luglio 2006, n. 15382, in Foro it., Rep. 2006, voce "Danni civili", n. 185: ««In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (art. 1227, 1º comma, c.c.) configura non un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, che deve essere esaminata, anche, d'ufficio, dal giudice, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile - sul piano causale - la colpa concorrente dello stesso creditore»». Un'applicazione in materia in Trib. Biella, 12 luglio 2005, in www.ilcaso.it: ««Se è pur vero che in materia di intermediazione finanziaria vige il principio di protezione dell'investitore, che determina una riduzione della rilevanza del suo comportamento, tuttavia deve ritenersi che ai sensi dell'art. 1227 comma 1 c.c. occorre rilevare (anche d'ufficio) tutte le volte in cui il comportamento colposo dell'investitore costituisca una concausa dell'evento dannoso, con la conseguenza che una colpevole disinformazione del cliente può determinare una ragionevole riduzione del danno»».
[35] Art. 1227, comma 2 c.c. Cass., 19 dicembre 2006, n. 27123, in Foro it., Rep. 2006, voce "Cassazione civile" n. 139: ««In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi disciplinata dal 2º comma dell'art. 1227 c.c., laddove esclude il risarcimento del danno che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto»».
[36] P. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, 1967, 161.
[37] P. TRIMARCHI, Causalità, cit., 17.
[38] G. FERRARINI, La responsabilità da prospetto. Informazione societaria e tutela degli investitori, Milano, 1986, 126 ss.
[39] Ammesso, e non affatto concesso, che la volontà del cliente, per esser validamente prestata, non debba essere informata, nel modi e forme imposti dalla legge, come, a torto, ha ritenuto Cass. n.19024/2005.
[40] Trib. Milano, 18 aprile 2007, in www.ilcaso.it ha accertato la violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di astensione dal compimento di un'operazione inadeguata ed ha ritenuto ««del tutto apodittica l'affermazione della carenza di prova del danno in quanto ove l'obbligo informativo fosse stato adempiuto e la banca si fosse astenuta dal compiere l'investimento inadeguato, è verosimile che l'attrice avrebbe continuato l'investimento in essere o similare»».
[41] P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 48 ss.
[42] Cass., 8 ottobre 1970, n. 1895, in Foro it., 1970, I, 3058.
[43] Cass., 29 aprile 1991, n. 4710, in Foro it., Rep. 1992, voce "Responsabilità civile", n. 147.
[44] D. MAFFEIS, Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv.dir.priv., 2005, 604 ss. Nello stesso senso G. DE NOVA, La responsabilità dell'operatore finanziario per esercizio di attività pericolosa, in Contratti, 2005, 709 ss. e già V. SCALISI, Dovere di informazione e attività di intermediazione mobiliare, in Riv.dir.civ., 1994, II, 194.
[45] L. MENGONI, Autonomia privata e costituzione, in Banca borsa tit.cred., 1997 , I, 20.
[46] G. AKERLOF, The Market for Lemons: Quality Uncertainity and the Market Mechanism, in 84, QJ Econ., 488 (1970) di recente richiamato, in materia, fra gli altri da P. GALLO, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv.dir.civ., 2007, 667 e da F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 15.