Tribunale di Venezia, 28 febbraio 2008 - Pres. Zacco - est. Fidanzia
Obbligazioni e contratti - Servizi di investimento - Operazioni inadeguate - Conflitto di interessi - Violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di astensione - Sussistenza in re ipsa del nesso di causalità
In generale grava specificamente sull'investitore l'onere di dimostrare il nesso di causalità tra l'inadempimento degli obblighi comportamentali dell'intermediario ed il danno. Tuttavia, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re ipsa allorché l'intermediario abbia violato l'obbligo di astensione, come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate.
1 - La fonte dell'obbligazione risarcitoria secondo le Sezioni Unite.
Le sentenze delle Sezioni Unite in materia di rimedi nella prestazione dei servizi di investimento nn. 26724 e 26725 in data 19 dicembre 2007 (Primo Pres. V. Carbone - Rel. R. Rordorf) [1], da più parti accolte favorevolmente [2], si prestano ad una critica per avere escluso il rimedio della nullità per il caso di violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di astenersi, in difetto dei necessari requisiti di forma e di contenuto, dal compiere un'operazione in situazione di conflitto di interessi, o inadeguata [3].
La critica si incentra sulla constatazione che il divieto legale di compiere operazioni inadeguate o in conflitto di interessi manifesta la disapprovazione dell'ordinamento per le operazioni compiute in situazioni di pericolo (presenza di un interesse in conflitto; inadeguatezza), che, contrariamente a quanto statuito dalle Sezioni Unite, trova la sanzione appropriata nella nullità per illiceità, in omaggio all'esigenza di ordine pubblico di garantire l'integrità dei mercati contro la diffusione di operazioni pericolose (e molto probabilmente dannose) [4]. Si pensi alle conseguenze in termini di integrità dei mercati dell'esecuzione su larga scala di ordini per conto di clienti che siano inadeguati sotto il profilo finanziario e così al pericolo di fallimento del mercato connesso a perdite insostenibili, su larga scala.
Tuttavia, le Sezioni Unite hanno correttamente ricostruito, come già aveva fatto Cass. n. 19024/2005, la fattispecie del conflitto di interessi, identificandola non già nel risultato dell'azione, bensì nella situazione [5] e, per conseguenza, individuando la patologia non già nel fatto che in una situazione di conflitto di interessi sia compiuta un'operazione che comporti un risultato contrario agli interessi del cliente (o nel fatto che l'operazione inadeguata comporti un risultato contrario agli interessi del cliente), bensì nel mero fatto che in situazione di conflitto di interessi l'operazione sia compiuta (o che sia compiuta un'operazione inadeguata).
Le Sezioni Unite, dunque, hanno escluso - criticabilmente - che (sotto il vigore della legge n. 1 del 1991) il rimedio per la violazione delle discipline preventive del conflitto di interessi e dell'adeguatezza - laddove esse consistono di requisiti di forma e di contenuto e di obblighi di astensione - sia rappresentato dalla nullità; ma hanno lasciato margine per applicare l'obbligo d'astensione, invece che adottarne un'interpretazione del tutto abrogante.
2 - (segue) Il nesso di causalità secondo le Sezioni Unite.
Le Sezioni Unite hanno statuito che la responsabilità per la violazione dell'obbligo di astensione sussiste ««per il fatto che (l')obbligo di astensione (...) sia stato violato»».
Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite involge il nesso di causalità, laddove è statuito che ««assumono rilievo le conseguenze del fatto che l'intermediario non si sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi (...), non quelle derivanti dalle modalità con cui l'operazione è stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro intermediario»».
Alla luce della statuizione delle Sezioni Unite, il danno che il cliente può lamentare consiste (almeno) nella perdita integrale o parziale del capitale e, sul piano del nesso causale, l'andamento del mercato costituisce il rischio tipico di qualsiasi investimento che l'obbligo di astensione - che opera in difetto dei requisiti di forma e di contenuto - deve prevenire ed il cui rischio quindi grava sull'intermediario, che viola il divieto [6].
3 - L'applicazione in sede di merito del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite.
Il margine per applicare l'obbligo di astensione è stato felicemente colto e valorizzato dalla sentenza in commento, la quale è stata chiamata a fare applicazione dei principi di diritto da poco pronunciati dalle Sezioni Unite.
Il Tribunale di Venezia afferma che ««se in generale grava specificamente sull'investitore l'onere di dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi comportamentali e danno, onere che può essere assolto eventualmente anche attraverso il ricorso a presunzioni a norma dell'art. 2727 e ss. cod. civ. (...) vi sono, tuttavia, talune ipotesi nelle quali, come emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza n. 27624/07 delle S.U. della Suprema Corte, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re ipsa (...), come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate, nelle quali (...) l'intermediario può legittimamente dar attuazione all'ordine di investimento solo in presenza di determinate condizioni non ricorrendo le quali lo stesso ha l'obbligo di astenersi. Ove l'intermediario non sia astenuto dal compiere un'operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente astenersi - abbia, ad esempio, dato corso ad un'operazione in conflitto di interessi senza comunicare per iscritto l'esistenza di tale conflitto e senza ottenere la preventiva autorizzazione scritta del cliente oppure abbia eseguito un'operazione inadeguata pur in mancanza di un ordine impartito per iscritto(...) - deve ritenersi che l'intermediario abbia concorso casualmente alla determinazione del danno»».
4 - La correttezza della statuizione del Tribunale di Venezia.
La statuizione del Tribunale di Venezia è a mio avviso ineccepibile, perché una volta riconosciuto che opera un divieto di agire e che l'illecito consiste nel semplice fatto di agire in violazione del divieto, appare assai arduo ravvisare un'interruzione del nesso causale e comunque un concorso di colpa del cliente nella causazione del danno.
In particolare, non è configurabile una causa alternativa ipotetica del danno dipendente dalla perdita del capitale seguita al compimento dell'operazione. Se, infatti, quella operazione non fosse stata compiuta, non vi è dubbio che quel danno non si sarebbe mai prodotto. Né può valere quale causa alternativa ipotetica che il cliente avrebbe potuto fare eseguire l'operazione da un altro intermediario. Ed è proprio qui che assume rilievo la statuizione delle Sezioni Unite, che ho richiamato, secondo cui ««non (assumono rilievo le conseguenze) derivanti dalle modalità con cui l'operazione (...) avrebbe potuto esser(e realizzata) ipoteticamente da altro intermediario»».
Altrettanto ineccepibile è il rilievo dei giudici di Venezia secondo cui ««Non vi è dubbio che quanto ritenuto dal giudice di legittimità nella sua composizione a sezioni unite non possa essere circoscritto alle operazioni in conflitto di interesse ma sia espressione di un principio generale che deve trovare applicazione ogni qualvolta l'intermediario dia corso ad un'operazione dalla quale, secondo quanto disposto dal regolamento Consob, avrebbe dovuto astenersi. Ne consegue che il nesso di causalità deve ritenersi sussistente in re ipsa anche nel caso in cui l'intermediario dia esecuzione ad un'operazione inadeguata senza rispettare le prescrizioni di cui all'art. 29 regolamento Consob»».
In giurisprudenza vi sono diverse ipotesi in cui il nesso di causalità è considerato in re ipsa [7].
Quanto alla dottrina, ho già segnalato [8] l'insegnamento secondo cui, quando l'agente ««abbia violato (non) il generale precetto di condotta prudente (bensì) un precetto specifico e precostituito (...), sembra opportuna l'estensione della responsabilità a tutti gli eventi che siano realizzazione del pericolo in relazione al quale la regola è stata posta, indipendentemente da ciò che l'agente abbia previsto o potesse prevedere»» [9].
L'obbligo di astensione, quando è posto a carico dell'intermediario, fa di lui un guardiano dell'integrità dei mercati, che ha la precipua funzione di evitare che si verifichino situazioni di pericolo per l'integrità dei mercati quali sono quelle che seguono alla stipulazione di contratti conclusi in situazioni di conflitto di interessi o di contratti inadeguati. La discussione se questa funzione sia rispondente ai principi e conforme alle esigenze dei mercati finanziari riguarda l'individuazione dell'obbligo di astensione, non le conseguenze della sua violazione: se l'obbligo di astensione sussiste, la sanzione è il risarcimento delle perdite comunque seguite al compimento dell'operazione.
Principi analoghi si rinvengono in giurisprudenza quando si tratta di determinare il danno prodotto dalla cattiva gestione degli amministratori di società di capitali. La giurisprudenza, a ragione, distingue, e nega che di per sé il risultato negativo della gestione coincida col danno risarcibile dall'amministratore, tranne ««quando (i) poteri, nei rapporti (tra società ed amministratore) risultano espressamente limitati, come nel caso particolare»» del dovere dell'amministratore di astenersi dal compimento di operazioni successivamente al verificarsi della causa di scioglimento [10]. Qui il modello è quello al quale si ispira la sentenza in commento sulla scia delle Sezioni Unite: chi agisce per conto altrui risarcisce il danno che dipende causalmente dalla sua condotta, e così innanzitutto - e molto linearmente - il danno che si è prodotto perché il gestore non si è astenuto.
Non vale osservare che il danno dipenderebbe dal carattere aleatorio delle operazioni di investimento.
Difatti, sostenere che la verificazione dello stesso evento, che attribuisce al contratto il carattere dell'aleatorietà, interrompe il nesso causale significa, di nuovo, dare un'interpretazione che abroga il divieto di compiere l'atto.
In altre parole, la sola circostanza della conclusione del contratto da parte dell'intermediario non modifica il patrimonio del cliente, la violazione del cui interesse è solo sulla carta; ad integrare il danno attuale è, come sempre, la circostanza dell'esecuzione del contratto; il che significa innanzitutto, per i contratti aleatori, la verificazione dell'evento da cui l'alea dipende.
5 - (segue). Pericolo di danno presunto o astratto e pericolo di danno concreto.
La correttezza della statuizione del Tribunale di Venezia in ordine alla sussistenza del nesso causale (salvo il temperamento, su cui mi soffermerò nel paragrafo seguente) risulta confortata da una constatazione che riguarda da vicino i principi che governano i rapporti di gestione.
Il divieto legale, posto a carico del cooperatore, di agire - in particolare, di contrattare per conto - in situazioni di pericolo per l'interesse del dominus può riguardare, alternativamente, situazioni riconducibili a tipi astratti di pericolo, e in cui quindi può anche accadere che il pericolo non vi sia (pericolo di danno presunto o astratto), ovvero situazioni di pericolo da accertare volta per volta e in cui, dunque, il pericolo effettivamente sussiste (pericolo di danno concreto).
Ad esempio, se si considerano le situazioni di pericolo variamente riconducibili alla presenza di un interesse in conflitto, bisogna distinguere tra i casi in cui il legislatore detta un divieto di contrattare in considerazione di una situazione di pericolo tipizzata, come accade per il divieto posto al mandatario con rappresentanza di contrattare con se stesso in proprio o nella qualità di doppio rappresentante (art. 1395 cod.civ.) ed i casi in cui il divieto dipende dall'accertamento della effettiva ricorrenza di un pericolo derivante dalla presenza di un interesse in conflitto, come accade per il divieto di contrattare posto a carico del rappresentante legale (artt. 320, comma 6, 347, 360, 394, comma 4, 424 cod.civ.).
In entrambi i casi, se il dominus subisce un danno a causa della conclusione del contratto, o della vicenda esecutiva che segue, può difettare, sul piano materiale, lo stesso antecedente del danno. Difatti può darsi che il contratto del doppio rappresentante sia vantaggiosissimo per entrambi i mandanti ma poi accada che uno dei due si rende inadempiente, danneggiando l'altro; oppure può darsi che il rappresentante violi il divieto di agire e contratti in situazione di conflitto di interessi stipulando un contratto contrario agli interessi dell'incapace, ma non per l'incidenza di un interesse in conflitto (caso non infrequente del gestore più incapace che infedele).
Eppure, escludere che in questi casi sussista il nesso di causalità (e quindi escludere l'operatività del rimedio) significherebbe cancellare il divieto; mentre qui il gestore non sta rispondendo per la violazione del rapporto gestorio, bensì sta rispondendo per la violazione di un divieto legale di agire. Diverso (e ulteriore) è il precetto, diversa e autonoma la sanzione.
6 - La possibile interruzione del nesso causale.
Sia chiaro: una volta intrapresa (e sia pure criticabilmente) la strada del risarcimento del danno, non della nullità, bisogna riconoscere che il fatto che la perdita dipenda - ai sensi e per gli effetti dell'art. 1223 cod.civ. - dalla violazione del dovere di astensione non può significare che, una volta compiuta l'operazione, non si possano dare comportamenti dell'intermediario idonei ad interrompere il nesso causale - o almeno a determinare un concorso della colpa del cliente -, come nel caso in cui l'intermediario, invece di astenersi, abbia compiuto l'atto, ma poi abbia consigliato prontamente al cliente di disinvestire.
7 - Gli obblighi di astensione nella disciplina precedente e successiva al recepimento della Mifid.
La forte differenza di disciplina, in punto di nesso causale e quindi in definitiva di responsabilità tout court [11], fra ««inadempimento degli obblighi comportamentali»» e ««violazione di un obbligo di astensione»» induce ad una sia pur sommaria ricognizione degli obblighi di astensione.
Alla luce della disciplina precedente al recepimento della Mifid, applicabile ratione temporis a moltissime controversie presenti e future, l'intermediario è tenuto ad astenersi se, nella prestazione di qualsiasi servizio di investimento, viola il dovere di astenersi dall'eseguire operazioni in conflitto di interessi o inadeguate in difetto delle forme e dei contenuti informativi imposti dagli artt. 27 e 29 del Regolamento Intermediari 11522 del 1998.
Nella disciplina successiva al recepimento della Mifid, l'intermediario è tenuto ad astenersi se, nella prestazione dei servizi di gestione o consulenza, dopo avere fornito le informazioni richieste dall'art. 39 del Nuovo Regolamento Intermediari 16190 del 2007, viola il dovere di astenersi dall'eseguire o suggerire operazioni in difetto della possibilità di valutare l'adeguatezza [12].
Dunque, il dovere di astensione è testuale per l'adeguatezza nei servizi di consulenza e gestione (art. 39, comma 6 NRI), benché si renda necessaria un'attenta attività di interpretazione del dettato normativo, per stabilire in particolare la reale estensione dell'obbligo di astensione, con riguardo ai diversi possibili casi di (i) mancanza di informazioni necessarie per valutare l'adeguatezza e di (ii) consapevolezza dell'inadeguatezza.
È, invece, dubbio se sia ricostruibile un obbligo di astensione anche nelle situazioni conflitto di interessi nella prestazione di qualsiasi servizio di investimento e per l'ipotesi di inappropriatezza dell'operazione nei servizi di investimento diversi da consulenza e gestione (negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto e così via). Per il conflitto di interessi, l'art. 23 del Regolamento Congiunto Consob/Banca d'Italia in data 29 ottobre 2007 dispone che l'intermediario, a certe condizioni, e ««prima di agire»», ««informa chiaramente (su supporto duraturo) il cliente della natura e/o delle fonti dei conflitti (...) affinché il cliente possa assumere una decisione informata sui servizi prestati»». Si tratta di riflettere se da siffatta previsione possa ricavarsi in via interpretativa che dopo l'informazione sia richiesta una ««decisione informata»» del cliente e dunque che in difetto della decisione informata l'intermediario debba astenersi dal compiere l'operazione, analogamente a quanto accade in applicazione dell'art. 27 del Regolamento Consob 11522 del 1998 [13]. Quanto all'appropriatezza, l'intermediario che consideri l'operazione inappropriata non è testualmente tenuto ad astenersi (come accade per l'adeguatezza) bensì è tenuto ad informare il cliente [14]; in una prima lettura è già stato ipotizzato che l'intermediario possa eseguire l'operazione solo dopo che il cliente, avvertito, abbia confermato l'ordine. Ciò che dischiuderebbe, di nuovo, la ricostruzione in via interpretativa di un obbligo di astensione, destinato ad operare in difetto di conferma dell'ordine.
1) In questa rivista, 2008, V. SANGIOVANNI, Inosservanza delle norme di comportamento: la cassazione esclude la nullità, 231 ss.
2) Si consulti G. COTTINO, La responsabilità degli intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni Unite: chiose, considerazioni e un elogio dei giudici, in Giur.it., 2008, 347 ss.
3) In questa rivista, 2008, D. MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: le sezioni unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, 403 ss.
4) Ampia dimostrazione in D. MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv.dir.civ., 2007, II, 71 ss.; aderisce F. SARTORI, La (ri)vincita, cit., 10. In giurisprudenza, Trib. Milano, 9 marzo 2005 in www.ilcaso.it ha affermato che ««appare dubbia la praticabilità di una azione di nullità con riferimento all'ipotesi di conflitto di interessi non segnalato»».
5) Cass. SS.UU. n. 26724 in questa rivista, 2008, 229 ss. rileva correttamente che ««La corte d'appello non si è soffermata a valutare se sussistesse o meno la situazione di conflitto di interessi (...) poiché ha escluso che, comunque, vi fosse la prova della dannosità dell'eventuale conflitto. E lo ha escluso sulla base della considerazione che le operazioni in questione, se anche compiute con un diverso intermediario, non avrebbero dato risultati differenti»» e chiarisce condivisibilmente che ««se la situazione di conflitto (è) configurabile, non (sono) le concrete e specifiche modalità esecutive a venire in questione, ma il compimento stesso dell'operazione che non avrebbe dovuto affatto aver luogo»».
6) D. MAFFEIS, Discipline preventive, cit., 407.
7) Cass., 6 luglio 2000, n. 9032, in Foro it., Rep. 2001, voce "Lavoro (rapporto)", n. 1509 e Cass., 12 gennaio 1991, n. 267 in Foro it., Rep. 1991, voce "Lavoro (rapporto)", n. 1610 in ipotesi di licenziamento intimato non appena superata la soglia del comporto; Trib. Milano, 13 ottobre 1988, in Dir. fallim., 1989, II, 442 in materia di omissione di controllo del collegio sindacale ed illecito degli amministratori.
8) D. MAFFEIS, Discipline preventive, cit., 408.
9) P. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, 1967, 161.
10) Cass., 5 gennaio 1972, n. 21, in Foro pad., 1972, I, 664. La severità della soluzione offerta dalla giurisprudenza è oggetto dlele riflessioni di P.G. JAEGER, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle procedure concorsuali: una valutazione critica, in Giur.comm., 1988, I, 552.
11) Presupponiamo sempre che la domanda di risarcimento del danno dell'attore abbia ad oggetto in via esclusiva o comunque principale la restituzione del denaro investito e perduto, non il maggior danno cui pure il cliente ha diritto a fronte dell'inadempimento dell'intermediario. La stessa sentenza in commento del Tribunale di Venezia ha cura di precisare che ««il danno (...) normalmente coincide(...) nelle cause di intermediazioni finanziaria con la perdita dell'investimento)»».
12) F. SARTORI, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive MiFID, in Riv.dir.priv., 2008, 42.
13) Non è questa, naturalmente, la prima lettura della normativa: si veda A. A. RINALDI, Il decreto Mifid e i regolamenti attuativi: principali cambiamenti, in Società, 2008, 21 e il primo commento di F. ANNUNZIATA, Recepita in Italia la Direttiva Mifid, in Riv.soc., 2007, 1479.
14) L'art. 42, comma 3 del Regolamento 16190 utilizza l'espressione ««avvertire»», anche in maniera standardizzata.