* Il presente saggio è redatto per la rivista Diritto della banca e del mercato finanziario ed è ivi in corso di pubblicazione, con il corredo di note.
Indice sommario: 1. Il carattere centrale della patologia del conflitto di interessi nei contratti di investimento. 2. La continuità tra regole vecchie e nuove; l'applicazione della disciplina del conflitto di interessi anche ai clienti professionali (ed alle controparti qualificate). 3. Il precetto di informazione a carico dell'intermediario e la necessità del consenso del cliente. 4. Forma e contenuto dell'informazione dell'intermediario e del consenso del cliente. 4.1. Forma e contenuto dell'informazione. 4.2. Natura, forma e contenuto del consenso. 5. La responsabilità dell'intermediario per la mancata cura <> dell'interesse del cliente. 5.1. Rilevanza dell'organizzazione nel giudizio di responsabilità. 5.2. L'azione in conflitto di interessi indipendente da qualsiasi obbligo di organizzazione e di gestione. 6. Il significato dell'obbligo di organizzazione: prevenzione dell'insorgenza di situazioni di grave conflitto di interessi. 6.1. Il preteso carattere di novità delle misure organizzative nella Mifid. 6.2. Il rapporto tra l'obbligo di organizzazione e l'obbligo di informazione e di raccolta del consenso. 6.3. Il caso della consapevole scelta dell'intermediario di non adottare alcuna misura organizzativa per affidarsi intieramente all'informazione. 7. (segue). La situazione di conflitto di interessi ed il carattere di gravità della lesione. 8. La disciplina degli incentivi (inducements) e la diversa disciplina incentrata sull'informazione, senza successivo consenso del cliente.
1. Il carattere centrale della patologia del conflitto di interessi nei contratti di investimento.
Quando si dice che un'operazione di investimento è inadeguata o (oggi, dopo il recepimento della Mifid) anche solo inappropriata, si dice - spesso inconsapevolmente - che essa è contraria, sotto diversi profili, all'interesse del cliente: perché non rispondente alla sua capacità finanziaria, o alle sue prospettive di rischio o alla sua capacità di comprendere opportunità e rischi.
La contrarietà all'interesse del cliente può dipendere dall'incidenza sull'operazione di un interesse dell'intermediario in conflitto con quello del cliente, in relazione al compimento della singola operazione. E questo si chiama conflitto di interessi. Più specificamente, il risultato dell'azione dell'intermediario è svantaggioso per il cliente in dipendenza dell'incidenza sui termini dell'operazione di un interesse dell'intermediario concomitante al suo compimento (situazione di conflitto di interessi). L'esperienza (e la copiosissima giurisprudenza) degli ultimi anni mostrano che, nella stragrande maggioranza dei casi, è proprio così: se l'intermediario compie un'operazione che, per le condizioni a cui viene compiuta, è inadeguata al profilo di rischio del cliente per conto del quale è compiuta, o è inappropriata, non è semplicemente perché è stato poco diligente, bensì è proprio perché l'intermediario al momento del compimento dell'operazione era portatore di un interesse in conflitto (situazione di conflitto di interessi), che ha finito per incidere sul modo come egli ha proceduto ed informare e ad informarsi (azione in conflitto di interessi) e, di lì, sui termini a cui l'operazione è stata conclusa (risultato dell'azione inciso dal conflitto di interessi) ad esempio, sulla scelta come eseguire l'ordine, in quali tempi, con quali modalità, quali strumenti finanziari acquistare, se negoziare per conto proprio, come strutturare il derivato o.t.c., se prevedere un effetto leva, e quale; e così via.
Non è sempre così, ripeto - cioè, non sempre la ragione della contrarietà all'interesse del cliente sub specie di inadeguatezza o di inappropriatezza dipende dall'incidenza di un interesse in conflitto concomitante al compimento dell'operazione -, ma è spesso così ed è precisamente questo il motivo per cui da più parti ed incessantemente si proclama che il problema del conflitto di interessi è il problema dei problemi nella materia dell'intermediazione finanziaria.
Ora siccome dopo il recepimento della Mifid assistiamo ad una riduzione dell'ambito di operatività del precetto di adeguatezza a favore dell'inappropriatezza (una riduzione probabilmente meno intensa di quanto ad un'osservazione superficiale si possa pensare, se si ravvisa - ed il cliente riesce a provare - una consulenza spontanea in moltissime raccomandazioni personalizzate fornite spontaneamente dall'intermediario), bisogna che, oltre che fare chiarezza sui nuovi precetti di adeguatezza e di appropriatezza, cerchiamo di verificare se per avventura proprio la disciplina del conflitto di interessi - articolata, dopo la Mifid, come prima, in un dovere di organizzazione, in un divieto di agire in situazione di conflitto di interessi, derogabile solo a certe precise condizioni, ed in un regime risarcitorio per la violazione sostanziale del dovere di cura dell'interesse - non sia, anche dopo il recepimento della Mifid, di portata tale da ridurre, e di parecchio, la diffusa aspettativa di alleggerimento delle responsabilità degli intermediari che sta accompagnando la ridefinizione della nozione di adeguatezza e l'introduzione di quella di appropriatezza e del modello c.d. execution only. E ciò, si badi, anche e soprattutto tenuto conto che la disciplina del conflitto di interessi - come delineata sia dall'art. 21, comma 1 bis del TUF sia dagli art. 23 e seguenti del Regolamento Congiunto - si applica, sia ai contratti con i clienti al dettaglio sia ai contratti con i clienti professionali (tra cui le controparti qualificate).
Di seguito cercherò di dimostrare, sia pure sinteticamente, che, in effetti, la disciplina del conflitto di interessi post Mifid è caratterizzata da sostanza e rigore, e ciò è un bene, posto che, se funziona, essa è destinata a proteggere il cliente e, prima e più, rappresenta una tutela del mercato e della sua <>, come non hanno difficoltà a riconoscere - e, anzi, non rinunciano mai a ricordare - non giuristi pretesamente legati a visioni asfissianti della giustizia contrattuale, ma i rappresentanti delle più alte istituzioni del mercato finanziario.
2. La continuità tra regole vecchie e nuove; l'applicazione della disciplina del conflitto di interessi anche ai clienti professionali (ed alle controparti qualificate).
La nuova disciplina speciale del conflitto di interessi nella prestazione dei servizi di investimento si articola in diversi precetti, che sono in larga parte previsti testualmente dalla fonte primaria e secondaria (e che potranno essere integrati dalle disposizioni c.d. di livello 3). I rimedi che assistono ciascuno dei precetti debbono essere, come per il passato, individuati dall'interprete.
Una lettura in chiave di compliance e di ricerca del safe harbour mette al centro il problema della policy e così i profili di organizzazione e di trasparenza che, ad una prima lettura della disciplina speciale post Mifid, sono certamente i più evidenti, anche per lo sforzo di lettura e di inquadramento richiesto dal carattere estremamente analitico della maggior parte di essi. Il dato è notevole perché un dovere di organizzazione preventiva di situazioni di conflitto di interessi esisteva anche prima della Mifid, come primo dovere dell'intermediario, sicché la conferma del ruolo dell'organizzazione rivela coerenza con il dato sistematico più generale per cui misure di tipo preventivo si accompagnano, tipicamente, a situazioni di pericolo (qual è la situazione di conflitto di interessi) in cui - per esprimersi come la relazione al re a commento dell'art. 2050 cod.civ. - <>.
Peraltro, proprio perché la disciplina speciale continua a battere sulle misure organizzative, bisogna registrare in chiave critica e problematica un dato in aperta controtendenza, e cioè che, fino ad oggi, nell'applicazione della disciplina speciale, nessuna sentenza civile ha attribuito rilevanza ad esse.
In realtà, nell'ottica civilistica dell'individuazione dei rimedi destinati ad operare nel rapporto tra intermediario e cliente, il grado di analiticità dei diversi precetti, che richiede un correlativo sforzo di lettura e di inquadramento, non sempre è direttamente proporzionale all'importanza di ciascuno di essi; il compito dell'interprete è di identificare, se possibile in maniera chiara, armonica e coerente e nella loro corretta articolazione, l'effettiva portata dei singoli precetti (anche in vista della ricostruzione in via interpretativa dei rimedi).
Al riguardo, la ratio legis che ispira l'intiera disciplina risponde certamente alla logica di fondo che il conflitto di interessi è una patologia grave, che concerne un mercato al tempo stesso cruciale per l'economia di mercato e (in misura più o meno marcata) pericoloso sicché l'ordinamento giuridico, con l'opera dell'interprete, appresta precetti e rimedi adeguati, posti a presidio di un'esigenza di ordine pubblico, prima e più che di interessi privati.
In questa prospettiva, la Mifid non rappresenta una soluzione di continuità, bensì una conferma, delle norme, severe, che sono emerse e che si sono delineate nella giurisprudenza degli ultimi anni ed in particolare delle norme, elaborate dalle Sezioni Unite a fine 2007, secondo cui (i) l'intermediario, a prescindere dall'adozione di misure organizzative e dal rispetto delle regole di trasparenza, risarcisce il danno dipendente dal compimento di un'operazione svantaggiosa per il cliente perché incisa da un interesse in conflitto (dunque perché e quando, appunto, il carattere svantaggioso dell'operazione dipende secondo il giudizio ordinario di causalità dall'incidenza dell'interesse in conflitto che caratterizzava la situazione) e (ii) risarcisce altresì il danno - da considerarsi invece in re ipsa, secondo un regime della prova severo per l'intermediario - verificatosi a seguito della violazione da parte dell'intermediario di un obbligo di astensione (e così risponde del compimento di un'operazione in situazione di conflitto di interessi, in presenza della quale avrebbe dovuto astenersi, anche quando sia astrattamente possibile o risulti che il carattere svantaggioso dell'operazione non sia dipeso dall'incidenza dell'interesse in conflitto bensì, ad esempio ed in particolare, dall'andamento del mercato).
La norma sub (i) è incentrata sopra un giudizio in termini di diligenza professionale dell'intermediario (in cui è destinato ad assumere un ruolo rilevante il rispetto dei precetti di gestione ed in particolare di organizzazione) e sull'utilizzo della regola ordinaria del nesso di causalità; la norma sub (ii) è invece incentrata sopra un giudizio più secco in termini di violazione di un obbligo di astensione e di conseguente responsabilità dell'intermediario per il conseguente pregiudizio economico del cliente, che è considerato danno in re ipsa.
Il modello, oggi come ieri, è quello del divieto derogabile di agire, che consente di considerare non vietata l'operazione quando vi sia stata una espressa manifestazione di volontà del cliente che sia seguita ad un'adeguata informazione. La ricostruzione più corretta, dato che si tratta di un divieto derogabile da una manifestazione di volontà, è che la mancanza della manifestazione di volontà comporta la nullità (e le conseguenti restituzioni). La ricostruzione data dalle Sezioni Unite è che la mancanza della manifestazione di volontà importa violazione di un obbligo di astensione e così risarcimento del danno (da considerarsi però in re ipsa, e dunque salvo eccezioni con lo stesso esito cui condurrebbe la regola restitutoria).
Resta inoltre la responsabilità, operante secondo le regole generali, per il compimento da parte dell'intermediario di operazioni che seguono ad una corretta informazione e che sono state validamente consentite dal cliente ma che ciononostante si rivelano contrarie all'interesse del cliente per l'incidenza di un interesse in conflitto.
Questa essendo in sintesi la disciplina speciale - che di seguito cercherò di esaminare più in dettaglio - non si può dire che si tratti di una disciplina particolarmente severa, posto che non risulta accolto, oggi come ieri, il modello del divieto assoluto di agire in situazioni di conflitto di interessi - anzi con l'introduzione della figura dell'internalizzatore sistematico viene ora espressamente disciplinata una figura di professionista del conflitto di interessi (perché, professionalmente, l'internalizzatore sistematico negozia per conto proprio, cioè in una tipica situazione di conflitto di interessi) - né si impone agli intermediari l'abbandono del modello polifunzionale.
La disciplina si segnala semmai per un carattere di rilevante novità, già anticipato, consistente nel fatto che essa si applica tanto ai clienti al dettaglio quanto ai clienti professionali (ed alle controparti qualificate); viene dunque meno, con la Mifid, qualsiasi margine perché l'intermediario persegua l'obbiettivo della disapplicazione della disciplina del conflitto di interessi ai rapporti con determinate categorie di clienti (come accadeva per l'operatore qualificato, nella disciplina ante Mifid, segnatamente in base all'art. 31 del Regolamento 11522 del 1998).
Questa novità è apprezzabile, posto che tra le regole che caratterizzano la prestazione dei servizi di investimento quelle inerenti al conflitto di interessi nulla hanno a che fare con la maggiore o minore conoscenza da parte dei clienti delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi (e così con quella maggiore o minore asimmetria informativa che, sola, può giustificare ai sensi dell'art. 6 del TUF una diversità di disciplina in termini di protezione fra diverse categorie di clienti): fuori da qualsiasi logica di graduazione della tutela, il conflitto di interessi rappresenta la principale patologia dipendente dalla natura di cooperazione (attività prestata per conto altrui) dei rapporti tra intermediari e clienti, quale che sia il grado di conoscenza, esperienza o professionalità di ciascuno di essi.
In breve, con il cliente esperto può giustificarsi che l'intermediario sia vincolato da minori obblighi di informazione, ma non avrebbe alcun significato sancire che, dato che il cliente è esperto, l'intermediario potrebbe agire in situazioni sospette (per la presenza di un interesse in conflitto) o essere senz'altro infedele (per l'incidenza dell'interesse in conflitto sui termini dell'operazione di investimento).
3. Il precetto di informazione a carico dell'intermediario e la necessità del consenso del cliente.
È utile, a mio avviso, esaminare la disciplina speciale invertendo l'ordine in cui i precetti sono delineati, e così esaminando dapprima l'obbligo di informazione e la necessità del consenso del cliente, che fondano obblighi di astensione dell'intermediario autonomamente sanzionati, e successivamente il più generale obbligo di individuazione e di gestione, segnatamente mediante misure organizzative, delle situazioni di conflitto di interessi (aspetto, questo secondo, che, come anticipavo, tende invece ad essere posto in primo piano ad una prima lettura in chiave di mera compliance degli intermediari).
Il Regolamento congiunto Consob Banca d'Italia dispone (art. 23, comma 3) che <>. Dunque, l'intermediario ha l'obbligo di informare. Se non informa, l'intermediario ha l'obbligo di astenersi. Non esiste qui una previsione testuale dell'<>, quale si riscontra nel caso di mancata raccolta delle informazioni in vista del giudizio di inadeguatezza ai sensi dell'art. 39, comma 6 del Regolamento Consob 16190 del 2007. Ma l'astensione si ricava in via interpretativa dalla necessità della previa informazione (e successiva decisione informata), come accadeva ai sensi degli artt. 27 e 29 del Regolamento 11522 del 1998, che, nell'interpretazione delle stesse Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 2007, richiedevano la specifica autorizzazione o lo specifico ordine successivo all'informazione. Se non si astiene, l'intermediario risarcisce il danno, anche se il carattere svantaggioso dell'operazione non risulti poi essere dipeso dall'incidenza dell'interesse in conflitto, bensì dall'andamento del mercato, dato che le Sezioni Unite hanno chiarito, e la giurisprudenza di merito uniformandosi statuisce, che la sanzione per la violazione da parte dell'intermediario dell'obbligo di astensione, in presenza di una situazione di conflitto di interessi o di altre situazioni di pericolo, è il risarcimento delle perdite comunque seguite al compimento di un'operazione, dato che l'operazione non avrebbe dovuto essere compiuta.
Allo stesso modo l'art. 23, comma 3 del Regolamento congiunto Consob Banca d'Italia, dopo avere disposto che <>, prosegue disponendo come segue: <>.
Il richiamo al consenso del cliente è il frutto di una scelta consapevole: esso è il frutto, che era stato auspicato dalla dottrina interna, del recepimento delle indicazioni contenute nel documento di consultazione del CESR, prodromico all'adozione della Direttiva di secondo livello 2006/73/CE. Difatti l'art. 22, comma 4 della Direttiva 2006/73/CE così dispone: <>.
È vero che l'art. 23, comma 3 del Regolamento congiunto Consob Banca d'Italia si differenzia dagli artt. 27 e 29 del Regolamento 11522 del 1998 perché non contiene la previsione secondo cui gli intermediari, in difetto della successiva decisione informata del cliente (come, in passato, della specifica autorizzazione o dell'ordine), <> compiere l'operazione. Tuttavia, poiché una norma giuridica detta precetti, non indulge in descrizioni dello scopo di se medesima - sicché, se evoca il consenso del cliente, è perché quel consenso occorre - il riferimento alla <> va letto come un richiamo alla necessità di un preciso requisito della fattispecie, che consiste nella <> del cliente.
Dunque, l'informazione non è sufficiente, perché occorre che il cliente, informato, <> e così presti il consenso.
Se il cliente presta il consenso al compimento dell'operazione, dopo essere stato adeguatamente informato, l'operazione può essere compiuta. In difetto del consenso del cliente, così come in difetto dell'informazione o in presenza di un'informazione non adeguata, l'intermediario ha l'obbligo di astenersi. Se non si astiene, sussiste un vizio della fattispecie, non una violazione di una (inesistente, qui) regola di condotta, sicché - come abbiamo anticipato - il rimedio correttamente applicabile sarebbe quello della nullità seguita dalle restituzioni ma, seguendo le Sezioni Unite, si riterrà che l'intermediario risarcisca il danno, tuttavia secondo lo schema rigoroso del danno in re ipsa, e quindi anche se il carattere svantaggioso dell'operazione non risulti poi essere dipeso dall'incidenza dell'interesse in conflitto, bensì dall'andamento del mercato.
4. Forma e contenuto dell'informazione dell'intermediario e del consenso del cliente.
Una differenza tra la vecchia e la nuova disciplina concerne il requisito di forma-contenuto dell'informazione dell'intermediario e del consenso del cliente.
4.1. Forma e contenuto dell'informazione.
L'art. 23, comma 4 del Regolamento congiunto, laddove dispone che <>, diverge forse solo per un minor grado di dettaglio (<>) dalla previdente disciplina regolamentare.
4.2. Natura, forma e contenuto del consenso.
L'art. 23, comma 3 del Regolamento congiunto non fa riferimento ad alcuna prescrizione intorno alla forma o al contenuto del consenso del cliente né richiede che esso sia prestato i via specifica ed autonoma rispetto al compenso al compimento dell'operazione, ove richiesto dalla natura del servizio di negoziazione. Dunque è possibile - ove l'informazione sul conflitto di interessi abbia preceduto l'ordine o una qualsiasi manifestazione di volontà del cliente - che la <> sia la stessa decisione relativa al compimento dell'operazione, richiesto dalla natura del servizio di negoziazione; oppure è possibile - ancorché non sia richiesto - che sia prestato un consenso specifico, autonomo ed ulteriore, successivo all'informazione seguita all'ordine o all'istruzione vincolante; oppure ancora è possibile che sia prestato un consenso specifico in assenza di altra manifestazione inerente al compimento dell'operazione (se non richiesta dalla natura del servizio).
Invece, fino a ieri, l'art. 27 del Regolamento 11522 disponeva che il cliente dovesse avere <> considerandosi equipollente la <> dell'espresso consenso <>. Pertanto ai sensi dell'art. 27 del Regolamento 11522, l'autorizzazione ad agire in situazione di conflitto di interessi integrava una manifestazione di volontà separata ed ulteriore rispetto a quella relativa al compimento dell'operazione, essendo specificatamente riferita alla situazione di conflitto di interessi e tesa alla neutralizzazione della situazione di pericolo (dovendo anche formalmente fare riferimento all'informazione ricevuta in ordine ai caratteri della situazione).
Alla stregua del nuovo regime, la forma del consenso richiesto dall'art. 23 del Regolamento congiunto può essere quella indicata nel contratto normativo.
In difetto, nessuna forma per la validità o particolare contenuto sono prescritti per il consenso richiesto dall'art. 23 del Regolamento congiunto, non solo per i clienti professionali, ma anche per i clienti al dettaglio.
La mancanza di un requisito di forma, tuttavia, non rappresenta di per sé un sicuro vantaggio operativo per l'intermediario, posto che, in difetto di adozione della forma, sarà più difficile per lo stesso intermediario fornire la prova, che gli spetta, che il cliente abbia manifestato un consenso al compimento dell'operazione in conflitto di interessi , dovendosi escludere che la prova per presunzioni del consenso possa ricavarsi in virtù della semplice circostanza che il cliente non abbia manifestato alcuna volontà, di segno positivo o negativo, dopo essere stato (adeguatamente) informato.
5. La responsabilità dell'intermediario per la mancata cura <> dell'interesse del cliente.
La Mifid non ha innovato rispetto alla regola generale secondo cui l'intermediario è responsabile, in virtù delle regole generali, per il compimento di operazioni che, in situazioni di conflitto di interessi, sono state validamente consentite dal cliente, ma risultano ciononostante contrarie all'interesse del cliente per l'incidenza sull'operazione di un interesse in conflitto.
A conferma che l'agire dell'intermediario in una situazione di conflitto di interessi, non scongiurata con misure preventive e dunque esistente, è sempre vincolato al dovere di diligenza che è proprio del cooperatore professionale, basta osservare che la stessa negoziazione per conto proprio rappresenta una tipica situazione di conflitto di interessi, posto che l'intermediario è, qui, al tempo stesso cooperatore del cliente e sua controparte; ed è da ritenersi pacifico che anche nell'esercizio dell'attività di negoziazione per conto proprio l'intermediario debba <>.
5.1. Rilevanza dell'organizzazione nel giudizio di responsabilità.
Il primo e più evidente problema, a seguito del recepimento della Mifid, è se - e nel caso, in quale misura - il rispetto da parte dell'intermediario dell'assai articolato precetto di organizzazione (separato e distinto sia dal precetto di trasparenza che dal precetto di astensione) sia rilevante nel giudizio di responsabilità, e così, da un lato, se l'intermediario vada esente da responsabilità, o risponda solo per una parte del danno, per avere adottato e rispettato la <> di cui all'art. 25 del Regolamento congiunto, dall'altro, se non risponda o risponda solo limitatamente quando non abbia adottato e rispettato la <> ma la perdita del cliente sia dipesa da fattori indipendenti dalla mancanza di una corretta gestione (in particolare dall'andamento del mercato).
A mio avviso, il carattere estremamente analitico ed articolato del precetto di organizzazione - segnatamente dell'obbligo di <> (art. 25) come pure dell'obbligo di tenuta del <> (art. 26 del Regolamento congiunto) - è inversamente proporzionale rispetto alla sua importanza in termini di giudizio di responsabilità dell'intermediario.
Ed invero l'intermediario, una volta che si sia dato un'organizzazione ragionevolmente idonea, non è libero per ciò stesso di violare con i suoi comportamenti il precetto primario che gli incombe quale gestore di un interesse altrui e così, di curare nella sostanza prima e più che nella forma l'interesse del cliente. Così, l'intermediario, da un lato, non andrà esente da responsabilità per il solo fatto di essersi organizzato - anche se l'organizzazione sarà rilevante nel giudizio di responsabilità in termini di diligenza professionale -, dall'altro, non sarà responsabile se il danno non dipende dalla mancata organizzazione.
Si consideri innanzitutto che le misure organizzative e di gestione possono essere violate dallo stesso intermediario che le ha predisposte; ed in tal caso la sua responsabilità è fuori discussione. Così se la misura organizzativa per evitare l'<> consiste nell'eliminazione di un sistema di incentivi che, tuttavia, risulta essere stato adottato nel caso di specie. In simili casi la circostanza dell'intervenuta predisposizione di misure organizzative non sarà tuttavia del tutto irrilevante, posto che all'intermediario convenuto risulterà tutto sommato agevole provare di avere predisposto misure idonee ed il cliente, al fine di vincere la presunzione che le misure nel caso di specie siano state rispettate, avrà l'onere di allegare, tutto al contrario, che nel caso di specie le misure organizzative sono state violate.
Nell'ipotesi in cui, invece, le misure siano state rispettate, la responsabilità sussiste ogniqualvolta risulti che l'intermediario ha posto in essere comportamenti che, a prescindere dalle misure organizzative e di gestione, hanno danneggiato il cliente in ragione dell'incidenza di un interesse in conflitto. Trattandosi di comportamenti indipendenti dalle misure preventive adottate, la loro idoneità a fondare una responsabilità dell'intermediario dovrà essere valutata caso per caso secondo il canone della diligenza professionale, non diversamente da quanto accade per le misure preventive nelle attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 cod.civ., in cui la giurisprudenza, correttamente, statuisce che operano i canoni ordinari di responsabilità quando il danno si verifica <>. In altre parole, quando le misure sono state rispettate la responsabilità può sussistere in ragione di singoli atti di imprudenza, di imperizia o, peggio, di comportamenti dolosi che causano l'incidenza sull'operazione di un interesse in conflitto. Così la responsabilità sussiste se il dipendente che ha negoziato col cliente risultava aver acquisito motu proprio notizie che il sistema delle muraglie cinesi avrebbe dovuto impedire che gli pervenissero.
Più in generale, per situazioni quali quelle in cui l'intermediario <> o <>, è molto difficile pensare che una qualunque misura preventiva conti più della fedeltà nell'azione.
L'organizzazione sarà dunque soltanto uno degli elementi del giudizio complessivo di responsabilità, come suggeriscono pure, da un lato, l'osservazione dei mercati finanziari, in cui questo genere di pesanti discipline burocratiche resta spesso inoperante, dall'altro, l'esperienza di discipline minuziose rivelatesi sovente assai distanti dalla realtà che pure intendevano disciplinare. È appena il caso di ricordare che il pericolo che le misure organizzative si rivelino poco incisive appare più che concreto, se si considerano ad esempio alcune delle misure organizzative che si stanno diffondendo nella politica di gestione di diversi intermediari e che misure organizzative, certamente, non sono: così per il rinvio alla predisposizione di un sistema di gestione dei reclami o per il mero richiamo alla separata adozione di ulteriori misure organizzative, non identificate o per il rinvio a codici etici interni all'azienda o per la dichiarazione che gli avanzamenti di carriera all'interno dell'azienda non sono legati a specifiche operazioni; e così via.
Deve respingersi la tesi, che è stata affacciata in prima lettura, secondo cui ad escludere la responsabilità dell'intermediario sarebbe comunque sufficiente l'adozione di misure organizzative; a maggior ragione, deve respingersi la tesi secondo cui non si dovrebbe procedere ad un giudizio oggettivo sull'adozione di misure organizzative bensì sarebbe sufficiente il giudizio dello stesso intermediario sul carattere soddisfacente delle misure organizzative adottate, quasi si trattasse di una - inedita - fattispecie risarcitoria ad effetto opzionale, in cui la sussistenza della responsabilità sarebbe rimessa all'apprezzamento dello stesso danneggiante.
Queste tesi sono state formulate nel corso dei lavori che hanno condotto nelle diverse sedi all'adozione delle discipline di primo e di secondo livello sia, prima, comunitarie sia, successivamente, interne e sembrano rispondere alla volontà dichiarata del legislatore storico, che è incentrata sulla <>.
Ma scelta del modello aziendale non significa scelta del regime giuridico di responsabilità; di nuovo, altra è la prospettiva in chiave di compliance, altra è la dimensione del rapporto giuridico tra intermediario e cliente.
Del resto, non è per nulla anomalo che la disciplina del conflitto di interessi, sebbene percepita di primo acchito come blanda, in omaggio allo spirito che ha accompagnato l'elaborazione degli analiticissimi precetti della Mifid, si riveli in realtà, una volta ricostruita dall'interprete al livello del diritto interno col dovuto corredo di rimedi, anche e soprattutto alla luce delle regole che già si sono venute consolidando in giurisprudenza - che ignorano il dovere di organizzazione preventiva, già presente ante Mifid - di altro spessore, cioè caratterizzata da sostanza e rigore.
A ben vedere, la stessa espressa risultanza del testo della disciplina speciale prevede, a certe condizioni, sia l'obbligo di informazione da parte dell'intermediario, sia la necessità del consenso del cliente (con i conseguenti rimedi, che ho evidenziato nei paragrafi precedenti, per il caso in cui i precetti non risultino rispettati) e lo stesso quadro d'insieme che fa da sfondo al recepimento della Mifid mostra come tutti i commentatori lamentino, giustamente, che un arretramento di efficienza della disciplina del conflitto di interessi, in termini di enforcement, sarebbe oggi, né più né meno, una stravaganza, data l'esigenza unanimemente condivisa di contrastare fenomeni ben noti e tutti sanno che la Mifid si propone bensì di contrastare l'arbitraggio normativo mediante la tecnica dell'<>, ma questa pretesa <> - è già un punto fermo per la dottrina civilistica - è più che altro <>, dato che il legislatore europeo armonizza i precetti, ma tace sui rimedi, e quindi il contrasto all'arbitraggio normativo si verifica solo al costo di favorire l'arbitraggio sui rimedi, che - ripetiamo - sono gli interpreti a (dover) ricostruire.
Pertanto, la responsabilità dell'intermediario per essersi organizzato in maniera non adeguata dipenderà certamente da un giudizio di carattere oggettivo. Ad esempio, per ciò che attiene agli strumenti finanziari emessi da soggetti terzi cui l'intermediario abbia concesso finanziamenti, dovrà essere oggettivo il giudizio intorno alla soglia di rilevanza del finanziamento che l'intermediario si sia assegnato al fine di far scattare l'adozione di opportune cautele. Così pure, l'intermediario sarà responsabile in caso di inversione dell'ordine cronologico degli ordini di diversi clienti, anche se risulti che avesse adottato misure severe di carattere disciplinare per disincentivare casi di inversione dell'ordine cronologico degli ordini di diversi clienti. Più in generale, il giudice che ravvisi carenze organizzative sarà indotto ad identificare la colpa dell'intermediario rilevante ai fini del risarcimento dell'eventuale danno: e l'onere della prova di avere adottato un'adeguata organizzazione - come pure di non aver potuto identificare una possibile situazione di conflitto di interessi - grava sull'intermediario. Non vi è dubbio che il giudice dovrà tenere conto della dimensione e dei vincoli di costi di regolazione del singolo intermediario, così evitando di accertare la responsabilità per il solo fatto che non sia stata adottata una misura efficace sulla carta ma costosa; ma neppure vi è dubbio che, in simili casi, l'accertamento della responsabilità dovrà essere fatto dipendere dalla verifica - con un giudizio opportunamente elastico - circa l'adozione della più efficace misura alternativa compatibile con le dimensioni ed i vincoli di costo dell'intermediario.
5.2. L'azione in conflitto di interessi indipendente da qualsiasi obbligo di organizzazione e di gestione.
Non ogni ipotesi di azione in conflitto di interessi si accompagna ad una preesistente situazione di conflitto di interessi riconducibile ad una delle ipotesi esemplificativamente riportate nell'art. 24 del Regolamento congiunto o in altre e diverse ipotesi suscettibili di essere gestite dall'intermediario o se del caso fatte oggetto di informazione.
Può darsi, infatti, che l'intermediario si faccia guidare da un intento infedele, che finisce per incidere sulla sua azione, ancorché non fosse concomitante al compimento dell'operazione.
Così, la domanda di strumenti illiquidi da parte del cliente dipende essenzialmente da una sottostima dell'alea, mentre l'offerta da parte dell'intermediario dipende dalla <>.
Nulla impedirebbe ad un intermediario di organizzarsi per prevenire l'offerta di strumenti illiquidi e di farlo sub specie di rispetto della disciplina del Regolamento congiunto sul conflitto di interessi, se del caso con una (imbarazzante) informazione, nella quale egli dovrebbe comunicare che avendo interesse ad una <> potrebbe non fare l'interesse del cliente. Ma è assai più probabile (e sensato) che la questione se l'intermediario possa negoziare strumenti illiquidi non utili al cliente ma utili al proprio conto economico sia governata dall'ordinaria regola di responsabilità, fuori dai profili di organizzazione o di gestione.
6. Il significato dell'obbligo di organizzazione: prevenzione dell'insorgenza di situazioni di grave conflitto di interessi.
6.1. Il preteso carattere di novità delle misure organizzative nella Mifid.
È tempo di tornare - per approfondirne significato e disciplina - alle misure organizzative.
Vorrei premettere che la pretesa novità della Mifid, per cui l'intermediario avrebbe innanzitutto il dovere di organizzarsi, e solo in estrema ipotesi doveri informativi e di raccolta del consenso, non è, a dire il vero, una novità, dato che già nel regime previgente l'art. 21, comma 1 lett. c) disponeva che l'intermediario dovesse <>; dal che discendeva, già sotto il previgente regime ante Mifid, che l'intermediario dovesse rispondere anche e soprattutto per non essersi adeguatamente organizzato.
Semmai, la circostanza - già anticipata - che nella copiosissima giurisprudenza alla quale assistiamo, e che applica la disciplina previgente, la soluzione dei singoli casi di conflitto di interessi sia, pressoché senza eccezioni, facilitata dal ricorso alla circostanza più agevolmente verificabile della violazione delle forme informative e dei requisiti strutturali dell'atto, richiesti dall'art. 27 del Regolamento 11522, dovrebbe suggerire di osservare che, allo stato, le misure organizzative hanno fallito.
Questa constatazione può aiutare l'interprete a ripartire con il dovuto realismo con l'opera di ricostruzione del significato e della natura del dovere di organizzazione dell'impresa di investimento, che è imposta non solo dalla Mifid ed in particolare dalle norme qui in commento ma, più in generale, e sotto più profili, dalla nuova disciplina della governance della società di capitali, che costituisce un vero e proprio indice di sistema; basti pensare ai precetti di adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile disciplinati dall'art. 2381, comma 3 e comma 5 cod.civ. ed ai riflessi sulla disciplina della responsabilità dell'impresa.
6.2. Il rapporto tra l'obbligo di organizzazione e l'obbligo di informazione e di raccolta del consenso.
Nella sequenza disegnata dalla nuova disciplina speciale il precetto di informare il cliente e la previsione del consenso dello stesso al compimento dell'operazione sono destinati ad operare soltanto <> (art. 21, comma 1-bis, lett. b) TUF).
Può accadere quindi che l'intermediario non informi, data la <>, ma che alla situazione di pericolo dipendente dalla sussistenza di un interesse dell'intermediario segua un danno dipendente dall'incidenza dello stesso interesse sull'operazione, che si riveli svantaggiosa per il cliente: perché ad esempio l'intermediario ha realizzato un guadagno finanziario a danno del cliente o ha conseguito un interesse proprio distinto da quello del cliente.
Si è osservato che la lettera del TUF e del Regolamento congiunto non consentirebbero di ricavare da una simile sequenza dei precetti una soluzione diversa dalla esclusione della responsabilità dell'intermediario.
A mio avviso, non è così: se l'intermediario non è tenuto ad informare il cliente, non è perché una situazione di pericolo dipendente dalla presenza di un interesse in conflitto c'è, ma non dev'essere comunicata, bensì è perché (e solo se) le misure organizzative hanno sortito l'effetto di prevenire la stessa insorgenza della situazione di conflitto di interessi (nel novero di quelle esemplificativamente indicate nell'art. 24 del Regolamento congiunto o in altre e diverse, suscettibili di c.d. <>) e pertanto non ci sarebbe nulla da comunicare, se non il pericolo che un interesse in conflitto, pur non essendo presente quale circostanza concomitante, venga ad incidere sull'operazione al momento del suo compimento (conflitto di interessi inteso, qui, come risultato dell'azione), ciò che, però, non rappresenta affatto una patologia suscettibile di utile informazione preventiva (che si giustifica quando il conflitto di interessi è inteso come situazione), bensì rappresenta una patologia in executivis sanzionata dall'ordinario dovere di diligenza professionale.
È vero che la sussistenza di misure organizzative <>, da accertarsi con criteri oggettivi, e tenuto conto della diligenza professionale che l'intermediario è tenuto a prestare, esclude l'operatività del precetto che impone l'astensione in assenza di informazione; ma la sussistenza di idonee misure organizzative non esclude l'obbligo dell'intermediario di <> (art. 21, comma 1, lett. a) TUF), con la dovuta diligenza professionale.
L'art. 23, comma 2 del Regolamento congiunto dispone che l'intermediario debba <> le situazioni di conflitto di interessi perché ciascuna situazione <>. Pertanto la <> delle situazioni di conflitto di interessi, operata per lo più con misure organizzative, ha per obiettivo quello di <> all'intermediario di fare il suo dovere, il che significa che l'organizzazione e più latamente la gestione debbono costituire, sul piano dell'attività, la premessa perché all'intermediario sia consentito (non sia impedito, appunto) di fare il suo dovere; l'art. 25 del Regolamento congiunto dopo avere previsto al comma 4 i criteri per definire le misure organizzative sancisce al comma 5 che gli intermediari <>.
6.3. Il caso della consapevole scelta dell'intermediario di non adottare alcuna misura organizzativa per affidarsi intieramente all'informazione.
Poiché la <> delle situazioni di conflitto di interessi si fonda sul <> (art. 25, comma 1 del Regolamento congiunto), i costi dell'organizzazione possono indurre i diversi intermediari ad adottare misure organizzative diverse e può ben darsi che l'intermediario non adotti tutte le misure organizzative proporzionate alla sua capacità di sostenere costi.
In tali casi l'intermediario, che pure adotti le misure di informazione e di raccolta del consenso del cliente, sarà responsabile del danno patito dal cliente, in occasione di un'operazione compiuta per suo conto in una situazione di conflitto di interessi, e risponderà alla stregua del regime, più severo, del divieto di agire (obbligo di astensione), che comporta che il danno sia considerato in re ipsa.
Difatti prima della previa informazione e del consenso del cliente, l'intermediario deve organizzarsi. Sicché, in difetto di organizzazione, l'intermediario si deve astenere. È vero che l'argomento apagogico va sempre preso con le molle, ma neppure si può sottacere che, interpretata altrimenti, la disciplina sarebbe assurda, perché l'intermediario potrebbe impedire l'insorgenza dell'obbligo di informazione e della necessità del consenso del cliente (e quindi della sanzione più severa per la violazione dell'obbligo di astensione, che è il risarcimento dell'intiera perdita del cliente, da considerarsi danno in re ipsa), semplicemente non organizzandosi, rispondendo in questo caso non già per la violazione di un obbligo di astensione bensì alla stregua della regola ordinaria sul nesso di causalità.
Invece, l'intermediario risponde alla stregua della regola ordinaria sul nesso di causalità laddove (i) si sia organizzato o comunque abbia individuato e gestito in maniera idonea la situazione di conflitto di interessi ovvero (ii) abbia correttamente informato il cliente e raccolto da lui il consenso; in tali casi, il giudizio concerne il perseguimento del migliore interesse del cliente alla stregua del dovere di diligenza professionale.
Può darsi inoltre una leggera variante, nella condotta dell'intermediario, rispetto al caso appena prospettato.
Sempre nell'ottica del risparmio di costi di organizzazione, può accadere che l'intermediario predisponga un sistema di gestione delle situazioni di conflitto di interessi (che dovrebbe comportare l'inoperatività dell'obbligo di informazione) incentrandolo sulla previsione di un vincolo a rendere per ciascuna operazione un'informazione al cliente. Si assiste così al passaggio dall'obbligo legale di informazione condizionato alla mancata organizzazione all'obbligo convenzionale di informazione come metodo volontario di gestione delle situazioni di conflitto di interessi. In breve, l'intermediario evita o riduce i costi di organizzazione (ad esempio, assunzione di più dipendenti destinati a funzioni diverse per evitare cumuli di funzioni quali verifica, controllo, internal audit), ed informa, senz'altro. Ma la previsione è di informare, non, di informare e raccogliere il consenso.
Anche in questi casi, l'intermediario che manchi di informare risponderà alla stregua del regime, più severo, del divieto di agire (obbligo di astensione), che comporta che il danno sia considerato in re ipsa.
In chiave di deterrence, la previsione della sanzione del risarcimento dell'intiero danno per violazione dell'obbligo di astensione in caso di mancata organizzazione dovrebbe rappresentare un incentivo a che gli intermediari impossibilitati a sostenere i costi di un'organizzazione adeguata adottino, più in generale, la politica aziendale di astenersi senz'altro dal compiere operazioni particolarmente pericolose per i clienti.
7. (segue). La situazione di conflitto di interessi ed il carattere di gravità della lesione.
L'art. 25 del Regolamento congiunto riduce l'ambito di applicazione del precetto che impone di gestire i conflitti di interessi, perché dispone che la politica di gestione deve riguardare le situazioni di conflitto di interessi <> e <>.
Dunque, le misure organizzative sono volte a prevenire l'insorgenza di situazioni di conflitto idonee a ledere gravemente l'interesse del cliente.
Che il Regolamento congiunto, in conformità alla disciplina di secondo livello, non esiga dagli intermediari l'adozione di misure organizzative per prevenire situazioni di conflitto di interessi non idonee ad arrecare lesioni gravi, conferma, a ben vedere, quanto siamo venuti più volte evidenziando, e cioè che, a dispetto di quanto potrebbe suggerire una lettura superficiale, anche in materia di conflitto di interessi le semplici misure organizzative ed informative non esauriscono gli obblighi dell'intermediario. Per le situazioni di conflitto di interessi non idonee ad arrecare lesioni gravi il giudizio intorno alla responsabilità dell'intermediario (e se del caso alla risoluzione) prescinderà del tutto dall'accertamento dell'intervenuta individuazione e dell'adozione di misure preventive di gestione.
8. La disciplina degli incentivi (inducements) e la diversa disciplina incentrata sull'informazione, senza successivo consenso del cliente.
Costituisce principio pacifico e risalente nella materia dei rapporti di cooperazione che l'interesse del cooperatore al compenso - da corrispondersi da parte del cliente - non è mai in conflitto con l'interesse del cliente, posto che la situazione è da far risalire alla scelta del cliente di impegnarsi a corrispondere il compenso all'interno di un rapporto a titolo oneroso.
Anche le Sezioni Unite, con le sentenze nn. 26724 e 26725 del 19 dicembre 2007, hanno precisato, con un importante obiter dictum, che in materia di intermediazione finanziaria l'interesse in conflitto <>.
La Mifid ribadisce il principio, disponendo, all'art. 52 del Regolamento Consob n. 16190 del 2007, che <>.
Per converso, una situazione di conflitto di interessi sussiste se il compenso è corrisposto da un terzo: perché il cooperatore può essere interessato a percepire il compenso dal terzo, alle condizioni con questo pattuite nei soft commission agreements, e comunque il compenso del terzo può incidere sull'azione del cooperatore e, ove incida, può determinare un risultato dell'azione contrario all'interesse del cliente per l'incidenza dell'interesse al compenso.
Per questa ragione, l'art. 52 del Regolamento n. 16190 detta una disciplina del conflitto di interessi, riconducibile ai c.d. inducements provenienti da soggetti diversi dal cliente, senza preindividuare i tratti caratterizzanti della situazione, bensì rinviando ad un accertamento da svolgersi caso per caso.
Così l'art. 52 del Regolamento n. 16190 dispone che <>.
La formulazione, in verità tutt'altro che felice, va intesa nel senso che l'interprete deve accertare caso per caso se gli inducements danno luogo o meno ad una situazione di conflitto di interessi (la situazione di conflitto di interessi essendo da ravvisare allorché risulti che gli inducements non <> e del pari allorché, in alternativa o in aggiunta, risulti <Se la situazione di conflitto di interessi - da accertarsi caso per caso - è ritenuta sussistente, occorre accertare se l'intermediario abbia <> (ma la comunicazione può avvenire <>, salvi <>).
Si tratta di un obbligo di informazione al quale, a differenza dell'obbligo di informazione previsto dal Regolamento congiunto per le diverse situazioni di conflitto di interessi (che non si siano potute gestire in maniera idonea), non è previsto che debba seguire un consenso del cliente. Pertanto, non sussistendo alcun obbligo di astensione, ove non abbia dato adeguata informazione, l'intermediario risponde alla stregua delle regole ordinarie sul nesso di causalità (e non del regime più severo incentrato sul danno in re ipsa).