La falcidia del credito IVA dopo le Sezioni Unite e il nuovo art. 182-ter l.f.
Pubblicato il 12/01/17 02:00 [Articolo 558]






Con sentenza n. 26988 del 27 dicembre 2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione in funzione nomofilattica, nell'annosa vicenda della falcidiabilità dell'IVA nei concordati preventivi, che tanto ha impegnato gli interpreti e gli operatori del settore, hanno statuito il seguente principio di diritto, probabilmente nel comprensibile intento di rendere più accessibili i concordati con scarse risorse a disposizione da destinare al Fisco: «la previsione dell'infalcidiabilità del credito IVA di cui all'art. 182 ter legge fall. trova applicazione solo nell'ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale».

Altrettanto probabilmente tuttavia le SS.UU. hanno così complicato la lettura della vicenda IVA sia in ambito concordatario che di sovraindebitamento.

Infatti, il quadro interpretativo sembrava del tutto chiaro dopo la sentenza della Corte di Giustizia del 7 aprile 2016, ora lo è un po' meno.

La premessa storica accettata prima della sentenza della Corte di Giustizia era la seguente: l'IVA non è mai falcidiabile, perché è una risorsa non disponibile dagli Stati membri.
Diverse sentenze della Cassazione civile (Cass. 4 novembre 2011 n. 22931; Cass. 4 novembre 2011 n. 22932; Cass. 16 maggio 2012 n. 7667; Cass. 30 aprile 2014 n. 9541; Cass. 25 giugno 2014 n. 14447; Cass. 22 settembre 2016 n. 18561) e della Cassazione penale (Cass. Pen. 31 ottobre 2013 n. 44283, per la quale l'omesso pagamento integrale dell'IVA costituisce reato, a prescindere dalla transazione fiscale), nonché una della Corte Costituzionale (Corte Cost. 25 luglio 2014 n. 215) si sono pronunciate in tal senso negli ultimi anni. La Corte Costituzionale ha anche detto, per giustificare gli effetti di tale interpretazione sulla graduazione dei privilegi, che l'ordine delle prelazioni è modificabile con legge, dunque ha dato il via libera alla sostanziale prededuzione dell'IVA, che è collocata dal legislatore al 19° grado dei privilegi).

Poi è arrivata la sentenza della Corte di Giustizia 7 aprile 2016 (attivata da Trib. Udine 30 ottobre 2014), che, ribadito il concetto della non falcidiabilità dell'IVA in nessun caso, ne ha ammesso la ragionevole deroga quando l'Erario andrebbe ad incassare meno dal fallimento che dal concordato con IVA falcidiata, per ovvie condivisibili ragioni di praticità, oggettivamente riscontrabili.

Dunque lo sdoganamento della falcidiabilità dell'IVA è stato ancorato dalla Corte di Giustizia, che ha a sua volta una funzione nomofilattica comunitaria, ad un giudizio di obiettivo miglior realizzo dell'attivo concordatario rispetto alla bieca liquidazione fallimentare.

Questo valeva ovviamente per tutti i concordati, con e senza transazione fiscale.

E doveva valere, essendo sorretta dai medesimi cardini ermeneutici, anche per la procedura ex lege n. 3/2012 di sovraindebitamento con accordo (prevista per il piccolo imprenditore o per il professionista con un debito IVA), nella quale della transazione fiscale non vi è neppure l'ombra (v. art. 7, co. 1, l. n. 3/2012).

In questa procedura, infatti, l'obbligo di pagamento integrale dell'IVA è svincolato da qualunque ipotesi di accordo (o non accordo) col fisco: la transazione fiscale è un istituto non previsto dalla legge n. 3/2012.

Il sistema che ne risultava (dopo Corte di Giustizia 7 aprile 2016) era comprensibile e fluido: l'IVA non è mai falcidiabile per l'imprenditore, con e senza transazione fiscale (che è una particolare modalità endoconcordataria nazionale, e non può condizionare il nostro rapporto con la Comunità Europea), sia che si tratti di imprenditore soprasoglia (ammesso al concordato preventivo) sia che si tratti invece di imprenditore sottosoglia (ammesso alla procedura di sovraindebitamento; e ciò vale anche per il professionista sovraindebitato, debitore di IVA), salvo che il debitore dimostri il miglior realizzo per l'Erario nella procedura pattizia rispetto a quella liquidatoria forzata (fallimento o liquidazione ex art. 14 ter l. n. 3/2012).

Ora però che le SS.UU. dicono che l'IVA non è falcidiabile solo con la transazione fiscale, sorgono alcune questioni:

a) conformità ai principi comunitari: la sentenza della Corte di Giustizia è praticamente disapplicata laddove dice, a mo' di principio, che l'IVA non è mai falcidiabile, salvo il caso della verifica di miglior realizzo in ambito concordatario rispetto al fallimento, e che esiste, in linea di principio, un obbligo di riscossione integrale dell'IVA da parte degli Stati membri, potendo soltanto scegliere il modo della riscossione integrale, non certo l'an [così la Corte di Giustizia: "19. A tale riguardo occorre ricordare che dagli articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA nonché dall'articolo 4, paragrafo 3, TUE emerge che gli Stati membri hanno l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire il prelievo integrale dell'IVA nel loro territorio (sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 37; Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 20; Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punto 25, e WebMindLicenses, C 419/14, EU:C:2015:832, punto 41). 20 Nell'ambito del sistema comune dell'IVA, gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, al riguardo, di una certa libertà in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione (sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punto 38, e Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punto 21)."];

b) disparità di trattamento rispetto agli imprenditori sottosoglia (e i professionisti) sovraindebitati, per i quali l'IVA non è mai falcidiabile, dunque l'imprenditore sottosoglia MAI potrà proporre un accordo con falcidia dell'IVA, mentre il soprasoglia SEMPRE (senza transazione fiscale, naturalmente), e questo a prescindere dalla condizione di miglior realizzo della posta per IVA nel concordato rispetto al fallimento; e perché mai l'imprenditore sottosoglia (o il professionista) non dovrebbe poter falcidiare l'IVA e quello soprasoglia sì? Cosa giustifica questa disparità di trattamento? [così la Corte di Giustizia: "21. Tale libertà è tuttavia limitata dall'obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all'interno di uno degli Stati membri che nell'insieme dei medesimi. La direttiva IVA deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell'IVA, in base al quale operatori economici che effettuino operazioni uguali non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell'IVA."];

c) praticabilità degli accordi col fisco: questo è probabilmente e praticamente il de profundis per la già agonizzante transazione fiscale nel vecchio testo.

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Per la verità, il nuovo art. 182ter l.f. pone ulteriori interrogativi, peraltro in parte analoghi a quelli posti dalla Cass. SS.UU. in commento, tutti comunque discendenti dall'aver collegato la falcidiabilità dell'IVA alla transazione fiscale, invece che al giudizio di miglior realizzo nel concordato rispetto al fallimento.

In particolare, per il nuovo art. 182ter l.f.:

a) la falcidia dell'IVA è possibile solo nell'ambito della transazione fiscale, dunque ne restano inopinatamente esclusi gli imprenditori sottosoglia, che non hanno accesso al concordato preventivo (e pure i professionisti sovraindebitati), per i quali nella legge n. 3/2012 non è prevista transazione fiscale di sorta;

b) la falcidia è possibile solo per il caso di incapienza dei beni mobili sui cui insiste il privilegio (evento indisponibile, non dipende dal debitore), attestata da un professionista, mentre la Corte di Giustizia l'aveva agganciata al giudizio di miglior realizzo concordatario, dunque - verosimilmente - all'intervento di finanza esterna (evento disponibile, dipende dal debitore);

c) la falcidia dell'IVA non è più possibile al di fuori della transazione fiscale, eludendo il dettato della Corte di Giustizia, che stabilisce che il trattamento deve essere uguale per tutti i debitori, siano o meno ammessi alla transazione fiscale (es. gli imprenditori sottosoglia e i professionisti non lo sono); decidano essi o meno di sottoporsi alla transazione fiscale (per loro scelta); riescano a concludere o meno la transazione fiscale (per scelta del fisco).

Insomma, il parametro per la falcidiabilità dell'IVA non dovrebbe essere quello della transazione fiscale (che è un accidente endoprocedurale nazionale specifico sostanzialmente unilaterale), bensì quello indicato dalla Corte di Giustizia (se si vuole che le sue pronunce valgano nel diritto interno), che è un parametro oggettivo (dipende infatti dal valore dei beni oggetto del privilegio), non è rimesso a vicende contingenti soggettive (accordi col fisco, non necessariamente ispirati a finalità comunitarie) e vale quindi allo stesso modo per tutti.

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Infine, ma non ultimo, la Corte di Giustizia ha autorizzato una lettura del diritto nazionale tale da consentire la falcidia solo nel ragionevole caso del miglior realizzo concordatario (situazione che può e deve valere per tutti allo stesso modo) e non nel caso della conclusione di un accordo del debitore con l'agente nazionale della riscossione del tributo europeo, che opera evidentemente in base a valutazioni non sempre collimanti con quelle comunitarie, fermo restando che, nel caso della così concepita transazione fiscale, viene oltretutto disatteso l'obbligo della riscossione integrale dell'IVA, senza il correttivo giustificante della verifica del miglior realizzo concordatario.

La Corte ricorda innanzitutto che ogni Stato membro ha l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative necessarie al fine di garantire che l'IVA dovuta nel suo territorio sia interamente riscossa, verificando le dichiarazioni fiscali, calcolando l'imposta dovuta e garantendone la riscossione. Se è vero che gli Stati membri beneficiano di una certa libertà nell'applicazione dei mezzi a loro disposizione, essi sono tuttavia tenuti a garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e a non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti.

Cosicché si rischia una nuova censura comunitaria laddove l'IVA risulterà decurtabile sulla base di valutazioni soggettive del Fisco (formulate caso per caso in sede di transazione fiscale) (per violazione dell'obbligo di riscossione integrale), e per giunta diverse da regione a regione (per violazione dell'obbligo di parità di trattamento tra i contribuenti dell'IVA).





















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