Servizi di investimento: per la validità del contratto quadro occorre anche la firma della banca
Il «contratto quadro» per la prestazione di servizi di investimento è valido solo se sottoscritto da entrambi i contraenti; a sua volta, la mancanza della sottoscrizione rende inefficace i singoli ordini di investimento. Se manca la firma della banca, la conclusione del contratto non può essere desunta dalla dichiarazione scritta del cliente di aver ricevuto una copia del contratto sottoscritta dall'intermediario. Non supplisce alla mancata sottoscrizione la produzione del contratto firmato dal solo cliente nel giudizio che egli promuove per l'accertamento della nullità per mancanza di forma scritta.
La produzione in giudizio da parte della banca del documento contrattuale sottoscritto dal solo cliente può rendere vincolante il contratto unicamente per il futuro, ma non può riflettersi sugli ordini già emessi, che restano affetti da nullità (Cass., 24 marzo 2016, n. 5919; Cass., 11 aprile 2016, n. 7068).
Segnalazione illegittima in Centrale dei Rischi e obblighi risarcitori della banca
La banca può segnalare un cliente in Centrale dei Rischi solo quando ne ricorrono i presupposti di legge. Nel caso contrario, deve risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale che gli ha arrecato. Il danno non patrimoniale è risarcibile anche quando il cliente ingiustamente segnalato è un soggetto diverso da una persona fisica. In tal caso, si ha danno non patrimoniale quando la segnalazione illegittima della banca abbia leso un diritto fondamentale del cliente (ad esempio, la reputazione o l'onore) non suscettibile di una valutazione monetaria che sia basata su criteri di mercato (*).
(*) Nel caso di specie, la segnalazione aveva comportato la revoca di un fido e il diniego all'aumento di un altro; ciò aveva obbligato la società ad abbandonare temporaneamente i propri piani di espansione, per reperire nell'immediato altre forme di finanziamento, con disfunzione amministrativa e gestionale collegata a tale circostanza.
Non meritevolezza di tutela di prodotto finanziario
Non è meritevole di tutela il prodotto finanziario inutile o «capestro». La sentenza si occupa di un prodotto finanziario, diffuso nella prassi corrente, così strutturato. Al cliente viene apparentemente concesso un mutuo; la relativa somma, tuttavia, non viene consegnata al cliente, bensì investita in titoli che fanno da provvista per la banca, e non sono modificabili dal cliente. Gli stessi sono poi costituiti in pegno a garanzia del rimborso del mutuo. L'immeritevolezza della clausola deriva dall'enorme alterazione dell'equilibrio contrattuale propria di un prodotto che, presentato come avente natura previdenziale, espone il cliente a conseguenze quasi certamente svantaggiose, mentre assicura alla banca un lucro elevato, nei fatti privo di alcun rischio (Cass., 15 febbraio 2016, n. 2900).
Troppe garanzie a presidio di un credito: conseguenze
Costituisce abuso dello strumento ipotecario il comportamento della banca che iscrive un'ipoteca giudiziale su beni il cui valore eccede di oltre un terzo l'importo di un proprio credito, poi rivelatosi inesistente. Essa deve perciò risarcire i danni derivanti da un simile comportamento, che costituisce violazione del dovere di prudenza cui ogni creditore è tenuto, pure là dove agisce in via esecutiva (Cass., 5 aprile 2016, n. 6533).
Ius variandi della banca e giustificato motivo. Ius variandi e prova dell'invio della comunicazione
La banca può, se lo ha espressamente pattuito col cliente, mutare in peggio alcune condizioni economiche del contratto al ricorre di un «giustificato motivo» (c.d. ius variandi). L'atto di esercizio di questo potere unilaterale di modifica deve essere comunicato al cliente con mezzi che provino senz'altro l'avvenuta ricezione (PEC; raccomandata A/R). In mancanza, la variazione è inefficace, se concretamente svantaggiosa per il cliente. Inoltre, l'atto di esercizio di questo potere deve indicare - a pena di inefficacia - le precise circostanze che integrano il «giustificato motivo». Il riferimento alle variate condizioni di mercato non costituisce un motivo sufficiente a giustificare l'esercizio del ius variandi, data la sua manifesta genericità e la conseguente impossibilità di verificare il suo concreto realizzarsi (ABF, 27 agosto 2015, n. 6250; ABF, 13 gennaio 2014, n. 138).
Diligenza professionale della banca e obbligo di custodia dello «sportello bancomat»
La banca, che mette a disposizione un servizio di erogazione diretta di denaro tramite carta bancomat, deve garantire il corretto funzionamento e la custodia del relativo dispositivo. Essa è tenuta a risarcire il danno subito dal cliente per operazioni non autorizzate che siano rese possibili dalla manomissione del macchinario ad opera di terzi. Ha maggiore importanza il comportamento non diligente o dilatorio dei dipendenti della banca, piuttosto che quello del cliente che ritardi l'esecuzione dell'obbligo di denuncia della perdita della carta, derivante dal contratto. (Cass., 19 gennaio 2016, n. 806) (*).
(*) Nel caso di specie il cliente, accortosi che lo sportello bancomat non aveva erogato le banconote, né aveva restituito la carta, si era rivolto al direttore della filiale. Gli era stato detto di ritornare in seguito. In quel lasso di tempo il terzo che aveva manomesso lo strumento aveva recuperato la carta ed effettuato dei prelievi.
Sicurezza dei dispositivi home banking predisposti dalla banca e phishing
La banca, che offre servizi di pagamento che coinvolgono l'impiego di strumenti telematici o elettronici, deve assicurare l'adozione di mezzi idonei a contrastare i rischi che possono derivare da condotte illecite di terzi. Non rispetta questo dovere la banca che non mette a disposizione del cliente dispositivi di generatore automatica di password che possono essere utilizzate per una sola operazione (c.d. one-time password). Un tale meccanismo non impedirebbe che terzi venuti a conoscenza del codice mediante un'attività di «phishing»(*) possano realmente utilizzare lo strumento di pagamento. Mancando questo presidio di sicurezza, la banca è tenuta a risarcire il danno cagionato al cliente (Trib. Messina, 2 aprile 2015).
(*) Il phishing è la condotta fraudolenta, realizzata su internet, mediante la quale vengono carpiti codici personali della vittima attraverso la creazione di finte pagine web, che nell'aspetto replicano le pagine personali di portali, quali quelle di home banking (o di altri servizi che possono essere gestiti su internet: luce, bolletta telefonica, etc.), per il cui accesso è appunto necessaria la digitazione di codici segreti.
Contratto di assicurazione: le clausole formulate in modo ambiguo o generico si interpretano a vantaggio del cliente
L'impresa che predispone il contratto di assicurazione ha l'obbligo - che deriva dal canone generale di buona fede - di redigere il contratto in modo chiaro ed esauriente. Nel caso in cui una clausola non presenti tali connotati, la stessa dovrà interpretarsi in senso sfavorevole all'assicuratore. Non possono ricadere sull'assicurato le conseguenze sfavorevoli dell'eccessiva genericità di una clausola (*).
(*) Nel caso di specie, è stata ritenuta ambigua la clausola, inserita in un contratto di assicurazione contro i danni per «rischio di scoppio» di un macchinario industriale, che limitava l'indennizzo ai soli danni derivanti da «scoppio causato da eccesso di pressione», a motivo del fatto che non risultava chiaro se dovesse ritenersi scoppio indennizzabile anche quello derivato da una pressione inferiore a quella massima di esercizio (Cass., 18 gennaio 2016, n. 668).
Contratto di credito senza «indicatore sintetico di costo»
È nullo il contratto di credito in cui manchi l'indicazione del valore dell'ISC (indicazione sintetico di costo) (*). La funzione dell'ISC non è solo quella informativa e «pubblicitaria» per la fase anteriore al contratto, ma pure quella di dare corpo al «contenuto minimo tipico del contratto di credito» in funzione di protezione del cliente. Lo stesso mira infatti a garantire al cliente la comprensione di un dato che costituisce uno degli elementi fondamentali del contratto di credito; e che, per di più, non può essere autonomamente elaborato dal cliente, bensì dal solo istituto finanziatore, unico soggetto professionalmente in grado di effettuarlo (Trib. Cagliari, 17 marzo 2016).
(*) L'indicatore sintetico di costo è un valore numerico che esprime il costo complessivo del finanziamento sotto forma di tasso d'interesse. La sua indicazione è imposta dalla Banca d'Italia, in attuazione della normativa di trasparenza bancaria. Non sempre i criteri di determinazione dell'ISC coincidono con quelli del TEG (su cui v. infra).
Mutui in euro indicizzati a valuta estera. Clausole non espresse in maniera chiara e comprensibile. Nullità delle medesime
In un contratto di mutuo (erogato in moneta nazionale, ma) indicizzato a una valuta estera, la clausola contrattuale che fissa il relativo tasso di cambio deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile. Il funzionamento concreto del meccanismo di conversione deve essere esposto in maniera trasparente; le conseguenze economiche che ne derivano devono essere evidenti. Una clausola che preveda, in caso di estinzione anticipata del mutuo, che l'importo del capitale residuo vada prima convertito in valuta estera al tasso di cambio convenzionalmente fissato e successivamente riconvertito in valuta nazionale, ma non espone in maniera trasparente le operazioni aritmetiche da seguire per realizzare la duplice conversione, non è di agevole comprensibilità per il cliente. Ne deriva la nullità della clausola e la conseguente applicazione della norma dispositiva alla quale la banca predisponente aveva inteso derogare a proprio vantaggio (ABF, 29 luglio 2015, n. 5874).
Il cliente, se vi ha interesse, è abilitato a provare l'esistenza dell'apertura di credito anche senza contratto scritto, mediante gli «scalari di conto» o testi
L'esistenza del fido può essere provata dal correntista non soltanto per il tramite del documento costitutivo del contratto relativo, ma anche a mezzo di prove indirette (riassunti scalari, report di Centrale rischi, testi, etc.). Nonostante i contratti bancari vadano formati per iscritto a pena di nullità, la conseguente regola, che vieta il ricorso a testimoni e presunzioni per provare la loro conclusione, non è opponibile al cliente. La natura protettiva e «unilaterale» (nel senso che opera a vantaggio del solo cliente), che è propria delle nullità a tutela della clientela, determina senz'altro questa soluzione (Trib. Torino, 31 ottobre 2014).
L'effettiva applicazione dei c.d. oneri eventuali (interessi di mora, penali di estinzione anticipata, etc.) rileva ai fini del superamento del tasso soglia usurario
Ai fini del calcolo del TEG (tasso effettivo globale)(*) di un contratto di credito devono computarsi solo i costi che, nello svolgimento concreto del rapporto creditizio, si sono resi effettivamente applicabili. Da ciò consegue che i costi potenziali (ad es., interessi di mora, penali da estinzione anticipata) vanno considerati solo se e quando si verificano i presupposti materiali da cui deriva la loro debenza (Trib. Torino, 20 giugno 2015).
(*) Il tasso effettivo globale è una nozione normativa propria della normativa antiusura, che individua il costo complessivo del singolo finanziamento. Lo stesso va confrontato con il «tasso soglia» (che individua il massimo costo lecito ammissibile, per una data tipologia operativa in un dato intervallo temporale), per verificarne l'eventuale usurarietà. Non sempre i criteri di determinazione del TEG coincidono con quelli dell'ISC (su cui v. supra).
Cessione del quinto e commissioni generiche
Nei contratti di «cessione del quinto», occorre fare attenzione alle clausole denominate «commissioni». Se il contratto non descrive precisamente quale sia l'esatta funzione di queste voci economiche (i.e. quale prestazione o servizio il cliente sta pagando), le clausole sono nulle, e l'intermediario deve restituire al cliente il relativo importo. La sussistenza, in capo alla banca, di un obbligo legale di trasparenza e chiarezza nella redazione del documento contrattuale conduce a una simile conclusione (ABF, 22 dicembre 2014, n. 8613).
Applicazione abnorme della CIV. Conseguenze
Nel caso di utilizzi del conto corrente oltre il limite di fido o in assenza di fido, la banca ha diritto, se ciò è pattuito nel contratto, di addebitare al cliente una «commissione di istruttoria veloce» (CIV), di ammontare pari all'effettivo costo di istruttoria sostenuto dalla banca per il singolo utilizzo. Una eccessiva frequenza della applicazioni della CIV (*) viene però a indicare che ragionevolmente l'attività istruttoria non sia realmente stata espletata per ciascun addebito. Ciò evidenzia che la banca ha tentato di eludere la regola legale che impedisce l'addebito di costi ulteriori rispetto alle spese di istruttoria effettivamente sostenute. A ciò consegue che gli addebiti devono essere cancellati dal conto (ABF, 18 giugno 2015, n. 4971).
(*) Nel caso di specie, erano state addebitate CIV ogni 2-3 giorni, o addirittura per più giorni consecutivi. Nel dettaglio: quarto trimestre 2012 - n. 36 volte per un totale di 5.930,00; primo trimestre 2013 - n. 42 volte per 7.830,00; secondo trimestre 2013 - n. 12 volte per 2.600,00; terzo trimestre 2013 - n. 24 volte per 3.110,00; quarto trimestre 2013 - n. 3 volte per 380,00.
Domanda di rettifica del saldo di conto corrente e prova del pregresso andamento del conto
Anche mentre il rapporto di conto corrente bancario è in corso, il cliente può agire nei confronti della banca al fine di accertare l'invalidità di talune pattuizioni del contratto in materia di interessi, commissioni e spese, e ottenere una rettifica del saldo di conto corrente. Una volta che sia emersa in giudizio l'invalidità di clausole relative a interessi e spese, è la banca convenuta a dover dare prova del proprio credito. Essa deve perciò ricostruire per intero l'andamento del conto, producendo in giudizio tutti gli estratti conto relativi al medesimo. Se mancano uno o più di questi documenti, il giudice provvede a rideterminare il saldo di conto mediante il criterio del c.d. saldo zero(*) (App. Lecce, 12 novembre 2015).
(*) L'applicazione del saldo zero comporta che si vada a verificare, partendo dalla data dell'azione giudiziaria e muovendo a ritroso, per quale lasso temporale sussiste la continuità ininterrotta degli estratti conto. Individuato il relativo termine, si ricalcola il saldo finale riferendo a quella data un saldo zero (e ciò anche se, in ipotesi, l'estratto conto più risalente - per il periodo in cui sono prodotti tutti gli estratti - porta un saldo a debito per il cliente).
Poste illegittimamente addebitate dalla banca e diritto del cliente all'immediata rettifica del saldo
Nel caso in cui il conto corrente risulti ancora aperto, il cliente ha diritto alla immediata rettifica delle poste che siano state illegittimamente iscritte dalla banca a suo debito, con la conseguente rettifica anche del saldo (Trib. Venezia, 17 settembre 2015).
Credito di conto corrente e onere della prova
Qualora la banca vanti un credito nei confronti di un cliente con cui intrattiene rapporti di conto corrente, per il recupero delle somme deve produrre tutti gli estratti conto scalari relativi al rapporto. In caso di mancata produzione, il decreto ingiuntivo ottenuto è nullo (Trib. Torino, 23 marzo 2016).
Rimesse in conto corrente e prescrizione dell'azione di ripetizione: onere della prova
Il credito del cliente per la restituzione di quanto abbia indebitamente(*) versato alla banca è soggetto all'ordinaria prescrizione decennale. Qualora i versamenti effettuati in conto corrente abbiano la sola funzione di ripristinare il fido, la prescrizione inizia a correre dalla data di estinzione del saldo risultante alla chiusura del conto; qualora invece si tratti di rimesse su conti non affidati o comunque «scoperti», la prescrizione corre dal momento dell'annotazione della rimessa. Dato che la normale funzione della rimessa è quella ripristinatoria del fido, la prova della diversa funzione solutoria incombe su chi eccepisce l'avvenuta prescrizione della relativa azione di ripetizione (App. Bari, 8 ottobre 2015).
(*) La natura indebita del pagamento può dipendere da clausole relative agli interessi uso piazza, addebiti per spese e commissioni di massimo scoperto, illegittime prassi anatocistiche (fattispecie tutte ricorrenti nel caso di specie); più in generale, da ogni ipotesi di carenza del relativo titolo giustificativo.
Il saldo passivo del conto corrente non impedisce al cliente di chiudere il rapporto
Qualora il cliente domandi di chiudere il rapporto di conto corrente in essere, la banca deve dar corso alla richiesta e in modo tempestivo. Non è di ostacolo il fatto che il conto presenti un saldo passivo. Il cliente vanta, infatti, il diritto di recedere da rapporti a tempo indeterminato, senza che questo possa essere condizionato dalla presenza di passività sul conto alla data della richiesta. La banca, che non procede a quanto richiesto dal cliente, versa in stato di inadempimento contrattuale, con la conseguenza che gli addebiti per spese e oneri, dalla stessa appostati in conto, risultano non dovuti (ABF, 19 aprile 2013, n. 2076).
Costi per avere copia della documentazione relativa ai propri rapporti con la banca
Il cliente, che chiede alla banca copia della documentazione inerente alle operazioni poste in essere in esecuzione del rapporto di conto corrente, deve sopportare esclusivamente i «costi di produzione» degli stessi effettivamente sostenuti. Ciò esclude che siano legittime le richieste di compensi forfetari a fronte di generici dispieghi di tempo e di energie per l'estrazione dei documenti domandati dal cliente. Il rimborso dei costi di produzione effettivamente sostenuti è subordinato alla prova documentale degli stessi da parte della banca (ABF, 28 settembre 2015, n. 7600).
Diritto del fideiussore ad avere copia della documentazione relativa al rapporto garantito. Questo diritto è tutelabile anche a mezzo di decreto ingiuntivo
Anche al fideiussore va riconosciuto il diritto di richiedere copia della documentazione inerente alle operazioni poste in essere in esecuzione del contratto; e ciò negli stessi termini in cui viene riconosciuto al debitore principale. In ogni caso, tale diritto può ricevere tutela anche a mezzo di decreto ingiuntivo (Trib. Prato, 13 aprile 2015).
Clausola «rischio cambio» nel contratto di leasing
Nel contratto di leasing la clausola, che fa dipendere la variazione del canone mensile dall'andamento del cambio tra euro e una divisa estera (nella specie, franco svizzero), dà luogo a un'operazione di investimento. Si tratta, in particolare, di uno strumento finanziario derivato «incorporato» all'interno del contratto di leasing. Dalla natura di strumento finanziario di questa clausola discende l'obbligo della banca predisponente di rispettare le norme di condotta previste dal Testo unico sull'intermediazione finanziaria. Perciò, prima di concludere il contratto, la banca deve assumere tutte le informazioni opportune per valutare il «profilo di rischio» del cliente e, sulla base di queste informazioni, valutare l'adeguatezza dello strumento (qui, la clausola di cambio) rispetto alle caratteristiche del cliente. Se la banca non fornisce la prova di aver svolto tale attività o non informa specificamente il cliente dei rischi insiti nell'operazione, o se comunque il prodotto si mostra inadeguato rispetto alle esigenze del cliente, la banca deve risarcire il danno conseguente alle perdite derivate dall'applicazione della clausola di cambio (Trib. Udine, 29 febbraio 2016).
Leasing traslativo e clausola penale
Nel leasing diretto a far acquistare al cliente la proprietà di un bene, occorre fare attenzione alla clausola di quantificazione preventiva del danno da inadempimento del medesimo. Quella che individua il danno nella somma di tutti i canoni scaduti e a scadere è eccessiva e va ridotta anche d'ufficio dal giudice. Diversamente, la società concedente manterrebbe la proprietà del bene e nel contempo acquisirebbe i canoni dovuti anche per il futuro, ottenendo così un vantaggio maggiore di quello che gli deriverebbe dall'esatto adempimento dell'utilizzatore (Cass., 10 febbraio 2015, n. 2491).
Operatività in derivati e «alea bilaterale»
I contratti derivati presentano per definizione un connotato di rischio che deve essere presente e significativamente reale per entrambi i contraenti anche se non equamente distribuito. L'incertezza sull'andamento di entrambi i differenziali contrapposti costituisce elemento essenziale della causa di tali contratti. Perché un contratto di copertura possa dirsi meritevole di tutela, quindi valido, è necessario che sia strutturato secondo un effettivo collegamento con il finanziamento sottostante (all'aumentare del tasso di riferimento del debito oggetto di copertura deve corrispondere sempre un adeguato aumento della cedola netta a favore del cliente). Qualora nel concreto il contratto derivato sia stato strutturato di modo da non permettere al cliente di rimanere indenne in alcun caso dal rialzo dei tassi, il contratto stesso è immeritevole di tutela, dunque nullo per difetto di causa (Trib. Roma, 8 gennaio 2016).
(*) Un contratto derivato è il contratto mediante il quale due parti si accordano per scambiarsi in base a regole e formule prestabilite, dei flussi finanziari futuri il cui ammontare è determinato in relazione ad un valore sottostante: al termine, il contratto verrà normalmente eseguito mediante il pagamento del differenziale.
Contratto derivato e costo di sostituzione(*) rimesso all'arbitrio della banca. Invalidità dell'intero contratto
Nel caso in cui il cliente abbia stipulato con la banca un contratto derivato (quali quelli di Interest Rate Swap, correnti nella prassi), il rinvio per la quantificazione del costo di sostituzione alle "condizioni praticate da controparti di mercato su operazioni sostitutive di quella oggetto del contratto risolto ed aventi uguali caratteristiche" rende il criterio di riferimento non determinabile. Il costo di sostituzione (MtM) risulta unilateralmente rimesso alla valutazione della banca e non verificabile dal cliente. Dal momento che l'MtM è componente essenziale dell'oggetto del contratto, seppure destinato ad operare in casi particolari (quali quelli di chiusura anticipata del rapporto), il carattere non determinabile implica l'invalidità dell'intero contratto derivato. Le somme versate in esecuzione del rapporto invalido risultano pertanto non dovute e, in quanto tali, il cliente ha diritto alla loro restituzione (Trib. Milano, 9 marzo 2016).
(*) Il costo di sostituzione costituisce il criterio per determinare il differenziale dei contrapposti flussi finanziari in un contratto derivato.
Nullità del contratto bancario e legittimazione del fideiussore alla relativa azione
Anche il fideiussore è legittimato a far valere in giudizio la nullità del contratto principale per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa. Al contratto di fideiussione si estendono, infatti, queste cause di invalidità; se così non fosse, verrebbero indirettamente realizzati, con il rapporto accessorio, risultati non consentiti dall'ordinamento giuridico (Trib. Roma, 8 gennaio 2016).
Fideiussione prestata in condizione di conflitto di interessi: annullabilità
È annullabile la fideiussione stipulata da una società nella persona del proprio amministratore unico, qualora questo risulti essere anche socio e amministratore della società debitrice principale. Peraltro, il conflitto di interessi non può derivare dalla sola coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società. La sussistenza del conflitto va accertata a livello di fattispecie concreta: qualora l'importo massimo garantito risulti essere di molto superiore rispetto al capitale della società garante(*), tale conflitto sussiste effettivamente, sì da comportare l'annullamento del negozio di fideiussione (Trib. Ancona, 10 febbraio 2016).
(*) Nel caso di specie la società garante che aveva contratto la fideiussione tramite il proprio amministratore unico, si era accollata tutti i debiti presenti e futuri della debitrice principale per un importo massimo di 3.356.970,50 a fronte di un capitale sociale che non appariva da tempo aver superato 60.000,00.
Assegno bancario non trasferibile pagato a persona diversa dal beneficiario: responsabilità della banca
L'assegno bancario non trasferibile è soggetto a una peculiare responsabilità della banca. Se paga a persona diversa del beneficiario indicato nel titolo, la banca non è liberata dalla propria obbligazione verso il cliente, nemmeno se prova che l'errata identificazione non è riconducibile a un difetto di diligenza dell'addetto allo sportello o di altri suoi dipendenti (Cass., 9 febbraio 2016, n. 3405).
Responsabilità della compagnia assicurativa per illeciti perpetrati dai propri dipendenti
Quando un dipendente della Compagnia assicurativa(*) si faccia autore di illeciti in danno ai clienti (quale la sottrazione dei capitali da questi investiti), la stessa Compagnia è tenuta, in solido con l'autore del fatto, al risarcimento del danno da illecito subito. L'obbligo di risarcimento sussiste alla condizione che il comportamento illecito tenuto sia stato agevolato da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell'attività lavorativa, nonostante il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del datore di lavoro (App. Palermo, 16 gennaio 2016).
(*) Nella specie si trattava di un «responsabile commerciale e capoarea» della Compagnia.