Sommario: 1. Gli interessi: inquadramento dogmatico. 2. Gli interessi sotto il profilo funzionale. 3. Correlazione tra frutti civili e rapporto contrattuale. 4. I principi generali della trasparenza, della proporzionalità, e della non discriminazione sanciti dai trattati e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE. 5. L’art. 1284 c.c.: natura del saggio di interesse. 6. L’art. 1284[1] c.c.: natura del saggio di interesse. 7. L’imputazione dei pagamenti: artt. 1193 e 1195 c.c..
In relazione ai rapporti obbligatori, il legislatore, pur disciplinandolo in molte norme, non ha dato una definizione di interessi, confidando sulla univocità della nozione tradizionale accettata nel linguaggio sia comune che giuridico.
Naturalmente, laddove il legislatore omette di definire un istituto, il giurista deve, per poter procedere alla sua analisi, estrapolare, attraverso le norme che lo disciplinano, una nozione.
Non starò ad elencare le numerose definizioni date al termine interessi, forse impossibile da definire in modo puntuale, data l’eterogeneità delle norme che lo richiamano e disciplinano, seppur si renderà necessario cavalcare alcune di esse, le più condivise ed illuminate, senza nulla togliere agli altri commentatori.
Sotto il profilo storico, gli interessi hanno indubbiamente rappresentato uno degli indici più fedeli e significativi del mutamento dei mercati dei capitali.
Gli interessi hanno avuto un largo uso in epoca romanistica, subendo poi una forte resistenza (seppur sotto certi aspetti solo apparente) nel medioevo per il divieto canonistico delle usure[2], tuttavia hanno contribuito in modo significativo alla formazione dei capitali commerciali.
Lo sviluppo dell’economia mercantile ha trasformato il denaro (ovvero la sua funzione) in strumento di speculazione, ed in concomitanza il divieto canonistico fu eliminato in tutta Europa.
In Germania, con il par. 174 del Reichsabschied del 1654, venne posto fine al divieto sugli interessi, e stabilendo, tuttavia, la possibilità di applicare interessi solo nel settore commerciale e non civile e ponendo un limite oltre il quale gli interessi divenivano illeciti (tra il 4 e il 6%).
Tale passaggio storico è particolarmente significativo poiché porterà allo sviluppo dell’interesse oggi noto come moratorio.
Infatti già nel codice napoleonico (art. 1153) la misura dell’interesse veniva rimandato ad un tasso fissato dalla legge.
In tutta Europa, imperava il limite di applicare gli interessi entro il limite del 4 – 5 % e la quantificazione degli interessi moratori avveniva con il rinvio alla detta misura legale stabilita come limite massimo per gli interessi convenzionalmente disposti.
La ratio era riconducibile all’esigenza di compensare il creditore per il ritardo nel rientro del proprio capitale che poteva quindi ottenere il vantaggio economico corrispondente a quello della più favorevole contrattazione.
In seguito con la “liberalizzazione” del saggio di interesse, il collegamento tra i tassi venne meno.
È proprio con la codificazione francese ed italiana che si trovano le prime disposizioni relative agli interessi (art. 1153 code Napoleon; art. 1224 codice Albertino; art. 1231 c.c. del 1865). L’influenza canonistica, nonostante il superamento del divieto di usura, perderà ogni rilievo solamente nel XIX secolo quando fu finalmente affermato il principio della decorrenza di pieno diritto degli interessi indifferentemente dagli accodi (sia avvia dunque la concezione moderna degli interessi che oggi troviamo nell’art. 1282 c.c.).
Il primo cambiamento in tal senso lo troveremo ancora una volta nella legislazione tedesca: il par. 289 del primo codice di commercio tedesco (ADHGB del 1861) stabilirà che: i commercianti possono tra loro, negli atti che sono di commercio da ambo le parti, chiedere, anche senza patto o interpellanze, interessi per ogni credito dal giorno della sua scadenza[3].
Un principio molto simile troverà ingresso nel codice di commercio italiano del 1882 che all’art. 41 prevederà che i debiti commerciali liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto[4].
È qui che troviamo l’origine della distinzione degli interessi (art. 1231 cod. 1861) intesi come compenso corrispettivo dell’uso di quella fecondità che, negli affari commerciali, si ritiene effettiva, con presunzione assoluta e gli interessi moratori.
Solo nei rapporti commerciali, però, gli interessi accompagnavano il debito liquido ed esigibile come si può rilevare dal par. 289 ADHGB del 1861, dall’art. 41 cod. di commercio del 1882 e dal
par. 353 HGB del 1897.
Nei rapporti civili l’interesse era ammesso esclusivamente come risarcimento danni subito da un creditore per il ritardo nel pagamento.
Questo il retaggio storico alla base delle discussioni parlamentari relativi alla redazione del codice del 1942.
Nella Relazione Ministeriale n. 570, le diverse tipologie di interessi vengono definite in funzione della loro causa ovvero a seconda che abbiano una funzione remunerativa, data la naturale fecondità del denaro, o risarcitoria intesa come liquidazione forfettaria minima del danno per ritardato pagamento[5].
Sono dunque chiamati compensativi gli interessi che prescindono dalla mora del debitore e dunque dalla scadenza.
Sono invece corrispettivi gli interessi che dipendono dalla naturale scadenza del debito.
Tale tripartizione fu voluta nel ’42 dal ministro guardasigilli al fine di differenziare i concetti di interesse, in passato inteso unitariamente tra moratori e corrispettivi, ribadendo la peculiarità e specificità di quelli compensativi[6].
Infatti in precedenza la dottrina italiana non distingueva gli tra corrispettivi e compensativi ma solo i prima dai moratori[7].
Rappresentano una impronta storica fondamentale per comprendere la natura degli interessi le considerazioni svolte dalla Commissione Senatoriale in relazione al progetto Pisanelli del codice civile del 1865 che sosteneva la necessità di non porre un limite alla liceità degli interessi al fine del rispetto della
Legge economica invariabile, che fa uscire il prezzo delle cose permutabili dal rapporto tra l’offerta e la domanda … (evitando di lasciare) … i capitali inerti e stagnanti nelle mani dei prestatori con grave iattura dell’agricoltura e dell’industria.
Ebbene, dall’analisi storica l’interesse esprime la sua natura in relazione alla disciplina dei rapporti monetari e al capitale (QUADRI).
Ecco allora, che la stretta relazione tra interesse e capitale, sembra consacrarsi nell’art. 820 u.c. c.c.
Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni.
Tale inquadramento, riconducibile alla teoria dell’uso o del godimento[8] (Nutzungstheorie), che ha influenzato il nostro ordinamento, ha aiutato a superare una impostazione culturale che vedeva il denaro come un mero bene accantonato per un futuro scambio a scopi di consumo[9], per arrivare a ridefinirlo, nella sua funzione, come strumento per la produzione di nuova ricchezza[10].
La concezione dei frutti civili in effetti non ha convinto a fondo alcuni autori (MAZZONI, SCOZZAFAVA) che osservano che
nel nostro sistema possono essere considerati interessi in sensi tecnico solo quelli che il soggetto ritrae da un capitale come corrispettivo del godimento che altri ne abbia,
conseguentemente, i frutti come interessi avranno ragion d’essere solamente per quelli
che trovano la propria fonte in un contratto mediante cui i privati attribuiscono a terzi il godimento del proprio denaro[11].
Come si ricava dalla richiamata Relazione al codice civile n. 593, l’interesse è dunque, il prezzo del capitale che assume la natura di merce.
Tale affermazione, alla luce della richiamata dottrina[12], necessita tuttavia di una precisazione: l’interesse come corrispettivo (inteso come compenso), non è solo quello di fonte pattizia che potremo classificare come legittima, ma anche frutto di una ritenzione illegittima del un capitale[13] (QUADRI, MARINETTI): in effetti v’è chi definisce gli interessi come prestazioni pecuniarie percentuali e periodiche dovute da chi utilizza un capitale altrui o ne ritarda il pagamento[14], e chi, senza richiamarsi al concetto di capitale, si riferisce direttamente al denaro come bene produttivo di frutti civili denominati interessi[15].
Indubbiamente l’inclusione degli interessi di capitale tra i frutti civili rappresenta il risultato di un processo storico che ha voluto categorizzare tutti i redditi di sostituzione, equiparando la funzione del denaro, bene fungibile (che a differenza egli atri beni fungibili non si consuma con l’uso – MAZZONI), a tutti gli altri beni produttivi concessi in godimento.
È proprio il reddito di sostituzione, ovvero,
il provento derivato al posto del beneficio che il godimento diretto della cosa avrebbe apportato al proprietario, nozione che aveva consentito alla romanistica prima e la pandettistica poi di consolidare la derivazione della categoria dei frutti civili da quella più unitaria e generale dei frutti naturali[16].
La ricostruzione appena fatta dell’interesse manca tuttavia di attualizzare il concetto stesso di denaro.
Esso svolge tre funzioni, quella di unità di conto, di riserva di valore e di mezzo di pagamento.
È proprio sulla terza funzione, che il denaro assume la natura di bene fruttifero, ma che oggi, assume una caratterizzazione nuova[17].
Nella dottrina più recente prevale la tesi, che la regola, secondo la quale il denaro contante è l'unico mezzo legale di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, deve essere scardinata riconoscendo efficacia solutoria a mezzi alternativi di pagamento che eliminano il trasferimento materiale di moneta, come l'assegno circolare, dovendosi intendere per somma di denaro la funzione ideale del mezzo monetario[18].
Esaminando dunque l’istituto degli interessi sotto il profilo funzionale, la giurisprudenza ha distinto tra obbligazioni pecuniarie e contratti di scambio.
Funzione primaria degli interessi è, nelle obbligazioni pecuniarie, quella corrispettiva, quale frutti civili della somma dovuta, e nei contratti di scambio, caratterizzati dalla contemporaneità delle reciproche prestazioni, quella compensativa del mancato godimento dei frutti della cosa, consegnata all'altra parte prima di riceverne la controprestazione; funzione secondaria degli interessi è quella risarcitoria, propria degli interessi di mora, i quali presupponendo l'accertamento del colpevole ritardo o la costituzione in mora "ex lege" del debitore, debbono essere espressamente demandati, indipendentemente dalla domanda di pagamento del capitale.
Conseguentemente la richiesta di corresponsione degli interessi, non seguita da alcuna particolare qualificazione, deve essere intesa come rivolta all'ottenimento soltanto degli interessi corrispettivi, i quali, come quelli compensativi, decorrono, in base al principio della naturale fecondità del denaro, indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, salva l'ipotesi della mora del creditore[19].
Tale ultimo principio trova la sua fonte nell’art. 1282 c.c. per cui decorrono di pieno diritto gli interessi su tutti i debiti pecuniari liquidi ed esigibili[20].
La giurisprudenza ha precisato che l'art. 1282 sancisce il principio dell'automatica decorrenza degli interessi su tutte le somme di denaro liquide ed esigibili, con le sole eccezioni previste dalla legge[21].
Deve intendersi liquido il credito quando il suo ammontare è certo, o comunque accertabile con un semplice calcolo aritmetico[22]; la liquidazione del debito può essere affidata allo stesso creditore o ad un terzo e qualora non sia previsto diversamente è il debitore che deve provvedere alla liquidazione del proprio debito[23].
La mancanza del requisito della liquidità impedisce il decorso degli interessi di pieno diritto, tuttavia non esime il debitore da responsabilità nel caso in cui ritardi ingiustificatamente il pagamento, dunque in tal caso decorreranno gli interessi moratori[24].
Il credito è infine esigibile qualora non sia soggetto a condizione sospensiva né a termine in favore del debitore, ovvero quando la prestazione
può essere attualmente richiesta[25]: detto requisito dell'esigibilità presuppone l'infruttuosa scadenza dell'obbligazione[26].
La decorrenza degli interessi di pieno diritto, trattandosi di norma derogabile, può essere esclusa dalla volontà delle parti, con un patto che non richiede la forma scritta[27].
È un esempio la clausola che determina l'ammontare degli interessi in misura pari alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, ritenuta dalla giurisprudenza nulla in quanto non sufficientemente univoca e non in grado di giustificare la pretesa al pagamento di interessi in
misura superiore a quella legale[28].
Per le obbligazioni pecuniarie, la cui funzione primaria degli interessi, è quella corrispettiva, ovvero frutti civili della somma dovuta.
Relativamente ai contratti di scambio, invece, essendo caratterizzati dalla contemporaneità delle reciproche prestazioni, la funzione degli interessi è compensativa del mancato godimento dei frutti della cosa consegnata all’altra parte prima di ricevere la controprestazione.
Ai sensi dell'art. 1499 c.c., gli interessi compensativi sono quelli dovuti nei contratti di scambio quando le reciproche prestazioni dei due contraenti debbono avvenire contemporaneamente e sono così chiamati perché servono a compensare il creditore dei mancati frutti
e del mancato godimento della cosa da lui consegnata all'altra parte prima di riceverne la controprestazione. Essi possono essere attribuiti
dal giudice anche quando l'avente diritto, omettendo di specificarne la natura, abbia genericamente domandato la corresponsione degli interessi[29].
Esiste poi una funzione risarcitoria attribuita agli interessi, detti di mora,
che presuppone un colpevole ritardo nell’adempimento.
Come nella maggior parte dei testi non si può prescindere dalla definizione di interessi data da Ferrara F. Jr che li definì: prestazioni accessorie, omogenee rispetto alla prestazione principale, che si aggiungono ad essa per effetto del decorso del tempo e che sono commisurate ad una aliquota della stessa[30].
Sotto il profilo strutturale e statico la dottrina dunque, ha inteso l’obbligazione di interessi caratterizzata da: accessorietà rispetto ad una obbligazione principale; eguaglianza generica dell’oggetto[31] (obbligazione principale e accessoria); periodicità, intesa, in coerenza con l’art. 821 c.c. come acquisto e non inteso come scadenza, quest’ultima oggetto di convenzione tra le parti; proporzionalità[32], ovvero rapporto percentuale con l’obbligazione principale rapportato al fattore tempo.
Autorevole dottrina (QUADRI) aggiunge un ulteriore caratterizzazione quella monetaria o fungibilità dei beni oggetto della prestazione principale, ovvero del capitale.
Nell’ordinamento vigente sono normativamente riscontrabili l’interesse corrispettivo nell’art. 1282 c.c., compensativo in specifici casi previsti dagli artt. 1499, 1815, 1825, e moratori nell’art. 1224 c.c.
Tale distinzione e solo apparentemente così decisa: in realtà i confini delle varie fattispecie e norme non è così facile da individuare, tanto che alcuni studiosi hanno ritenuto il diritto delle obbligazioni uscito dalla riforma del 1942, uno dei capitoli più complessi e intricati[33].
In ragione della stretta correlazione tra frutti civili e rapporto contrattuale, parte della dottrina ha sostenuto l'improprietà della definizione codicistica e la necessità di identificare il frutto non tanto nel corrispettivo[34], suscitando tuttavia considerevoli perplessità.
In lince generali, è stato osservato come
il credito non rappresenti l’utilità finale derivante dalla cosa, ossia il suo prodotto economico, ma lo strumento attraverso cui l’utilità-corrispettivo indirettamente si consegue, giorno per giorno ed in proporzione alla durata del godimento[35].
È stato parimenti obiettato come ritenere così caratterizzante la discendenza da un diritto di credito ponga in ombra la derivazione economica del frutto civile dalla cosa madre, rendendo ora complesso discernere i frutti da proventi occasionali come le indennità o gli interessi compensativi, ora giustificare il senso della disciplina dell’acquisto introdotta dall’art. 821 c.c.: secondo BARCELLONA[36]:
“anzitutto si può osservare che facendo leva principalmente sul fatto che i frutti civili si conseguono normalmente per il tramite di un diritto di credito, si finisce col sottovalutare il rapporto di derivazione economica dalla cosa-madre, con la duplice conseguenza di rendere incerta la distinzione tra i frutti e gli altri proventi occasionali (interessi compensativi, clausola penale, indennità, ecc.) e di non poter dar conto dei criteri di ripartizione dei frutti civili adottati dal codice (art. 821 c.c.). Non si spiega, ad esempio, perché la spettanza dei frutti civili è proporzionale alla durata del rapporto con la cosa-madre e perché l’acquisto avviene giorno per giorno”.
Sempre lo stesso autore, ha ritenuto opportuno specificare il criterio con ulteriori notazioni, tali da mettere in evidenza il fatto che
per quanto i frutti civili rappresentino una ragione di credito, tale qualifica non sia immediata conseguenza della struttura del rapporto da cui essi originano, né ogni prestazione corrispettiva alla concessione del godimento di un bene produttivo possa definirsi frutto: prova ne è il fatto che il diritto di credito avente ad oggetto il corrispettivo è attribuito alla parte contestualmente alla conclusione del contratto, mentre il modo di acquisto dei frutti civili delineato dall’art. 821 c.c. subordina la qualifica al requisito della loro maturazione e proporzionalità rispetto alla durata del godimento del bene, includendo così nella categoria solo il corrispettivo per crediti già maturati durante il rapporto con la cosa madre[37].
Il principio appena richiamato è la ragione per cui viene negato che i crediti riscossi anticipatamente ed in via non correlata al periodo di effettivo godimento possano considerarsi frutti,
salvo per la parte già effettivamente maturata: non è al modo di
acquisto che deve guardarsi per definire i contorni della categoria, ma al requisito della “proporzionalità del risultato utile al periodo del godimento del diritto o della cosa[38],
poiché la corresponsione dei frutti trova il suo fondamento non nella conclusione del contratto ma nell’effettività del godimento da parte del debitore.
Conseguenza di tale impostazione è la scissione concettuale tra titolarità del diritto di credito e diritto alla percezione dei frutti civili, ove il primo obbedisce alla disciplina delle obbligazioni, mentre il secondo segue le regole proprie — e dispositive — della materia dei frutti[39].
A questo punto, appare evidente che l’ammortamento alla francese, anche senza affrontare la questione inerente il regime finanziario, appare incompatibile con il nostro ordinamento: infatti gli interessi non maturano proporzionalmente nel senso anzidetto ma esponenzialmente.
Dunque,
il modo di acquisto dei frutti civili delineato dall’art. 821 c.c. subordina la qualifica al requisito della loro maturazione e proporzionalità rispetto alla durata del godimento del bene, includendo così nella categoria solo il corrispettivo per crediti già maturati durante il rapporto con la cosa madre[40];
L’autonomia contrattuale privata non è libera nel gestire gli interessi, esistono delle norme che ne circoscrivono l’operatività: le norme che qui vengono in gioco sono principalmente l’art. 821, che stabilisce il principio di proporzionalità de gli interessi che maturano giorno per giorno (indipendentemente dalla volontà delle parti); l’art. 1282 c.c. che stabilisce che il crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto (indipendentemente dalla volontà delle parti); l’art. 1283 c.c. che vieta l’applicazione di interessi su interessi scaduti salvo i casi della convenzione posteriore alla scadenza degli stessi e della domanda giudiziale, a condizione, in entrambi i casi che siano dovuti da almeno 6 mesi; l’art. 120 c. 2 TUB che demanda al CICR i criteri di produzione degli interessi (e non più di interessi su interessi come nella precedente formulazione), e l’art. 1284 c.c. che, per le vie brevi, stabilisce che il saggio di interesse si rapporta all’anno. Tutti questi articoli vincolano l’autonomia contrattuale circoscrivendo l’operatività degli interessi.
Ciò che determina la corretta applicazione degli interessi non dipende quindi dal modo di acquisto, ma dal requisito della “proporzionalità del risultato utile al periodo del godimento del diritto o della cosa”, per cui i frutti si acquistano giorno per giorno poiché la corresponsione dei frutti trova il suo fondamento non nella conclusione del contratto ma nell’effettività del godimento da parte del debitore; di conseguenza, dato che nell’a.f. gli interessi crescono esponenzialmente (pe effetto del regime composto al quale gli interessi sono sottoposti) la conseguenza è che, sotto il profilo giuridico i frutti vengono acquisiti prima della maturazione.
Quest’ultimo passaggio non trova corrispondenza sul piano matematico, e può risultare difficile da comprendere, proprio perché ciò che consente la legge non trova applicazione nella dinamica dell’ammortamento alla francese, ed ecco allora che si finisce per non riconoscere gli interessi legittimi da quelli illegittimi finendo per classificare questi ultimi come costi occulti.
Un valido spunto critico lo offre la sentenza del Tribunale di Roma, F. Basile, n.2188/2021, dalla quale si ricava che ciò che determina il “costo occulto” è la liquidazione (rectus, acquisizione) periodica (intesa, in coerenza con l’art. 821 c.c. come acquisto e non inteso come scadenza) degli interessi che avviene più di una volta all’anno e negli anni: dunque il punto non è l’ultrannualità ma la modalità di liquidazione degli interessi: Nell’ a. f. dunque, gli interessi vengono acquisiti più velocemente (ovvero in quantità maggiore) di quanto avvenga per il capitale: interessi e capitale, si muovono in senso inverso l’uno con l’altro.
Appare dunque opportuno distinguere, nella dinamica degli interessi[41] due momenti, maturazione e scadenza, determinano dunque una conseguente distinzione necessaria ancor prima che normativa, tra capitalizzazione[42] (interessi su interessi in quanto caratterizzati dalla periodicità intesa, in coerenza con l’art. 821 c.c. come acquisto e non inteso come scadenza) e anatocismo (interessi su interessi che invece presuppone la scadenza): ritenere i due termini sinonimi vorrebbe dire o che non si attribuisce alcun valore al termine scadenza o ancora peggio, che nella realtà empirica si ritiene impossibile calcolare interessi su interessi.
La modalità di calcolo degli interessi deve rispettare i principi generali della trasparenza, della proporzionalità, e della non discriminazione sanciti dai trattati e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.
Il principio di proporzionalità, affermato incidentalmente nella sentenza Federeation Charbonniere de Belgique in applicazione del Trattato CECA (Causa C-8/55 sentenza della Corte del 29 novembre 1956), e esplicitamente enunciato nella sentenza Koester (Causa C.25/70 sentenza della Corte del 17 dicembre 1970).
Nelle Cause C-19/61 Mannesmann e C-265/87 Schrader la Corte di Lussemburgo ha affermato che il principio di proporzionalità si pone tra i principi generali del diritto comunitario e alla base dello stato di diritto, principio quest’ultimo accolto nel trattato di Amsterdam all’art. 6.
Al principio di proporzionalità, la giurisprudenza comunitaria ha attribuito la natura di norma giuridica vincolante e di applicazione diretta da parte dei giudici nazionali che sono tenuti a disapplicare le norme nazionali che sono in contrasto con esso e a rilevare d’ufficio la sua infrazione.
La citata giurisprudenza ha altresì elevato il principio di proporzionalità al rango di norma costituzionale, quale elemento regolatore che estende il
suo campo d’azione anche sull’attività legislativa comunitaria.
Da ciò consegue che uno stato dell’Unione Europea non può attribuire ad un intero settore economico (quello bancario) il diritto di imporre alla clientela condizioni economiche che sia l’effetto di asimmetria informativa che consenta ai professionisti del credito di imporre sistematicamente contratti i cui reali ed effettivi oneri siano occultati al contraente debole, e consenta attraverso contratti di massa, di contenere condizioni economiche sproporzionate che consentono di trarre un profitto ingiustificatamente esorbitante .
Il magistrato, pertanto, in ossequio al principio di proporzionalità deve disapplicare tutte quelle norme che determinano o favoriscono il conseguimento di un profitto eccessivo dalle obbligazioni pecuniarie, ed interpretare la legge antiusura alla luce del principio di proporzionalità.
Unitamente al principio di proporzionalità deve altresì essere rispettato il principio di non discriminazione sancito dall’art. 1 bis TUE.
La Corte di Lussemburgo ha statuito che il principio di non discriminazione deve essere rispettato anche nei rapporti tra imprese e tra imprese e consumatori (Causa C-5/73 Balkan, punto n. 5 della massima e C-265/87, Schraeder, punti nn. 3 e 26).
È importane, a questo punto richiamare la nota sentenza della Corte del 14 luglio 1981 nella causa C-172/80 Zuechner nella quale fu statuito che “le banche commerciali sono imprese ai sensi dell’art, 85 n. 1 del Trattato” e pertanto non godono di nessuna esenzione o trattamento privilegiato quali quelli previsti dallo status di imprese “incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale” in riferimento all’allora vigente §2 dell’art. 90 del Trattato CE.
Preso atto di tale situazione giuridica è possibile adesso ritagliare quelle sentenze comunitarie che anno affermato e ribadito i principi enunciati
inevitabilmente applicabili anche al sistema bancario.
Prima tra tutte la sentenza relativa alla Causa C-389/08 Base NV- Belgacom, nella quale al punto 33 afferma l’imperatività del “rispetto dei principi di obbiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità” e l’esigenza di “limitare le distorsioni del mercato tutelando nel contempo l’interesse pubblico”.
È importante dunque fissare alcuni punti fermi quando si tratta la materia del calcolo degli interessi: la proporzionalità, la maturazione, l’autonomia, periodicità (il giorno[43]) scadenza, divieto di capitalizzazione, divieto di anatocismo[44]: assunti detti punti, come presupposti inderogabili, potranno applicarsi i più svariati metodi di calcolo.
Esigibilità degli interessi, maturazione e scadenza. Una delle caratteristiche dell'obbligazione di interessi, secondo la ricostruzione tradizionale, è quella della periodicità.
Il computo degli interessi viene infatti effettuato in proporzione al capitale prestato e in relazione alla durata del suo godimento (anche nel caso in cui in questo godimento autorizzato ma dipenda da ritardo nella restituzione).
Ma la periodicità è carattere che attiene anche all'adempimento: il credito agli interessi diventa azionabile solo in periodi predeterminati.
Giova dunque distinguere maturazione e scadenza degli interessi.
Quanto alla prima, rientrando gli interessi monetari nel genus dei frutti, ed in particolare costituendo l'ipotesi più rappresentativa della species dei frutti civili[46], torna applicabile l'art. 821, 3° co., c.c., in forza del quale i frutti civili si acquistano «giorno per giorno, in ragione della durata del diritto».
Pertanto, allorché occorra determinare l'ammontare degli interessi legali dovuti in ordine a rapporti di durata infrannuale, dovrà dividersi l'importo degli interessi annuali per i giorni dell'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da prendere in considerazione[47].
La scadenza degli interessi coincide invece con la loro esigibilità: essa, ove non risulti diversa opzione normativa o convenzione tra le parti e non sussistano particolari usi, deve intendersi regolata dalla norma residuale di cui all'art. 1284 c.c., che fa riferimento all'anno (sempre ovviamente, che il rapporto si prolunghi fino a tale data). Un diverso orientamento, invece, propugnando l'integrale applicazione della norma di cui all'art. 821 c.c., ritiene che maturazione e scadenza vengano a coincidere e sostiene dunque che in mancanza di disciplina pattizia la scadenza naturale degli interessi sia quella giornaliera.
Resta comunque riconosciuta la possibilità di deroghe convenzionali al regime legale; si ammette anche, purché non tracimi in territorio usurario, il patto di liquidazione interamente anticipata o successiva degli interessi.
Dunque, gli interessi sono determinati in base ad una percentuale c.d. tasso o saggio d'interesse, che può essere:
- legale, se stabilito dalla legge (decreto del ministero dell'economia e delle finanze);
- convenzionale, se convenuto ossia stabilito dalle parti in deroga al tasso legale. Se superiore a quest'ultimo deve essere pattuito in forma scritta, in caso di accordo verbale si applica il tasso legale.
Invero, qualora siano dovuti interessi in relazione al ritardo nel pagamento di un debito di valore, il tasso non sarà necessariamente quello fissato per legge, ma potrà essere stabilito diversamente, avuto riguardo alle circostanze del caso specifico.
La giurisprudenza di legittimità ci insegna che in materia di determinazione degli interessi ultralegali, vigono i seguenti principi:
- in tema di contratti di mutuo, ai fini di una valida pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale, è necessaria la forma scritta ad substantiam, con la conseguenza che la mancanza di tale forma, comporta la nullità della pattuizione e l'automatica sostituzione della misura convenzionale del tasso di interesse con quello legale;
- il contenuto della clausola che prevede la corresponsione di interessi superiori rispetto all'interesse legale, per essere legittima, deve essere univoca e contenere la specifica indicazione del tasso così stabilito. Il relativo tasso deve, quindi, risultare determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati;
- il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall'articolo in commento, può essere soddisfatto anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci al documento negoziale, purché obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del relativo saggio di interesse. Ciò vuol dire che una clausola contenente un generico riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza può ritenersi valida ed univoca, solo se il riferimento per relationem sia coordinato all'esistenza di vincolanti discipline del saggio, fissate su scala nazionale con accordi di cartello, mentre è insufficiente, a tale scopo, la clausola che si limiti ad un mero riferimento “alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”, o espressioni analoghe.
Ciò in quanto, in considerazione dell'esistenza di diverse tipologie di interessi, una clausola siffatta non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi.
Facendo applicazione di tali principi[48], la Suprema Corte - con sent. 19 maggio 2010, n. 12276 - accoglie il ricorso proposto da una società condannata a pagare in sede monitoria un'ingente somma di denaro a titolo di interessi sulla base dell'impegno assunto con scrittura privata di rimborsare in caso di insolvenza della società “i sopracitati debiti maggiorati di rivalutazione e di interessi attivi bancari”.
La Cassazione, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, ribadisce che la nozione, così indicata, pur facendo un chiaro riferimento alla corresponsione di interessi convenzionali, non consente di chiarirne, neppure per relationem, la relativa misura.
Non può, infatti, condividersi l'affermazione fornita dal giudice di merito per la quale, dopo avere affermato che per interesse attivo bancario debba intendersi l'interesse attivo composto bancario, quanto al metodo di
determinazione degli interessi stessi, ha ritenuto che l'interesse attivo composto bancario fosse nozione univoca, per essere gli interessi composti quelli calcolati anche su gli interessi maturati a scadenze intermedie rispetto al piano di durata di un prestito, essendo all'epoca del negozio la prassi bancaria talmente diffusa da rendere il riferimento agli interessi composti bancari espressione chiara ed inequivocabile; e, quindi l'oggetto del negozio “evidentemente determinabile in base alle metriche richiamate, individuate e prestabilite”.
La clausola contenuta nella dichiarazione richiamata, invece, non contiene alcun parametro certo per il calcolo degli interessi, non consentendo, quindi, di determinare con esattezza l'oggetto della prestazione.
Infatti, la definizione di interessi attivi composti bancari non individua un univoco metodo di determinazione degli interessi convenzionalmente stabiliti dalle parti, che non è chiarito neppure dal riferimento agli usi ed alla prassi bancaria.
E ciò perché, in presenza di diverse tipologie di tassi praticati dagli istituti di credito, non può neppure considerarsi univoco il riferimento alle condizioni praticate dalle aziende di credito su piazza[49].
La giurisprudenza ci ricorda che affinché una convenzione relativa agli interessi ultralegali[50] sia validamente stipulata, deve avere forma scritta e contenere l'indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato, ai sensi dell'art. 1284, comma 3, c.c., che
è norma imperativa.
Tale condizione – dall'entrata in vigore della l. n. 154/1992 – può dirsi soddisfatta solo quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun regime di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante[51] (Cass. 5609/2017).
Invero, in difetto di prova certa in merito al saggio di interesse moratorio convenzionale applicabile al rapporto di durata prima della mora, o di accordo delle parti sull'applicazione, per il periodo successivo, di un saggio di interesse[52] moratorio convenzionale superiore al tasso legale, detto interesse va calcolato, a decorrere dalla mora (e dunque, ove questa non sia avvenuta prima, dalla risoluzione del rapporto) e sino al saldo, nella misura corrispondente al tasso legale, senza possibilità di applicare, in assenza di specifico accordo tra le parti, un tasso convenzionale fisso in luogo di quello, variabile, pattuito dalle parti (così Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2021, n. 24181).
In tema di cambiale, l'inclusione del credito per interessi nel titolo non esime dall'onere di provare per iscritto la convenzione relativa alla loro misura ultralegale, non valendo tale forma di rilascio, di per sé sola, a soddisfare l'obbligo della forma scritta richiesto dall'art. 1284 c.c. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva desunto il tasso di interesse ultralegale dalla misura degli interessi inglobati nel pagamento tramite vaglia postale della prima rata della restituzione del mutuo) (così Cass. civ., sez. II, 5 maggio 2022, n. 14194).
In definitiva la questione se l’art. 1284 esprima un tasso nominale o un tasso effettivo lo si ricava da una lettura coordinata con l’art. 821 c.c. il legislatore ha voluto una crescita lineare del tasso di interesse, giorno per giorno, ovvero ha voluto attribuire il potere di generare interessi solo al capitale. L’art. 1284 c.c. esprime un tasso su base annuale che potremmo definire nominale ed effettivo allo stesso tempo perché si esprime in ragione dell’anno e non in frazioni. Laddove si dovesse optare per il frazionamento del tasso ex art. 1284 in sub periodi inferiori all’anno, all’ora si dovrà rispettare il precetto dell’art. 821 c.c. al fine di impedire che il saggio legale annuo si trasformi nella sua suddivisione in sub periodi in un tasso diverso da quello espresso
La ricostruzione appena fatta conduce, in concreto, alla necessità di dover
rideterminare le imputazioni dei pagamenti effettuati dal debitore che non potranno più essere soggetti al regime dell’art. 1194 ma a quello dell’art. 1195
(e 1193 c.c.)
In base all’art. 1193, se il debitore non esercita il diritto di imputazione, ex art. 1193, tale diritto può essere esercitato dal creditore.
In particolare, il creditore può dichiarare nella quietanza a quale debito va imputato il pagamento ed il debitore che accetta la quietanza non può poi pretendere un'imputazione diversa, salvo che vi sia stato dolo o sorpresa da parte del creditore[53].
In tema di imputazione di pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall'art. 1195 cod. civ., spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, subentrando i criteri legali di cui all'art. 1193 cod. civ., che hanno carattere suppletivo, soltanto quando né il debitore né il creditore abbiano effettuato l'imputazione (Cass. civile, sez. VI - 2, 05-02-2013, n. 2672 (ord.)).
Il problema che si pone, dunque, qualora in sede giudiziale venga dichiarata la nullità della clausola di determinazione degli interessi, per violazione del combinato disposto degli artt. 821, 1282, c.c., 120. TUB, e art. 6 delibera CICR 9 febbraio 2000, o per la violazione del combinato disposto degli artt. 821, 1339 c.c. è la diversa imputazione dei pagamenti che dovrà applicarsi.
In effetti discute se l'imputazione del creditore abbia o meno natura negoziale.
In senso negativo si è espressa parte della dottrina[54].
Secondo altro orientamento[55], invece, si tratta di un negozio unilaterale essendo il creditore a procedere all'imputazione mediante la relativa dichiarazione nella quietanza (Cass. 28.3.2003 n. 4688; Cass. 29.10.2002 n. 15245).
La Cass. civile, sez. III, 16-01-2013, n. 917 (sent.) ha chiarito: In tema di imputazione del pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall'art. 1195 cod. civ., spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, subentrando i criteri legali di cui all'art. 1193 cod. civ., che hanno carattere suppletivo, solo quando né il debitore, né il creditore abbiano effettuato l'imputazione. La dichiarazione di imputazione del creditore deve però essere accettata dal debitore e, qualora sia inserita nello stesso documento contenente la quietanza, la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso contenuta e soddisfa il suo interesse a conservare la prova documentale dell'avvenuto pagamento,
ma non presuppone un accordo sull'imputazione; perché la ricezione del documento assuma valore di prova dell'accettazione dell'imputazione
operata dal creditore è necessario, difatti, che da parte del debitore essa non venga immediatamente o prontamente contestata, atteso che la mancata tempestiva contestazione assume il valore dell'acquiescenza[56].
In mancanza, si ritiene[57] che il creditore possa esercitare il suo diritto di imputazione con dichiarazione autonoma sempreché quest'ultima sia prontamente inviata al debitore.
In particolare, la giurisprudenza ha specificato che la dichiarazione di aver ricevuto una somma determinata a titolo di pagamento, fatta dal creditore al proprio debitore, ha natura di quietanza indipendentemente dalla sua contestualità con il pagamento in essa menzionato, dato che il debitore che non ne abbia fatto richiesta all'atto del pagamento non perde per questo il diritto al rilascio della quietanza.
Ne consegue che la dichiarazione del creditore d'esser già stato pagato in precedenza per una parte, rilasciata al momento di ricevere il pagamento del residuo, va qualificata come quietanza relativamente anche al pagamento pregresso, onde la sua data può essere provata con ogni mezzo a norma dell'art. 2704 ultimo comma cod. civ., anche al fine di dimostrare l'intervenuta estinzione del credito pignorato per gli effetti di cui all'art. 2917 cod. civ. (Cass. civile, sez. 3, 05-02-1997, n. 1108 (sent.)).
Nella coesistenza di più debiti della medesima specie dello stesso debitore verso uno stesso creditore, qualora il primo non dichiari, quando paga, quale debito intende soddisfare (art. 1193, primo comma, cod. civ.) né il secondo, all'atto della quietanza, provveda ad imputare il pagamento ad uno di essi (art. 1195 cod. civ.), valgono i criteri suppletivi di cui all'art. 1193, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che, ove il debitore, convenuto in giudizio, eccepisca che un pagamento da lui effettuato è da imputare all'uno piuttosto che all'altro debito, ha l'onere di fornire la prova in ordine a tale suo assunto, valendo in difetto le regole suppletive stabilite dal legislatore (Cass. civile, sez. 3, 29-10-1982, n. 5707 (sent.)).
In giurisprudenza (Cass. 24.5.1955 n. 1539) si è altresì affermato che la dichiarazione di imputazione fatta dal creditore nella quietanza ha valore di prova legale vincolante sia per il debitore sia per il creditore che si risolve nell'impossibilità di provare un'imputazione diversa.
Tornando quindi al quesito posto, ovvero quale imputazione operare in caso di dichiarazione di nullità della clausola contrattuale che determina il calcolo degli interessi, tenuto conto che le obbligazioni pendenti sono sia quella per capitale che per interessi e che in sede giudiziale (né pregiudiziale) accade mai che il creditore faccia dichiarazione di imputazione, l’unica soluzione non potrà che essere quella offerta dall’art. 1195 c.c., ovvero: Chi, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato di imputare il pagamento a uno di essi, non può pretendere un'imputazione diversa (1193), se non vi è stato dolo (1439) o sorpresa da parte del creditore.
Sul punto attenta dottrina[58] può essere di aiuto, infatti ha osservato che l'imputazione del creditore si pone su un piano diverso rispetto a quella che proviene dal debitore: anzitutto in quanto l'imputazione a parte creditoris presuppone la mancanza di quella a parte debitoris; in secondo luogo, e soprattutto, in considerazione del fatto che il debitore, a differenza del creditore, può rifiutare l'imputazione di controparte, respingendo la quietanza: in tal caso, però, egli ha l'onere di contestare prontamente al creditore la sua imputazione se vuole paralizzarne l'efficacia.
Viceversa, il comportamento del debitore assumerebbe il significato di acquiescenza all'imputazione fatta dal creditore[59].
Sulla base di tale convincimento, parte autorevole della dottrina[60] attribuisce all'imputazione fatta dal creditore natura convenzionale e ritiene trattarsi di un negozio bilaterale, in quanto la quietanza deve essere accettata dal debitore, con la conseguenza che tale accettazione integrerebbe l'accordo tra debitore e creditore in ordine all'imputazione.
Diversamente, invece, si è espressa altra parte della dottrina[61], per la quale l'accettazione del debitore ha ad oggetto solo la quietanza, intesa quale documento, e non presuppone un accordo sull'imputazione, in quanto quando vi è un accordo sull'imputazione, le norme legali sull'imputazione non si applicano.
Sul punto si è espressa di recente la S.C., la quale in particolare ha affermato che, in tema di imputazione del pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall' art. 1195 , spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati (capitale o interessi), subentrando i criteri legali di cui all' art. 1193, che hanno carattere suppletivo, solo quando né il debitore né il creditore abbiano effettuato l'imputazione.
Come già anticipato, la dichiarazione di imputazione del creditore deve tuttavia essere accettata dal debitore e, qualora sia inserita nello stesso documento contenente la quietanza, la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso contenuta e soddisfa il suo interesse a conservare la prova documentale dell'avvenuto pagamento, ma non presuppone un accordo sull'imputazione.
Dunque, affinché la ricezione del documento assuma valore di prova dell'accettazione dell'imputazione operata dal creditore è necessario, che da parte del debitore essa non venga immediatamente o prontamente contestata, atteso che la mancata tempestiva contestazione assume il valore dell'acquiescenza.
In tema di imputazione del pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall'art. 1195 cod. civ., spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, subentrando i criteri legali di cui all'art. 1193 cod. civ., che hanno carattere suppletivo, solo quando né il debitore né il creditore abbiano effettuato l'imputazione (Cass. civile, sez. 2, 13-12-2005, n. 27405 (sent.)).
In dottrina[62] si ritiene che il dolo cui fa riferimento la norma in esame indica il comportamento fraudolento posto in essere dal creditore e diretto a trarre in inganno il debitore (ad es. facendogli credere che l'imputazione fatta risponde a criteri legali); la sorpresa, invece, ricorre nel caso in cui il creditore approfitti delle condizioni personali del debitore (ad es. disattenzione, ignoranza) per fare senza opposizione un'imputazione a sé favorevole, pregiudicando così l'altra parte.
Verificandosi le circostanze sopra descritte, il debitore può disattendere l'imputazione creditoria[63] imputando il pagamento secondo la propria scelta[64].
Quest’ultimo assunto potrebbe essere la soluzione alla nullità della clausola che determina il computo degli interessi, soluzione che peraltro ben si adatterebbe all’applicazione degli interessi in via proporzionale che trova coerenza nel pagamento del capitale prima degli interessi.
Certamente resta ad oggi irrisolto come applicare al caso concreto (sotto il profilo matematico) il principio di proporzionalità e non si può evitare di rispondere ad un quesito prodromico, ovvero se il principio di equilibrio finanziario (che connota tutta la matematica finanziaria) sia conciliabile con il principio di proporzionalità ed equità stabilito dal nostro ordinamento.
Insomma sino ad oggi la questione è stata affrontata prima sul piano matematico e poi giuridico, ma appare evidente, anche alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia Europea, che la questione è anzitutto giuridica.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 1 della L. 26 novembre 1990, n. 353, provvedimenti urgenti per il processo civile, a far tempo dal 16 dicembre 1990. Si vedano: la L. 7 marzo 1996, n. 108 e il D.P.R. 11 giugno 1997, n. 315, in materia di usura.
[2] Ascarelli, Delle obbligazioni pecuniarie, 1959, 577.
[3] Bolaffio, Delle obbligazioni commerciali, 1919, 225 nt. 1.
[4] Bolaffo, op. cit., 247.
[5] Bianca, Diritto Civile, vol. 4, Milano 1990 pagg. 177 – 178; Libertini, voce Interessi, Enc. del Dir. Vol. XXII, Milano, 1972, 101.
[6] B. Inzitari, voce Interessi, in Digesto – Discipline Privatistiche, Vol. IX, 2002, pag. 568
[7] Messa, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1911, 228 e 223.
[8]Simonetto, I contratti di credito, Padova, 1953, 257 ss.
[9] Ascarelli, Obbligazioni pecuniarie, 576
[10] Ascarelli, op. cit.
[11] Scozzafava, Gli interessi dei capitali, Giuffrè, Milano, 2001, 51, 67, 160
[12] Mazzoni, Scozzafava.
[13] Marinetti, Interessi, voce in Noviss. Digesto It. VIII Torino.
[14] Bianca, Diritto Civile, vol IV, Milano, 1993, 174.
[15] F. Galgano, Trattato di Diritto Civile, Vol. 2, Padova, 2010, 49.
[16] C. Sganga, Dei beni in generale – artt. 810 – 821, Il codice Civile – Commentario diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2015, 339.
[17] Nella dottrina più recente prevale la tesi, che la regola, secondo la quale il denaro contante è l'unico mezzo legale di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, deve essere scardinata riconoscendo efficacia solutoria a mezzi alternativi di pagamento che eliminano il trasferimento materiale di moneta, come l'assegno circolare, dovendosi intendere per somma di denaro la funzione ideale del mezzo monetario (Cass. SS.UU. 18 dicembre 2007 n. 26617).
[18] Cass. SS.UU. 18 dicembre 2007 n. 26617.
[19] Cass. 12 marzo 1981 n. 1411. Ex multis Cass. 18 agosto 1982 n. 4642.
[20] Inzitari, La moneta, Tr. Galgano, VI, Padova 1983; Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, Tr. RES., IX, Torino 1999, 638; Sinesio D., Gli interessi, in Diritto Civile diretto da Lipari-Rescigno, Milano, 2009, vol. III -Obbligazioni -, t. 1 - Il rapporto obbligatorio -, 439; Bianca C.M., Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano, rist. agg., 2004.
[21] Cass. 18.7.2002 n. 10428; Cass. 17.12.1994 n. 10901; in caso di richiesta di corresponsione degli interessi non seguita da alcuna particolare qualificazione, andranno liquidati a favore del creditore gli interessi corrispettivi che, come quelli compensativi, decorrono, in base al principio della naturale fecondità del denaro, indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, Cass. 23.1.2008 n. 1377. La certezza del credito non impedisce la produttività di interessi, attenendo essa non alla sua esistenza, atteso che la lettera dell'art. 1282 fa esclusivo riferimento alla liquidità ed esigibilità del credito (TAR Campania 27.7.1982 n. 408).
[22] Cass. 22.4.1986 n. 2843.
[23] Bianca, op. cit., 183.
[24] Bianca, op. cit., 184.
[25] Bianca, op. cit., 184.
[26] Giorgianni, L'inadempimento, Milano 1975, 159. La giurisprudenza ritiene che i crediti riconosciuti da sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva producono, anche se pendente l'impugnazione, interessi di pieno diritto (Cass. 13.9.1974 n. 2489). È stato precisato che l'avvenuta impugnazione di una pronunzia esecutiva di condanna al pagamento di una somma di denaro non esime il debitore, anche pubblico, dall'ottemperarvi, in quanto tale pronuncia, pur non ancora consolidata nel giudicato, presuppone comunque la liquidità del credito, ossia la sua esistenza e la determinazione del suo ammontare, e l'esigibilità del medesimo, che consegue all'accoglimento della domanda giudiziale Cass. 16.3.2000 n. 3032). Infine non impedisce la decorrenza degli interessi il fatto che il debitore sia impedito a pagare da sequestri o pignoramenti eseguiti sulle somme dovute, in quanto tale temporanea indisponibilità, estrinseca al credito, e come tale diversa dalla sua inesigibilità, derivante sempre da ragioni intrinseche, non fa venir meno il vantaggio che il debitore ritrae dal trattenere le somme, quale che sia la ragione per cui esse rimangono presso di lui (Cass. 22.12.2011 n. 28204).
[27] Bianca, op. cit., 188. Ai fini della decorrenza degli interessi di pieno diritto, a parere della dottrina unanime, sono ininfluenti sia la costituzione in mora che l'accertamento dell'imputabilità del ritardo nel pagamento al debitore. Anche la giurisprudenza è della stessa opinione ritenendo i suddetti elementi necessari solo per la decorrenza degli interessi moratori ex art. 1224 (Cass. 18.7.2002 n. 10428; Cass. 9.4.1999 n. 3944; Cass. 8.3.1983 n. 1663). Il principio secondo cui gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento decorrono dalla data del verificarsi del danno trova applicazione soltanto in materia di responsabilità aquiliana mentre quando l'obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale quale atto idoneo a costituire in mora il debitore, anche se a quella data il credito non sia ancora liquido ed esigibile (Cass. 19.3.1990 n. 2296).
[28] Cass. 10.11.1997 n. 11042.
[29] Cass. 25 febbraio 1980 n. 1322.
[30] Ferrara F. Jr, Il fallimento, Milano, 1966, 291.
[31] Gli interessi sono anche ritenuti una quantità di cose fingibili al fine di poterli tenere distinti dai canoni delle locazioni e dell’enfiteusi, che seppur anch’essi intesi come frutti civili, si distinguono tuttavia dagli interessi poiché costituiscono il corrispettivo per il godimento di una cosa infungibile.
[32] La dottrina ha inteso distinguere, attraverso la combinazione della periodicità e della proporzionalità, gli interessi dai dividendi distribuiti dalle società di capitali giacché, questi ultimi, oltre ad essere solitamente qualificati frutti civili sono collegati con un'obbligazione principale, ovvero il conferimento, riconducibile alla restituzione di una certa quantità di cose fungibili.
[33] B. Inzitari, voce Interessi, op. cit. pag. 569; Natoli e Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, Milano, 1975, 223 ss.
[34] Pugliese, Usufrutto, uso e abitazione in Trattato di diritto civile italiano, pag. 302 ss. e pag. 340 ss.
[35] È l’opinione di Bigliazzi Geri, Usufrutto, uso e abitazione in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Milano 1979, pag. 122 ss.
[36] BARCELLONA, Attribuzione normativa e mercato nella teoria dei beni giuridici, in Quadrimestre, 1987, pag. 216
[37] C. Spagna, De beni in generale, Il codice civile Commentato fondato da Piero Schlesinger diretto da Francesco D. Busnelli, Milano, 2015, pagg. 341.
[38] Sono sempre parole di Barcellona, op. loc. ult. cit., che nel portare l'affermazione alle sue estreme conseguenze sottolinea come anche nel caso di riscossione anticipata, rappresentante pur sempre adempimento del credito contrattuale, sia possibile configurare un obbligo di restituzione della somma ricevuta in conseguenza dell’interruzione del godimento.
[39] C. Spagna, op. loc. ult. cit., pag. 342.
[40] C. Spagna, De beni in generale, Il codice civile Commentato fondato da Piero Schlesinger diretto da Francesco D. Busnelli, Milano, 2015, pagg. 341.
[41] Sentenza del Tribunale Roma, F. Basile, n.2188/2021[41], ne è un esempio: Qualora il piano di ammortamento sia calcolato utilizzando la formula matematica finanziaria della capitalizzazione composta, gli interessi sono qualificati sulla base di una formula esponenziale, mentre qualora sia calcolato secondo la formula della capitalizzazione semplice, gli interessi hanno uno sviluppo lineare (…) nel calcolo di mutui ultrannuali la capitalizzazione composta determina un maggior debito per interessi, nella stessa misura degli interessi anatocistici, ma senza che ciò derivi dal fenomeno anatocistico contemplato dall’art. 1283 c.c..
La determinazione del giudice secondo cui nel calcolo di mutui ultrannuali la capitalizzazione composta determina un maggior debito per interessi non è chiara: non si comprende se ritiene il fenomeno della capitalizzazione composta fenomeno che produce un maggior debito per interessi esclusivamente se ultrannuale, o se gli interessi in regime di capitalizzazione composta per periodi inferiori all’anno non producono un maggior debito per interessi, o entrambe le conclusioni: in tutti i casi la tesi non è, a parere di chi scrive corretta.
La capitalizzazione composta determina un maggior debito per interessi per effetto del relativo acquisto (art.821 c.c.) frazionato in sub periodi (da intendersi non solo all’anno ma a tutta la durata del piano): se si prende in considerazione l’ipotesi di un prestito da restituire in unica soluzione dopo un anno (comprensivo di capitale e interessi) che ci si trovi in regime di capitalizzazione composta o semplice la quantità di interessi sarà la medesima, diversamente se si fraziona il pagamento del capitale in sub periodi, che siano riferiti ad un finanziamento annuale, infrannuale o ultrannuale, il regime composto determinerà sempre e comunque un maggior debito per interessi, così come avremo un maggior costo di interessi se il capitale viene restituito in unica soluzione alla scadenza, (sia essa infrannuale annuale o ultrannuale), ma gli interessi vengono pagati anticipatamente (sono le ipotesi dei finanziamenti c.d. bullet, e dell’ammortamento con il sistema tedesco)
[42] Se l’ammortamento alla francese generi capitalizzazione o anatocismo è questione strettamente matematica, tuttavia dalla verità dell’una o dell’altro ne discendono conseguenze giuridiche diverse.
[43] La Corte di Cassazione del 1964, la n. 191 ci ricorda che: In tema di maturazione degli interessi il periodo normale preso a base per il calcolo di essi è il giorno. A norma dell'art. 821 cod. civ., i frutti civili (tra i quali sono compresi gli interessi dei capitali) si acquistano giorno per giorno. Pertanto, poiché l'art. 1284 cod. civ. stabilisce che il saggio degli interessi legali e il cinque per cento in ragione di anno, ove occorra determinare l'importo degli interessi per un periodo inferiore all'anno. Bisogna dividere l'importo degli interessi annuali per il numero dei giorni che compongono l'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare (In tal senso: Cass. S.U. 23 novembre 1974 n. 3797).
[45] Articolo così sostituito dall'art. 1 della L. 26 novembre 1990, n. 353, provvedimenti urgenti per il processo civile, a far tempo dal 16 dicembre 1990. Si vedano: la L. 7 marzo 1996, n. 108 e il D.P.R. 11 giugno 1997, n. 315, in materia di usura.
[46] Sulla riconduzione degli interessi alla categoria dei frutti, cfr. i contributi di SCOZZAFAVA, Gli interessi dei capitali, cit., 21 ss. e MAZZONI, Frutti civili ed interessi di capitali, Milano, 1985.
[47] Cass., 27.01.1964 n. 191.
[48] Cass. civ., ord. III, 3 gennaio 2023, 61 , M. c. B. Il saggio d'interessi previsto dall'art. 1284, comma 4, c.c., trova applicazione alle obbligazioni restitutorie derivanti da nullità contrattuale (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto inapplicabile la disposizione alla domanda di ripetizione di indebito proposta dal correntista per la restituzione delle somme illegittimamente trattenute dalla banca, in forza delle clausole di un contratto di conto corrente dichiarate nulle). Cass. civ., sent. II, 9 maggio 2022, 14512 , N. c. M. In tema di tasso di interesse commerciale, la regola generale, prevista dal comma 4 dell'art. 1284 c.c., secondo cui, se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, rappresenta una chiara eccezione prevista esclusivamente per l'ipotesi in cui gli interessi costituiscano accessorio di un debito nascente da un negozio giuridico, con la conseguenza che essa non si applica all'indennizzo per irragionevole durata del processo, che non ha fonte negoziale.
[49] Si ricorda che per effetto del D.Lgs. n. 192 del 2012 si è estesa alla pubblica amministrazione l'applicabilità e i termini di maturazione degli interessi riconosciuti a carico dei debitori nell'ambito delle transazioni commerciali, stabiliti ai sensi della Direttiva 2011/7/UE, ad integrazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, di recepimento della direttiva "madre" 2000/35/CE.
[50] Cass. civ., sent. III, 4 gennaio 2022, 96, B. c. S. In tema di contratti di mutuo, la convenzione relativa agli interessi deve avere - ai fini della sua validità ai sensi della norma imperativa dell'art. 1284, comma 3, c.c. - un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse; qualora il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti riferimenti generici dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto la validità della clausola che prevedeva la corresponsione di interessi al tasso "prime rate Abi” come rilevato da IlSole24ore", in quanto determinabile attraverso la rilevazione operata dagli informatori economici).
[51] Non solo, ma è stato altresì affermato che gli interessi legali "maggiorati" di cui al comma 4 dell'art. 1284 c.c. si applicano anche alle obbligazioni restitutorie e risarcitorie derivanti da inadempimento contrattuale (Trib. Savona 25 settembre 2020).
[52] Cass. civ., ord. I, 15 giugno 2022, 19298 , F. c. B. Nei contratti bancari conclusi prima dell'entrata in vigore della l. n. 154 del 1992, il requisito della forma scritta richiesto dall'art. 1284 c.c. ai fini della valida pattuizione di interessi superiori rispetto alla misura legale, deve essere inteso in senso strutturale e non funzionale; pertanto, la sua violazione determina l'ordinaria forma di nullità assoluta, con conseguente necessità, ai fini della validità del patto, della sottoscrizione di entrambe le parti, sia pure con atti distinti, purché inscindibilmente connessi, senza poter integrare tale presupposto formale attraverso il c.d. contratto "monofirma"; (nella specie, la S.C. ha ritenuto che un contratto bancario concluso nel 1991 e sottoscritto dal solo correntista fosse inidoneo ad integrare la forma scritta richiesta dall'art. 1284, comma 3, c.c., al fine di pattuire validamente interessi "ultralegali", in quanto stipulato prima dell'entrata in vigore delle norme relative alle c.d. nullità di protezione).
[53] Bianca, Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano 1990, p. 340; Di Majo, Dell'adempimento in generale, Com. S.B., Bologna-Roma 1994, p. 325.
[54] Di Majo, Dell'adempimento in generale, Com. S.B., Bologna-Roma 1994, p. 326.
[55] Bianca, Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano 1990, p. 340.
[56] In tal senso: Cass. civile, sez. 2, 13-12-2005, n. 27405 (sent.).
[57] Bellelli, L'imputazione volontaria del pagamento, Padova 1989, p. 107. Bianca, Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano 1990, p. 340.
[58] Breccia, Le obbligazioni, Tr. Iudica-Zatti, Milano 1991, p. 568.
[59] Bianca, Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano 1990, p. 341; Bellelli, L'imputazione volontaria del pagamento, Padova 1989, p. 102; Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, Il comportamento del debitore, II, Tr. Cicu-Messineo, Milano 1984, p. 146.
[60] Nicolò, Adempimento (dir. civ.), EdD, I, Milano 1958, p. 563.
[61] Giorgianni, Pagamento (diritto civile), Scritti minori, Napoli 1988, p. 753.
[62] Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, Il comportamento del debitore, II, Tr. Cicu-Messineo, Milano 1984, p. 145; Bellelli, L'imputazione volontaria del pagamento, Padova 1989, p. 87.
[63] La Cass. civ., sez. III, 16-01-2013, n. 917, precisa: in tema di imputazione del pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall'art. 1195 cod. civ., spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, subentrando i criteri legali di cui all'art. 1193 cod. civ., che hanno carattere suppletivo, solo quando né il debitore né il creditore abbiano effettuato l'imputazione.
[64] Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, Il comportamento del debitore, II, Tr. Cicu-Messineo, Milano 1984, p. 341