La prova della cessione del credito nel diritto bancario: gli effetti sul processo
Pubblicato il 19/05/21 02:00 [Articolo 1103]






Sommario: 1. La cessione del credito: un excursus giurisprudenziale. 2. La successione nel diritto controverso: art. 111 c.p.c. 3. Effetti del trasferimento sul diritto. 4. L'influenza del fenomeno successorio sul processo: le teorie dell'irrilevanza e della rilevanza. 5. Il ruolo dei soggetti ed i loro poteri. 6. I poteri processuali dell'alienante e del successore universale. 7. I poteri della parte estranea al fenomeno successorio. 8. L'intervento del successore a titolo particolare. 9. L'efficacia della sentenza. 10. Le eccezioni al principio di efficacia della sentenza nei confronti del successore particolare. 11. L'impugnazione della sentenza. 12. La successione a titolo particolare nel processo esecutivo.


1. La cessione del credito: un excursus giurisprudenziale.

Il problema della prova del credito ceduto nell'ambito delle operazioni di cartolarizzazione disciplinato dall'art. 58 TUB e dalla Legge 130 del 30 aprile 1999 (Legge sulla Cartolarizzazione), ha dato vita a due orientamenti, che in realtà differiscono solo in merito alla natura della prova.

Innanzitutto l'art. 58 comma 2, 3 e 4, del T.U.B. prevede:

a) la notificazione della cessione mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;

b) l'iscrizione della cessione presso il Registro delle Imprese;

c) la conservazione dei privilegi e delle garanzie ipotecarie stabilite a favore del cedente senza bisogno di alcuna formalità (vi è, dunque, l'esonero della disposizione di cui all'art. 2843 c.c.).

Quindi, l'art. 58 T.U.B. nel disciplinare, la cessione dei crediti in massa, condiziona l'applicabilità della relativa disciplina al requisito della individualità in blocco della pluralità dei crediti.

Secondo la Cassazione civile, sez. VI, 05 Novembre 2020, n. 24798. Pres. Scaldaferri. Est. Terrusi: "… In caso di contestazione della titolarità del credito in capo alla asserita cessionaria, il mero fatto, pur pacifico, della cessione di crediti in blocco ex art. 58 TUB non è sufficiente ad attestare che lo specifico credito oggetto di causa sia compreso tra quelli oggetto di cessione. La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un'operazione di cessione in blocco ex art. 58 d.lgs. n. 385 del 1993, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta".

Secondo altro orientamento giurisprudenziale, quello espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22151 del 5.9.2019, solitamente contrapposto al precedente citato, "… Come già precisato da questa S.C., è vero che è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, ma è sempre necessario che gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (Cass. 31188/2017); al riguardo è stato evidenziato che siffatta possibilità di fare riferimento alle caratteristiche dei rapporti ceduti, quale criterio per l'individuazione dell'oggetto del contratto, non rappresenta un'anomalia rispetto alla disciplina generale dettata dall'art. 1346 c.c., il quale, prescrivendo che l'oggetto del contratto deve essere "determinato o determinabile", non richiede che lo stesso sia necessariamente indicato in maniera specifica, ma sempre a condizione che esso possa essere identificato con certezza sulla base di elementi obiettivi e prestabiliti risultanti dallo stesso contratto (Cass. 31188/2017 cfr. Cass. 5385/2011; 18361/2004)".[1]

Appare dunque evidente, che la SC ha tenuto conto che l'art. 58 TUB attribuisce alla pubblicazione su GU la funzione propria dell'art. 1264 c.c. rendendo irrilevante l'accettazione o la notifica da parte dei debitori ceduti dal momento che, dalla data della pubblicazione, la cessione si intende notificata ai debitori con tutte le conseguenze giuridiche proprie.

Invero, il tema della pubblicità in Gazzetta Ufficiale, ex art. 58 T.U.B., ha diviso la dottrina in due correnti: da un lato Capriglione[2] che attribuisce la funzione dichiarativa alla pubblicazione di cui all'art. 58 TUB; dall'altro, Belli[3], secondo il quale la pubblicità è riconducibile alla pubblicità notificativa rifacendosi al disposto dell'art. 2193 co. 2 c.c., secondo il quale "la disciplina prevista non rappresenta il regolatore della funzione positiva della pubblicità dichiarativa, se così fosse, infatti, si tratterebbe di una disposizione superflua, ben potendo l'efficacia erga omnes dell'atto pubblicato ricavarsi traducendo in positivo quanto statuisce il comma 1 della medesima norma".

Tuttavia non passa inosservato che non è fatta alcuna menzione, nella norma, al contenuto che deve essere inserito in Gazzetta Ufficiale, pertanto dovrà ritenersi, in caso di incongruenze fra l'atto di cessione e quanto pubblicizzato ex art. 58 T.U.B., una prevalenza del profilo sostanziale su quello formale.

A sostegno della tesi testé esposta sta il fatto che qualora il cessionario di un rapporto ceduto ex art. 58 T.U.B. voglia procedere alla cancellazione della relativa ipoteca, il Conservatore non potrà ritenere sufficiente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che individua il blocco senza esplicitare i rapporti ceduti con i dati del debitore e del rapporto, necessitando una integrazione di documenti tali da dare certezza che il rapporto giuridico e alla relativa ipoteca siano parte del "blocco", (può esser prova sufficiente l'estratto autentico del contratto con il relativo l'allegato dei rapporti ceduti).

Tale situazione è la medesima che si può creare in giudizio laddove il debitore ingiunto eccepisca la carenza di legittimazione sostanziale e processuale; resta da stabilire, come il cessionario possa superare l'eccezione e quale la prova, come si vedrà più avanti

Infatti, la normativa di riferimento, non specifica il contenuto che deve avere l'avviso da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, tanto che la Banca d'Italia, ha precisato che la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale deve consentire ai soggetti interessati di acquisire informazioni sulla propria situazione: è tale vuoto che ha portato una parte della giurisprudenza (Cass. 22151/19; Cass. 31188/17), a dare un contenuto più preciso a quello che potremmo identificare con l'onere probatorio.

Infatti la Banca d'Italia nel Bollettino di vigilanza n. 7/2001 (pag.4) definisce "rapporti giuridici individuabili in blocco": i crediti, i debiti e i contratti che presentano un comune elemento distintivo; esso può rinvenirsi, ad esempio, nella forma tecnica, nei settori economici di destinazione, nella tipologia della controparte, nell'area territoriale e in qualunque altro elemento comune che consenta l'individuazione del complesso dei rapporti ceduti.

La Cass. 22151/19, infatti se da un lato da un giudizio di sufficienza in merito alla cessione del credito con la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, prosegue e specifica, dando compimento alla scarna normativa, che sul cessionario grava comunque l'onere necessario che siano specificati gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie tali da consentire l'individuazione senza incertezze dei rapporti oggetto della cessione, come del resto si era già pronunciata la Cass. 31188/2017: per la SC il rapporto giuridico oggetto di cessione deve poter essere identificato con certezza sulla base di elementi obiettivi e prestabiliti risultanti dallo stesso contratto (Cass. 31188/2017 cfr. Cass. 5385/2011; 18361/2004)

Non è condivisibile quella parte della dottrina, che sostiene che , "se il regime derogatorio previsto dall'art. 58 T.U.B. è quello di agevolare le operazioni di cessione in blocco, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dovrebbe essere di per sé stessa sufficiente ad introdurre una presunzione assoluta di conoscenza dell'avvenuta cessione, assicurando, senza la necessità di ulteriore documentazione, oltre al trasferimento automatico delle garanzie, gli effetti favorevoli in tema di opponibilità della cessione nei confronti dei debitori ceduti, dei loro creditori e dei terzi in genere" [4].

Peraltro tale orientamento sembra trovare smentita nella giurisprudenza (Cass. n. 3184/16) che esclude che l'accettazione della cessione del credito avrebbe natura di riconoscimento di debito; peraltro la SC ha ribadito che la notifica ex art. 1264 c.c. - la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata - ha la sola funzione di escludere l'efficacia liberatoria del pagamento fatto dal debitore in buona fede, al cedente invece che al cessionario

Dunque, il debitore, anche se reso edotto della cessione, non viola il principio della buona fede nei confronti del cessionario se non contesta il credito, tanto meno il suo silenzio può avere il valore di conferma del debito.

Per la SC, l'accettazione, anche tacita, della cessione del credito, non comporta mai per il debitore il dover adempiere all'obbligazione, trattandosi di mera dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, restando, dunque, il cessionario, onerato di provare la sussistenza e l'entità del credito.

Sulla base delle considerazioni accennate, è sempre più diffuso l'orientamento, che ritiene la pubblicazione dell'avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale insufficiente a provare la titolarità del credito in capo all'avente causa, rendendosi necessaria l'individuazione, e quindi la prova a carico del cessionario, del contenuto del contratto di cessione (Cass., Sez. III, 13/09/2018, n. 22268).

Tale orientamento sembra aver trovato una sua continuità: tale rilievo è condivisibile, giacché una cosa è l'avviso della cessione - necessario ai fini dell'efficacia della cessione - un'altra è la prova dell'esistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto (Cass., sez. III, 31/01/2019, n. 2780).

Parte della giurisprudenza di merito, su tali spunti, ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo al cessionario del credito secondo un accertamento più o meno rigido: secondo tale orientamento, la prova della titolarità del credito passa necessariamente dalla produzione del contratto di cessione per cui non basterebbe cioè la dichiarazione della Banca contenente l'elenco delle posizioni cedute individuate con codici numerici (quali, ID, NDG, CDG) (Ordinanza n. 4416 emessa in data 27 febbraio 2020 dal Tribunale di Rimini).

La Corte di Cassazione n. 24798 del 5 novembre 2020 ha affermato che la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della creditrice in virtù di un'operazione di cessione in blocco ex art. 58 T.U.B. ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco, fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale.

Dunque l'avviso di cessione di crediti oggetto di cartolarizzazione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e l'iscrizione nel registro delle imprese non provano il perfezionamento della fattispecie traslativa così come non producono il relativo effetto in quanto non sono elementi sufficienti a far assumere valenza costitutiva alla cessione e tanto meno possono assumere una funzione sanatoria ai vizi dell'atto.

Sulla base di tali presupposti, il Tribunale Lecce, 19 Febbraio 2021. Est. Errede ha affermato "… Difetta la legittimazione sostanziale della parte che si afferma successore a titolo particolare del creditore originario, ai sensi dell'art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ma che non ne fornisce la prova con documenti idonei a dimostrare l'incorporazione e l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, salvo che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta. La creditrice - cessionaria di crediti in blocco intervenuta in sostituzione del creditore originario procedente - che non prova la effettiva titolarità del credito deve essere esclusa dalla distribuzione del ricavato dalla vendita".[5]

Con maggior accuratezza il Tribunale Avezzano, 29 Ottobre 2020 Pres. Fiduccia. Est. Caterina Lauro scrive: "… Attesa tale limitata funzione dell'avviso di cessione, la pubblicazione nella Gazzetta può costituire, al più, elemento indicativo dell'esistenza materiale di un fatto di cessione, come intervenuto tra due soggetti in un dato momento, ma non è sufficiente, in questa sua "minima" struttura informativa, a fornire gli specifici e precisi contorni dei crediti che vi sono inclusi ovvero esclusi; … E' per contro principio ricevuto della giurisprudenza di questa Corte che colui, che "si afferma successore (a titolo universale o particolare) della parte originaria" ai sensi dell'art. 58 TUB, ha l'onere puntuale di "fornire la prova documentale della propria legittimazione", con documenti idonei a "dimostrare l'incorporazione e l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco" (cfr. Cass., sent. n. 4116/2016) ; pertanto "assunta questa diversa prospettiva, (che) - qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta (in relazione, prima di ogni altra cosa, al necessario rispetto del principio di determinatezza dell'oggetto e contenuto contrattuali ex art. 1346 c.c.), sui crediti inclusi/esclusi dall'ambito della cessione - detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo il "prudente apprezzamento" del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito (per questa linea si confronti, in particolare, la pronuncia di Cass., 13 giugno 2019, n. 15884)."

Da ultimo il Tribunale Napoli, 22 Aprile 2021. Est. Pastore Alinante ha ribadito: il successore a titolo particolare del credito originario in virtù di un'operazione di cessione in blocco deve dimostrare l'inclusione del credito azionato nella operazione di cessione dando la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta[6].



2. La successione nel diritto controverso: art. 111 c.p.c.

Indubbiamente la cessione del credito chiama in causa, il fenomeno della successione nel diritto controverso.

L'art. 111, 1° co., dispone che, se in pendenza di giudizio si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie. e l'attività sino a quel momento svolta e le pronunce eventualmente emesse trovano la loro disciplina nell'art. 111 c.p.c. e non nell'art. 105 c.p.c., assumendo il successore a titolo particolare nel diritto controverso la posizione di parte e non quella di terzo (T. Milano, 23-07-2018).

La successione per atto tra vivi a titolo particolare nel diritto controverso, disciplinata all'art. 111 c.p.c., concerne la titolarità attiva e passiva dell'azione, e non già la capacità di agire applicata al processo, con la conseguenza che essa non far venir meno né l'interesse ad agire o a resistere in capo agli originali attori e convenuti, né la legittimazione dell'originario titolare del diritto; tale legittimazione, tuttavia, ha portata meramente sostitutiva e processuale, con la conseguenza che gli effetti sostanziali della pronuncia si spiegano solo nei confronti dell'effettivo nuovo titolare, sia o meno il medesimo intervenuto in giudizio (Cass. civ., sez. III, 23-10-2014, n. 22503).

Innanzitutto, è necessario fissare la nozione istituzionale di successione sia essa universale o a titolo particolare, essa è definita: il fenomeno per il quale un soggetto, successore od avente causa, acquista un diritto patrimoniale legato da nesso di pregiudizialità e dipendenza al diritto del precedente titolare, definito autore o dante causa[7].

La dottrina processualcivilistica maggioritaria identifica il concetto di successione con quello di acquisto a titolo derivativo, caratterizzato dal fatto che l'avente causa è titolare di una situazione sostanziale dipendente dalla situazione sostanziale dell'autore della successione il che significa che l'esistenza del primo è subordinata all'attuale, o passata esistenza, del secondo[8].

Di diverso avviso parte della dottrina[9] che ritiene, che la successione universale non necessariamente si realizza attraverso un acquisto a titolo derivativo, potendo realizzarsi anche in un acquisto a titolo originario: ne sarebbe un esempio l'occupazione della res derelicta il cui trasferimento della proprietà, si perfeziona al momento stesso dell'occupazione.

Per la dottrina dominante l'art. 111 non regola le fattispecie aventi ad oggetto un acquisto a titolo originario (usucapione), ovvero i casi in cui sorge un diritto nuovo in capo all'avente causa, slegato dal precedente da vincoli di pregiudizialità e/o dipendenza.

Tale interpretazione è stata accolta anche dalla giurisprudenza, che ritiene l'art. 111 cpc riconducibile esclusivamente a trasferimenti del diritto a titolo derivativo (Cass. 3868/1983[10]).

Secondo il disposto dell'art. 111 c.p.c., che concerne non la capacità al processo (legitimatio ad processum) ma la titolarità attiva e passiva dell'azione (legitimatio ad causam), l'alienazione del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare non fa venir meno l'interesse ad agire in capo all'originario attore, onde il rapporto processuale prosegue tra le parti originarie.

La disciplina dettata dal comma 1 dell'art. 111 c.p.c. costituisce, infatti, espressione del principio generale secondo il quale gli effetti sostanziali della domanda giudiziale continuano ad essere rilevanti sul piano processuale, nonostante le modificazioni eventualmente intervenute nella titolarità del diritto controverso e trova applicazione anche nel caso in cui il mutamento della titolarità di tale diritto si ricolleghi alla alienazione del bene alla cui tutela è stata esperita l'azione.

Il trasferimento a titolo particolare nel corso del processo del diritto controverso non spiega, dunque, alcun effetto sul rapporto processuale che continua a svolgersi tra le parti originarie[11], dandosi luogo ad una sostituzione processuale del dante causa, tanto che la sentenza spiega piena efficacia nei confronti dell'avente causa sostituito, pur se pronunciata senza la sua partecipazione al giudizio.

È pur vero che, a seguito del trasferimento a titolo particolare, vengono a scindersi la titolarità del diritto controverso dalla titolarità dell'azione processuale, ma perché il diritto sostanziale possa incidere sulle vicende processuali è necessario che esso si estingua o subisca modifiche incompatibili con il mantenimento del diritto in capo al titolare[12].

Quanto al momento determinante del trasferimento del diritto controverso, per la dottrina[13] il mutamento di titolarità della res litigiosa deve avvenire nel corso del processo, ovvero dopo il compimento del primo atto costitutivo dello stesso (ad es. la notifica dell'atto di citazione, ovvero il deposito del ricorso), mentre, se l'alienazione avviene in epoca anteriore, l'alienante sarebbe privo della legittimazione ad agire, con la conseguenza che dovrebbe essere l'acquirente ad assumere la veste di parte nel processo.

Né dottrina né giurisprudenza hanno approdato ad una soluzione univoca su ciò che deve intendersi per oggetto della successione a titolo particolare.

Parte della dottrina ritiene che oggetto della successione non sia il diritto sostanziale stricto sensu ma il preteso diritto, che, quale oggetto di una controversia giudiziale, è considerato qualcosa di meno del diritto soggettivo perfetto in quanto per divenire tale deve ottenere un riconoscimento giurisdizionale: dunque pretesa e diritto non si identificano[14].

Carnelutti[15], per individuare l'oggetto della successione opera una distinzione tra successione nella lite e successione nel processo ex art. 110: riconducendo a quest'ultimo caso una successione nel rapporto giuridico (sostanziale), mentre, nell'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, si avrebbe una successione nella lite, ovvero nel diritto controverso se ed in quanto esista.

Altra dottrina[16] ritiene che la successione abbia ad oggetto il diritto processuale al provvedimento di merito, e non la situazione sostanziale, diritto che quindi non è il presupposto dell'esistenza del diritto sostanziale, è può quindi essere da questo trasferito autonomamente: tale tesi risolve il problema della successione senza oggetto, nell'ipotesi in cui in sede giurisdizionale si neghi l'esistenza del diritto sostanziale oggetto della lite, la giurisprudenza, tuttavia, ritiene che, sottesa all'art. 111, sia la successione nel rapporto sostanziale oggetto di contesa (C., S.U., 18508/2003).







3. Effetti del trasferimento sul diritto.

Quanto agli effetti, in dottrina[17], c'è chi da un lato individua nel fenomeno successorio la nascita di un nuovo rapporto, e tra questi chi ritiene che la successione porta alla nascita, in capo all'avente causa, di un diritto nuovo dal punto di vista oggettivo e soggettivo[18], e chi individua un mutamento che interessa il solo profilo soggettivo[19], dall'altro, chi, rifacendosi alla concezione romanistica che ravvisa l'identità del diritto dell'autore con quello del successore, non scorge alcun mutamento del diritto trasferito[20].

Merita sicuramente richiamare sul punto Betti[21], il quale coniuga l'immutabilità del diritto controverso, a seguito del trasferimento di titolarità dal dante causa all'acquirente, alla posizione di subordinazione del successore rispetto a quella dell'autore della successione stessa.

Quanto illustrato esige di valutare l'applicabilità dell'art. 111. cpc alla fattispecie di trasferimento di un diritto legato da un nesso di pregiudizialità e dipendenza a quello oggetto della controversia: per parte della dottrina[22] l'art. 111 opera solo quando il diritto trasferito coincide con quello oggetto del giudizio; altra parte della dottrina[23], invece, l'art. 111 sarebbe applicabile anche in caso di trasferimento di un diritto derivato da quello oggetto del giudizio.

È proprio quest'ultima dottrina ad aver conquistato la giurisprudenza[24], invero, la successione a titolo particolare nel diritto controverso, che può anche dipendere dal trasferimento di un diritto derivato da quello che è oggetto diretto ed immediato della vertenza, produce gli effetti previsti dall'art. 111 c.p.c. in tutti i casi in cui, non essendo resa una pronuncia non più impugnabile, la controversia deve considerarsi ancora pendente anche quando, il trasferimento si sia verificato dopo la sentenza di appello, in pendenza del termine per il ricorso in Cassazione (o del ricorso medesimo)[25].

Secondo, la Cass. civ. 06.06.1983 n. 3868 La successione a titolo particolare nel diritto controverso si ha non soltanto nel caso in cui venga alienato lo stesso diritto che forma oggetto di controversia, ma in ogni caso in cui l'alienazione comporti, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subentrare dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio; conseguentemente, l'acquirente del bene locato per il quale sia in corso un procedimento di rilascio, viene posto dall'art. 111 c. p. c. nella stessa posizione dell'alienante, nei confronti del quale, pur non essendo più titolare del diritto sul bene controverso, va emessa la sentenza, che fa stato sia nei confronti dell'alienante che del successore a titolo particolare.[26]

La successione a titolo particolare nel diritto controverso, di cui all'art. 111 c.p.c., alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dal principio del giusto processo, coniugato con il diritto di difesa (art. 111 e 24 cost.), si ha indipendentemente dalla natura, reale o personale, dell'azione fatta valere tra le parti originarie, dovendosi garantire all'acquirente, il quale intenda intervenire nel processo, le stesse possibilità di difesa spettanti al suo dante causa contro le deduzioni avversarie, e potendosi, invece, rivelare per lo stesso acquirente pregiudizievole la soggezione all'efficacia riflessa della sentenza inter alios, impugnabile soltanto nell'ambito delle difese esercitate dall'alienante (Cass. civ., sez. II, 17-07-2012, n. 12305[27]).

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che partecipi al giudizio di appello, risultandovi soccombente insieme al dante causa, non può essere condannato per le spese del giudizio di primo grado, cui sia rimasto estraneo, in quanto la condanna alle spese può avere come destinatari solo le parti processuali (Cass. civ., sez. II, 27-01-2014, n. 1633).



4. L'influenza del fenomeno successorio sul processo: le teorie dell'irrilevanza e della rilevanza.

Ciò che viene adesso in risalto è il concetto di diritto controverso o meglio, lo studio del mutamento dei caratteri dell'oggetto processuale al verificarsi della successione particolare, e quindi la verifica del nesso tra diritto sostanziale e processo.

In definitiva si dovrà esaminare l'influenza del mutamento della titolarità del diritto controverso nel giudizio in corso, per accertare, il nesso di indissolubilità (se esiste) tra mutamento sostanziale e mutamento processuale[28].

Colesanti[29], colloca l'istituto de quo sulla linea di confine tra diritto e processo, sì da sembrare destinato a non essere compiutamente illustrato né dai civilisti, né dai processualisti; ciò ha dato origine a due differenti teorie dottrinali: la teoria dell'irrilevanza e la teoria della rilevanza.

La teoria dell'irrilevanza[30] si caratterizza per l'assoluta indipendenza tra il mutamento sostanziale (il trasferimento della res litigiosa) ed il processo, per cui la successione nel diritto controverso non influenzerebbe il giudizio in corso che proseguirebbe fra le parti originarie come se nulla fosse mutato

Dalla teoria dell'irrilevanza si sono sviluppati due filoni.

Il rimo filone[31] interpreta l'art. 111 derivandone l'inefficacia relativa dell'atto di alienazione, che non viene colpito da nullità assoluta (come, invece, accadeva nel diritto romano che vietava il trasferimento della res litigiosa), bensì considerato privo di influenza sulla situazione processuale e rilevante soltanto tra i suoi protagonisti (dante ed avente causa).

Secondo tale tesi il dante causa è legittimato ad agire nel processo per l'accertamento del rapporto trasferito perché relativamente al processo, e quindi alla controparte, è ancora soggetto di quel rapporto; diversamente, in tutti gli altri rapporti giuridici titolare del diritto è il successore particolare.

Il diritto controverso sarebbe, dunque, indisponibile ed assimilabile al diritto oggetto di pignoramento, la cui alienazione è colpita dalla sanzione dell'inefficacia, con ciò rispecchiando perfettamente la ratio sottesa alla norma in commento, ispirata alla tutela della posizione della controparte.

Di conseguenza alla controparte della successione è accordata la facoltà di riconoscere come efficace[32], nei propri confronti, il trasferimento, con la conseguenza che il processo avente ad oggetto il diritto ceduto proseguirà contro il successore, pur continuando ad essere parte il dante causa.

Anche l'accennato secondo filone ha come principio l'irrilevanza del mutamento sostanziale sulla situazione processuale, basandosi sulla retroattività dell'efficacia della sentenza al momento della proposizione della domanda e disapplicando il principio per cui la decisione di merito si fonda sulla realtà sostanziale accertata esistente al momento della precisazione delle conclusioni[33]; situazione sostanziale, dunque, da considerarsi cristallizzata al momento della domanda, ossia quando la titolarità del diritto apparteneva all'alienante.

Carnelutti[34], che giustifica l'irrilevanza dell'alienazione del diritto controverso sul processo, nonché l'indipendenza tra questo ed il diritto sostanziale atteso che la successione nel processo, quale fenomeno di diritto pubblico, si contrappone alla successione nel rapporto giuridico litigioso, fenomeno di diritto privato, ed atteso, inoltre, che solo la successione universale determina quella processuale[35]

Alla teoria dell'irrilevanza dei mutamenti sostanziali sulla situazione processuale, casi contrappone la tesi della rilevanza, secondo cui sussiste l'intimo nesso (omissis) tra processo e suo contenuto[36]: i sostenitori di questa teoria si pongono in contrasto con coloro che scindono il processo dal diritto sostanziale sotto molteplici profili[37].

Affermare l'inefficacia relativa dell'alienazione della res litigiosa comporta che, per la controparte, titolare del diritto è sempre e soltanto l'alienante, per cui non è chiaro se l'avversario abbia il dovere, e non solo la facoltà, di non riconoscere il trasferimento, tuttavia, configurare un dovere di siffatta natura in capo alla controparte conduce inevitabilmente a violare la stessa ratio sottesa all'art. 111, volta a favorire la posizione della parte rispetto alla quale la successione non è avvenuta.

Se invece si subordina la rilevanza del trasferimento sul processo alla scelta discrezionale della controparte, si finisce per far dipendere il ruolo della parte originaria, dalla volontà del suo avversario.

Per la dottrina che sostiene la tesi della rilevanza sussiste un nesso di indissolubilità tra diritto e processo che trova la sua fonte proprio nell'art. 111, ult. co., laddove esso accorda al successore il diritto di impugnare la sentenza pronunciata contro la parte originaria.

Se dunque l'atto di alienazione non è riconosciuto, la sentenza esplicherà, nei confronti del successore, un'efficacia riflessa, attribuendo ad esso il ruolo di terzo incapace di avvalersi dei mezzi d'impugnazione propri delle parti: questa conclusione, tuttavia, contrasta con il dettato di legge che contempla espressamente questa possibilità[38].



5. Il ruolo dei soggetti ed i loro poteri.

Sotto il profilo in esame, l'applicazione rigorosa della tesi dell'irrilevanza porta a ritenere che il ruolo ed i poteri delle parti originarie rimangano immutati e che il successore particolare debba qualificarsi come terzo, salva l'ipotesi in cui quest'ultimo decida di proporre intervento nel giudizio.

La tesi della rilevanza (almeno per una parte dei suoi sostenitori), tenuto conto del postulato dell'influenza del fenomeno successorio sul processo, attribuisce all'alienante ed al successore universale il ruolo di sostituti processuali[39], riconoscendo la loro legittimazione in via straordinaria a rimanere in giudizio a tutela di un diritto di cui è divenuto titolare un altro soggetto, ovvero il successore[40].

Nell'ambito della teoria della rilevanza, De Marini[41], trae conclusioni del tutto differenti riguardo al ruolo dell'alienante e del successore universale, nonché alla riconducibilità di tali figure a quella di sostituti processuali, elaborando una teoria originale fondata sul concetto di parte complessa.

L'autore ritiene che il trasferimento del diritto provoca la perdita della legitimatio ad causam dell'alienante o del successore universale, i quali ultimi mantengono, invece, la legitimatio ad processum; così il dante causa e l'avente causa, da un lato, il successore universale ed il legatario, dall'altro, integrano la figura di parte complessa, in virtù della quale il dante causa ed il successore universale compiono gli atti processuali, per cui è nel loro nome che si svolge il processo, mentre l'avente causa ed il legatario, quali titolari del diritto sostanziale controverso, subiscono gli effetti della sentenza[42].

L'identificazione della figura dell'alienante e del successore universale con quella di sostituti processuali è stata accolta anche dalla giurisprudenza maggioritaria (Cass. 8884/2003; A. Roma 17.6.2009).

Secondo la Cass. civ. Sez. II 02.05.1996 n. 4024, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso in corso di causa, il successore non assume la veste di "parte processuale" se non quando sia stato chiamato o sia intervenuto nel giudizio o abbia proposto impugnazione avverso la sentenza pronunziata tra il terzo ed il suo dante causa, potendo il processo proseguire tra le parti originarie ed assumendo l'alienante, fino a quando non venga formalmente estromesso dal giudizio, la qualità di "sostituto processuale" del successore a titolo particolare e di litisconsorte necessario; con la conseguenza che, in caso d'emissione di sentenza non definitiva, è inammissibile l'appello immediato proposto contro la stessa dal successore a titolo particolare, che non abbia partecipato al giudizio di primo grado, in quanto il suo diritto d'impugnazione resta vincolato alla riserva d'impugnazione formulata dall'alienante, non avendo il successore medesimo precedentemente assunto la veste di parte processuale e tenuto conto della irrevocabilità della menzionata riserva di appello.

Il trasferimento a titolo particolare nel corso del processo del diritto controverso, non spiega alcun effetto sul rapporto processuale, che continua a svolgersi tra le parti originarie (art. 111 c. p. c.), dandosi luogo ad una sostituzione processuale del dante causa, tanto che la sentenza spiega piena efficacia nei confronti dell'avente causa sostituito, pur se pronunziata senza la sua partecipazione al giudizio; tuttavia, con lo stesso trasferimento a titolo particolare operato in corso di causa, vengono a scindersi la titolarità del diritto controverso dalla titolarità dell'azione processuale (dal lato attivo o dal lato passivo), sì che il diritto sostanziale non si sottrae all'incidenza di vicende che possano determinarne delle modifiche o l'estinzione, con i conseguenti riflessi quanto alla stessa esistenza della correlata condizione dell'azione (Cass. civ. Sez. II 07.08.1990 n. 7970).

L'intervento nel processo del successore a titolo particolare nel diritto controverso - che, a norma dell'art. 111, 3° comma, c. p. c., può avvenire anche in sede di rinvio - non ne comporta automaticamente l'estromissione dell'alienante (il quale, secondo la medesima norma, è legittimato in via straordinaria come sostituto processuale), producendosi tale effetto solo con il relativo provvedimento e con il consenso delle altre parti; pertanto, finché non ne sia stato estromesso, l'alienante rimane nel processo come litisconsorte necessario, e la sua mancata partecipazione determina la non integrità del contraddittorio, la quale è rilevabile, anche d'ufficio, in sede di legittimità (Cass. civ. Sez. lavoro 25.06.1988 n. 4320).

La Cass. civ. [ord.], sez. I, 26-01-2018, n. 2048 precisa che il giudizio di impugnazione svoltosi senza integrare il contraddittorio nei confronti dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, è valido quando il primo, non impugnando la sentenza, abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore; tali elementi, infatti, integrano i presupposti per l'estromissione dal giudizio del citato alienante, estromissione che, sebbene non formalmente dichiarata, fa cessare la qualità di litisconsorte necessario alla parte originaria.

Un caso particolare è rinvenibile nella Cass. civ., sez. II, 30-08-2017, n. 20533: Ove il giudizio di impugnazione si sia svolto senza l'evocazione in giudizio dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, allorché il primo abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore, sussistono i presupposti per l'estromissione tacita dal giudizio dell'alienante, con conseguente perdita della qualità di litisconsorte necessario della parte originaria.

In ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, come quella che si verifica, a seguito di cessione di azienda, per il diritto incluso nell'azienda medesima, mentre il cedente resta in causa in qualità di sostituto del cessionario, conservando in tale veste la legittimazione processuale, il cessionario, che intervenga o sia chiamato in giudizio, acquista una propria legittimazione autonoma, che lo abilita non soltanto ad impugnare la sentenza (che fa stato nei suoi confronti pure se non partecipi al giudizio), ma anche a far valere le nullità del processo anteriori alla sua costituzione (Cass. civ. Sez. I 18.01.1988 n. 320)[43].

Infine, la società che intraprenda un giudizio d'appello avverso la sentenza di primo grado emessa nei confronti di un'altra società, della quale affermi di essere successore a titolo universale o particolare, è tenuta a dimostrare la propria legittimazione, sempre che uno degli appellati costituiti l'abbia contestata, giacché la non contestazione postula che la circostanza sia apprezzata come incontroversa anche nei riguardi degli altri appellati rimasti contumaci (Cass. civ., sez. I, 19-05-2020, n. 9137[44]).



6. I poteri processuali dell'alienante e del successore universale.

Assunto, dunque come principio il fatto che il processo prosegue per opera dell'alienante o del successore universale consegue che tali soggetti possono compiere tutti gli atti necessari per l'emanazione della sentenza, ne deriva come logico corollario che il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato terzo, essendo l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter assumere la stessa posizione del suo dante causa, con la conseguenza che, come la sentenza spiega effetto nei suoi confronti, egli è anche legittimato ad impugnarla, secondo quanto espressamente previsto dall'ultimo comma dell'art. 111 cod. proc. civ., senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento in fasi pregresse di giudizio (Cass. 6444/2009[45]).

Quello, che a questo punto vale la pena esaminare sono alcune vicende processuali.

Ad esempio in dottrina si discute se l'alienante (od il successore universale) possa rinunciare agli atti processuali, ovvero accettare la rinuncia della controparte: parte della dottrina[46] attribuisce alla parte originaria (od al suo successore universale) la facoltà di compiere tali attività, ritenendo che essa sarebbe titolare della piena disponibilità del diritto oggetto del processo, conseguentemente, degli atti processuali compiuti dalla parte stessa, inclusi quelli che pregiudicano la posizione del successore particolare, devono ritenersi perfettamente validi.

Altra parte della dottrina[47] ritiene invece che l'alienante (o il successore universale) possa rinunciare agli atti ed accettare la rinuncia avversaria, ma esclusivamente nel corso del processo di primo grado.

Gli atti di disposizione del diritto controverso, come la conciliazione giudiziale, la rinuncia all'azione, il riconoscimento dell'azione avversaria, la confessione ed il giuramento, la dottrina maggioritaria ne esclude l'esperibilità da parte dell'alienante o del successore universale[48], tesi tuttavia non condivisa da altri Autori[49] i quali ritengono detti atti validi ed efficaci nel processo, purché siano stati posti in essere prima rispetto all'intervento in causa dell'avente causa o del legatario.

Nel caso di successione nel diritto controverso a seguito di atto tra vivi, l'alienante che non viene estromesso ai sensi dell'art. 111 c.p.c. e il successore a titolo particolare mantengono entrambi la qualità di parte rispetto alla controversia avente ad oggetto il diritto trasferito; tuttavia, essendo dotati di piena autonomia processuale, la confessione prestata da uno soltanto di essi, mentre costituisce piena prova contro il dichiarante, non è opponibile all'altro nei cui confronti può assumere rilevanza solo quale indizio liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 4904/2003).

Tale posizione, decisamente più restrittiva si scontra con altro orientamento che ha ritenuto la confessione resa dal dante causa come prova legale nei riguardi del confidente e come indizio liberamente apprezzabile nei riguardi del successore particolare.

Ad esempio, l'acquiescenza di un soggetto alla sentenza non può incidere sull'autonomo diritto di impugnazione riconosciuto ad altro soggetto; pertanto, nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, poiché il 4° comma, art. 111 c. p. c. attribuisce al successore non intervenuto in causa un autonomo diritto d'impugnazione, non può tale diritto essere vanificato dalla acquiescenza che il suo dante causa abbia eventualmente prestata alla sentenza contro di lui pronunciata (Cass. 4552/1987).

Da ultimo, il successore a titolo particolare nel diritto controverso, oltre che spiegare intervento volontario, può assumere la qualità di parte nel processo per effetto di chiamata in causa, su iniziativa degli altri contendenti, ovvero anche dietro ordine del giudice (art. 111, 3° comma c. p. c.); in entrambe le ipotesi non si verifica l'invalidità degli atti istruttori in precedenza compiuti in assenza del predetto successore, il quale, pertanto, ove non si avvalga della facoltà di esercitare il proprio diritto di difesa con prove idonee a contrastare i risultati di quelle già espletate, non può dolersi che da tale pregressa istruttoria vengano tratti elementi di convincimento pure nei suoi confronti (Cass. 3822/1985).



7. I poteri della parte estranea al fenomeno successorio.

L'esame dei poteri della parte estranea al fenomeno successorio ha senso solo se si aderisce alla tesi della rilevanza in quanto i sostenitori dell'avversa posizione ritengono che la situazione delle parti originarie ed i relativi poteri rimangano del tutto immutati pur a seguito della successione, eccezion fatta per l'ipotesi in cui il successore intervenga nel giudizio.

In base alla tesi della rilevanza, se la parte che non ha dato luogo a successione è l'attore, esso continuerà a far valere la propria domanda contro il convenuto-dante causa, con le stesse modalità utilizzate prima della successione ed i suoi poteri subiranno una limitazione soltanto se la sua attività presupponga quella del convenuto (ad es. la conciliazione giudiziale, il giuramento, l'interrogatorio formale).

Diversamente se la parte estranea al fenomeno successorio è il convenuto, il problema dei poteri che gli spettano non è di pronta soluzione, specie con riguardo alle eccezioni.

Per la dottrina della rilevanza la parte può in ogni caso sollevare tutte le eccezioni per fatti avvenuti in precedenza al trasferimento, tuttavia la problematica maggiore sorge in merito ai fatti avvenuti in seguito al trasferimento.

In quest'ultimo caso la tesi prevalente ritiene che i fatti riguardanti il successore particolare siano pienamente efficaci nel processo proseguito dalla parte originaria[50].

Si pone poi il problema dell'individuazione del soggetto contro il quale la controparte deve far valere le eccezioni basate su fatti imputabili al successore particolare; sul punto si distinguono due diversi orientamenti.

Una parte della dottrina[51] ritiene necessaria la chiamata in causa del successore particolare; un'altra parte della dottrina[52], invece, ritiene sufficiente far valere l'eccezione nei confronti del solo dante causa (o successore universale).

A conclusioni antitetiche si arriva nel caso in cui la controparte non si limiti a muovere eccezioni, ma proponga, una domanda riconvenzionale preordinata ad ottenere un accertamento sfavorevole nei confronti dei protagonisti della successione: si presentano quindi diverse situazioni, la prima delle quali si verifica qualora la controparte proponga una domanda riconvenzionale avente ad oggetto il rapporto giuridico che origina la successione[53].

Tuttavia è possibile che la domanda riconvenzionale, per quanto dipendente dal rapporto giuridico oggetto del contenzioso, non coincida nel suo oggetto, con il diritto trasferito a titolo particolare, per cui l'attore-alienante resiste alla riconvenzionale tutelando non un diritto del successore, bensì un diritto proprio, con la possibilità quindi, di far valere la pretesa del successore particolare, proponendo, al contempo, le proprie difese avverso la riconvenzionale del convenuto, in relazione alla quale conserva tutti i poteri processuali (ad esempio la facoltà di deferire giuramento).

Ne consegue che la sentenza avente ad oggetto la domanda riconvenzionale non fa stato nei confronti del successore particolare, in ragione della sua totale estraneità al suddetto rapporto.



8. L'intervento del successore a titolo particolare.

L'art. 111, 3° co., attribuisce al successore a titolo particolare la facoltà di intervenire o di essere chiamato nel processo e, previo consenso di tutte le parti, la possibilità di estromissione dell'alienante e del successore universale.

In tema di successione nel processo, l'art. 111 cod. proc. civ. ,nel prevedere che il processo prosegue tra le parti originarie, esclude che divenga litisconsorte necessario il successore a titolo particolare, il quale ha la possibilità di intervenire o essere chiamato nel processo, ovvero di impugnare la sentenza; infatti, la qualità di litisconsorte necessario del successore, che presuppone la preesistenza di una pluralità di parti, si assume solo quando il medesimo intervenga o sia chiamato nel processo ovvero eserciti la facoltà di impugnare la sentenza contro il dante causa (Cass. civ. Sez. II 11.10.2006 n. 21773).

La ratio del 3° comma dell'art. 111 cpc in punto di intervento è ravvisabile nell'esigenza di salvaguardare il diritto di difesa dell'avente causa o del legatario, i quali ultimi sono i reali titolari della res litigiosa: la dottrina tradizionale[54] ascrive detto intervento alla categoria dell'adesivo dipendente, in quanto il successore particolare non propone una domanda nuova, ma pone in essere un'attività preordinata a sostenere la medesima pretesa fatta valere dall'alienante o dal successore universale, così da lasciare immutato l'oggetto del processo.

Secondo un altro orientamento[55] detta fattispecie rientrerebbe nella categoria dell'intervento litisconsortile (o adesivo autonomo), in quanto in capo al successore che intende proporre intervento sussisterebbe una legittimazione assimilabile a quella delle parti principali.

Di diverso avviso Pavanini[56], che qualifica l'intervento del successore particolare come un ibrido rispetto a quelli previsti dall'art. 105, poiché presenta caratteristiche proprie e peculiari a ciascun tipo di intervento disciplinato dalla predetta disposizione normativa.

De Marini[57], invece esclude che l'intervento del successore possa ascriversi alle fattispecie previste dall'art. 105, dal momento che tale soggetto non è da considerarsi terzo estraneo al contenzioso, ma parte, per cui il successore particolare realizzerebbe un intervento atipico, ovvero un intervento di parte: tale lettura è stata condivisa dalla giurisprudenza.

Per la Cass. civ. Sez. I 01.09.2006 n. 18937 il soggetto che interviene nel processo - a norma dell'art. 111, comma terzo, cod. proc. civ. - quale successore a titolo particolare nel diritto controverso fa valere un autonomo interesse a partecipare al giudizio che deriva dal fatto che egli è l'effettivo titolare del diritto oggetto della controversia.

Rispetto alla posizione di titolare sostanziale del diritto, la parte originaria, assume la qualità di sostituto processuale, con la conseguenza che tale intervento non è qualificabile come adesivo dipendente, bensì come intervento autonomo riconducibile alla predetta disposizione normativa.

Non osta a quest'ultima qualificazione la circostanza che il successore, all'atto del suo intervento, non chieda di accertare la sua qualità di successore a titolo particolare quale avente causa immediato o mediato di una delle parti, poiché il relativo interesse ad agire va valutato non con riferimento all'effettiva titolarità (sopravvenuta) del diritto, ma alla mera allegazione che ne viene fatta dalla parte in sede di formulazione della domanda di intervento, salvo, ovviamente, il successivo accertamento della titolarità effettiva del diritto controverso, che deve essere effettuato al momento della pronuncia sul merito della domanda.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo ma parte, essendo titolare della res litigiosa che costituisce l'oggetto dell'accertamento giurisdizionale in corso: il suo intervento nel processo, regolato dall'art. 111 c.p.c., non ha, pertanto alcun rapporto con le fattispecie disciplinate dall'art. 105 stesso codice, e la sua esperibilità, in grado di appello, al di fuori dei limiti rigorosi di cui all'art. 344 c.p.c., trova giustificazione nella situazione particolare dell'interveniente (Cass. civ. Sez. I 12.03.1999 n. 2200)[58].

Pur essendo precluso l'intervento anche adesivo in appello per la previsione dell'art. 344 c.p.c. (nel giudizio di appello è ammesso soltanto l'intervento di terzi che potrebbero proporre opposizione ai sensi dell'art. 404 c.p.c), da tale previsione esula l'intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso il quale, ai sensi dell'art. 111 c.p.c. può intervenire nel processo anche nel giudizio di rinvio (Cass. civ. [ord.], sez. VI, 05-03-2015, n. 4536).

Anche Cass. civ., sez. II, 28-02-2020, n. 5529 ha chiarito che: Nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l'alienante mantiene la sua legittimazione attiva (ad causam), conservando tale posizione anche nel caso di intervento, ai sensi del medesimo articolo 111, 3° comma, c.p.c., del successore a titolo particolare, il quale ha legittimazione distinta e non sostitutiva, ma autonoma; ne discende che, ai fini della domanda di equa riparazione ai sensi della l. n. 89 del 2001, ciascuno di essi non potrà che riferire la pretesa indennitaria per violazione del termine ragionevole del processo alla diversa durata della rispettiva presenza nel giudizio presupposto.

Da precisare che l'intervento volontario del successore non soggiace a limitazione alcuna e può realizzarsi in ogni stato e grado del processo[59], intervento ammesso, anche in grado d'appello.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso è sempre legittimato ad intervenire nel processo, anche in appello, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., purché ne sussistano i presupposti e cioè ogni qual volta la pronuncia giurisdizionale da emettersi nei confronti del dante causa possa incidere in senso positivo o negativo sul suo diritto (Cass. civ. Sez. II 18.07.2002 n. 10442).

È esclusa nel giudizio di Cassazione l'ammissibilità dell'intervento volontario del terzo che non abbia partecipato alle pregresse fasi di merito, nessuna preclusione sussiste invece in caso di intervento adesivo del successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. civ. Sez. I 19.05.2005 n. 10598)[60].

Come chiarito dalla Cass. civ. [ord.], sez. III, 10-10-2019, n. 25423: Nel giudizio di cassazione, mancando un'espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l'intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa.

Il successore a titolo particolare del diritto controverso potendo, in base all'art. 111 c.p.c., svolgere tutte le attività processuali consentite al suo dante causa, ha un generale diritto di intervento nel processo - da non confondere con l'intervento di cui all'art. 105 c.p.c., riguardante il terzo, essendo il successore non terzo, ma vero e proprio titolare della res litigiosa, ed oltre alla facoltà d'impugnare la sentenza emessa nei confronti del dante causa, può resistere all'impugnazione che la parte soccombente abbia proposto contro la sentenza che abbia riconosciuto il diritto del proprio dante causa, anche se non abbia preso parte al precedente o ai precedenti gradi del giudizio, come del pari può riassumerne il giudizio di cui sia stata parte il dante causa (Cass. civ. Sez. III 03.06.1993 n. 6220).

Si deve tuttavia segnalare che parte della dottrina[61], ha ravvisato l'incompatibilità con le previsioni di cui agli artt. 106, 107, delle citate tipologie d'intervento, in quanto tali attività si tradurrebbero, in ogni caso, nell'ingresso nel giudizio compiuto ad opera di una parte.

C'è infine che esclude la possibilità dell'intervento del successore particolare per ordine del giudice[62].

Per la giurisprudenza maggioritaria tuttavia, il successore a titolo particolare nel diritto controverso, oltre che spiegare intervento volontario, può assumere la qualità di parte nel processo per effetto di chiamata in causa, su iniziativa degli altri contendenti, ovvero anche dietro ordine del giudice (art. 111, 3° comma c. p. c.); in entrambe le ipotesi non si verifica l'invalidità degli atti istruttori in precedenza compiuti in assenza del predetto successore, il quale, pertanto, ove non si avvalga della facoltà di esercitare il proprio diritto di difesa con prove idonee a contrastare i risultati di quelle già espletate, non può dolersi che da tale pregressa istruttoria vengano tratti elementi di convincimento pure nei suoi confronti (Cass. civ. 25.06.1985 n. 3822).



9. L'efficacia della sentenza.

A norma del 4° co. dell'art. 111, la sentenza resa tra le parti originarie spiega sempre i suoi effetti nei confronti del successore: tale norma ha la funzione di tutelare il soggetto non coinvolto dal fenomeno successorio, dal rischio di ottenere una pronuncia inutiliter data, non inopponibile al vero titolare del diritto controverso.

Una tale analisi assume rilevanza solo nell'ipotesi in cui il successore non sia intervenuto nel processo, diversamente il suo ingresso nel giudizio, assumendo la veste di parte e quindi sempre destinatario della sentenza resa in quel processo.

Sull'efficacia della sentenza nei riguardi del successore la dottrina è tuttavia divisa.

Alcuni Autori[63] (aderenti alla teoria della irrilevanza) definiscono come riflessa l'efficacia della sentenza nei confronti dell'acquirente o del legatario, essendo questi ultimi soggetti terzi e titolari di un diritto giuridicamente diverso.

Di diverso avviso gli esponenti[64] della teoria della rilevanza del mutamento sostanziale nel processo, i quali ravvisano l'identità giuridica del diritto dell'autore con quello del successore e qualificano l'efficacia della sentenza come diretta, in quanto l'accertamento del rapporto tra le parti originarie è già accertamento sul diritto del successore.

Tuttavia, in merito a quest'ultimo orientamento c'é chi[65], nel condividerne i risultati quando la successione particolare sia avvenuta dopo la formazione del giudicato sulla res litigiosa, è di opposto avviso nell'ipotesi in cui la successione avvenga prima della formazione del giudicato: caso, questo, in cui l'art. 111 estende i limiti soggettivi stabiliti dall'art. 2909 c.c.

Una ulteriore tesi[66], ritiene, nel caso in cui in corso di lite si verifichi la successione a titolo particolare di un diritto dipendente da quello oggetto del processo, si estenderebbe al successore l'efficacia della sentenza conclusiva di quel giudizio.

La giurisprudenza, dal suo canto, ha in più occasioni stabilito il principio dell'assoggettamento dell'acquirente (o del legatario), quand'anche non sia intervenuto in causa, all'efficacia della sentenza pronunciata nei confronti dell'alienante.

In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, se durante il giudizio di merito, non vi è stata estromissione dal giudizio dell'alienante ai sensi dell'art. 111, comma 3, c.p.c., il ricorso per cassazione tempestivamente notificato al dante causa impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di appello anche nei confronti del successore, cui il ricorso sia stato notificato dopo il decorso del termine breve di impugnazione, in considerazione dell'assoggettamento (stabilito dall'art. 111, comma 4, c.p.c.) dell'acquirente - che abbia partecipato o no al giudizio - all'efficacia della sentenza pronunciata nei confronti dell'alienante (Cass. civ. Sez. lavoro 02.05.1997 n. 3768).

Il trasferimento a titolo particolare, nel corso del processo del diritto controverso, non spiega alcun effetto sul rapporto processuale, che continua a svolgersi tra le parti originarie (art. 111 c. p. c.), dandosi luogo ad una sostituzione processuale del dante causa, tanto che la sentenza spiega piena efficacia nei confronti dell'avente causa sostituito, pur se pronunziata senza la sua partecipazione al giudizio.

Con lo stesso trasferimento a titolo particolare, tuttavia, operato in corso di causa, vengono a scindersi la titolarità del diritto controverso dalla titolarità dell'azione processuale (dal lato attivo o dal lato passivo), sì che il diritto sostanziale non si sottrae all'incidenza di vicende che possano determinarne delle modifiche o l'estinzione, con i conseguenti riflessi quanto alla stessa esistenza della correlata condizione dell'azione (Cass. civ. Sez. II 07.08.1990 n. 7970).

La Cass. civ. 14.02.1984 n. 1104 ha precisato che norma dell'art. 111 c. p. c., nel caso in cui, in virtù di atto negoziale o di specifica previsione normativa, si realizzi la successione a titolo particolare, per atto tra vivi, nel rapporto controverso, la sentenza pronunciata nei confronti del dante causa produce i suoi effetti nei confronti del successore a titolo particolare, ancorché egli non sia intervenuto in causa, restando escluso che dal medesimo, o nei suoi confronti, possa essere iniziato un giudizio identico, per petitum e causa petendi, a quello promosso da parte, o nei confronti, del dante causa.

Inoltre, la successione a titolo particolare nel diritto controverso si ha non soltanto nel caso in cui venga alienato lo stesso diritto che forma oggetto di controversia, ma in ogni caso in cui l'alienazione comporti, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subentrare dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio[67] (Cass. civ. 06.06.1983 n. 3868).

Per la Suprema Corte dunque che gli effetti sostanziali della pronuncia si spiegano solo nei confronti del successore, in qualità di effettivo nuovo titolare del diritto (Cass. civ. Sez. lavoro 23.05.2003 n. 8215[68]).

In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso senza estromissione del dante causa, il successore che sia stato informato dell'avvenuta notificazione a quest'ultimo della sentenza di secondo grado e che intenda proporre ricorso per cassazione, è tenuto, a pena di improcedibilità, a estrarre copia della relazione di notifica e a depositarla in cancelleria, salvo che l'omesso deposito non dipenda da causa a lui non imputabile (Cass. civ., sez. II, 02-08-2019, n. 20856).

In dottrina, la questione dell'efficacia esecutiva, nei confronti del successore, della sentenza resa tra le parti originarie, nel silenzio della legge, è stata positivamente risolta dalla dottrina[69], sulla base del combinato disposto degli artt. 475, 477 cpc ; per cui, se in pendenza di causa viene trasferito un bene a titolo particolare, la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, è eseguibile anche a favore, o nei confronti, del successore particolare, soluzione, questa, che ha trovato il favore della giurisprudenza (Cass. 11583/2005[70]; Cass. 601/2003[71]).

Invero, la sentenza di condanna emessa contro una parte, a cui ne è succeduta un'altra, a titolo particolare (art. 111 c.p.c.), nel corso del processo di cognizione, esplica la sua efficacia, anche di titolo esecutivo, nei confronti di quest'ultima, pur se in essa sentenza non menzionata, e pertanto il pignoramento dei suoi beni non dà luogo all'espropriazione presso terzi (art. 543 c.p.c.) e il creditore non deve instaurare il procedimento di accertamento dell'obbligo ai sensi dell'art. 548 c.p.c., essendo la stessa debitrice, e non terzo (Cass. civ. Sez. III 13.03.1998 n. 2748).

Inoltre, la legittimazione al ricorso per cassazione di un soggetto che non ha partecipato al grado precedente del giudizio può essere riconosciuta soltanto se egli sia un successore, a titolo universale o particolare, nel diritto controverso; non possiede la qualità di successore a titolo particolare il liquidatore nella procedura di concordato preventivo, il quale subentra soltanto nella gestione dei beni ceduti e, più in generale, nelle questioni attinenti alla liquidazione ed al carattere concorsuale del credito (Cass. civ. [ord.], sez. VI, 12-01-2017, n. 681).



10. Le eccezioni al principio di efficacia della sentenza nei confronti del successore particolare.

L'art. 111, 4° co. cpc, inoltre, nel sancire l'efficacia della sentenza nei confronti del successore particolare, fa salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione: da ciò si ricava che esula dall'ambito applicativo dell'art. 111 cpc la fattispecie di acquisto del diritto controverso a titolo originario, e l'assoluta indifferenza dell'acquirente a titolo originario della res litigiosa all'esito del giudizio avente ad oggetto tale diritto, la cui sentenza non estende nei suoi confronti i propri limiti oggettivi e soggettivi[72] con la possibilità ad egli accordata, di disconoscere il giudicato, ovvero di proporre intervento volontario principale ai sensi dell'art. 105 cpc.

Per la Cass. civ., sez. III, 12-04-2013, n. 8936: Nel caso di cessione di un credito già azionato esecutivamente, trovano applicazione (sia pure con gli opportuni adattamenti) sia il primo che il 3º comma dell'art. 111 c.p.c.; quando, invece, un'analoga successione si verifichi dal lato passivo (ove, cioè, un terzo abbia acquistato, in pendenza dell'esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, il bene pignorato), è applicabile solo il 1º comma della citata disposizione, ostando all'applicazione anche del terzo il regime di inefficacia delineato dall'art. 2913 c.c.

La seconda eccezione, formulata dall'art. 111 in ordine all'efficacia della sentenza nei confronti del successore, riguarda la trascrizione delle domande giudiziali ai sensi degli artt. 2652-2653, 2690-2691 c.c., e si traduce nell'inopponibilità, al successore medesimo, degli effetti del provvedimento de quo, qualora egli abbia trascritto il suo titolo d'acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale[73].

Alcuni Autori[74] pongono, senza ostacolo alcuno, in relazione tutte le norme sulla trascrizione della domanda giudiziale con la disposizione in punto di successione a titolo particolare nel diritto controverso.

Altra parte della dottrina[75] ritiene che le due discipline sono incompatibili, per cui l'efficacia diretta della sentenza nei confronti del successore particolare, mal si concilia con l'efficacia riflessa spiegata dal provvedimento conclusivo del processo in applicazione delle norme sostanziali: ne consegue che solo alcune domande ovvero, quelle di cui agli artt. 2652, n. 7, 2653, nn. 1, 2, 5, c.c., nonché le analoghe norme relative ai beni mobili registrati, sono ascrivibili al disposto dell'art. 111.

Per la giurisprudenza, al fine di verificare se un atto od una domanda giudiziale sia opponibile nei confronti di terzi, è necessario riferirsi esclusivamente alla nota di trascrizione, il cui contenuto deve consentire di individuare tutti i dati del negozio o del bene oggetto della stessa.

Per stabilire se ed in quali limiti un determinato atto od una domanda giudiziale trascritta sia opponibile ai terzi, deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare senza possibilità di equivoci ed incertezze gli elementi essenziali del negozio e i beni ai quali esso si riferisce, od il soggetto contro il quale la domanda sia rivolta, senza potersi attingere elementi dai titoli presentati e depositati con la nota stessa, né peraltro possa ostare la tardiva menzione sui registri ausiliari preordinati alla ricerca (Cass. civ. Sez. II 27.06.1992 n. 8066[76]).



11. L'impugnazione della sentenza.

L'art. 111, 4° co., stabilisce che la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, può essere impugnata dal successore particolare.

Per i sostenitori della tesi dell'irrilevanza del mutamento sostanziale nel processo (che attribuiscono al successore singolare, non intervenuto in giudizio, il ruolo di terzo) deve ritenersi esperibile da tale soggetto soltanto l'opposizione di terzo di cui all'art. 404, quale rimedio predisposto a tutela di un soggetto, estraneo al processo e pregiudicato dalla sentenza resa tra le parti originarie, per cui i l'unico legittimato ad impugnare la sentenza con i mezzi propri delle parti sarebbe l'alienante (o il successore universale).

Per la Cass. civ., sez. I, 20-11-2019, n. 30189: In ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e prima della scadenza del termine per l'impugnazione, il dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che l'impugnazione spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti la sentenza è stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore.

Diversamente, per coloro che ritengono il successore come parte, anche soltanto dal punto di vista sostanziale, dovrebbero escludere la proponibilità, ad opera dello stesso, dell'opposizione di terzo ed affermare la sua legittimazione a proporre i mezzi d'impugnazione che gli sono propri, quali l'appello, il ricorso in cassazione, la revocazione ed il regolamento di competenza.

Dunque, il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com'è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest'ultimo, mentre è esclusa l'esperibilità da parte sua dell'opposizione ordinaria di terzo ex art. 404, 1° comma, c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 31-08-2018, n. 21492).

Secondo la Cass. civ., sez. III, 29-05-2015, n. 11174: Va preferito l'orientamento che ammette dinanzi alla corte di cassazione sia l'intervento del successore a titolo particolare che quello del successore a titolo universale, poiché la posizione dell'uno e dell'altro non è assimilabile a quella dell'interveniente volontario, che non abbia partecipato alle pregresse fasi di merito, al quale è invece precluso l'intervento nel giudizio di legittimità, non potendovi trovare applicazione l'art. 105 c.p.c.: ed, invero, così come al successore a titolo particolare è riconosciuta la legittimazione attiva all'impugnazione ex art. 111 c.p.c., u.c., non può essergli negata quella a subentrare al ricorrente cui sia succeduto; basta ciò a differenziarne la posizione da quella dall'interveniente volontario, cui detta legittimazione non spetta.

La dottrina maggioritaria[77] (ovvero i sostenitori della tesi dell'irrilevanza[78]) ammette, la possibilità per il successore, quand'anche non intervenuto o non chiamato nella precedente fase di giudizio, di avvalersi dei mezzi ordinari d'impugnazione (Consolo, individua un'ipotesi eccezionale di (appello di terzo[79]).

La Cass. civ., sez. I, 07-06-2016, n. 11638 ha chiarito che il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c. può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall'acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa, altrimenti determinandosi un'ingiustificata lesione del suo diritto di difesa.

Invero, la Cass. civ., sez. I, 02-03-2016, n. 4116 ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto da una società che assuma di averne incorporata un'altra, cessionaria di crediti bancari in blocco, ma non produca, nonostante l'avversa esplicita contestazione, neppure successivamente al deposito del ricorso stesso, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., alcun documento idoneo a dimostrare l'incorporazione e l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco ex art. 58 d.leg. n. 385 del 1993, avendo l'impugnante, che si affermi successore (a titolo universale o particolare) della parte originaria, l'onere di fornire la prova documentale della propria legittimazione, a meno che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta.

Per la giurisprudenza, il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com'è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest'ultimo, mentre è esclusa l'esperibilità da parte sua dell'opposizione ordinaria di terzo ex art. 404, primo comma c.p.c. (Cass. civ. Sent. Sez. I 11.05.2007 n. 10876).

Qualora, nel corso del giudizio, sia trasferito il diritto controverso, la sentenza resa fra le parti spiega effetti, ai sensi dell'art. 111 cod. proc. civ., nei confronti del successore a titolo particolare a prescindere dall'efficacia del titolo in base al quale si sia attuata la successione (Cass. civ. Sez. II 04.08.2006 n. 17683)[80].

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato terzo, essendo l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter assumere la stessa posizione del suo dante causa, con la conseguenza che, come la sentenza spiega effetto nei suoi confronti, egli è anche legittimato ad impugnarla, secondo quanto espressamente previsto nell'ultimo comma dell'art. 111 c.p.c., senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento in fasi pregresse di giudizio; trattasi di legittimazione attiva e passiva, sicché il successore, può essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del suo dante causa, e può resistere all'impugnazione medesima, fermo restando il litisconsorzio necessario tra dante causa (che non sia stato precedentemente estromesso) e successore a titolo particolare (Cass. civ. Sez. II 27.02.2002 n. 2889; in tal senso Cass. civ. Sez. II 27.02.2002 n. 2889; Cass. civ. Sez. II 21.01.2000 n. 649).

Legittimati a proporre l'opposizione di terzo ordinaria a norma dell'art. 404, comma 1, c.p.c. sono unicamente i titolari di un diritto autonomo, incompatibile con quello riconosciuto nella sentenza opposta.

Non rientrano nel novero di tali legittimati né gli aventi causa, di cui è menzione nell'art. 2909 c.c., cioè coloro che subentrano alle parti, nelle situazioni giuridiche attive o passive sulle quali ha inciso la sentenza opposta, post rem iudicatam, ossia dopo la formazione del giudicato, né i soggetti succeduti, durante il processo, a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell'art. 111 c.p.c., i quali, identificandosi con l'effettivo titolare del diritto in contestazione, non assumono una posizione distinta e autonoma, bensì la stessa posizione del loro dante causa (Cass. civ. Sez. III 10.10.1997 n. 9868[81]).

Appare di interesse il caso particolare esaminato dalla Cass. civ., sez. III, 27-04-2015, n. 8477: Qualora si verifichi, in pendenza di gravame, una successione ex art. 111 c.p.c. nel diritto controverso, e la sentenza venga pronunciata nei confronti di un mandatario, munito di rappresentanza anche processuale, che abbia ivi precisato le conclusioni in luogo del successore precedentemente non costituitosi in giudizio, la parte soccombente è carente di interesse a denunciare per cassazione un tale vizio di quella decisione, non ricevendo alcun concreto vantaggio dall'eventuale riforma di quest'ultima perché comunque tenuta ad eseguirla nei confronti di tutti i successori a titolo particolare dell'originario creditore.

In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso in corso di causa, il successore non assume la veste di "parte processuale" se non quando sia stato chiamato o sia intervenuto nel giudizio o abbia proposto impugnazione avverso la sentenza pronunziata tra il terzo ed il suo dante causa, potendo il processo proseguire tra le parti originarie ed assumendo l'alienante, fino a quando non venga formalmente estromesso dal giudizio, la qualità di "sostituto processuale" del successore a titolo particolare e di litisconsorte necessario.

Ne consegue che, in caso d'emissione di sentenza non definitiva, è inammissibile l'appello immediato proposto contro la stessa dal successore a titolo particolare, che non abbia partecipato al giudizio di primo grado, in quanto il suo diritto d'impugnazione resta vincolato alla riserva d'impugnazione formulata dall'alienante, non avendo il successore medesimo precedentemente assunto la veste di parte processuale e tenuto conto della irrevocabilità della menzionata riserva di appello (Cass. civ. Sez. II 02.05.1996 n. 4024).

Inoltre, in tema di legittimazione passiva nel giudizio di cassazione, l'impugnazione, proposta nei confronti di soggetto diverso da quello che è stato parte nel processo di merito, deve essere corredata dell'allegazione relativa alla legittimazione a contraddire determinata dalla qualità di successore, a titolo universale o particolare, nel rapporto controverso, in capo a colui che era stato parte nel precedente grado di giudizio e, in caso di contestazione, devono essere forniti dall'impugnante i riscontri documentali degli elementi costituenti i presupposti di legittimazione di cui agli art. 110 e 111 c.p.c..

Da ciò consegue che deve essere dichiarata inammissibile l'impugnazione per cassazione proposta, in mancanza di produzione, ex art. 372, 1º comma, c.p.c., dei documenti che attengono all'ammissibilità del ricorso nei confronti di un soggetto indicato, senza alcuna ulteriore specificazione, come successore di quello che aveva partecipato al precedente grado di giudizio (Cass. civ., sez. lav., 31-01-2014, n. 2131).

Si deve dunque concludere che secondo la giurisprudenza, il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo del processo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, pertanto, costui può essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e può resistere alla stessa senza che il suo diritto possa essere condizionato dal mancato intervento nelle pregresse fasi del giudizio (Cass. civ. Sez. III 19.05.2006 n. 11757; Cass. civ. Sez. III 11.05.1998 n. 4742; Cass. civ. Sez. III 07.08.1996 n. 7247).

La Cass. civ. Sez. I 21.01.1995 n. 713 ha chiarito che: Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter assumere la stessa posizione del suo dante causa. Ne consegue che, come la sentenza spiega effetto nei suoi confronti, egli è anche legittimato ad impugnarla, secondo quanto espressamente previsto nell'ultimo comma dell'art. 111 c.p.c., senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento in fasi pregresse di giudizio. Trattasi di legittimazione attiva e passiva, sicchè il successore, come può impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa, così può essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario di quest'ultimo, soccombente nei di lui confronti, e può resistere all'impugnazione medesima, fermo restando il litisconsorzio necessario tra dante causa (che non sia stato precedentemente estromesso) e successore a titolo particolare.

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato come terzo essendo titolare della res litigiosa per cui ha il potere autonomo di impugnare la sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa e di resistere all'impugnazione ex adverso proposta contro la medesima sentenza, senza che rilevi il suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio (Cass. civ. Sez. III 11.05.1998 n. 4742; Cass. civ. Sez. III 07.08.1996 n. 7247; Cass. civ. Sez. I 21.01.1995 n. 713).

La successione a titolo particolare consente la riassunzione della causa da e nei confronti della parte originaria dinanzi al giudice di rinvio (Cass. civ. Sent. Sez. lavoro 08.10.2007 n. 21027).

La successione nel diritto controverso non determina una questione di legittimazione attiva o di legitimatio ad processum, ma una questione di merito, attinente alla titolarità del diritto, da esaminare con la decisione sulla fondatezza della domanda, e non anticipatamente in funzione preclusiva degli atti d'impulso volti a riattivare il processo interrotto; pertanto, il giudice deve dare seguito all'istanza di riassunzione proposta da chi si afferma successore a titolo particolare nel diritto della parte processuale estinta, impregiudicato l'accertamento dell'effettiva spettanza del diritto medesimo all'esito della valutazione della prova dell'allegata successione (Cass. civ., sez. I, 16-03-2012, n. 4208).

L'art. 111 c.p.c., a norma del quale se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie ma il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo, è applicabile in ogni grado o fase del processo e, quindi, anche nel giudizio di rinvio senza che vi osti il carattere chiuso di tale giudizio, dato che il successore a titolo particolare nel diritto controverso, assumendo la stessa posizione del suo dante causa, non è terzo rispetto alle altre parti (Cass. civ. Sez. III 09.04.1993 n. 4333).

Per la Cass. civ. [ord.], sez. I, 15-06-2018, n. 15905: Il successore a titolo particolare per atto tra vivi di una delle parti del processo può intervenire volontariamente nel processo o esservi chiamato, senza che ciò comporti automaticamente l'estromissione dell'alienante o del dante causa, potendo questa essere disposta dal giudice solo se le altre parti vi consentano; ne consegue che, nel giudizio di impugnazione contro la sentenza, il successore intervenuto in causa e l'alienante non estromesso sono litisconsorti necessari e che, se la sentenza è appellata da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere ordinata, anche d'ufficio, l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro, a norma dell'art. 331 c.p.c., dovendosi, in difetto, rilevare, anche d'ufficio, in sede di legittimità, il difetto di integrità del contraddittorio con rimessione della causa al giudice di merito per la eliminazione del vizio.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha affermato la necessità che il successore singolare non solo dichiari l'avvenuta successione, ma ne fornisca, altresì, la prova, ha dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta dal successore particolare che non aveva provato in giudizio detta qualità (Cass. civ. Sez. I 30.01.1997 n. 965; Cass. civ. Sez. I 09.07.1996 n. 6249; Cass. civ. Sez. I 07.03.1996 n. 1815)

Ebbene, ponendo come presupposto applicativo dell'art. 111, 4° co., l'esplicitazione del trasferimento del diritto controverso, se il trasferimento non è reso noto in giudizio ed il successore particolare non è intervenuto nel giudizio di primo grado, la sentenza resa tra le parti originarie deve essere notificata, a cura della controparte, soltanto all'alienante (od al successore universale); da tale momento decorreranno, poi, i termini brevi d'impugnazione di cui agli artt. 325, 326 sia nei confronti dell'alienante (o del successore universale), che dell'avente causa (o del legatario).

Secondo la Cass. civ., sez. III, 07-02-2011, n. 2947: La notificazione della sentenza effettuata nei confronti del dante causa, dopo che sia intervenuta la successione a titolo particolare nel diritto controverso, è idonea a far decorrere i termini brevi di impugnazione di cui agli art. 325 e 326 c.p.c., poiché, a norma dell'art. 111, 1º e 3º comma, c.p.c., permane la legittimazione del dante causa medesimo quale sostituto processuale del successore fin quando egli, intervenuto in causa quest'ultimo, non ne sia estromesso con il consenso delle altre parti; i limiti temporali dipendenti da tale notificazione spiegano effetto anche nei confronti del successore, che non è terzo in senso sostanziale ed assume, perciò, la stessa posizione del dante causa in relazione alle impugnazioni che è legittimato a proporre autonomamente, ai sensi dell'art. 111, 4º comma, c.p.c.

Nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso in corso di causa (art. 111 c. p. c.), ove il giudizio sia proseguito dal solo dante causa, quale sostituto processuale dell'avente causa, che non intervenga nel giudizio, la notifica della sentenza al primo preclude anche per il secondo la possibilità di avvalersi del termine annuale per l'impugnazione ai sensi dell'art. 327 c. p. c. e quindi per entrambi la facoltà di esercitare il proprio autonomo diritto di impugnazione è assoggettata al termine breve ex art. 325 e 326 c. p. c.[82] (Cass. civ. Sez. lavoro 11.01.1990 n. 42).

Deve pertanto ritenersi valido il giudizio di secondo grado instaurato dal successore a titolo particolare di un bene e svoltosi senza integrare il contraddittorio con l'alienante del medesimo se questi, avuta notizia della sentenza a lui sfavorevole, non la impugni, in tal modo dimostrando di non esser interessato al giudizio e di volerne restar fuori, e la controparte accetti il contraddittorio con il nuovo soggetto processuale - in tal modo dimostrando di consentire all'estromissione del giudizio del precedente contraddittore - perché tutti tali elementi integrano i presupposti per l'estromissione dal giudizio del suddetto alienante, e quindi, pur in assenza di un provvedimento formale, questi cessa di esser litisconsorte necessario (Cass. civ. Sez. I 19.05.2000 n. 6530; Cass. civ. 28.10.1983 n. 6391).

In tema di trasferimento del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie e, pertanto, sono ininfluenti le vicende attinenti a posizioni giuridiche attive o passive successive all'inizio della causa; ne deriva che l'acquirente del diritto contestato, pur potendo spiegare intervento volontario ex art. 111 c.p.c., non diviene litisconsorte necessario e che è validamente emessa la sentenza che non abbia disposto nei suoi confronti l'integrazione del contraddittorio (Cass. civ., sez. II, 06-06-2018, n. 14480[83]).

Secondo la Cass. civ., sez. II, 24-04-2012, n. 6471: In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie, mantenendo il successore interventore tale veste processuale, salvo che nel caso di espressa estromissione dell'alienante; ne consegue l'inammissibilità del ricorso per cassazione che sia notificato unicamente al successore interventore e non alla controparte originaria.

Il successore a titolo particolare di una delle parti del processo, che abbia spiegato intervento volontario nel giudizio o vi sia stato chiamato ovvero abbia impugnato la sentenza emessa nei confronti del suo dante causa ai sensi dell'art. 111, 3º e 4º comma, c.p.c., assume la posizione di litisconsorte necessario, destinata a perdurare anche nelle fasi successive del processo fino alla sua eventuale estromissione; ne consegue che, ove il giudizio sia stato interrotto successivamente alla chiamata in causa ovvero all'intervento del successore a titolo particolare, occorre procedere alla riassunzione anche nei suoi confronti, in mancanza della quale deve essere ordinata, anche in appello, l'integrazione del contraddittorio, determinandosi, altrimenti, la nullità del procedimento e di tutti gli atti successivi, rilevabile, anche d'ufficio, in sede di legittimità, alla cui declaratoria consegue la rimessione della causa al giudice dinanzi al quale si è verificata la predetta violazione, affinché provveda alla rinnovazione degli atti nulli, previa sanatoria del vizio (Cass. civ., sez. I, 31-10-2016, n. 22035).

Poiché in caso di trasferimento del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare il processo prosegue tra le parti originarie (art. 111 c.p.c.), sono ininfluenti le vicende attinenti a posizioni giuridiche attive o passive successive all'inizio della controversia stessa; ne deriva che l'acquirente del diritto controverso, pur potendo spiegare intervenuto volontario ex art. 111 c.p.c., non diviene litisconsorte necessario e che è validamente emessa la sentenza che non abbia disposto nei suoi confronti l'integrazione del contraddittorio (Cass. civ., sez. II, 19-10-2015, n. 21124; Cass. civ., sez. II, 12-11-2015, n. 23116).



12. La successione a titolo particolare nel processo esecutivo.

L'ultimo profilo dell'indagine concerne l'individuazione della disciplina da applicare al caso di successione a titolo particolare che sia avvenuta nel corso di un processo esecutivo.

Sulla applicabilità dell'art. 111 cpc al processo di esecuzione la dottrina appare univoca.

Alcuni Autori[84] ritengono applicabile l'art. 111 cpc ad un processo esecutivo iniziato da un creditore che, prima della conclusione dell'esecuzione, alieni il suo diritto ad un terzo, in forza della collocazione sistematica della norma in parola che, contenuta nel Libro I del codice di rito rubricato Disposizioni Generali, estenderebbe il suo ambito applicativo a tutte le tipologie di procedimento.

Per quanto sopra, ammettendo, che il processo d'esecuzione prosegua tra le parti originarie, può affermarsi che il creditore procedente dante causa conservi la sua legittimazione ad agire in executivis e che, per l'effetto, il debitore esecutato non possa far valere, mediante opposizione all'esecuzione, la perdita della legittimazione della sua controparte.

Altra dottrina[85] dalla perdita, in capo al creditore, della titolarità del diritto sostanziale, fa derivare la carenza di legittimazione dello stesso ad agire esecutivamente, cosicché l'unico legittimato ad agire nel processo d'esecuzione sarebbe l'avente causa.

In pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c. - dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo - continua tra le parti originarie; pertanto, in caso di cessione del diritto di credito per il quale è stata promossa espropriazione forzata, il cedente mantiene la legittimazione attiva (ad causam) a proseguire il processo, salvo che il cessionario si opponga (Cass. civ. [ord.], sez. VI, 22-06-2017, n. 15622).

In tema di opposizione all'esecuzione, qualora il titolo esecutivo, di formazione giudiziale, sia stato emesso nei confronti di soggetto diverso da colui che è intimato, e non sia in contestazione siffatta diversità, spetta all'opposto, creditore procedente, allegare e dimostrare che si verte in un'ipotesi di estensione dell'efficacia soggettiva del titolo esecutivo in quanto l'esecuzione è stata intrapresa nei confronti di colui che è succeduto nella situazione sostanziale ex latere debitoris, per essersi verificato, prima della formazione del titolo giudiziale, uno dei fatti presupposti dall'art. 111 c.p.c. ovvero, dopo la formazione del titolo stesso, dall'art. 477 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 30-05-2014, n. 12286).

Ciò comporterebbe una dicotomia tra il titolo esecutivo documentale il quale indica come legittimato ad agire il dante causa, ed il titolo esecutivo sostanziale, per il quale solo l'effettivo titolare del diritto sostanziale può legittimamente procedere coattivamente.

Da ultimo si segnala che alcuni Autori[86], ritengono che l'art. 111 operi in relazione al processo di esecuzione solo nel caso di successione a titolo particolare nell'obbligo.

Per la Cass. civ., sez. III, 12-04-2018, n. 9060: La surrogazione nei diritti del creditore procedente comporta la prosecuzione del processo esecutivo e, pertanto, non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi già pendente, permanendo l'interesse dell'opponente a conseguire la dichiarazione di illegittimità degli atti di esecuzione e la loro conseguente caducazione.

Anche in giurisprudenza non pare individuabile un unico orientamento.

La Cass. civ. Sez. III 01.07.2005 n. 14096 ritiene che al processo esecutivo possa essere applicato il principio generale dettato dall'articolo 111 del c.p.c. per il giudizio contenzioso, che consente la successione nel diritto controverso anche quando essa si determini in pendenza del processo esecutivo.

È consentita, pertanto, la prosecuzione del processo esecutivo dopo l'alienazione del credito, sia al creditore originario, sia a quello subentrante.

In pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., dettato per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l'alienante mantiene la sua legittimazione attiva ("ad causam") conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare, fino a quando non sia estromesso con il consenso delle altre parti.

A tale stregua, quando la cessione del credito avviene a processo esecutivo iniziato e, in accordo con il cessionario, è l'originario creditore a proseguirlo, da un canto, il debitore deve rivolgere le sue opposizioni contro la parte che procede.

Invero, dovendo i principi evincibili dall'art. 111 c.p.c. essere adattati alle caratteristiche proprie del processo esecutivo (per cui la soluzione di determinate questioni incidentali avviene anziché nell'ambito dello stesso processo in distinti giudizi di cognizione, quali quelli volti a decidere sulle questioni concernenti l'estinzione, le opposizioni esecutive e le controversie sulla distribuzione del ricavato), deve conseguentemente riconoscersi, ferma restando la prosecuzione del processo stesso tra le parti originarie, la possibilità per il cessionario di svolgere le attività processuali inerenti all'indicato subingresso nella qualità di soggetto passivo, e quindi (anche) la facoltà di intervenire, ai sensi dell'art. 111, quarto comma, c.p.c., nel giudizio di cassazione pur non avendo spiegato intervento in primo grado, e pur essendo subentrato nella titolarità del diritto controverso prima che l'opposizione fosse proposta (essendo all'epoca il processo esecutivo già iniziato) (Cass. civ. Sez. III 11.03.2004 n. 4985).

La Cass. civ., sez. I, 23-03-2016, n. 5759 ha chiarito che: Il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell'autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito.

In ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e prima della scadenza del termine per l'impugnazione, il dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che l'impugnazione spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti la sentenza è stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore (Cass. civ., sez. I, 20-11-2019, n. 30189).

La notificazione della sentenza effettuata nei confronti del dante causa, dopo che sia intervenuta la successione a titolo particolare nel diritto controverso, è idonea a far decorrere i termini brevi di impugnazione di cui agli art. 325 e 326 c.p.c., poiché, a norma dell'art. 111, 1° e 3° comma, c.p.c., permane la legittimazione del dante causa medesimo quale sostituto processuale del successore fin quando egli, intervenuto in causa quest'ultimo, non ne sia estromesso con il consenso delle altre parti; i limiti temporali dipendenti da tale notificazione spiegano effetto anche nei confronti del successore, che non è terzo in senso sostanziale ed assume, perciò, la stessa posizione del dante causa in relazione alle impugnazioni che è legittimato a proporre autonomamente, ai sensi dell'art. 111, 4° comma, c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 02-08-2019, n. 20856).

Secondo la Cass. civ. Sez. III 06.07.2001 n. 9211 la parte obbligata sulla base di un titolo esecutivo, può proporre opposizione all'esecuzione per chiedere che sia accertato che l'altra non ha diritto a proseguire l'esecuzione forzata per avere, in pendenza del processo esecutivo, ceduto il diritto della cui esecuzione coattiva si tratta.

In tal caso la pronuncia può avere il solo contenuto di un accertamento negativo del diritto della parte istante a proseguire il processo, se il successore è intervenuto nel processo esecutivo per farlo proseguire o nel giudizio di opposizione dichiarando di volerlo proseguire, e, comunque, non ha l'effetto di togliere al successore il diritto di tornare ad iniziare il processo esecutivo sulla base dello stesso titolo, se in seguito lo voglia[87].

Per la Cass. civ., sez. III, 16-06-2016, n. 12415: Nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c, se l'esecuzione sia iniziata proprio contro il soggetto contemplato nel titolo esecutivo, spetta a quest'ultimo, esecutato opponente, che in giudizio riveste la qualità formale e sostanziale di attore, dare la prova del fatto sopravvenuto che rende inopponibile od ineseguibile nei suoi confronti il titolo, spettando all'opposto, creditore procedente, soltanto la prova che esso esiste ed è stato emesso appunto nei confronti del soggetto esecutato (o che quest'ultimo sia successore di quello contemplato nel titolo).

Qualora il titolo esecutivo, di formazione giudiziale, sia stato emesso nei confronti di un soggetto diverso da colui che è stato poi intimato, nel giudizio di opposizione all'esecuzione spetta all'opposto allegare e dimostrare che si verte in un'ipotesi di estensione dell'efficacia soggettiva del titolo esecutivo.

Nell'ipotesi quindi, di trasferimento di un ramo d'azienda bancaria, ove il creditore procedente, in favore del quale era stata pronunciata una sentenza costituente titolo esecutivo nei confronti della banca cedente, abbia intrapreso l'azione esecutiva nei confronti della banca cessionaria e quest'ultima abbia proposto opposizione, grava su detto creditore l'onere di provare che la vicenda traslativa ha comportato la successione della cessionaria anche nel debito risultante dall'indicata sentenza, in quanto riferibile al ramo d'azienda compreso nella cessione (Cass. civ., sez. III, 26-08-2014, n. 18258[88]).

NOTE
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[1] Cassazione civile sez. III, 13/06/2019, n.15884; Cassazione Civile, sez. I, 26/06/2019, n. 17110.

[2] Capriglione F., Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, II ed., 462

[3] Belli F. et al., Commento al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, 889

[4] Falasconi, Lo speciale meccanismo pubblicitario delle Cessioni in blocco, in Magistra, Banca e Finanza - www.magistra.it - ISSN: 2039-7410, 2009.

[5] In tal senso: Tribunale Lucca, 26 Marzo 2021. Est. Fabbrizzi; Tribunale Ferrara, 09 Aprile 2019. Est. Giusberti; Tribunale Benevento, 07 Agosto 2018. Est. Maria Letizia D'Orsi.







[6] Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25292 - pubb. 15/05/2021

[7]Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, 8ª ed., Milano, 1989, 124

[8]De Marini, La successione nel diritto controverso, Roma, 1953, 58; Proto Pisani, Dell'esercizio dell'azione, in Comm. c.p.c. Allorio, I, 2, Torino, 1973, 1219, spec. 1223; Id., Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, 1965, 128; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 2007, 97 ss.; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale. Codice e norme complementari, 8ª ed., Milano, 1950-1954, 174; Luiso, Sul concetto di «avente causa» dell'art. 2909 c.c., in RDPr, 1983, 440. Cass. civ., sez. II, 15-05-2015, n. 10005. In forza dell'art. 2909 c.c., nel caso di azioni a difesa della proprietà come quella relativa al rispetto delle distanze legali, la sentenza pronunciata contro l'originaria parte processuale spiega suoi effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare che abbia partecipato al processo a prescindere dalla trascrizione della domanda, atteso che l'art. 111, 4º comma, c.p.c. riguarda solo il terzo che abbia acquistato il diritto controverso durante la pendenza della lite e che non abbia partecipato al processo.

[9]Allorio, La cosa giudicata rispetto a terzi, Milano, 1935, rist. 1992, 135, spec. 140

[10]Cass. civ. 06.06.1983 n. 3868 La successione a titolo particolare nel diritto controverso si ha non soltanto nel caso in cui venga alienato lo stesso diritto che forma oggetto di controversia, ma in ogni caso in cui l'alienazione comporti, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subentrare dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio; conseguentemente, l'acquirente del bene locato per il quale sia in corso un procedimento di rilascio, viene posto dall'art. 111 c. p. c. nella stessa posizione dell'alienante, nei confronti del quale, pur non essendo più titolare del diritto sul bene controverso, va emessa la sentenza, che fa stato sia nei confronti dell'alienante che del successore a titolo particolare.

[11] App. Roma 17.6.2009.

[12] In tal senso: App. Roma 17.6.2009

[13] Satta, Commentario del codice di procedura civile, I, Milano, 1966, 421

[14]V. per gli Autori che collocano le loro opere in epoca precedente all'emanazione del nuovo codice Arias, Il retratto di diritto litigioso, Padova, 1933, 101; Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, II, 3ª ed., Milano, 1923, 534; per la dottrina successiva v. tra gli altri De Marini, 46; Proto Pisani, La trascrizione della domanda giudiziale, Napoli, 1968, 29

[15]Sistema di diritto processuale civile, III, Padova, 1939, 348; Id., Recensione, in De Marini (a cura di), La successione nel diritto controverso, in RDPr, 1954, I, 70

[16] Picardi, La successione processuale, Milano, 1964, 159

[17]Allorio, 137; Pacchioni, Lezioni di diritto civile, Le obbligazioni, parte generale, Padova, 1924, 329; Neppi, La rappresentanza nel diritto privato moderno, Padova, 1930, 282; Laserra, Prospettazione ed effettività nell'art. 111, in RTDPC, 1978, 1285; Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano, 1997, 35

[18]Sia pur di natura uguale al precedente, e connesso a quello del dante causa per pregiudizialità e dipendenza (Luiso, Diritto processuale, 35.

[19]Allorio, op. cit., 137

[20]Dusi, La successione nel possesso negli atti tra vivi, in RISG, 1894, 27; Pugliatti, Teoria dei trasferimenti coattivi, Introduzione, Messina, 1931, 152; Graziani, La cessione dei crediti, in RDCo, 1931, I, 278; Gorla, L'assegnazione giudiziale dei crediti, 2ª ed., Padova, 1936, 191

[21]Betti, Trattato dei limiti della cosa giudicata, Macerata, 1922, 219

[22]Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 4ª ed., Padova, 2004, 505, spec. 512.

[23]Luiso, La successione nel processo, in EG, Roma, 1993, 4

[24]Cass. civ. Sez. II 26.05.2003 n. 8316 La successione a titolo particolare nel diritto controverso si verifica non soltanto nel caso in cui sia stato alienato il medesimo diritto che forma oggetto della controversia, ma in ogni caso in cui l'alienazione importi, per un rapporto di derivazione sostanziale, il subingresso dell'acquirente nella posizione giuridica attiva o passiva cui inerisce la pretesa dedotta in giudizio, con la conseguenza che, proposta domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica di un preliminare di compravendita, il terzo avente causa dal convenuto in base ad un contratto stipulato nel corso del processo è da considerarsi successore a titolo particolare nel diritto controverso, ed è, pertanto, legittimato ad impugnare la sentenza pronunciata contro il suo "dante causa".

[25]Cass. 11895/2008

[26]Sempre la giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui, in un giudizio di adempimento dell'obbligo a contrarre ex art. 2932 c.c., l'acquirente nella pendenza della lite relativa all'immobile oggetto del preliminare di compravendita non assume il ruolo di successore a titolo particolare, perché titolare di un diritto autonomo e distinto da quello dedotto nella lite medesima. Per la Cass. civ. Sez. II 23.10.2001 n. 13000 Nel caso in cui il promittente venditore convenuto con l'azione personale ex art. 2932 c.c. alieni ad un terzo il medesimo bene, non si versa nella previsione dell'art. 111 c.p.c. sul trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, e detto terzo può intervenire in giudizio per sostenere le ragioni del suo dante causa in veste di interventore adesivo dipendente ex art. 105, comma 2, c.p.c. non legittimato, come tale, a proporre autonoma impugnazione.

[27] Per la Corte, ne consegue che l'acquirente di un immobile deve essere considerato successore nel diritto controverso, agli effetti dell'art. 111 c.p.c., nel processo avente ad oggetto la validità, la risoluzione o l'esecuzione di un contratto preliminare, relativo allo stesso bene, stipulato in precedenza tra il dante causa ed un terzo.

[28]Consolo, op. cit., 514

[29]Colesanti, Trascrizione della domanda e sequestro del bene alienato pendente lite, in RDPr, 1963, 227

[30]Carnacini, L'alienazione dell'immobile colpito da pignoramento nel diritto italiano, in RDPr, 1934, I, 397; Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 876; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, 474; Allorio, 135; Satta, Commentario, 414; Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1973, 220.

[31]Carnacini, L'alienazione, 397; Allorio, op. cit. 135

[32] Ad esempio, al caso in cui la controparte debitrice abbia a sua volta un credito nei confronti del successore da opporre in compensazione al credito litigioso, oppure voglia far valere, contro il successore, il diritto di retratto litigioso previsto dall'art. 1546 c.c., in virtù del quale il compratore, salvo patto contrario, è obbligato in solido con il venditore a pagare i debiti ereditari)

[33]Chiovenda, Principi, 876; Id., Istituzioni, 474; Satta, Commentario, 414; Andrioli, Lezioni, 220.

[34]Carnelutti, Appunti sulla successione nella lite, in RDPr, 1932, I, 3.

[35]A sostegno della propria tesi l'Autore si avvale del seguente esempio: «se Tizio rivendica contro Caio un animale che in realtà non appartiene né a Tizio, né a Caio, ma a Sempronio, il succedere di Mevio in universum ius di Sempronio, morto durante il processo tra Tizio e Caio, non influisce affatto sul processo medesimo; diversamente la successione universale di Mevio in universum ius di Tizio o di Caio determina la modificazione soggettiva nel giudizio, sebbene la vicenda traslativa non riguardi affatto il diritto conteso». Così, la successione universale influisce sul processo in corso in ogni caso, indipendentemente dalla vera titolarità del diritto controverso che può anche non esistere, determinando una netta scissione tra diritto e processo.

[36]avanini, Appunti sugli effetti della successione nella pretesa per atto tra vivi durante il processo, in RDPr, 1932, II, 137.

[37]Betti, Sostituzione processuale del cessionario e retratto litigioso, in RDPr, 1926, II, 320; Pavanini, Appunti sugli effetti, 137; De Marini, 20; Picardi, La successione, 91; Proto Pisani, La trascrizione, 3; Id., Dell'esercizio, 1219; Id., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, 429; Fazzalari, Azione civile (teoria generale e diritto processuale), in Digesto civ., II, Torino, 1999; Id., Successione nel diritto controverso, in RDPr, 1979, 521.

[38]Picardi, La successione, 95.

[39] Betti, Sostituzione, 320; Pavanini, Appunti sugli effetti, 153; Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1941, 134; Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, 5ª ed., Roma, 1956, 102; Id., Successione nella lite e intervento del successore nel processo, in RDPr, 1957, 121; Lugo, Manuale di diritto processuale civile, 3ª ed., Milano, 1961, 80; Proto Pisani, Dell'esercizio, 1219; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 97.

[40] Per la critica a questa teoria vedi ampiamente Lorenzetto Peserico, La successione nel processo esecutivo, Padova, 1983, 254. Si segnala che alcuni Autori ricorrono alla figura del sostituto processuale solo qualora la successione a titolo particolare nel diritto controverso sia palesata nel processo; sul punto Garbagnati, La sostituzione processuale, Milano, 1942, 207; Consolo, 513; Mandrioli, Diritto processuale civile, I, 20ª ed., Torino, 2009, 428, nt. 99. Si rilevano, inoltre, in dottrina posizioni che fanno coesistere la teoria dell'irrilevanza con la qualifica all'alienante ed al successore universale di sostituti processuali; v. Chiovenda, Principi, 876; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, 3ª ed., Napoli, 1960, 279; Id., Lezioni, 220.

[41] De Marini, op. cit., 168

[42] Per le diverse accezioni del concetto di parte v. anche Tommaseo, Parti, in EG, XXII, Roma, 1990. Per un'analisi critica della teoria della parte complessa v. Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Torino, 1959, 120, spec. 129, il quale considera tale concetto come un «comodo uso di una formula che esprime in modo generico la convergenza di una figura unitaria dei soggetti che sono parti secondo diversi significati legislativi del termine». In particolare l'Autore contesta la duplice legittimazione di cui sarebbero forniti l'alienante (o successore universale) e l'acquirente (o legatario), che colliderebbe con il dettato normativo dell'art. 111, esplicito nel riconoscere la legittimazione al solo alienante e nell'attribuire all'avente causa la mera legittimazione ad intervenire. Da ultimo e per completezza, si segnala un'elaborazione teorica risalente al codice di rito del 1865 che ascrive il ruolo dell'alienante e del successore universale all'istituto della rappresentanza, in forza del quale tali soggetti farebbero valere in giudizio, rispettivamente, una pretesa dell'acquirente e del legatario (v. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile, I, Torino, 1902, 94; per la critica a questa ricostruzione v. Pavanini, Appunti sugli effetti, 153; De Marini, 167.



[43] In tal senso: Cass. civ. Sez. III 27.02.1987 n. 2110: A norma dell'art. 111, 1° comma, c. p. c., se nel corso del processo il diritto controverso si trasferisce per atto tra vivi a titolo particolare, tale trasferimento non opera alcun effetto sul rapporto processuale, il quale continua fra le parti originarie, con la conseguenza che l'alienante assume la funzione di sostituto processuale dell'acquirente e mantiene la sua legittimazione ad causam.

[44] Nella specie, la suprema corte ha cassato la pronuncia di inammissibilità dell'appello proposto da un istituto di credito, per difetto di legitimatio ad causam, ancorché le parti costituite in sede di gravame non avessero contestato l'intervenuta fusione per incorporazione che, secondo la prospettazione della banca, valeva a radicare la sua legittimazione

[45]In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto da un nuovo soggetto bancario avverso una sentenza di merito pronunciata nei confronti di una banca che era stata incorporata da un'altra, la quale ultima aveva contemporaneamente conferito al nuovo soggetto - avente la stessa denominazione sociale dell'incorporata - il ramo d'azienda che comprendeva il rapporto controverso. In tal senso, Cass. civ. Sent. Sez. I 11.05.2007 n. 10876 Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com'è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest'ultimo, mentre è esclusa l'esperibilità da parte sua dell'opposizione ordinaria di terzo ex art. 404, primo comma cod.proc.civ..

[46]De Marini, op. cit. 84; Satta, Commentario, 422.

[47]Proto Pisani, Dell'esercizio, 1233.

[48]Betti, Sostituzione, 325; De Marini, 95; Proto Pisani, Dell'esercizio, 1233; Luiso, in Comm. Verde, Vaccarella, I, Torino, 1997, 782, spec. 788.

[49]Satta, Commentario, 422; Luiso, La successione, 7.

[50] Si pensi alla ipotesi della cessione di credito litigioso ad opera dell'attore originario seguita da novazione concessa al debitore ceduto dal cessionario non intervenuto in giudizio: in tal caso, per questa dottrina, sussiste in capo al debitore il diritto di opporre all'alienante l'avvenuta novazione.

[51] Betti, Sostituzione, 328.

[52]Pavanini, Appunti sugli effetti, 162; De Marini, op cit. 129.

[53]De Marini, 135; Proto Pisani, Dell'esercizio, 1235. ne è un esempio il giudizio di rivendicazione di proprietà ove l'attore, che si dichiara proprietario di un immobile, cita il possessore dello stesso ed in pendenza di causa ne aliena la proprietà ad un terzo soggetto; ed ove il possessore, dal canto suo, propone una domanda riconvenzionale contro l'attore per ottenere il rimborso delle riparazioni straordinarie ex art. 1150 c.c., ipotesi, questa, nella quale il soggetto convenuto ha il diritto di proporre la suddetta domanda contro l'attore-alienante, non più proprietario, ma legittimato a rimanere nel processo, in quanto la domanda stessa appare conforme al requisito di dipendenza logica della causa riconvenzionale con quella principale ex art. 36

[54]Carnelutti, Istituzioni, 102; Andrioli, Commento, 287.

[55]Segni, Intervento adesivo, Roma, 1919, 215; Costa, L'intervento in causa, Torino, 1953, 45; Picardi, La successione, 178.

[56]Pavanini, Appunti sugli effetti, 160.

[57]De Marini, op. cit. 209.

[58]Ex multis: Cass. 6220/1993; Cass. 11833/1991; Cass. 4904/1988; Cass. 5131/1985; Cass. 3931/1983.

[59]Tarzia, Sulla legittimazione all'appello del successore a titolo particolare, in FP, 1956, I, 1402.

[60]Cass. civ. Sent. Sez. lavoro 04.05.2007 n. 10215: L'estromissione di cui al terzo comma dell'art. 111 cod. proc. civ. è possibile, sempre che risulti agli atti il consenso delle altre parti in causa, solo quando il trasferimento del diritto controverso abbia ad oggetto l'intera situazione sostanziale, ciò che non si verifica nel caso di cessione d'azienda, in cui il cedente rimane obbligato in solido al cessionario verso i lavoratori. (Fattispecie relativa a istituto di credito, succeduto alla società già parte del giudizio di merito, che aveva poi ceduto il relativo ramo d'azienda).

[61]De Marini, 207: Proto Pisani, Commentario, 1240.

[62]Satta, Diritto processuale civile, 2ª ed., Padova, 1950, 313.

[63]Allorio, op. cit.,135. Si tratta di Autori aderenti alla teoria dell'irrilevanza del mutamento sostanziale nel processo ed al contempo ravvisanti, nella successione particolare, la creazione di un nuovo diritto in capo all'acquirente od al legatario, seppur legato a quello appartenente all'autore della successione da un nesso di subordinazione e dipendenza.

[64]De Marini, op. cit., 249

[65]Monteleone, I limiti soggettivi del giudicato, Padova, 1978, 109.

[66]Consolo, op. cit.,512

[67] Ne consegue che l'acquirente del bene locato per il quale sia in corso un procedimento di rilascio, viene posto dall'art. 111 c. p. c. nella stessa posizione dell'alienante, nei confronti del quale, pur non essendo più titolare del diritto sul bene controverso, va emessa la sentenza, che fa stato sia nei confronti dell'alienante che del successore a titolo particolare.

[68]In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, la perdurante legittimazione della parte che abbia perso la titolarità sostanziale del diritto ha - nei limiti in cui non residui una sua personale titolarità di taluno dei diritti oggetto del giudizio - portata meramente sostitutiva e processuale, con la conseguenza che gli effetti sostanziali della pronuncia si spiegano solo nei confronti dell'effettivo nuovo titolare, sia o meno il medesimo intervenuto in giudizio.

[69]De Marini, op. cit., 277; Miccolis, Giudizi sull'appartenenza e pignoramento, contributo allo studio delle vicende della res litigiosa e pignorata, Bari, 1994, 16, 187 e 237; Mandrioli, In tema di rapporti tra estensione soggettiva del giudicato ed estensione soggettiva del titolo esecutivo, in RDPr, 1985, 472; Id., Diritto, 389, nt. 103; Luiso, Diritto processuale, 33

[70] La sentenza di condanna alla reintegrazione nel possesso dà luogo a una obbligazione di restituire l'avente diritto nella situazione possessoria in cui si trovava prima di esserne spogliato. La parte, nei cui confronti va rivolta l'azione esecutiva, è il soggetto che si trova, rispetto al bene, nella situazione possessoria che consente di compiere l'attività necessaria ad adempiere al comando contenuto nella sentenza di condanna. L'avente diritto, pertanto, in tanto può rivolgere l'azione esecutiva contro tale parte in quanto la sentenza di condanna produca effetti in suo confronto, perché è stata pronunciata contro di lui o perché si trova rispetto al convenuto in una posizione che lo assoggetta agli effetti della sentenza come si verifica, in linea generale, sulla base dell'articolo 111, comma 4, del c.p.c., per gli aventi causa succeduti nel rapporto controverso in pendenza del giudizio.

[71] Nel caso di successione a titolo particolare tra vivi nel diritto controverso, la sentenza pronunciata contro l'alienante è efficace nei confronti dell'avente causa anche quale titolo esecutivo, nei limiti dell'accertamento in essa contenuto. Peraltro, ove la stessa sentenza contenga anche un comando di adeguare lo stato di fatto alla situazione giuridica accertata, attraverso l'imposizione di obblighi di fare, il possesso, o la detenzione, da parte del terzo, della cosa sulla quale l'obbligo deve eseguirsi comporta la trasmissione di detto obbligo in capo a questo. (Principio affermato con riferimento ad una fattispecie in cui, a seguito di una sentenza, relativa ad azione di regolamento di confini, con la quale era stata pronunciata la condanna di uno dei proprietari a ripristinare il canale di scolo posto sul confine tra le due proprietà, ed a rilasciare la parte di terreno abusivamente occupata, l'altro proprietario aveva promosso il processo di esecuzione nei confronti del successivo acquirente del fondo confinante).



[72]Luiso, Sul concetto di «avente causa», 443.

[73] Cass. civ., sez. II, 03-01-2013, n. 78. L'art. 111 c.p.c., che disciplina la successione a titolo particolare e fa salve, tra le altre, le norme sulla trascrizione, enuncia una regola che attiene non tanto all'integrità del contraddittorio, quanto all'opponibilità della sentenza e si pone quindi su di un piano diverso rispetto all'art. 1113, 3º comma, c.c., dettato per il giudizio divisionale avente ad oggetto beni immobili, il quale, invece, anche al fine di garantire la continuità delle trascrizioni nei registri immobiliari, individua nella trascrizione dell'atto di acquisto il momento determinante per stabilire quali soggetti debbano partecipare al giudizio (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha confermato l'impugnata sentenza che, nell'ambito di un giudizio di scioglimento di comunione su di un fondo, aveva negato la qualità di litisconsorti necessari agli aventi causa della ricorrente, il cui acquisto, sfornito di prova della sua trascrizione, era avvenuto durante il predetto giudizio).

[74]Picardi, La trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 1968, 256; Mengoni, Note sulla trascrizione delle impugnative giudiziali, in RDPr, 1969, 360,

[75]Proto Pisani, Dell'esercizio, 1247; Id., La trascrizione, 146; Id., Opposizione, 191; De Marini, 260.

[76] Nella specie, la corte suprema in base all'enunciato principio ha confermato la decisione del merito, che con riguardo ad una domanda di rivendicazione di un immobile proposta nei confronti del ministero delle finanze aveva ritenuto che non costituisse causa di invalidità della nota di trascrizione a norma dell'art. 2665 c. c., non determinando incertezza del convenuto, la circostanza che questi fosse identificato nella nota di trascrizione nell'intendenza di finanza, e per essa nel ministero delle finanze pro tempore, meglio specificato in postilla alla nota stessa quale demanio dello stato.

[77]Carnelutti, Appello del cessionario del credito, in RDPr, 1961, 508; Romagnoli, L'impugnazione della sentenza ad opera del successore a titolo particolare, in RTDPC, 1959, 645; Tarzia, Sulla legittimazione, 1402; Calvosa, «Perpetuatio legitimationis» e successione nella qualità di parte, in GCCC, 1946, II, 2, 625; De Marini, 284; Montesano, Arieta, 571,

[78]Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 580, spec. 586; Mandrioli, Diritto, 431, nt. 104.

[79]Consolo, op. cit., 508. Soltanto alcuni esponenti della tesi dell'irrilevanza sostengono il principio in forza del quale il diritto d'impugnare spetta alla parte soccombente, con la precisazione che tale non può essere considerato il successore che non sia intervenuto, Nappi, Commentario al c.p.c., I, 2, Milano, 1941, 637.

[80] Per la Corte, Pertanto, non è legittimato a proporre l'opposizione di terzo di cui al primo comma dell'art. 404 cod. proc. civ. colui il quale, avendo nel corso del giudizio acquistato l'immobile "a non domino", è soggetto all'efficacia diretta della sentenza, essendo al riguardo irrilevante che l'acquisto si sia perfezionato - con il decorso del termine previsto dall'art. 1159 cod. civ. per l'usucapione - successivamente alla definizione del giudizio.



[81]La Corte ha ritenuto che: nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittimata a proporre opposizione di terzo ordinaria a norma dell'art. 404, comma 1, c.p.c., avverso la sentenza di fratto per morosità nei confronti del conduttore che abbia cessato la convivenza, la già convivente more uxorio, con prole naturale, succeduta nel contratto di locazione, per effetto della sentenza 7 aprile 1988, n. 404 della Corte cost., prima dell'inizio del giudizio



[82] Nel caso in cui in un processo pendente si verifichi la morte di una parte costituita e il processo, in difetto di dichiarazione dell'evento interruttivo, prosegua nei confronti del de cuius, ove si verifichi che l'erede del de cuius trasferisca successivamente per atto tra vivi o mortis causa, il diritto controverso a un terzo, che, quindi, assuma la veste di successore a titolo particolare riguardo a tale diritto, il terzo può intervenire nel processo rimasto pendente nei confronti dell'originario de cuius ai sensi dell'articolo 111, comma 3 del c.p.c. e il suo intervento non determina la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi del detto de cuius, in quanto, per un verso la continuazione della legittimazione del de cuius da essi avallata con la scelta di non far dichiarare l'interruzione del processo comporta che la situazione processuale si debba considerare analoga a quella che si sarebbe avuta ove l'intervento del successore a titolo particolare si fosse verificato nel processo in cui essi si fossero volontariamente costituiti o che, per il caso di sua interruzione, avessero riassunto o fosse stato riassunto nei loro confronti; e per altro verso, il suddetto intervento non implica di per sé alcuna domanda di accertamento della fattispecie di successione, tale da giustificare la necessità del coinvolgimento nel processo degli eredi danti causa, fermo restando che essa può eventualmente conseguire qualora quella fattispecie venga contestata e se ne chieda l'accertamento con efficacia di giudicato (Cass. civ. Sez. III 10.02.2005 n. 2707).

[83] Nella specie, la suprema corte ha ritenuto corretta l'instaurazione del giudizio nei riguardi di chi, al momento della notifica dell'atto di citazione, era proprietario del bene rivendicato, essendo irrilevante la trascrizione dell'atto di acquisto dell'avente causa avvenuta successivamente

[84] Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 138; Mandrioli, Legittimazione ad agire in executivis e successione nel credito, in RTDPC, 1957, 1369; Monsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962, 142; De Marini, 280; Merlin, Principio del contraddittorio e terzo proprietario del bene pignorato in due recenti pronunce, in GI, 1986, IV, 331.

[85] Lorenzetto, Peserico, op. cit., 43; Satta, op. cit.,421.

[86]Romagnoli, Considerazioni sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo, in RTDPC, 1961, 332.

[87] Sulla base di tali principi, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la legittimazione della parte esecutante a procedere all'esecuzione forzata per la demolizione di una canna fumaria, avendo venduto l'immobile, a tutela della cui proprietà era stata ordinata la demolizione ed avendo i nuovi titolari del bene manifestato la loro intenzione che il processo non proseguisse

[88] Nella specie, la suprema corte ha confermato la pronuncia di merito con cui si era ritenuta non provata la circostanza che la cessione avesse ad oggetto anche il rapporto creditorio in questione, evidenziando come non fosse decisiva l'omessa considerazione del contenuto della pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale e ritenendo che il creditore procedente avrebbe dovuto farsi carico della produzione o della richiesta di esibizione dell'atto notarile di conferimento del ramo d'azienda ovvero di altri documenti della contabilità aziendale della cedente e/o della cessionaria, di modo che, nell'eventualità in cui l'interpretazione di tali atti o documenti avesse richiesto l'intervento di soggetti in possesso di determinate cognizioni tecnico-contabile, si sarebbe potuta disporre consulenza tecnica d'ufficio. Cass. civ., sez. III, 08-06-2012, n. 9298. Il principio secondo cui l'interventore ad adiuvandum, ex art. 105 c.p.c., è privo di un'autonoma legittimazione ad impugnare in assenza di impugnazione della parte principale, non trova applicazione quando l'intervento in questione sia stato compiuto dal successore a titolo particolare nel diritto controverso (nella specie, cessionario di ramo d'azienda): questi, infatti, è sempre legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa ai sensi dell'art. 111 c.p.c., senza che occorra che il medesimo successore a titolo particolare proponga autonoma pretesa nei confronti dell'altra parte.


















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