Esecuzione del provvedimento del rilascio immobili: una lettura costituzionalmente orientata del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183 art. 13 co. 13 e art. 103, co. 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27
Pubblicato il 24/03/21 00:00 [Articolo 1734]






In momenti di emergenze caratterizzati, al livello normativo da una pioggia di DPCM, D.L. e leggi di conversioni, riuscire a tenere la rotta tracciata dalla Costituzione può non essere così facile, tanto da rischiare di varare provvedimenti che con la nobile funzione di contenere gli effetti negativi dell'emergenza epidemica COVID-19, finiscono per pregiudicarne il fine e creare disparità di trattamento, inevitabilmente censurabili sul piano costituzionale.

L'art.54 ter D.L. 18/2020 ha stabilito: Al fine di contenere gli effetti negativi dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all'articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l'abitazione principale del debitore.

Appare dunque chiaro, quanto inequivoca la ratio della norma che non ha come fine quello di tutelare una delle parti private ma un interesse pubblico, quello di contenere gli effetti negativi dell'emergenza epidemica COVID-19, ovvero evitare motivi di spostamenti peraltro complicati quando si tratta di veri e propri traslochi;

Il fatto che a risiedere nell'abitazione principale non sia il debitore ma un parente (ma fosse anche altro soggetto), non fa venir meno l'esigenza contenere gli effetti negativi dell'emergenza epidemica COVID-19: si rende quindi necessario dare una interpretazione costituzionalmente orientata anche alla luce di altre norme dirette al perseguimento del medesimo obbiettivo.

All'uopo si richiama il decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183 art. 13 co. 13 ha stabilito: La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall'articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e' prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all'adozione, ai sensi dell'articolo 586, comma 2, c.p.c., del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari.

L'art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, prorogato, stabiliva che: L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020: peraltro, che tali provvedimenti devono riferirsi a quelli già emessi alla data di entrata in vigore della nominata norma in quanto la stessa norma inibisce, implicitamente ai Tribunali di emetterli (diversamente la norma cadrebbe in una irrimediabile contraddizione violando il principi costituzionali di razionalità e ragionevolezza).

In definitiva l'emergenza epidemiologica e le esigenze di contenimento rappresentano la chiara ratio della norma: il punto è evitare spostamenti del cittadino (L'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo).

Orbene è evidente che l'aver esteso anche alle locazioni non abitative la sospensione dei provvedimenti di rilascio ha come funzione quella di estendere a tutto campo l'esigenza del contenimento epidemiologico ovvero gli spostamenti.

Sostenere che il rilascio di un conduttore o comodatario non costituisca pericolo ma al contrario costituisca pericolo il rilascio l'abitazione principale del debitore è a dir poco assurdo e una tale lettura violerebbe il noto principio costituzionale di RAZIONALIOTA'.

Invero la giurisprudenza costituzionale ci insegna la valutazione di congruenza e adeguatezza del mezzo rispetto al fine[1].

La Corte Costituzionale ha in più occasioni affermato che il carattere particolare o limitato della categoria economica considerata dalla legge non è, in linea di principio, sufficiente ad escludere che venga perseguita una finalità sociale (cfr. sentenza n. 54 del 1962); ed ecco ancora una volta che la Corte delle leggi ribadisce il principio per cui rientra nei poteri conferiti al legislatore dall'art. 41 della Costituzione la riduzione ad equità di rapporti che appaiano sperequati a danno della parte più debole (sentenza n. 7 del 1962). (Corte Cost., 23 aprile 1965, n. 30).

Nella Costituzione italiana, ogni diritto è espresso unitamente al suo limite per cui, il bilanciamento diviene una tecnica interpretativa e argomentativa in grado di garantire (o quantomeno perseguire) il ragionevole contemperamento di una pluralità di interessi costituzionali concorrenti.

Recentemente la Corte costituzionale ha offerto alcune interessanti evoluzioni su cui vale la pena soffermare l'attenzione. «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri.

La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe "tiranno" nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. […] »[2]

Allo stato dunque, ritenere che la sospensione de rilascio immobile sia estensibile solo all'abitazione principale del debitore, appare del tutto incostituzionale per le ragioni anzidette.

Peraltro la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 17 giugno-23 dicembre 2014, n. 27341«il concetto dell'eccesso di potere giurisdizionale, sotto il profilo dell'invasione da parte del giudice della potestà legislativa (art. 524, n.2, cod. proc. pen.) è unitario e si applica a qualunque forma di giurisdizione ordinaria o speciale» e «il criterio discriminatore fra il detto eccesso di potere e la semplice violazione di legge si trae dal contenuto del giudizio, nel senso che in tanto una decisione può ritenersi affetta dall'eccesso di potere giurisdizionale considerato, in quanto contenga disposizioni ecce-denti i poteri della giurisdizione ed implichi esercizio di potestà legislativa» (Cass., S.U., n. 2543 del 1954; Cass., S.U., n. 1387 del 1976).

È chiaro che le norme di cui si chiede l'applicazione operano ope legis tanto da poter ritenere l'esecuzione del rilascio dell'immobile una violazione di legge

Con ancor con più chiarezza, la Cass., Sez. Un., 17 novembre 2016, n. 23400 ha precisato: «l'attività interpretativa è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale, nell'ambito del quale la norma di volta in volta adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l'interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale».

Si conclude con le parole di Giuseppe Borrè nella sua relazione al Convegno su La Corte di cassazione nell'ordinamento democratico (Milano, 1996; per la citazione vedi p. 252): La Corte «è luogo in cui le novità si pongono non con i tempi rapidi della casualità e del soggettivismo, ma con l'aspirazione ad esprimere, pur attraverso un'elaborazione più lunga e talvolta travagliata, un avanzamento non caduco»: in ciò sta la sua «capacità … di collocarsi … nell'ordinamento democratico, cioè di filtrare e produrre dinamiche giurisprudenziali sempre più aderenti ai valori di fondo della Costituzione».




NOTE
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[1] Sent. n. 231 del 1985 sent. n. 368 del 1985, n.14 del 1987, n.446 del 1988, n.826 del 1988, n. 487 del 1989, n.330 del 1990, n.467 del 1991, nn.57 e 220 del 1995, n.264 del 1996, n.160 del 1997, n.34 del 1999; nn.190 e 234 del 2001, n. 185 del 2003, n.14 del 2004, n.7 del 2005 e n. 401 del 2007.

[2] Caso ILVA, n. 85 del 2013, la Corte ha avuto modo di esplicitare il carattere non assoluto dei diritti fondamentali da cui scaturisce l'esigenza del bilanciamento.





















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