L'abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito
Pubblicato il 19/03/07 02:00 [Articolo 738]






L'abusiva concessione di credito comporta un pregiudizio di carattere plurioffensivo sia al patrimonio dell'impresa ingiustificatamente finanziata, sia alla garanzia patrimoniale offerta ai creditori concorrenti; tale pregiudizio, in entrambi gli aspetti può essere fatto valere dal curatore fallimentare. Per l'incompatibilità dell'impiego del finanziamento con le capacità produttive del finanziato, la cui operatività viene definitivamente ed inevitabilmente compromessa dall'insostenibilità degli oneri finanziari e dall'allargamento dell'insolvenza, l'abusiva concessione di credito comporta un pregiudizio e non un arricchimento del patrimonio del finanziato. Le previsioni di esenzione dalla revocatoria della novella fallimentare piuttosto che affievolire, impongono una perizia specifica alla banca che finanzia l'impresa in difficoltà con necessità di valutare le effettive e concrete potenzialità di risanamento, di escludere vantaggi egoistici della finanziatrice, come pure di tenere indenni gli altri creditori dal rischio di un ampliamento dell'insolvenza.


Considerazioni Generali

Gli interventi legislativi sulle procedure concorsuali, è stato osservato, hanno arrecato alle banche un regime di netto favore rispetto agli altri creditori concorsuali. I pagamenti effettuati alla banca con rimesse in conto corrente sono stati sostanzialmente esclusi dalla revocatoria e sono state introdotte anche altre ipotesi, invero ancora tutte da sperimentare, connesse all'esecuzione di un accordo omologato ex art. 182 bis o all'esecuzione di un piano di risanamento oppure accordi di ristrutturazione, nelle quali gli atti, i pagamenti, le garanzie concesse alla banca dal debitore, in presenza di specifici presupposti di idoneità ad assicurare l'equilibrio finanziario e di ragionevolezza (tra l'altro attestata da un terzo), vengono esentati dalla revocatoria fallimentare.

Una disciplina di così aperto favore e privilegio, può essere giustificata, secondo Alessandro Nigro, solo se la si interpreta in chiave di incentivo alle banche perché queste si impegnino nell'assistenza finanziaria delle imprese in difficoltà: la novella fallimentare avrebbe dato vita ad una disciplina incentivante l'erogazione del credito alle imprese dissestate ed insolventi.

Pur prescindendo da una valutazione della effettiva giustificazione circa la concessione di questi privilegi alle imprese bancarie e della effettiva efficienza per il sistema delle imprese e per il mercato, di tali nuove previsioni, non risulta in ogni caso possibile far derivare "a catena" il ridimensionamento o addirittura l'esenzione della banca dalla responsabilità per abusiva concessione di credito.

Allo stesso modo non appare possibile fondare il ridimensionamento, distinguendo la gravità del comportamento a seconda della colpa o del dolo, in guisa che non incorrerebbe nella responsabilità in parola, la banca che il comportamento abusivo ha tenuto solo per negligenza, mentre l'imputazione di responsabilità potrebbe avvenire, piuttosto, quando la banca ha agito per il proprio egoistico interesse con consapevolezza e/o intenzionalità del proprio comportamento e degli effetti pregiudizievoli che esso arrecava ai terzi ed ai creditori.

In realtà, l'esperienza pratica ed anche lo stesso concetto di abusività dell'erogazione del credito, portano a ritenere che le ipotesi in cui il comportamento della banca è censurabile solo sul piano della diligenza, non solo risultano in concreto assai circoscritte ed in realtà anche poco ipotizzabili. Va considerato che la capacità e l'esperienza professionale consentono sicuramente alla banca di valutare in ogni occasione di erogazione o mantenimento del credito al sovvenuto, i vantaggi che essa può conseguire e i pregiudizi che può arrecare ai terzi ed ai creditori con essa concorrenti.

In altre parole, vanno considerate le modalità in cui avviene il comportamento della banca. L'erogazione del credito oltre che per la consolidata disciplina in materia, oggi anche per quella ancora più severa e sistematica, denominata nel jargon del settore come principi di Basilea 2, non costituisce per definizione un atto istantaneo ed immediato, che la banca può porre in essere in modo non meditato. Pertanto, è difficile ipotizzare che una concessione di credito che presenta i caratteri dell'abusività non rechi con sé come elemento costante anche la consapevolezza e l'intenzionalità del comportamento da parte della banca che tale credito governa e ne è responsabile.

Al contrario, la nuova disciplina fallimentare, cui è stato fatto riferimento, comporta semmai, piuttosto che un affievolimento dei doveri di comportamento della banca, la necessità di un maggior rigore e trasparenza nella concessione di credito. Alla professionalità normalmente richiesta, la banca nel valutare la meritevolezza del sovvenuto a ricevere credito o a mantenerlo, dovrà aggiungere la perizia specificamente necessaria perché la erogazione di credito all'impresa in difficoltà sia giustificata sulla base di una valutazione di idoneità in concreto (e non certo in modo generico), al risanamento dell'impresa. Come pure dovrà risultare altrettanto chiaro e trasparente che tale erogazione o mantenimento del credito non era finalizzato allo scopo egoistico della banca stessa di rientrare dalla sua esposizione o di consolidare garanzie o comunque di trarre vantaggi a danno degli altri creditori concorrenti, i quali tanto più saranno danneggiati se le condizioni concrete in cui essi si trovano gli impedivano di opporsi efficacemente o addirittura di conoscere e valutare il carattere pregiudizievole del comportamento della banca.

In altre parole la avvenuta introduzione di una disciplina di privilegio della banca nella revocatoria e la previsione di esenzione dalla revocatoria per gli atti posti in essere a favore del rilancio e salvataggio dell'impresa in crisi, non risulta influire sulla valutazione dell'elemento soggettivo del comportamento abusivo della banca, al punto da escludere la rilevanza dei comportamenti meramente colposi e mantenerla per quelli dolosi, non solo per il carattere altamente specializzato e professionale della attività di credito, che difficilmente lascia spazi alla mera colpa, ma anche perché secondo la più comune e diffusa esperienza il comportamento abusivo è sempre accompagnato dalla consapevolezza degli effetti pregiudizievoli e degli intenti egoistici dell'autore.

La giurisprudenza anche della Suprema Corte e da ultimo delle stesse Sezioni unite riconoscono la responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, qualificandola come responsabilità da fatto illecito[1].

Il pregiudizio viene identificato nell'insufficienza del patrimonio del debitore causata dal peggioramento della situazione patrimoniale di questi, conseguente al comportamento abusivo della banca che ha svolto in modo non corretto l'attività di erogazione del credito.

A subire il pregiudizio non sono solo i creditori ed i terzi che sul patrimonio dell'impresa non possono più realizzare le proprie pretese (o comunque possono realizzarle in misura ridotta), ma è la stessa impresa che, con l'allargamento dell'esposizione verso la banca e gli altri creditori risulta definitivamente ed in modo irreversibile schiacciato dai debiti e senza più vie di uscita gravata da un volume di debito che impedisce qualsiasi ulteriore permanenza sul mercato, se non a costo di un ulteriore allargamento della esposizione debitoria con aumento del pregiudizio per i terzi e per la stessa impresa ormai del tutto decotta.

Il problema della legittimazione del curatore a far valere l'azione di responsabilità per abusiva concessione di credito nei confronti della banca, è stato esaminato nella citata sentenza delle Sezioni unite, muovendo da una interpretazione dell'azione proposta dal curatore del tutto parziale, quale azione di massa, al pari delle altre azioni tipicamente fallimentari dirette a far valere un indistinto danno appunto alla massa.

L'esclusione della legittimazione del curatore nella decisione della Cassazione discende dal fatto che il giudice di legittimità ha potuto (e ritenuto), di esaminare la ricorrenza di tale legittimazione solo con riguardo all'ipotesi concretamente prospettata nella domanda giudiziale proposta dalla curatela, che, secondo la cassazione, sarebbe stata formulata come azione di massa, che il curatore, al pari che per la revocatoria, faceva valere con fini recuperatori quale indistinto danno alla massa. La Corte non ha ritenuto pertanto di esaminare l'altro accennato profilo del pregiudizio arrecato al patrimonio dell'impresa poi fallita e che il curatore può far valere in qualità di successore dello stesso fallito: un danno diretto ed immediato al patrimonio della fallita,quale presupposto dell'azione che al curatore spetta come successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi, non venne mai dedotto. La questione come tale è nuova perché avanzata per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile .

È stato osservato pertanto che "la sentenza è di grande interesse nel momento in cui, pur affermando la mancanza di legittimazione del curatore con riferimento alle azioni risarcitorie che potevano essere proposte dai singoli creditori, delinea con precisione l'ambito dell'azione che potrà essere proposta dal curatore fallimentare nei giudizi di danno conseguenti alla concessione abusiva di credito da parte degli istituti bancari, precisando che il danno deve essere diretto ed immediato così aderendo ad alcune indicazioni espresse di recente dalla dottrina"[2].


Il criterio della compatibilità dell'impiego del finanziamento con le capacità produttive del finanziato al fine della valutazione degli effetti vantaggiosi o pregiudizievoli sul patrimonio del destinatario dell'operazione di credito.

Come ho già avuto modo di rilevare[3] l'abusiva concessione di credito comporta un pregiudizio che sostanzialmente nello stesso tempo si ripercuote, addirittura secondo modalità di assoluta contemporaneità, sia sul patrimonio del soggetto finanziato ingiustificatamente, sia sul patrimonio dei terzi creditori del finanziato.

Il pregiudizio si manifesta, pertanto, in primo luogo nella sfera del soggetto finanziato, vale a dire nella sfera del patrimonio di questo, verso il quale si è svolta la condotta della banca che ha erogato il credito al di fuori dei presupposti che tale erogazione consentivano. Il pregiudizio viene quindi (ma possiamo dire contemporaneamente) a manifestarsi nella sfera degli altri soggetti creditori del soggetto sovvenuto.

La dottrina e la giurisprudenza che hanno affrontato il tema degli effetti pregiudizievoli della ingiustificata erogazione di credito hanno dedicato prevalente attenzione alle conseguenze di tali operazioni sui terzi e sui creditori del soggetto finanziato[4]. Quest'ultimo profilo delle conseguenze sul patrimonio del finanziato del fatto del terzo non è stato preso in adeguata considerazione o è stato addirittura negato da alcune voci della dottrina e della giurisprudenza che hanno preferito dare rilievo principale, assorbente o addirittura esclusivo a quella dei creditori le cui ragioni di credito risultano compromesse dal deterioramento del patrimonio del debitore.

Le ragioni dell'incertezza a tenere conto del danno subito dal soggetto sovvenuto nel suo patrimonio, risiedono nella particolare natura dell'atto compiuto dalla banca, vale a dire l'operazione di credito.

Il finanziamento è infatti percepito comunemente come atto che avvantaggia colui che lo riceve, in quanto - normalmente -, l'affluenza di liquidità fornisce maggiori disponibilità economiche al sovvenuto ed allarga la gamma delle iniziative economiche che questi potrà avviare.

Questa affermazione che potrebbe suonare come convincente secondo un approccio fin troppo semplicistico e atecnico, risulta in realtà assolutamente erronea in mancanza di una adeguata precisazione di quali siano le condizioni sulla base delle quali il finanziamento possa costituire un vantaggio per il finanziato.

Basta pensare che, attraverso l'erogazione di credito, l'imprenditore dota la sua organizzazione produttiva di un capitale la cui acquisizione si giustifica perché esso viene a costituire uno strumento di produzione dell'impresa stessa. Ma questo significa che, al pari di tutti gli strumenti di produzione, anche il finanziamento ricevuto ha i suoi costi ed i suoi oneri: il costo degli interessi ed altre spese dovute quale corrispettivo alla banca e l'onere di dovere restituire l'intera somma ricevuta alla scadenza.

L'imprenditore dovrà quindi necessariamente realizzare un piano industriale che gli consenta di trarre utili in una misura sufficiente almeno a coprire il costo degli interessi dovuti al finanziatore. Infatti, in mancanza di un equilibrio tra misura degli utili e misura degli interessi, l'intero patrimonio dell'impresa sarà progressivamente ed inesorabilmente pregiudicato, si verificherà un aumento irreversibile del passivo, come pure si verificherà una inevitabile erosione di risorse che verranno distolte ad usi produttivi per far fronte al crescente debito degli interessi. Nella sua forma estrema tale pregiudizio si osserva nei finanziamenti usurai caratterizzati dal fatto che l'abnorme costo degli interessi è, per definizione, di molto superiore a qualsiasi possibile remunerazione e reimpiego che l'imprenditore può trarre dall'uso del danaro acquisito con il finanziamento.

Ma non basta. L'imprenditore finanziato dovrà necessariamente essere in grado di governare e soprattutto dominare l'altro onere connesso per definizione ad ogni finanziamento, vale a dire quello della restituzione del capitale ricevuto. Ciò significa che l'impiego della somma ricevuta deve essere tale da consentire all'imprenditore di ripristinare nel suo patrimonio la somma ricevuta e utilizzata in tempi tali da averne la disponibilità alla scadenza. Pertanto l'imprenditore deve essere in grado di utilizzare la disponibilità ricevuta all'interno di un ciclo economico che consenta, senza intaccare le capacità produttive dell'azienda, di produrre una liquidità adeguata alla restituzione dell'investimento ricevuto.

È evidente, dunque, che tali obbiettivi sono rinvenibili nella gran parte delle operazioni usualmente e correttamente intraprese da un'impresa efficiente che agisce nella normalità patrimoniale. Essa infatti è in grado di utilizzare con profitto i finanziamenti ricevuti. Al contrario, quando un siffatto utile ed efficiente impiego non è possibile, e comunque non viene attuato dall'imprenditore, sarà proprio il finanziamento ricevuto (che si aggiunge il più delle volte ad altri elementi negativi), a pesare come un macigno sempre più schiacciante sull'impresa. E questo avverrà il più delle volte in modo progressivo sino al punto di non ritorno, che di solito si individua nel momento in cui anche l'imprenditore o i soci dell' impresa societaria, non trovano più conveniente reintegrare o ricostituire il capitale, in quanto l'investimento da effettuare dovrebbe essere di dimensioni talmente elevate per poter ripianare il debito, che nessun utile futuro potrebbe realisticamente ripagare l'investimento erogato.

Nella ipotesi che qui si prende in considerazione e cioè di una operazione di credito avvenuta quando l'imprenditore si trova già in situazione di insolvenza o comunque di palese incapacità a continuare regolarmente la propria attività imprenditoriale e ad utilizzare proficuamente il finanziamento (vale a dire nel rispetto delle regole e dei criteri prima accennati), il credito ricevuto arreca solo ed unicamente pregiudizio. Infatti, oltre agli effetti prima accennati di irreversibile appesantimento debitorio sul patrimonio, inevitabilmente induce l'imprenditore a rimanere sul mercato senza essere in grado di soddisfare le regole di un mercato efficiente e produttivo.

Erronee sono quindi le affermazioni che sono state talora avanzate al riguardo, che vorrebbero vedere nel finanziamento sempre e per definizione un arricchimento[5] per chi lo riceve. Si tratta di affermazioni che rilevano un approccio semplicistico e del tutto generico. Seguendo un irrealistico atteggiamento naif si viene ad attribuire al fatto materiale dell'acquisizione di una liquidità il carattere di arricchimento e questo perchè evidentemente la ricezione di una somma viene avvertita come incremento delle proprie disponibilità, senza però minimamente considerare che tale incremento è del tutto apparente perchè bilanciato completamente dall'obbligo di restituire la somma ricevuta aumentata per di più di interessi, oneri e spese. Ciò in un contesto di profonda incertezza su come l'imprenditore potrà restituire alla scadenza una somma impiegata in condizioni produttive negative che quasi certamente non consentono di ripristinare la provvista.

L'inadeguatezza argomentativa di siffatta opinione è dimostrata del resto dal ricorso a espressioni descrittive che risultano generiche ed insufficienti a rendere il ben più complesso contesto e specialistico che ci occupa.

Non solo infatti non si può dire che il finanziamento, che immeritevolmente è stato erogato dalla banca all'imprenditore in stato di insolvenza o di preinsolvenza, possa costituire per quest'ultimo un arricchimento ma risulta arbitrario e in contrasto con evidenze notorie e di comune esperienza, ritenere che l'erogazione abusiva di un finanziamento non arrechi pregiudizio all'imprenditore immeritatamente finanziato ed al suo patrimonio.

E' del resto noto infatti che il finanziamento non comporta una attribuzione patrimoniale definitiva e senza corrispettivo, bensì dà luogo, nello stesso momento della consegna del denaro, ad un debito di restituzione di pari importo.

Basta ricordare la definizione del contratto che costituisce il paradigma della categoria economica e giuridica del finanziamento, vale a dire il contratto di mutuo, che all'art. 1813 c.c., definisce appunto il mutuo il contratto in cui una parte consegna.... e l'altra si obbliga a restituire ... . Pertanto il finanziamento, facendo sorgere nello stesso momento della consegna del denaro, l'obbligo della restituzione, come pure l'obbligo della corresponsione di interessi corrispettivi ed, in caso di ritardo, degli interessi moratori convenzionali art. 1815 c.c., non potrà mai essere considerato neanche sulla base della più estrema semplificazione, quale evento che incrementa e arricchisce il patrimonio del soggetto finanziato.

E' ancora nello stesso sistema generale di diritto comune che si riscontra la piena consapevolezza del fatto che l'attribuzione patrimoniale non comporta di per sé arricchimento o vantaggio per l'accipiens. Nel codice civile all'art. 1190 proprio a proposito del pagamento, che a differenza del finanziamento costituisce peraltro un atto dovuto, viene stabilita la regola secondo cui il pagamento al creditore incapace è liberatorio solo se la prestazione è stata rivolta a vantaggio dell'incapace. E questo in quanto l'attribuzione patrimoniale e l'ingresso attraverso il pagamento di una somma di danaro nel patrimonio del debitore, non è detto che di per sé comporti un vantaggio, né un arricchimento; infatti come richiesto dalla norma è necessario che la prestazione (pecuniaria nel nostro caso), si sia consolidata nel patrimonio del creditore vale a dire, come ha rilevato la dottrina sia stata utilmente utilizzata tenuto conto dell'interesse del debitore [6].

Le condizioni che infatti rendono utile o meno l'ingresso di una somma di danaro nel patrimonio dipendono strettamente dalle modalità di utilizzazione delle stesse: questo vale per la somma incassata dal creditore che, se non viene utilmente impiegata viene dispersa e non si consolida nel patrimonio e vale logicamente ancor di più per una somma che è ricevuta a titolo di finanziamento, in quanto anche se questa non viene adeguatamente consolidata nel patrimonio inevitabilmente viene dispersa mentre nello stesso tempo resta e si consolida nel patrimonio dell'accipiens, il debito, anzi un crescente debito, di restituzione aumentato degli interessi.

In conclusione se la somma ricevuta col finanziamento non viene utilmente impiegata essa non solo non arreca in ogni caso alcun vantaggio ma, al contrario, allarga ed aggrava l'esposizione diretta e indiretta del debitore, il quale viene ad assumere altre obbligazioni, schiacciando così con crescenti debiti il suo patrimonio.


L'abusiva concessione di credito comporta un pregiudizio e non un arricchimento per il patrimonio del destinatario del finanziamento. Inconciliabilità con la disciplina di diritto comune delle affermazioni che vedono nel finanziamento un arricchimento: regole di bilancio quale prototipo dell'operazione di credito.

Come abbiamo accennato, la comprensione e la definizione della esatta portata della fattispecie risarcitoria della abusiva concessione di credito risiede in primo luogo nell'identificare il bene e gli interessi sui quali il danno causato dal comportamento della banca viene ad incidere. A tale riguardo deve essere considerato che l'operazione di credito effettuata dalla banca comporta proprio sul patrimonio del debitore sovvenuto diversi effetti. Questi consistono: a) nell'aumento del volume del debito che grava sul patrimonio del debitore e cioè almeno nella misura del credito immeritatamente ed ingiustificatamente erogato, in quanto viene aumentata l'esposizione debitoria per un volume pari al credito ricevuto dal debitore; b) nel far sì che il debitore persista nella sua ormai ingiustificata presenza nel mercato, la quale inevitabilmente reca con sé l'ampliamento dell'esposizione debitoria verso una ampia serie di terzi, nei confronti dei quali vengono assunte obbligazioni, che discendono dalla stessa continuazione della presenza dell'impresa sul mercato, con conseguente aumento del debito verso il mercato e cioè verso i terzi.

È necessario, pertanto, andare ad identificare quali possono essere le radici più profonde e significative del danno causato attraverso la erogazione di credito all'insolvente.

La lesione al patrimonio, in questo caso, riguarda un insieme di beni e soprattutto di rapporti giuridici. Va ricordato, infatti, che buona parte degli strumenti della produzione non vengono direttamente acquisiti in proprietà dall'imprenditore. Questi, piuttosto, organizza gli strumenti della produzione attraverso l'instaurazione di rapporti obbligatori che comprendono l'erogazione a suo favore di servizi della più diversa natura e l'utilizzazione di beni che consentono all'impresa di svolgere con successo, la sua funzione di produzione degli utili[7].

Si tratta pertanto di un danno che può benissimo non riguardare la distruzione totale o parziale di questo o di quel bene ma, piuttosto, consiste nella complessiva diminuzione o perdita di valore del patrimonio aziendale, che viene reso sostanzialmente inservibile, per effetto del volume e del peso dell'esposizione debitoria complessivamente e ulteriormente aumentata a causa della irregolare e non corretta erogazione del credito.

Nel caso in cui questo finanziamento sia palesemente improduttivo, perché non suscettibile di un impiego utile nell'azienda, gli effetti che si producono sul patrimonio sociale sono i seguenti: a) dal lato del passivo si consolida il debito contratto; b) dal lato dell'attivo i capitali affluiti non si consolidano in poste patrimoniali e che conservano valore. Ne consegue, pertanto, che l'effetto finale è un depauperamento del patrimonio sociale, e quindi in ultima analisi una lesione dell'integrità del patrimonio del debitore.

In definitiva nel caso di finanziamento di una impresa insolvente, nella stragrande maggioranza dei casi, i capitali acquisiti difficilmente vengono indirizzati in impieghi produttivi e di consolidato valore, ma vengono per lo più dispersi. Da ciò consegue che l'aumento del passivo si risolve in una perdita concreta ed effettiva dei corrispondenti valori dell'attivo.

Il finanziamento dell'impresa insolvente comporta così effetti del tutto negativi e antieconomici, in quanto questa prosegue nell'attività e nella produzione che inevitabilmente viene a causare solo perdite che non saranno bilanciate da utili. L'impresa viene meno dunque alla funzione ed allo scopo che ne giustificava l'esistenza: in termini di mercato l'impresa viene meno alla sua missione o finalità economica.

Non appaiono, pertanto, convincenti alcune opinioni[8] manifestate dalla dottrina e dalla giurisprudenza secondo cui, il finanziamento ricevuto dall'imprenditore insolvente costituirebbe un incremento del patrimonio e che il finanziamento di per sé non potrebbe che arrecare un vantaggio al finanziato che ha percepito il finanziamento. Va rilevato al contrario che tale danno al patrimonio dell'insolvente finanziato è certamente configurabile e consiste nel fatto che l'attivo fallimentare dell'impresa risulta gravato da quei crediti che sono stati insinuati al passivo stesso e sono sorti quale conseguenza della continuazione di attività del debitore insolvente, per effetto del finanziamento ottenuto dalla banca.

Del resto è noto che, anche come risulta dalla disciplina sul bilancio degli artt. 2424 e ss. c.c., l'appostazione dei finanziamenti concessi dagli istituti bancari deve essere effettuata attraverso l'iscrizione degli stessi nell'attivo tra le "disponibilità liquide" e la contemporanea iscrizione nel passivo tra i "debiti verso banche", con riferimento al loro valore attuale. Inoltre, trattandosi di debiti gravati di interessi, la valutazione del valore attuale del debito si ottiene aumentando il valore del debito in linea capitale delle somme relative agli interessi maturati, come pure delle altre spese e commissioni maturate all'epoca della redazione del bilancio.

Pertanto, la concessione di finanziamenti a qualsivoglia soggetto economico, se pure necessaria ed utile per lo svolgimento dell'attività, certo non può considerarsi vantaggiosa dal punto di vista strettamente finanziario, in quanto il valore rappresentato dall'importo finanziato è sempre neutralizzato, nel patrimonio della società, dal corrispondente debito nei confronti dell'istituto finanziatore, e deve anche essere maggiorato degli interessi relativi e delle ulteriori spese inerenti al servizio espletato.

Conseguentemente, non solo la concessione di finanziamenti si presenta neutra nello stato patrimoniale delle società, ma ha addirittura un effetto negativo laddove si consideri la necessità di conteggiare a debito le somme relative agli interessi maturati nell'esercizio, come pure il corrispettivo spettante all'istituto di credito per il servizio espletato.

Tale effetto negativo potrà certo essere controbilanciato dagli effetti positivi dell'impiego del finanziamento nell'impresa ma questo solo a condizione che tale impiego sia produttivo di ricavi operativi.

Gli oneri connessi al finanziamento potranno, infatti, essere coperti solo ed in quanto i ricavi derivanti dall'utilizzazione produttiva del finanziamento siano più elevati. In questo caso l'impresa efficiente può effettivamente ben trarre utilità dal finanziamento. Questo si verifica quando l'impresa è in grado di elaborare e soprattutto di attuare un ragionevole piano industriale, che consenta di utilizzare il capitale proveniente da finanziamento per investimenti.

Da ciò consegue che in tutti i casi in cui le condizioni economiche dell'impresa finanziata (in particolare le sue capacità produttive), siano tali da non consentire una efficiente utilizzazione della liquidità ottenuta con il finanziamento, il peso degli oneri del finanziamento (la cd. leva finanziaria) eroderà in modo progressivo il patrimonio della società.

Infatti, nella migliore delle ipotesi, tale capitale verrà destinato a pagare debiti correnti a breve (fornitori, lavoratori, ecc.), sostituendo in questo modo ad un debito preesistente, un debito verso le banche. Il debito bancario, peraltro, come è ben noto, è sempre ben più oneroso di qualsiasi debito verso fornitori, terzi contraenti, ecc. e questo per effetto dell'alto volume degli interessi, della capitalizzazione periodica degli stessi interessi, la quale è consentita solo alle banche, come pure delle spese e commissioni di massimo scoperto ecc., oneri questi propri dei contratti bancari. Tale finanziamento di conseguenza graverà pesantemente e rigidamente sul patrimonio, facendo aumentare il passivo e quindi impoverendo il patrimonio stesso. Inoltre tanto più la società finanziata sarà squilibrata dal punto di vista economico-finanziario, tanto più vi sarà difficoltà da parte della stessa di restituire in tempi brevi i finanziamenti ottenuti; da ciò ne conseguirà l'aumento progressivo del suo debito relativo ad oneri finanziari maturati sul finanziamento da restituire.

Da quanto rappresentato emerge che il danno che può derivare dalla condotta della banca che abbia finanziato in modo irregolare l'impresa investe proprio la società ed il suo patrimonio, il quale, per effetto degli ingiustificati finanziamenti concessi dalla banca stessa, verrà ad essere progressivamente eroso fino a diventare deficitario. In particolare il deficit della società già decotta si amplia per effetto dei nuovi gravosi debiti bancari derivanti da ingiustificati finanziamenti. Nello stesso tempo, quegli stessi abusivi e ingiustificati finanziamenti provocano una ulteriore espansione dell'indebitamento in quanto la società, ritardando la dichiarazione di fallimento, viene ad assumere nuovi debiti che, per lo stato di decozione già verificatosi ed abusivamente e scorrettamente tenuto occultato dal comportamento delle banche, aumentano ulteriormente il passivo della società.

E' del resto questo il primo dei motivi per cui qualsiasi ordinamento giuridico prevede nel caso di insolvenza dell'impresa, la apertura di una procedura concorsuale e comunque la cessazione dell'attività dell'impresa stessa. Costituisce, infatti, principio universalmente riconosciuto e consolidato che la continuazione della attività da parte dell'impresa insolvente risulti dannosa sia per l'impresa, che per il mercato. E' per questo che qualsiasi ordinamento giuridico impone, anche attraverso strumenti coercitivi che possono arrivare ad un contenuto repressivo penalistico, la cessazione della attività per salvaguardare il residuo patrimonio dell'impresa e non dilatare ulteriormente il danno nel mercato, in quanto sino a che l'impresa continua ad essere presente sul mercato, essa tenderà ad accumulare sul suo patrimonio gli effetti pregiudizievoli dell'insolvenza, i quali si propagano verso i terzi nelle forme dell'aumento dell'esposizione debitoria.

Risulta pertanto del tutto evidente che, se la situazione di insolvenza impedisce al debitore di continuare in modo efficiente l'impresa (al punto che è l'ordinamento stesso che impone la cessazione dell'attività di impresa), allorquando il debitore insolvente riceve credito o mantiene la disponibilità di un finanziamento, l'esposizione debitoria per effetto della continuazione della attività nel mercato sicuramente si accresce senza alcuna logica di copertura economica con pregiudizio per il patrimonio dell'imprenditore e per i creditori che su quel patrimonio giocavano l'unica possibilità di soddisfazione.

L'impresa viene fatta così permanere sul mercato al di fuori di ogni regola e criterio di giustificata operatività, al solo fine di protrarne nel tempo l'esistenza (si potrebbe molto realisticamente dire al solo fine di non far fallire l'impresa), con il risultato di avere una attività che gira a vuoto (ci sia consentita l'espressione), completamente al di fuori delle finalità e dei presupposti che giustificano il riconoscimento dell'impresa nel mercato e nell'ordinamento giuridico.

Si tratta di un danno che colpisce direttamente il patrimonio della stessa impresa fallita e deve necessariamente essere inteso quale danno alla integrità patrimoniale della impresa.


L'emersione del pregiudizio in seguito alla dichiarazione di fallimento del soggetto abusivamente finanziato: lesione del patrimonio del debitore e lesione della garanzie patrimoniale offerta ai creditori concorrenti.

Le modificazioni del patrimonio del soggetto, che in condizioni di insolvenza è stato destinatario del finanziamento, costituiscono per quest'ultimo un pregiudizio che presenta diverse articolazioni. Queste, per il loro contenuto e carattere, sono suscettibili di colpire nello stesso tempo una pluralità di interessi interni ed esterni rispetto al soggetto finanziato.

La portata plurioffensiva risiede nel fatto che la stessa azione del soggetto agente proietta in un rapporto di causalità prossima, indiretta o remota, conseguenze pregiudizievoli nella sfera di situazioni giuridiche protette che fanno capo a soggetti giuridici diversi.

La sopravvenuta dichiarazione di fallimento, nello stesso tempo, viene a creare un contesto nel quale per i soggetti direttamente colpiti, far valere il danno verso la banca, responsabile dell'ingiustificato sostegno creditizio, si presenta tutt'altro che agevole. Il destinatario della ingiustificata operazione di credito è difficilmente nelle condizioni di far valere il danno subito al suo patrimonio. Infatti quando il finanziamento ingiustificato sta propagando i suoi effetti pregiudiziveoli sul suo patrimonio, non è ancora possibile valutare in pieno la portata e soprattutto la definitività del pregiudizio, mentre successivamente alla dichiarazione di fallimento, cessa la sua legittimazione a favore di quella del curatore fallimentare.

Anche per i terzi danneggiati l'azione è tutt'altro che agevole. Essi sono danneggiati dal declino o addirittura annientamento della garanzia patrimoniale, che era costituita dal patrimonio del debitore. Se infatti quest'ultimo patrimonio si presentava poco capiente per coprire le aspettative dei creditori, come in precedenza ampiamente argomentato successivamente all'ampliamento dell'indebitamento, conseguente alla protrazione dell'attività del debitore ingiustificatamente sostenuta dalla abusiva concessione di credito, la garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore, si presenta ancor più insufficiente o addirittura inesistente.

Nello stesso tempo l'instaurazione di un procedimento concorsuale, conseguente all'insolvenza del debitore, comporta proprio per poter realizzare la più soddisfacente ripartizione in modo paritario del ricavato della liquidazione del patrimonio, la necessità di ricostruire il patrimonio con tutte le azioni fallimentari e di diritto comune, in guisa che sia possibile recuperare valori e beni o, come nel nostro caso, far valere diritti di credito contro i terzi che per il loro comportamento abbiano leso, vale a dire, diminuito il valore del patrimonio.

I singoli creditori (che, dunque, hanno subito per effetto della procedura concorsuale la trasformazione del loro diritto di credito da pretesa verso il debitore ad ottenere la prestazione dovuta, a pretesa a partecipare pro quota paritariamente sul ricavato della liquidazione del patrimonio), non possono far valere un danno così generale e globale che investe appunto la totalità dei crediti, in quanto tale danno è relativo al patrimonio da liquidare quale oggetto della garanzia patrimoniale dell'intera massa dei creditori.

E' il curatore, quindi, il soggetto che deve assolvere al compito di tutelare il patrimonio oggetto della liquidazione fallimentare, al fine di tutelare la salvaguardia della garanzia patrimoniale che esso stesso dovrà realizzare, distribuendo il ricavato secondo le quote di spettanza.

Ciascun creditore mantiene piuttosto la legittimazione a far valere i danni che abbia individualmente subito da terzi, come ad esempio quelli che potrebbero derivare da scorrette informazioni fornite dalla banca sulla solvibilità del debitore poi fallito e che abbiano indotto al compimento di scelte contrattuali o dispositive pregiudizievoli (individuali e diverse per ciascun creditore).

Ne consegue, pertanto, che il diritto al risarcimento dei creditori deve essere ben distinto in due profili che risultano autonomi: quello a far valere una tutela individuale per un pregiudizio singolarmente patito, per il quale ciascun creditore può mantenere singulatim la legittimazione e quello al risarcimento per il danno subito dalla garanzia patrimoniale, ulteriormente indebolita per il protrarsi dell'attività nell'insolvenza e per il ritardo nella dichiarazione di fallimento, per la quale la legittimazione non può che essere complessiva e spettare al curatore, quale soggetto che funzionalmente è in grado di tutelare la lesione alla garanzia patrimoniale.

Le prese di posizione volte a negare la proponibilità dell'azione da parte del curatore fallimentare non appaiono pertanto convincenti. Esse possono essere così sinteticamente riassunte. Al curatore non potrebbe essere riconosciuto un potere generale di rappresentanza degli interessi dei creditori, esso è piuttosto legittimato a sostituirsi a questi solo nelle fattispecie dell'articolo 2394, c.c., dell'articolo 146 l.f., 67 l.f. e 240 l.f.[9]. Il pregiudizio non sarebbe riferibile alla massa, in quanto le ragioni e la misura del danno dovrebbero essere distribuite in modo diverso tra i creditori anteriori e posteriori al finanziamento abusivo, essi dovrebbero fornire elementi di prova diversi a seconda degli specifici presupposti in cui si è manifestato nella singola sfera individuale il pregiudizio suscettibile di dare luogo alla responsabilità risarcitorie della banca[10].

Si è detto a questo proposito che la legittimazione del curatore a tale azione troverebbe ostacolo nel fatto che il pregiudizio che verrebbe fatto valere non potrebbe essere configurato quale pregiudizio alla massa, e questo in quanto il curatore non potrebbe far valere la sommatoria di tutti pregiudizi singolarmente subiti da ciascuno dei creditori del debitore insolvente[11].

In realtà in questo modo le conseguenze dannose del comportamento della banca vengono proiettate solo sulla sfera individuale di ciascuno dei creditori. Al contrario, il riconoscimento della legittimazione del curatore fallimentare a proporre tale azione, non è certo diretto ad affidare al curatore il potere ed il compito di sostituirsi nella rappresentanza processuale e sostanziale dei diritti e delle pretese che spettano individualmente a ciascuno dei creditori.

E' pacifico, infatti, che l'assunzione di un ruolo di questo genere da parte del curatore non risulta configurabile. Infatti, sulla base della disciplina della procedura concorsuale una sostituzione del genere potrebbe in astratto essere concepibile sul piano civilistico sostanziale, come pure sul piano processuale, solo attraverso il conferimento non certo al curatore ma ad un terzo difensore di uno specifico mandato giudiziale da parte di ciascuno dei creditori a svolgere una azione dal contenuto seriale verso coloro che pregiudizievolmente hanno finanziato il debitore insolvente: sul difensore incomberebbe poi il compito di differenziare la domanda e le argomentazioni difensive e probatorie in relazione allo specifico rapporto di causalità e con riguardo alla dimensione stessa del danno singolarmente subito dai suoi assistiti.

Si deve, quindi, concludere che quelle tesi che vogliono escludere la legittimazione del curatore fallimentare sulla base della considerazione che il curatore verrebbe a far valere la sommatoria di tutti i pregiudizi subiti dai creditori, risulta basarsi su un fraintendimento dell'oggetto e del contenuto dell'azione per abusiva concessione di credito.

Se infatti si dovesse ritenere che la portata dell'azione sia la rimozione di un pregiudizio così strettamente soggettivo ed individualistico di ciascun creditore, l'esercizio di essa da parte del curatore risulterebbe indubbiamente incompatibile, oltre che con i compiti riconosciuti al curatore, anche con gli stessi strumenti processuali volti a consentire il più realistico ed efficiente accesso alla giustizia da parte di ciascuno dei creditori danneggiati[12].

Appare, in conclusione, necessario distinguere tra il pregiudizio che colpisce la singola sfera individuale di ciascun creditore e quella tipologia di pregiudizio che ha una dimensione di danno del tutto diversa, in quanto si presenta caratterizzata dal fatto di risultare uniforme e generalizzata per tutti i terzi che per il fatto di avere contrattato con il debitore sono divenuti creditori danneggiati dal depauperamento o annientamento della garanzia patrimoniale sulla quale fondavano le loro aspettative di soddisfazione. Mentre, infatti, per quanto concerne il pregiudizio subito dal singolo creditore (il quale, ad esempio, potrebbe essere stato ingannato da dichiarazioni e affidamenti creati dalla specifica della banca), si tratterà di dimostrare un danno specifico, peculiare nella dimensione e qualità, rispetto a quello subito da ciascuno degli altri creditori. Nell'azione aquiliana che viene fatta valere nel fallimento, al contrario, ciò che conta è una dimensione di danno che investe indistintamente qualsiasi creditore, in una dimensione diversa, vale a dire non specifica ma piuttosto, come abbiamo detto, generalizzata e uniforme[13]. È un danno che investe tutti terzi che hanno contrattato con il debitore, i quali, proprio per effetto di tale contrattazione hanno maturato un diritto di credito, che, per effetto della aumentata esposizione debitoria dell'imprenditore finanziato in modo "irregolare", potrà ottenere una soddisfazione ulteriormente ridotta nella quota di spettanza dell'esecuzione concorsuale.

Né ritengo sia possibile distinguere tra creditori i cui crediti siano sorti anteriormente o successivamente agli atti di abusiva concessione di credito[14]. Con questa distinzione si vorrebbe forse escludere che i creditori anteriori possano avere subito un danno dall'abusiva concessione di credito, in quanto essi hanno contrattato con il debitore (poi fallito), prima dell'ingiustificato finanziamento e ricomprendere solo coloro che hanno contrattato dopo il finanziamento perchè senza di esso, essi non avrebbero contrattato[15].

Sia i creditori anteriori, che quelli successivi all'abusiva concessione del credito sono danneggiati dalla sopravvenuta inidoneità o assottigliamento della garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore. Sono infatti la garanzia patrimoniale ed il patrimonio del debitore che vengono in considerazione per una valutazione del pregiudizio arrecato dall'irregolare comportamento di ingiustificata erogazione di credito. Infatti il patrimonio del debitore ha subito un aggravamento del volume e del peso dei crediti per i quali avrebbe dovuto assicurare la copertura, e conseguentemente esso è divenuto del tutto o parzialmente inidoneo a soddisfare i creditori.

Questo vuol dire che sia i creditori anteriori, che quelli successivi sono stati pregiudicati dall'incremento dell'indebitamento successivo all'ingiustificata erogazione di credito. La garanzia patrimoniale offerta dal debitore si è infatti diluita con l'effetto di far perdere percentuali di soddisfazione nella stessa misura sia ai creditori anteriori, che percepiranno meno di quanto avrebbero ricavato senza il ritardo alla dichiarazione di fallimento, sia quelli successivi parimenti danneggiati dall'annacquamento della garanzia patrimoniale causata dal ritardo nella dichiarazione di fallimento.

E' proprio la natura del pregiudizio subito da tutti i creditori concorrenti che non consente di fare distinzioni tra creditori anteriori e successivi al finanziamento. Entrambi partecipano al concorso, entrambi riceveranno in moneta fallimentare un livello di riparto più basso di quello che avrebbero potuto percepire se l'insolvenza e la procedura non fossero state ritardate, e se fosse stato evitato che il volume del passivo fosse ulteriormente incrementato per effetto della ingiustificata operazione di credito.

La peculiarità della partecipazione al concorso risiede infatti, come è noto, nella ripartizione della perdita dovuta all'insolvenza in modo paritario per tutti i partecipanti. Non a caso si parla a questo riguardo del concorso fallimentare come della comunità della perdita (Verlustgemeinschaft). Nel nostro caso, l'azione per abusiva concessione del credito è rivolta a far valere quale danno proprio l'incremento della complessiva e generale perdita subita dai creditori per effetto, appunto, del procurato ritardo nella dichiarazione di fallimento. Si tratta di un danno che subiscono tutti i partecipanti al concorso senza che, quindi, possa essere individuata una distinzione rilevante a questi fini, tra quelli anteriori o successivi al pregiudizievole finanziamento.

Non vi è, pertanto, alcuna possibilità di intendere tale lesione della garanzia patrimoniale come la sommatoria di pregiudizi patiti dai singoli creditori. Non si tratta, infatti, di far valere il complesso delle voci di pregiudizio e di danno che ciascuno dei creditori ha subito, come se si volesse sommare in un unica azione e domanda giudiziale una pluralità variegata di pretese individuali che fanno capo ad una serie di soggetti creditori del debitore insolvente e che verrebbero ad essere rappresentati unitariamente dal solo curatore fallimentare. Si tratta piuttosto di consentire proprio al curatore fallimentare di individuare quanto l'esposizione debitoria sorta successivamente all'erogazione del credito abbia pregiudicato il patrimonio del debitore onerandolo di nuovi debiti e quanto tale pregiudizio abbia inciso sul modo in cui opera funzionalmente la garanzia patrimoniale offerta da tale patrimonio su tutti i creditori concorrenti. Nel fallimento il livello di efficacia della garanzia patrimoniale destinata ai creditori è determinato dallo stretto collegamento tra valore del patrimonio, risultante dalla liquidazione e volume totale dei crediti concorrenti: far valere il pregiudizio al patrimonio del finanziato e contemporaneamente alla garanzia patrimoniale vuol dire quindi individuare e far valere quella percentuale di soddisfazione concorsuale che è andata compromessa e perduta a causa del ritardo nella dichiarazione di fallimento per effetto dell'abusiva concessione di credito, con pregiudizio al patrimonio dell'imprenditore e conseguentemente a tutti i creditori concorrenti, la cui perdita, indistintamente per tutti risulterà appunto incrementata di una percentuale corrispondente.

Allorquando, dunque, il curatore venga ad accertare che il patrimonio dell'imprenditore fallito per effetto del ritardo nell'emergere dell'insolvenza a causa del finanziamento abusivo, ha perso in tutto o in parte la sua idoneità a coprire i crediti iscritti al passivo fallimentare, ha il compito di valutare e, se ne ricorrono le condizioni, di proporre l'azione aquiliana contro il finanziatore danneggiante, al fine di ripristinare quel valore del patrimonio andato perduto per effetto dell'illecito e restituire quindi al patrimonio quel livello di idoneità a coprire i crediti concorrenti che, quale garanzia patrimoniale, il patrimonio avrebbe avuto se il ritardo nell'emergere dall'insolvenza non si fosse verificato. La legittimazione all'azione del curatore fallimentare poggia pertanto sulla considerazione che si tratta di una azione che non solo fa parte del patrimonio sottoposto a liquidazione, perché rivolta a rimuovere una lesione patrimoniale subita dallo stesso patrimonio e dal suo titolare poi dichiarato fallito, ma anche sul fatto che é rivolta a rimuovere la lesione all'integrità della garanzia patrimoniale offerta ai creditori, in modo tale da poter riportare, per tutti i creditori indistintamente, la quota di partecipazione alla soddisfazione concorsuale al livello che essa avrebbe avuto se il patrimonio del fallito e la garanzia patrimoniale non fossero state lese nei loro valori.

Allo stesso modo non appaiono fondati anche gli altri profili di dubbio accennati dalla stessa dottrina precedentemente citata in ordine alla legittimazione del curatore fallimentare.

Come si è visto, è stato osservato che la banca cui viene imputato il comportamento lesivo risulta il più delle volte creditore concorrente e sarebbe pertanto contraddittorio riconoscere al danneggiante di trarre vantaggio, attraverso la partecipazione al concorso, al risultato del risarcimento del danno da essa provocato e da essa risarcito[16].

In altre parole risulterebbe singolare e contraddittorio che la banca venisse a godere quale creditore partecipante al concorso degli effetti favorevoli del risarcimento per il ripristino del valore del patrimonio fallimentare cui ella stessa con la prestazione risarcitoria ha contribuito. In realtà non vi è alcuna contraddizione sotto nessun profilo nel fatto che la banca venga chiamata a pagare una somma a titolo del risarcimento del danno e che quella somma venga ad incrementare il patrimonio da destinare ai creditori e che pertanto una porzione di questa quota aumentata e migliorata dal risarcimento pagato dalla banca, vada ad aumentare percentualmente anche la quota da assegnare alla banca. La contraddizione non vi è perchè il titolo sulla base del quale la banca partecipa al concorso è fondato sul credito che essa ha maturato, che è stato accertato ed ammesso allo stato passivo. Non vi è tra l'altro alcun rapporto tra il credito che la banca ha insinuato al passivo ed il risarcimento che essa stessa pagherà ed andrà ad incrementare il passivo. Potrebbe benissimo accadere, infatti, che la banca sia riuscita prima del fallimento a rientrare dalla anche ingente esposizione verso il debitore, che tutti i crediti che vantava verso l'impresa finanziata siano risultati completamente saldati e che, pertanto, non ricoprendo la qualità di creditore concorsuale, non abbia diritto ad alcun riparto senza, quindi, percepire alcun vantaggio per avere risarcito la perdita dell'integrità patrimoniale del patrimonio fallimentare. Come pure può accadere che la banca abbia insinuato al passivo un modesto o ingente credito e che quindi venga a godere di un modesto o più rilevante vantaggio per avere risarcito il patrimonio fallimentare. In conclusione il titolo su cui si basa la eventuale partecipazione al concorso, nulla ha a che fare con il risarcimento dovuto dalla banca per la lesione alla garanzia patrimoniale. Se questa è creditore concorsuale essa ha il diritto di godere paritariamente con gli altri concorrenti del valore e dei vantaggi offerti dal patrimonio fallimentare oggetto dell'esecuzione collettiva. Infatti essa con il pagamento del risarcimento del danno estingue integralmente il suo debito risarcitorio e, quale creditore concorsuale e concorrente, ha diritto ad ottenere la quota di riparto che gli spetta secondo l'ammontare del credito accertato e secondo l'ammontare del valore del patrimonio fallimentare al momento della liquidazione. Né ha alcuna rilevanza o pone alcun interrogativo il fatto che anche alla banca sia destinata una quota percentuale della somma da essa stessa versata al curatore per ripristinare il valore da essa stessa leso del patrimonio fallimentare.

Questa situazione del resto si verifica e si è sempre verificata ogni qualvolta un creditore concorsuale viene chiamato dal curatore a rispondere di atti che hanno leso l'integrità del patrimonio fallimentare. Non sussiste, infatti, nessuna contraddizione nel fatto che colui che, per il danno arrecato, ha risarcito il patrimonio fallimentare, partecipi poi, quale creditore fallimentare, al concorso il cui livello di soddisfazione risulta naturalmente più elevato per l'incremento che egli stesso ha procurato attraverso la avvenuta reintegrazione del patrimonio. La diversità del titolo e delle ragioni di credito escludono in radice che si possa configurare una qualsiasi contraddizione. Del resto, allo stesso modo in cui il fornitore di merci può essere nello stesso tempo creditore concorsuale per le forniture non pagate e debitore obbligato al risarcimento del danno per i danni subiti dall'impresa per le partite di merci avariate, allo stesso modo la banca è creditore concorsuale per la restituzione delle somme prestate ed è obbligata al risarcimento per il pregiudizio arrecato con la concessione ingiustificata di credito. Entrambi sopporteranno da un lato il peso del risarcimento e dall'altro avranno il pieno diritto di soddisfare il loro credito concorsuale avvalendosi al pari degli altri creditori concorsuali degli incrementi del patrimonio fallimentare procurati dalle iniziative del curatore di ricostruzione del patrimonio del fallito.

Deve inoltre essere considerata la diversa natura delle due posizioni della banca: quella creditoria al riparto di natura meramente concorsuale e che può essere pagata solo in moneta fallimentare e quella debitoria - risarcitoria verso il fallimento fuori del concorso, da adempiere normalmente in moneta corrente e non in moneta fallimentare. La percezione da parte della banca dunque, a titolo di riparto, di una somma che sarà più elevata se essa stessa ha effettuato il risarcimento, non costituisce restituzione alla banca di una parte di quanto percepito, ma soltanto la conseguenza del fatto che l'azione risarcitoria del curatore ha ottenuto il risultato di reintegrare la diminuita garanzia patrimoniale e che quindi tutti i creditori concorrenti, in quanto partecipanti al concorso sul patrimonio appunto reintegrato, avranno la possibilità e il pieno diritto di ottenere una quota di riparto più elevata, compresa quindi la banca che ha soddisfatto il suo debito risarcitorio e che in ogni caso ha diritto di essere trattata in modo paritario al pari di tutti gli altri creditori concorrenti.


Il concorso del fatto colposo dell'imprenditore destinatario del finanziamento: presupposti e limiti.

Nella identificazione della responsabilità della banca è stata talora avanzata l'osservazione secondo cui la banca dovrebbe comunque andare indenne da tale responsabilità in virtù del fatto che il finanziamento è stato richiesto dall'imprenditore. La colpa del pregiudizio conseguente ricadrebbe quindi sull'imprenditore e non sulla banca che lo ha concesso.

Una tale lettura della vicenda del finanziamento abusivo come tutto collegato alla persona del soggetto finanziato, appare in qualche modo risentire di quella prospettiva secondo cui il finanziamento, piuttosto che dar luogo ad un pregiudizio darebbe luogo ad un arricchimento per il finanziato. Anche in questo caso l'intera operazione viene ricondotta nella ristrettissima prospettiva che vede nel soggetto finanziato il motore assorbente dell'intera azione pregiudizievole. Quest'ultimo, con la propria iniziativa, che in realtà consiste solamente in una domanda diretta a far sì che la banca esamini la possibilità di concedere un finanziamento, determinerebbe la erogazione a suo favore del credito e il sovvenuto verrebbe così per effetto della propria decisione, ad avvantaggiarsi, anzi ad arricchirsi, della somma di danaro così ricevuta dalla banca.

Tale ricostruzione, suona del tutto unilaterale e parziale per la rappresentazione e interpretazione della realtà economica e giuridica del fenomeno. In particolare, non tiene conto che è la banca il soggetto agente della azione che si rileva dannosa. È infatti incontestabile che l'autore del finanziamento o più in generale dell'operazione di credito è la banca, ed è egualmente incontestabile che la erogazione di credito costituisca una prestazione tecnica di carattere professionale che si svolge addirittura nell'ambito di una attività riservata e sottoposta a controlli autorizzativi da parte dell'autorità che ha il compito di vigilare sulla attività creditizia.

Il credito percepito dall'accipiens è quindi il risultato di una attività tecnico professionale della banca che necessariamente deve giungere a conclusione di una valutazione compiuta attraverso una adeguata istruttoria che investe il merito del credito del soggetto destinatario del finanziamento. Il finanziamento, in altre parole non può essere considerato al pari di una merce anonima ed indifferenziata, offerta ed indiscriminatamente accessibile a tutti senza distinzione, come quella esposta negli scaffali di un grande magazzino in attesa della clientela. In quest'ultimo caso delle conseguenze dell'acquisto o dell'uso ed abuso di siffatti beni, l'acquirente non potrà dolersi verso il venditore, considerato che la missione commerciale di questi è per definizione quella di invadere il mercato con il più alto volume di offerta di beni e servizi.

Al contrario, le operazioni di credito e di finanziamento sono espressione del massimo livello che nella contrattazione può essere raggiunta della più ampia valutazione di tutti gli elementi di affidamento e di meritevolezza. Questo riguarda, in particolare, la valutazione della persona, del patrimonio, dell'azienda e delle prospettive del settore rispetto all'operazione contrattuale che si va a compiere.

Le operazioni di credito hanno come presupposto indefettibile la valutazione dell'intuitus personae nella forma più articolata e complessa che si può riscontrare nel diritto privato. L'apprezzamento personale del destinatario del finanziamento deve essere infatti coniugato dalla banca con la valutazione tecnico-economica delle condizioni patrimoniali e delle potenzialità produttive dello stesso. Tale apprezzamento è, quindi, accompagnato necessariamente da una valutazione di merito del credito che per tutte le considerazioni già svolte, la banca deve necessariamente compiere con la professionalità propria di questa delicata materia. Di qui il dovere per la banca di astenersi e rifiutare credito ai soggetti che risultino immeritevoli e che per le loro condizioni patrimoniali non saranno in grado di utilizzare produttivamente il credito ottenuto, cioè di consolidarlo produttivamente nel patrimonio, e che, piuttosto, si troveranno nella condizione di disperderlo, continuando senza giustificazione una presenza sul mercato che inevitabilmente porterà ad un ulteriore ampliamento della esposizione debitoria anche nei confronti dei terzi.

Rispetto, dunque, alla produzione dell'evento dannoso non si può certo ritenere che di per sé l'eventuale richiesta formulata alla banca da parte del soggetto finanziato, di ottenere l'erogazione del finanziamento, possa costituire evento idoneo ad interrompere o deviare la catena causale, in realtà molto stretta, solida e serrata, che vede quale fatto agente nella causazione dell'illecito e del danno la banca quale responsabile di un comportamento che deve essere di valutazione, delibera, erogazione e una volta effettuata l'erogazione, di verifica nel tempo delle condizioni patrimoniali e anche di utilizzo della liquidità.

Le regole che disciplinano l'incidenza causale dei comportamenti tenuti distintamente da più soggetti nella produzione del danno portano piuttosto ad escludere che la richiesta di finanziamento da parte dell'imprenditore insolvente possa comportare l'esclusione della responsabilità della banca come soggetto agente nei confronti dello stesso finanziato[17].

La prima parte del primo comma dell'art. 1227 c.c. (se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno), indica la modalità attraverso la quale è possibile ricostruire il fatto dannoso quale risultato di cause concorrenti che insieme hanno contribuito a determinare l'evento. A questo fine la norma in parola stabilisce, quindi, quale requisito tecnico e logico giuridico del concorso, il fatto che con certezza si possa dire che senza l'incidenza eziologia di ciascuna delle cause concorrenti, l'evento dannoso non avrebbe potuto verificarsi[18].

Sulla base di questi principi, la richiesta dell'imprenditore, volta ad ottenere la concessione di un fido o di un finanziamento, costituisce e svolge, nel processo di causazione dell'evento dannoso, soltanto il ruolo di una forma di invito rivolta alla banca di esaminare, valutare e deliberare la erogazione del credito. La richiesta può, quindi, certamente costituire l'occasione che ha dato inizio alla azione della banca ma resta comunque evidente che, sul piano eziologico, essa non concorre nella causazione del danno se non altro per il fatto che l'attività di erogazione del credito posta in essere dalla banca, deve essere attuata in via autonoma ed indipendente, in guisa che la concessione del credito sia il risultato di una valutazione tecnica di carattere economico-giuridico, che sarebbe assurdo pensare che possa essere influenzata, e per di più in modo determinante, dalla richiesta dell'imprenditore cui il finanziamento dovrà essere rivolto.

Il comportamento dell'imprenditore richiedente potrebbe rilevare quale causa efficiente, eziologicamente determinante nel concorso, in ipotesi del tutto particolari. Quando, ad esempio, il richiedente avesse posto in essere un comportamento diretto, e soprattutto effettivamente idoneo, a trarre in inganno la banca circa la situazione produttivo patrimoniale dell'azienda. Si dovrebbe certamente trattare di un comportamento rispetto al quale risulti che le indagini e le valutazioni effettivamente compiute dalla banca, non sarebbero state in grado di smascherare l'inganno e comunque di far comprendere l'effettiva situazione della azienda. In questo caso, il livello del concorso potrebbe anche arrivare alla esclusione della responsabilità della banca ove l'intervento decettivo del finanziato costituisca causa unica ed esclusiva dell'evento dannoso, in grado di assorbire l'azione della banca quale comportamento dannoso posto in essere in una situazione di inconsapevolezza non colposa e di assoluto sviamento della volontà della banca agente.

Se si prescinde però da queste ipotesi estreme, nelle quali il soggetto finanziato è effettivamente riuscito a trarre in inganno la banca, al punto che questa, anche svolgendo le dovute indagini di meritevolezza dovuta, non ha potuto e non avrebbe potuto scoprire la situazione di insolvenza, va osservato che compito specifico e professionale della banca è sottoporre ad adeguata verifica critica tutti i dati raccolti per valutare la meritevolezza del credito e quindi, in primo luogo, i dati forniti dallo stesso richiedente. Infatti l'operazione di concessione di credito, per l'elevato significato tecnico che la contraddistingue, non può in nessun modo essere assimilata e ridotta alla mera accettazione di una richiesta di finanziamento. In altre parole il credito viene concesso dalla banca non certo per esaudire una richiesta dell'imprenditore, la quale di per sé può condurre soltanto alla apertura di una procedura di istruttoria, vale a dire alla raccolta di dati e di elementi che consentono alla banca una valutazione tecnico discrezionale di meritevolezza e cioè di concedibilità o meno del credito. Il credito la banca lo concede, infatti, alla fine di un itinerario valutativo che deve essere svolto attenendosi ai diversi criteri tecnici a seconda dell'ammontare del credito, della tipologia economico produttiva dell'imprenditore, delle caratteristiche di credito stesso, e cioè di diversi criteri che diverranno sempre più stringenti ed obbligatori con la prospettiva di applicazione del 2006 dei criteri vincolanti del cosiddetto accordo di Basilea 2. Pertanto anche nell'ipotesi della falsa ed ingannevole rappresentazione o meglio distorsione della realtà da parte dell'imprenditore, l'esclusione della responsabilità della banca potrà avvenire solo attraverso la prova fornita dalla banca, che l'esito delle indagini da essa svolte, secondo adeguati profili di professionalità e di approfondimento, non le consentivano di far emergere la realtà della situazione patrimoniale-produttiva rispetto a quella simulata dall'imprenditore richiedente.

Sotto altro profilo va peraltro osservato che il concorso di colpa del danneggiato potrebbe avere uno spazio applicativo, piuttosto che sotto il profilo del concorso nella determinazione dell'evento (di cui alla prima parte del primo comma dell'art 1227 c.c.), sotto il profilo della valutazione economica del pregiudizio che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza (di cui alla secondo comma dell'art. 1227 c.c.).

La considerazione potrebbe investire non la fase produttiva dell'evento dannoso, ma quella successiva in cui il danno è stato già realizzato. E' questa infatti la fase in cui si valutano i pregiudizi ulteriori che la vittima poteva evitare con l'ordinaria diligenza.

In quest'ultima ipotesi, il danneggiato non concorre nella produzione dell'evento dannoso ma piuttosto concorre con il comportamento da esso posto in essere successivamente al verificarsi del danno, questo potrebbe venire a svolgere il ruolo di elemento interruttivo del nesso causale tra l'illecito ed il pregiudizio da lui stesso subito. In sostanza, il danneggiato potrebbe essere responsabile per il concorso solamente sotto l'aspetto di non avere evitato le conseguenze pregiudizievoli che, al contrario, era in suo potere di evitare con la normale diligenza.

Si tratta di una particolare modalità di concorso tutta imperniata sul profilo economico delle conseguenze patrimoniali dell'evento dannoso. La banca danneggiante potrebbe far valere questa modalità di concorso, al fine di ottenere avanti al giudici di merito, il riconoscimento della parziale limitazione del danno risarcibile. Ciò potrebbe accadere nei casi in cui, ad esempio, l'imprenditore ingiustificatamente danneggiato, dopo aver ricevuto l'ingiustificato finanziamento, piuttosto che limitarsi alla normale gestione dell'azienda, utilizzi il finanziamento ricevuto per assumere ulteriori del tutto azzardate iniziative estranee alla normale gestione dell'impresa, venendo in questo modo a gravare il già dissestato patrimonio con obbligazioni che, appunto, avrebbe potuto più prudentemente evitare di contrarre.

Deve, peraltro, essere osservato che il riconoscimento della possibilità di limitare per alcune voci di danno la responsabilità della banca, in presenza di una prova del concorso del debitore nella causazione di ulteriori danni che, al contrario, con la sua diligenza sarebbero stati evitati, deve essere, nella fattispecie aquiliana che qui ci occupa, contenuta entro rigorosi confini. Va infatti considerato che l'autore del fatto dannoso risponde, comunque, anche per i danni che sono conseguenza dell'illecito e non potevano prevedersi al momento in cui questo è stato commesso, considerato che, come è noto l'art 2056 c.c. non richiama l'art 1225 c.c.. L'imprenditore che riceve un finanziamento lo utilizza, infatti, normalmente quale strumento per assumere nuove obbligazioni e la banca risponde del pregiudizio derivante da questa contrattazione già sulla base della regola generale dell'addossamento delle conseguenze prevedibili secondo la struttura dell'illecito. Considerata, inoltre, la natura extracontrattuale dell'illecito, la responsabilità della banca si estende anche al pregiudizio sorto per effetto di una utilizzazione non prevedibile del finanziamento, con il correttivo già accennato della possibile esclusione di quei pregiudizi che il patrimonio del soggetto finanziato ha subito e che l'uso della ordinaria diligenza avrebbe potuto impedire, ad es. poteva astenersi di obbligarsi verso soggetti che già nel momento della contrattazione risultavano non sufficientemente affidabili o insolventi oppure ha omesso di esercitare diritti contrattuali compromettendo ulteriormente ragioni creditorie, con l'effetto di subire perdite che avrebbero potute essere evitate e che invece vengono ad aggravare ulteriormente il passivo[19].

Deve essere, infine, rilevato che la imputazione del pregiudizio arrecato dal finanziamento al patrimonio dell' imprenditore finanziato, in alcuni casi, a seconda di come si configuri il comportamento del danneggiante, dovrà tenere conto del fatto che il criterio di imputazione potrebbe risultare il dolo, piuttosto che la colpa. È possibile, infatti, che nel comportamento di colui che eroga il finanziamento sia riscontrabile una consapevolezza anche nitida delle conseguenze della condotta, suscettibile addirittura di essere qualificata quale volontà dell'evento dannoso. Sono questi i casi del credito erogato al fine di ritardare la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore insolvente, o al fine di far decorrere i termini per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare e spostare in avanti nel tempo il periodo sospetto ed ottenere, quindi, il consolidamento di atti altrimenti revocabili, di cui la banca si è potuta avvantaggiare, oppure i casi in cui il finanziamento all'insolvente è stato effettuato per esaudire un debito politico o di lobby di qualsiasi natura, oppure ancora per permettere ad una società collegata di ripianare l'esposizione che la società insolvente ha maturato nei confronti della banca finanziatrice, estinzione che non potrebbe essere possibile se il fallimento fosse dichiarato tempestivamente, oppure ancora per dotare il soggetto finanziato di una provvista di liquidità monetaria con la quale sostenere in borsa titoli che la banca finanziatrice ha interesse che non perdano valore nella quotazione in quanto ad es. dalla stessa finanziatrice detenuti in garanzia, o perché addirittura si tratta delle stesse azioni della banca, oppure ancora per far sì che il soggetto finanziato possa usare quella liquidità per rastrellare per conto della banca finanziatrice titoli di una società ber la cui acquisizione la banca finanziatrice intende o deve successivamente lanciare un'opa, e così in molte altre pressoché infinite ipotesi nelle quali l'illiceità della abusiva concessione di credito è un aspetto di una più ampia sequenza di illeciti finanziari e societari.

L'emergere dell'elemento del dolo, come è noto, può assumere rilevanza ai fini della valutazione ed applicazione da parte del giudice della sanzione che potrà essere applicata con maggior rigore nei confronti del danneggiante che ha agito appunto con dolo[20].









[1] Cfr. Cass. SS. UU. Civili, 16 febbraio -28 marzo 2006, n. 7029, in Dir fall. 2006, II, 216, con nota di NARDECCHIA, L'abusiva concessione di credito all'esame delle Sezioni Unite.
[2] Così BERSANI, La legittimazione del curatore fallimentare nell'azione di responsabilità nei confronti delle banche per la concessione abusiva di credito. La pronuncia delle Sezioni Unite,in Il fisco, 2006, 4662. Nello stesso senso NARDECCHIA, op. cit., il quale peraltro sottolinea che la questione della legittimazione del curatore, in realtà è tutt'altro che chiusa, particolarmente in relazione alla legittimazione del curatore a far valere il danno subito dal patrimonio del finanziato poi fallito.
[3] INZITARI, in Legittimazione del curatore per abusiva concessione del credito: plurioffensività dell'illecito al patrimonio e alla garanzia patrimoniale, in Le obbligazioni nel diritto civile degli affari, Padova, 2006
[4] V. le recenti monografie VISCUSI, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004, che non solo fornisce una ricostruzione completa ed esaustiva del tema, ma fornisce anche articolate risposte ai maggiori problemi interpretativi; del medesimo autore v. anche Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di responsabilità, in Banca, borsa e titoli di credito, II, 2004, 648; DI MARZIO, Abuso nella concessione di credito, Napoli, 2004 e dello stesso autore, Abuso e lesione della libertà contrattuale nel finanziamento dell'impresa insolvente, in Riv., dir. civ., 2004, I, 145. L'argomento costituisce ormai un capitolo obbligato nei trattati e nei commentari sulla responsabilità civile come pure sulla banca e i contratti bancari, v. FRANZONI, Dei fatti illeciti artt. 2043-2096-2059, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2004, 157; MONTANARI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Rodolfo Sacco, Torino, 1998, 789; FAUCEGLIA, I contratti bancari, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da Buonocore, Torino, 2005, 246. INZITARI, Concessione abusiva di credito: irregolarità del fido, false informazioni e danni conseguenti alla lesione della autonomia contrattuale, in Dir. banc. merc. fin. 1993, 412 ss; ID, Le responsabilità della banca nell'esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in Banca, borsa e titoli di credito, 2001, I, 280.
[5] Accenti in questo senso si avvertono nelle sentenze, App. Bari 17 giugno 2002, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, II, 582-583, App. Bari 2 luglio 2002, in Fallimento, 2002, 1164; App. Bari 18 febbraio 2003, in Fallimento, 2004, 427, in dottrina, CASTIELLO D'ANTONIO, Il rischio per le banche nel finanziamento di imprese in difficoltà: la concessione abusiva del credito, in Dir. fall., 1995, I, 250-251; LO CASCIO, Iniziative giudiziarie del curatore fallimentare nei confronti delle banche, in Fallimento, 2002, 1182 ss.
[6] V. DI MAJO, Dell'adempimento in generale, in Commentario Scialoja e Branca, sub art. 1190, 1994, 286; BIANCA, Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano 1990; CANNATA, L'adempimento delle obbligazioni, Trattato Rescigno, IX, Torino 1999, 69.
[7] V. sul punto INZITARI, Il mandato, in Profili del diritto delle obbligazioni, Padova, 2000, 541.
[8] V. supra, nt. 5. Si tratta in realtà di opinioni che sembrano esprimere più preferenze personali su come gli autori che questa opinione hanno espresso personalmente "sentono" o interpretano il significato del finanziamento, ma in realtà manca in queste affermazioni qualsiasi tentativo di fornire una giustificazione tecnico-scientifica e pertanto, anche nel piano metodologico, non appaiono conclusioni rilevanti sul piano ermeneutico o metodologico.
[9] Cfr. altresì, dopo la riforma del diritto societario, artt. 2394 bis e 2497 c.c. Nel senso indicato nel testo, CASTIELLO D'ANTONIO, La responsabilità della banca per «concessione abusiva di credito», in AA. VV., La «riforma urgente» del diritto fallimentare e le banche. Problemi risolti e irrisolti, Atti del Convegno di Lanciano, 31 maggio - 1 giugno 2002, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2003, 218 ss.; LIACE, La responsabilità della banca, Milano, 2003, 215 ss.; LO CASCIO, op. cit., 1182 ss.; NIGRO, Note minime in tema di responsabilità per concessione abusiva del credito e di legittimazione del curatore fallimentare, in Dir. banc. E merc. Fin., 2002, I, 298 ss.; ROBLES, Erogazione "abusiva" di credito, responsabilità della banca finanziatrice e (presunta) legittimazione attiva del curatore fallimentare del sovvenuto, in Banca, Borsa e Tit. cred., 2002, II, 281 ss. e 297 ss.; ID., Nota ad App. Bari 2 febbraio 2002 e App. Bari 16 giugno 2002, in Banca, Borsa e Tit. cred., 2003, II, 582 ss.; TARANTINO, Concessione abusiva del credito e legittimazione attiva del curatore all'azione risarcitoria, in Riv. dir. comm, 2003, II, 194 ss.; App. Bari, 17 giugno 2002, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, II, 582-583; App. Bari, 2 luglio 2002, in Fallimento, 2002, 1164; Trib. Milano, 21 maggio 2001, in Banca, Borsa e tit. cred., 2002, II, 264; App. Bari, 18 febbraio 2003, in Fallimento, 2004, 427; App. Milano, 11 maggio 2004, in Banca, Borsa e tit. di cred., 2004, II, 643; valorizzano invece il ruolo assunto dalle citate norme ai fini della soluzione della questione in oggetto, INZITARI, Le responsabilità, cit., 294 ss.; PATINI, Abusiva concessione di credito e poteri del curatore, in Fallimento, 2004, 431 ss.; ROLFI, Curatore e abusiva concessione di credito, in Corr. Giur., 2201, 12, 1646 (in nota a Trib. Milano 9 maggio 2001); RAGUSA MAGGIORE, La concessione abusiva del credito e la dichiarazione di fallimento, in Dir. fall. 2002, II, 510 ss.; VISCUSI, Profili, cit., 142 ss. e 160 ss.; ID., Concessione, cit., 677 ss. e 683 ss.; Trib. Foggia, 7 maggio 2002, in Dir. fall. 2002, II, 510; Trib. Foggia, 12 dicembre 2000, in Dir. banc. Merc. fin., 2002, I, 294.
[10] ANELLI, La responsabilità risarcitoria della banca per illeciti connessi nell'erogazione del credito, in Dir. banc. merc. fin. 1998, 154-155; BIBOLINI, Responsabilità della banca per finanziamento ad imprenditore insolvente, in AA. Vv., Responsabilità contrattuale, cit., 29 ss. (il quale non prende tuttavia espressamente posizione sul tema della legittimazione del curatore); CASTIELLO D'ANTONIO, La responsabilità, cit., 215 ss.; LO CASCIO, op. cit., 1182 ss.; NIGRO, La responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, in Portale (a cura di) Le operazioni bancarie, Milano, 1978, 250-251; ROBLES, Erogazione, cit., 278 ss.; TARANTINO, op. cit., 190 ss.; Cass., 9 ottobre 2002, n. 12368 (ord) in Fallimento 2002, 1157; App. Milano, 11 maggio 2004, cit.; App. Bari, 3 febbraio 2003, cit.; App. Bari, 2 luglio 2002, cit.; App. Bari, 17 giugno 2002, cit.; contra, DI MARZIO, Abuso e lesione, cit., 171 ss.; INZITARI, Le responsabilità, cit., 293 ss.; VISCUSI, Profili, cit., 145; ID., Concessione, 657 ss., ad avviso della quale l'impostazione descritta è frutto dell'erronea tendenza a porre l'accento esclusivamente sul profilo della interferenza della banca sulla formazione della volontà negoziale del singolo (pur in astratto ipotizzabile), a discapito dell'aspetto di pertinenza «collettiva», rappresentato dalla lesione della garanzia patrimoniale della massa dei creditori.
[11] Cfr. nt. 10; v. inoltre, NIGRO, Note e minime, cit., 294.
La posizione di questo Autore che, come ho avuto modo già di osservare (cfr. INZITARI, Concessione abusiva del credito, cit. supra nota 4) ha avuto quasi trent'anni or sono il grande merito di avere dato il primo impulso all'approfondimento di questo tema dell'abusiva concessione di credito (V. NIGRO, La responsabilità, cit., 301 ss.) appare contrassegnata dalla preoccupazione che il curatore possa farsi portatore degli interessi delle pretese individuali di ciascuno dei creditori. Sulla base di questo timore egli sembrerebbe giungere ad escludere la possibilità per il curatore fallimentare di far valere in giudizio l'azione in parola. In realtà negli scritti citati lo stesso Nigro riconosce che il ritardo nell'apertura della procedura concorsuale comporta una lesione della garanzia patrimoniale dei creditori nel loro complesso suscettibile di far entrare in gioco la responsabilità della banca, come pure riconosce la configurabilità di una lesione risarcibile in capo all'impresa sovvenzionata e la legittimazione all'esercizio dell'azione in capo al curatore fallimentare nei casi in cui la concessione abusiva sia frutto di concerto tra la banca e gli amministratori della società (NIGRO, Note minime, cit., 209); ipotesi, questa, che tra l'altro è molto diffusa, considerato che dell'aver proseguito l'attività sociale dopo la perdita del capitale sociale sono responsabili gli amministratori i quali pertanto il più delle volte hanno avuto uncomportamento collusivo con la banca o perchè con essa concertato o comunque perchè agevolato e reciprocamente non contrastato. In effetti sembra che il motivo che porta questo Autore ad escludere la legittimazione del curatore risieda nella affermazione secondo cui non vi sarebbe possibilità di configurare un danno alla massa ma piuttosto solo a ciascun creditore. Questo, secondo l'Autore, sarebbe confermato dal fatto che alla massa dei creditori partecipa anche la banca cui viene imputato il comportamento lesivo: risulterebbe pertanto contraddittorio riconoscere al danneggiante la possibilità di trarre vantaggio dal risultato del risarcimento del danno da essa provocato e da essa risarcito. E' questo un profilo significativo che in realtà è rivelatore del fatto che il pregiudizio causato dalla banca viene sempre inteso quale lesione di un diritto o di un interesse specifico del singolo creditore e non come lesione al patrimonio del debitore e quindi alla integrità della garanzia patrimoniale. Se infatti il pregiudizio viene liberato da ogni connotato soggettivo individualistico e riportato alla sua generale portata nella dinamica già illustrata della interferenza nei rapporti di mercato, ciò che rileva quale bene colpito e da tutelare è solo ed unicamente la pregiudizievole modificazione del livello di garanzia generica e potremo dire di "copertura" delle obbligazioni indistintamente di tutti i creditori. L'azione in parola è diretta a reagire e ripristinare le condizioni di integrità patrimoniale della garanzia patrimoniale, vale a dire che è diretta a far sì che vengano ripristinati quei livelli di soddisfazione che vi sarebbero stati senza il ritardo nella dichiarazione di fallimento. Quanto alla posizione della banca che quale danneggiante non potrebbe godere del risarcimento, va osservato che questa, se insinuata al passivo, mantiene naturalmente del tutto intatto il suo diritto di partecipare al concorso quale creditore concorrente e partecipante al complessivo concorso fallimentare. In realtà come si vedrà in prosieguo, non vi è alcuna contraddizione sotto nessun profilo nel fatto che la banca venga chiamata a pagare una somma a titolo del risarcimento del danno, che quella somma venga ad incrementare il patrimonio da destinare ai creditori e che pertanto una quota di essa vada ad aumentare percentualmente anche la quota da assegnare alla banca.
[12] Questo se non altro perché, secondo l'esperienza del giudizio civile, allorquando una pluralità di danneggiati affida ad un unico difensore il compito di far valere diverse pretese riconducibili a ciascuno di essi, assai scarse sono le possibilità di rappresentare in modo efficiente i diritti e le pretese di ciascuno: tale cumulo soggettivo è efficiente solo se le pretese fatte valere risultino caratterizzate da sufficiente omogeneità e intercambiabilità, vale a dire, da un elevato livello di serialità, caratteristiche che non sono ipotizzabili nei casi in cui è, al contrario, necessaria, per ogni pretesa fatta valere, un'istruttoria e di una allegazione probatoria specifica.
[13] In senso analogo, ROLFI, op. cit., 1651-1652; VISCUSI, Profili, cit., 167 SS.; ID., Concessione, 662 ss.
[14] Per l'unitarietà del fenomeno v. anche DI MARZIO, Abuso e lesione, cit., 171 ss.; INZITARI, Le responsabilità, cit., 293 ss.; VISCUSI, Profili, cit., 158 ss.; ID., Concessione, 678 ss.
[15] Cfr., BIBOLINI, op. cit., 45, sulla scorta di CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. Responsabilità civile e impresa bancaria, in AA. Vv., Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, a cura di Maccarone e Nigro, Milano, 1981, 275 ss.; sul punto si v. i rilievi critici di ANELLI, op. cit., 155, nt. 41; VISCUSI, Profili, 159 ss.; ID., Concessione, 679 ss.
[16] V. supra, nt. 27; cfr., inoltre, ANELLI, op. cit., 155; CASTIELLO D'ANTONIO, La responsabilità, cit., 216-217; LIACE, op. cit, 215 ss.; LO CASCIO, op. cit., 1182; TARANTINO, op. cit., 192-193; Cass., 9 ottobre 2002, n. 12368 (ord.), cit.; App. Milano, 11 maggio 2004; App. Bari, 2 luglio 2002, cit.; App. Bari, 17 giugno 2002, cit.; contra, VISCUSI, Profili, 169 ss.; ID., Concessione, 685 ss. Poco coerenti, sul punto, appaiono Trib. Foggia, 12 dicembre 2000, cit.; Trib. Foggia, 7 maggio 2002, cit., (peraltro condizionate dalla domanda introduttiva); tali pronunce, infatti, affermano la natura concorsuale dell'azione ma al tempo stesso escludono le banche dal novero dei beneficiari della stessa.
[17] Contra, VISCUSI, Concessione, cit., 654, nt. 10; ma v. anche CASTIELLO D'ANTONIO, Il rischio, cit., 250-251; DI MARZIO, Abuso e lesione, cit., 180-181; ID., Abuso nella concessione, cit., 207- 208; NIGRO, Note, cit., 297. Talora al comportamento del debitore è stata attribuita sotto altro profilo rilevanza decisiva, allo scopo di negare aprioristicamente ogni responsabilità della banca sin anche nei confronti dei terzi creditori, il cui pregiudizio ? si afferma ? sarebbe imputabile non già al finanziamento ma all'impiego che l'imprenditore ne abbia fatto: cfr., particolarmente, VASSEUR, in Aa. Vv., Funzione bancaria, cit., 253-254. L'opinione pare tuttavia frutto di una non condivisibile applicazione dei principi in tema di nesso causale, oltre che dell'omessa considerazione del fatto che il finanziamento abusivo è, in quanto tale, effettuato a favore di soggetto che già versa in stato di dissesto e la prosecuzione della cui attività non potrebbe, dunque, che sortire effetti sfavorevoli. A questo riguardo deve essere osservato che anche l'eventuale richiamo ai principi del nesso causale non potrà comportare l'esclusione della responsabilità della banca: se anche si dovesse ritenere che la banca ha erogato il credito in adesione alla richiesta dell'immeritevole sovvenuto, tale concessione di credito manterrebbe quel carattere ingiustificato rispetto ai criteri professionali e bancari che la banca era tenuta ad osservare con conseguente responsabilità per il pregiudizio arrecato.
[18] Ricordiamo le parole di GORLA "ogni fatto non è che una serie di eventi" in Sulla cosiddetta causalità giuridica "fatto dannoso e conseguenze", in Riv. dir. comm. 1951, cit., 410. Il Maestro pertanto osservava che il "fatto" è dunque sintesi o unificazione di eventi, compiuta nella nostra mente in vista di un interessa pratico, teorico o storico (il cosiddetto "fatto storico" è un caratteristico esempio di questo processo mentale nel campo della storiografia). E' questo interesse che ci anima nel momento della sintesi e la determina. Per una ricostruzione del nesso di casualità, da elemento della fattispecie del fatto illecito a criterio di limitazione del risarcimento del danno, v. da ultimo, CAPECCHI M., Il nesso di causalità, in Le monografie di contratto e impresa, Padova 2005.
[19] Cfr. FRANZONI, Fatti illeciti sub art. 2043, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 2004, 40; MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1998, 114.
[20] Cfr. MONATERI, cit., 142.






















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