Sanzioni Consob per l'attività in derivati: organizzazione procedure e controlli quali parametri della nuova diligenza professionale e profili di ammissibilità delle c.d. rimodulazioni
Pubblicato il 04/10/09 02:00 [Articolo 634]






*Commento a App. Milano 13 novembre 2008, in questa Rivista, I, 1451/2008.

1. La decisione della Corte d'Appello di Milano respinge l'opposizione promossa da Unicredit Banca Mobiliare contro provvedimenti sanzionatori della Consob. L'autorità di vigilanza, all'esito di una articolata ispezione, aveva accertato diverse violazioni dell'art 21 del TUF che, tra l'altro, dispone l'obbligo per l'intermediario di dotarsi di procedure interne idonee a consentirgli di effettuare in modo corretto, trasparente ed efficiente l'attività in derivati1.
Il tema è di rilevante importanza, considerato sia che l'attività in derivati ha costituito parte più che significativa dell'attività di questa e di altre banche, sia che proprio l'attività in derivati, o meglio il modo in cui essa è stata realizzata, è stata vista come una delle cause dei dissesti e della caduta di credibilità che ha caratterizzato questi ultimi anni del sistema economico e finanziario.
I profili affrontati nel decreto sono diversi ed investono, oltre all'aspetto di merito ora accennato, anche aspetti più propriamente procedimentali con i quali la banca ha inteso contestare le modalità dell'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'autorità di vigilanza.
Si tratta di aspetti invero già emersi in diversi altri procedimenti sanzionatori sempre della Consob nei confronti della stessa e di altre banche, relativi al collocamento presso il pubblico di bond argentini o delle obbligazioni Cirio, Parmalat, Giacomelli, ecc., per mancato assolvimento da parte della banca dell'obbligo di dotarsi di procedure interne, idonee a realizzare l'efficiente ed ordinata prestazione del servizio di negoziazione in conto proprio.
Anche in quelle circostanze furono sollevate nei procedimenti di opposizione, proposti dai diversi istituti bancari raggiunti dalla sanzione dell'autorità di vigilanza, critiche in ordine ai termini per la contestazione delle violazioni ed ai profili di legittimazione attiva a proporre opposizione da parte degli autori materiali delle violazioni contestate2.
Per entrambi i suddetti profili di carattere procedimentale, la decisione della Corte di Appello di Milano si pone in linea con le pronunce che hanno deciso i precedenti procedimenti di opposizione.
In primo luogo, viene ribadito che il dies a quo del termine perentorio di 90 giorni, di cui all'art. 14 secondo comma della legge 689/81 per la contestazione, non può decorrere dalla data di chiusura della verifica ispettiva operata dalla Consob, bensì deve decorrere tenendo conto dello "spatium deliberandi" necessario per la valutazione dei dati acquisiti e, dunque, a partire da un momento successivo alla valutazione, di solito piuttosto complessa per la quantità dei documenti e la difficoltà della ricostruzione dei processi di produzione e commercializzazione di derivati, dell'idoneità dei fatti accertati ad integrare gli estremi dei comportamenti sanzionabili.
In secondo luogo, viene oltremodo ribadita la carenza di legittimazione attiva in capo alle persone fisiche, indicate quali autori materiali delle violazioni, in quanto non dirette destinatarie del provvedimento sanzionatorio. Secondo l'orientamento consolidatosi, pur in presenza di una responsabilità di natura solidale, il soggetto legittimato a proporre opposizione è solamente il destinatario del provvedimento di ingiunzione della sanzione (nella fattispecie, la Banca) in quanto unico titolare dell'interesse giuridico alla rimozione del provvedimento, non essendo rilevanti a tal fine i rapporti tra i coobbligati.. Le persone fisiche indicate come autori materiali, infatti, delle violazioni potranno far valere le proprie ragioni solo nell'ambito dell'azione di regresso il cui esercizio spetta all'istituto di credito condannato, stante l'autonomia di quest'ultima azione rispetto alla responsabilità per la sanzione amministrativa.

2. Il punto centrale della opposizione, che ha dato luogo alla decisione in commento, investiva i profili più propriamente di merito delle violazioni contestate e quindi sanzionate dall'autorità di vigilanza.
Il procedimento sanzionatorio applicato dalla Consob traeva origine da iniziative ispettive che avevano avuto per oggetto la commercializzazione di prodotti derivati over the counter (OTC) nei confronti della clientela corporate, da parte del gruppo UNICREDITO.
In particolare, dall'ispezione dell'autorità di vigilanza è emerso che l'intera filiera produttiva di tali derivati si svolgeva all'interno dello stesso gruppo bancario e che in particolare, la cosiddetta fabbrica prodotti e la rete commerciale erano ripartite, la prima su Unicredit Banca Mobiliare e la seconda su Unicredit Banca d'Impresa. Nella sostanza, i derivati venivano creati all'interno di UBM e poi commercializzati attraverso UBI.
L'accertamento compiuto dalla Consob ha comportato la verifica della mancata osservanza di diversi obblighi di comportamento ed, in particolare, di quelli stabiliti all'articolo 21 del Testo Unico sulla Finanza ed all'articolo 56 del regolamento 11522/98 (regolamento intermediari).
La violazione comportamentale della banca riguardava, pertanto, il criterio che è sinteticamente riassumibile nel dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati, sia attraverso una adeguata organizzazione caratterizzata da risorse e procedure adeguate anche di controllo interno (osservare l'efficienza del servizio offerto alla clientela, articolo 21, e l'ordinata e corretta applicazione del medesimo servizio, art. 56 regolamento 11522), come pure attraverso procedure interne idonee a ricostruire le modalità, i tempi e le caratteristiche dei comportamenti posti in essere nella prestazione dei servizi ad assicurare una adeguata vigilanza interna sulle attività svolte dal personale addetto e dai promotori finanziari.
L'art. 21 del TUF stabilisce, infatti, i criteri generali cui l'intermediario deve attenersi nella prestazione dei servizi di investimento.
Essi comprendono l'obbligo di comportarsi secondo diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei clienti per l'integrità del mercato, l'obbligo di agire informati (acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati), dotarsi di una organizzazione tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interessi e, in situazione di conflitto, agire in modo di assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento, disporre di risorse e procedure anche di controllo interno idonee ad assicurare l'efficace svolgimento dei servizi e svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.

3. Nella ispezione svolta dalla Consob, e quindi poi nel successivo procedimento di opposizione davanti alla Corte d'Appello di Milano, sono particolarmente questi ultimi profili quelli che, nell'ambito delle violazioni degli obblighi di comportamento indicati, sono stati presi in considerazione, anche in relazione alle particolari caratteristiche del "prodotto" contrattuale derivato, che la banca offriva alla clientela.
La banca, come è noto, sulla base della disciplina richiamata, deve, infatti, dotarsi di un'organizzazione adeguata per consentire l'efficiente svolgimento del servizio e, pertanto, deve dotarsi di risorse e procedure interne che potranno essere considerate idonee solo se in grado di consentire l'adempimento degli obblighi comportamentali imposti dalla legge e dai regolamenti.
A questo riguardo, l'art. 56 del Regolamento intermediari n. 11522 precisa, come ha rilevato il decreto in commento, la natura dei prescritti doveri procedurali, sancendo che, oltre ad essere efficienti nell'interesse dell'intermediario, debbano essere anche improntati a criteri di trasparenza e ordinata sequenzialità nell'interesse dell'investitore e devono perciò essere confezionati in modo tale da consentire di ricostruire le modalità, i tempi e caratteristiche dei comportamenti posti in essere nella prestazione dei servizi di investimento.
La prestazione della banca risulta quindi, secondo la disciplina del TUF e la conseguente disciplina regolamentare scandita da una del tutto rinnovata dimensione dell'obbligo di diligenza, la cui portata sistematica, tanto nel tessuto connettivo della categoria, quanto nella valutazione della responsabilità del debitore, impone all'interprete di impegnarsi in una nuova
costruzione della millenaria categoria che regola la valutazione dell'adempimento.
Va rilevato che il dovere della diligenza dell'art. 1176 c.c., quale criterio per valutare la prestazione dell'intermediario, viene sicuramente confermato nelle stesse prime parole dell'art. 21, lettera a), che suonano in modo apparentemente consueto, comportarsi con diligenza, ma poi la sua specificazione secondo la natura dell'attività professionale, che è in generale prevista dall'articolo 1176 secondo comma, e naturalmente necessaria in presenza di una attività finanziaria così particolare, viene ad essere ulteriormente sviluppata attraverso i criteri di cui agli obblighi precedentemente indicati in modo sommario.
Queste nuove regole fanno emergere in modo chiaro che, nello svolgimento di determinate attività quali, nel nostro caso, l'attività della banca che offre alla clientela servizi di investimento, l'obbligo della diligenza del debitore, pur essendo sempre il criterio guida, che ancora oggi regola la valutazione dell'adempimento, deve accompagnarsi necessariamente con ulteriori e nuovi obblighi la cui mancata osservanza comporta di per sé l'inadempimento della prestazione dovuta.
Si tratta certamente di un punto di arrivo nella valutazione delle modalità attraverso le quali un debitore particolare, quale è la banca, che offre servizi di investimento, può adempiere alla sua obbligazione. La valutazione della diligenza, così come delineata dal codice civile, potrebbe infatti non essere sufficiente per il semplice motivo che il tipo di prestazione che viene realizzata ed è questo il caso della contrattazione in derivati, è strettamente dipendente, anzi è strettamente diretta espressione di un presupposto basilare e cioè che la banca nello svolgere tale attività possa operare secondo una organizzazione interna idonea per le procedure, per le misure di controllo interno, per gli strumenti di verifica nel tempo tanto dell'efficienza quanto degli eventuali conflitti di interesse, ad assicurare un efficiente ordinata e corretta prestazione del servizio di investimento.
La prestazione della banca si qualifica, quindi, non soltanto per il comportamento finale costituito dalla sua attività con il cliente, bensì si qualifica anche per il modo in cui all'interno dell'impresa banca è stato organizzato, predisposta e procedimentalizzata l'attività della banca con la clientela.
E' stato osservato che la violazione delle norme, che impongono l'adozione di procedure interne idonee ad assicurare l'efficiente ordinata e corretta prestazione del servizio di negoziazione in conto proprio, potrebbe essere ricondotta ai cosiddetti illeciti di pericolo, mentre la violazione delle norme che impongono all'intermediario l'adozione di un comportamento con il cliente deve essere ricondotta agli illeciti di danno.
In realtà dalla complessiva trama del nuovo sistema emerge che l'illecito dovuto al comportamento tenuto con il cliente, corrisponde in modo del tutto diretto alla violazione di quella disposizione relativa all'efficienza e alla correttezza della organizzazione dell'intermediario.
Un comportamento scorretto da parte dell'intermediario nei confronti del cliente discende infatti direttamente dalla inadeguatezza della sua organizzazione. Infatti l'effettiva osservanza delle disposizioni sull'organizzazione, sulla correttezza, sulla trasparenza e sui conflitti di interessi, impedisce di per sé la realizzazione di una prestazione inadeguata, scorretta nei confronti del cliente, considerato che in siffatti rapporti la prestazione finale è diretta conseguenza ed espressione del modo in cui tale prestazione è stata maturata, preparata e gestita in seno alla organizzazione complessiva della banca.
Ne consegue che l'attività di adempimento dell'obbligazione contrattuale, dovuta da parte della banca nel servizio di investimento, è strettamente collegata, in una sorta di circolarità, sia con l'adeguatezza della sua struttura organizzativa, sia con l'impostazione dei suoi presidi interni, volti a garantire la correttezza, la trasparenza e ad evitare conflitti di interesse.
Del resto la complessità dell'attività della banca e le modalità di svolgimento di una attività con la clientela tradizionalmente caratterizzata dalla enorme disparità tra le parti di informazioni, di organizzazione, di capacità tecniche, rende necessario presidiare e rafforzare l'antico criterio della diligenza con una serie di obblighi di natura sostanzialmente organizzativa, il cui adempimento (da parte della banca debitrice della prestazione erogata nel servizio di investimento) costituisce il presupposto per la diligente esecuzione della prestazione verso il cliente.
Ritengo che questo sia il punto d'arrivo o un punto di passaggio estremamente significativo della ormai millenaria costruzione dei criteri per valutare la diligenza dell'adempimento del debitore.
Va rilevato, infatti, che per la prestazione svolta dall'intermediario tanto con la clientela costituita da persone fisiche, tanto con la clientela aziendale, non può ritenersi sufficiente la previsione a carico dell'intermediario dell'obbligo di comportamento secondo diligenza, correttezza e trasparenza né è sufficiente specificare che il comportamento dell'intermediario deve svolgersi nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati, così come previsto nella lettera a) dell'art. 21 TUF.
L'assolvimento di questi peraltro rilevantissimi obblighi, infatti, non può ridursi secondo il tradizionale schema dell'adempimento dell'obbligazione, in quanto esso si risolve, nella sostanza, nel richiedere uno sforzo particolare al debitore secondo una sensibilità di valutazione affidata alla considerazione della cura dell'impegno che il singolo individuo di volta in volta destina all'adempimento delle obbligazioni.
La prestazione dell'intermediario nello svolgimento dei servizi, deve necessariamente essere valutata in primo luogo attraverso la possibilità di apprezzare in concreto la sua idoneità organizzativa - è il caso di dire di uomini e mezzi a poter svolgere l'attività e quindi ad eseguire la prestazione secondo i criteri di diligenza, correttezza, trasparenza e nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati enunciati all'art. 21, più volte citato.
L'assolvimento di questi obblighi nella esecuzione non dipende infatti solo dalla volontà e dal comportamento soggettivo dell'intermediario, ma anche e soprattutto dalle condizioni oggettive in cui l'intermediario svolge la sua prestazione, condizioni che sono determinate dalla consistenza della sua organizzazione e procedure interne (il livello delle risorse ad essa destinate) e dalla corrispondenza di tale organizzazione e procedure ai criteri ed agli interessi anzidetti (diligenza, correttezza, trasparenza, interessi privati e del mercato).
Di qui la necessità di procedere alla valutazione della diligenza attraverso una considerazione principalmente della effettiva capacità professionale dell'intermediario, valutazione che, quindi, dovrà essere scandita dalla verifica della esistenza, efficienza ed idoneità della organizzazione, delle procedure e dei controlli interni a offrire e gestire il servizio nell'effettivo interesse dei clienti e del mercato.

4. Una siffatta valutazione, che appunto investe il modo in cui il professionista banca assolve ai propri compiti, non può che avvenire attraverso una verifica delle modalità di organizzazione interna.
Una banca che non possiede una organizzazione adeguata perché manca degli strumenti di adeguatezza, finalizzati a realizzare ed a rendere possibile che la prestazione si svolga secondo correttezza, trasparenza e assenza di conflitti di interesse, offre anche una prestazione inadeguata al cliente, e, quindi, non adempie correttamente alla propria obbligazione.
A questo si aggiunge l'ulteriore criterio già accennato ed individuato nelle prime parole dell'art. 21, lettera a), secondo cui l'attività della banca deve svolgersi in modo corretto ed adeguato non soltanto nell'interesse del cliente ma anche per l'integrità dei mercati.
Quest'ultima espressione integrità dei mercati comprende pertanto l'interesse più generale dell'intera clientela, come pure dell'intero sistema bancario finanziario acchè questa attività di investimento si svolga senza traumi e pregiudizi che possano intaccare la sua stessa stabilità ed affidabilità, in quanto questo comporterebbe la lesione della integrità dei mercati.
Ne discende, pertanto, il carattere di grande rilevanza dell'attività di accertamento ispettivo svolto dall'autorità di vigilanza nella verifica degli assetti organizzativi e della loro adeguatezza. Questa verifica è volta, infatti, non soltanto ad assicurare efficiente stabilità nell'intero mercato, ma gli stessi esiti delle verifiche svolte e le valutazioni sul livello e l'adeguatezza organizzativa degli intermediari costituiscono il punto di partenza per la valutazione dell'avvenuto adempimento integrale, parziale, difforme o pregiudizievole della prestazione nei confronti del cliente.

5. Lo stretto collegamento tra le disposizioni che impongono doveri organizzativi, procedurali e di controllo interno alla banca e lo svolgimento dell'attività con la clientela emerge con immediata evidenza nella decisione in commento.
La Corte milanese respinge in primo luogo i motivi di censura sollevati dalla banca opponente, in quanto questa riteneva di rimproverare carenza dei requisiti di tassatività e precettività delle disposizioni di cui all'art. 21, primo comma lettera d), e dell'art. 56 del Regolamento intermediari.
A tale riguardo la Corte rileva che l'art. 21, lettera d) prevede in generale il dovere della banca di dotarsi di risorse e di procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi, come pure l'articolo 56 del Regolamento intermediari integra tale principio, precisando la natura dei prescritti doveri procedurali, stabilendo che siffatte procedure debbono essere improntate a criteri di trasparenza e ordinata sequenzialità nell'interesse dell'investitore. Attraverso questi criteri, afferma la Corte d'Appello di Milano, l'intermediario è in grado di ricostruire le modalità, i tempi e le caratteristiche dei comportamenti che egli deve seguire nella prestazione di servizi.
Ne consegue che da un siffatto sistema normativo (basato sull'art. 21 del TUF e sull'art. 56 del Regolamento intermediari), emerge un sistema di disciplina comportamentale che risulta effettivamente dotato di sufficiente determinatezza, per indicare quali possono essere gli strumenti più adeguati per realizzare, conformemente ai criteri dettati dal legislatore, l'applicazione di questi servizi di investimento. In particolare, il provvedimento della Corte d'Appello di Milano, nel respingere la censura avanzata dalla Banca di carenza dei requisiti di tassatività e precettività delle disposizioni contenuta negli artt. 21 TUF e 56 Regolamento intermediari, pone in luce un elemento importante e certamente gravido di notevole significato per l'interpretazione e la applicazione di principi comportamentali e organizzativi, quali quelli dettati dalla recente legislazione in materia finanziaria.
La Corte, infatti, rileva che dal tessuto normativo delle due menzionate disposizioni, emerge un sistema dotato di sufficiente determinatezza. Si tratta di criteri e di indicazioni rivolte ad operatori, quali le banche, più che qualificati professionalmente e soprattutto dotati delle competenze tecniche necessarie per comprendere, valutare e programmare quali possano essere le modalità procedurali e organizzative più appropriate per raggiungere con la propria condotta l'obiettivo di prestare, nell'interesse dei risparmiatori e del mercato, un servizio conforme agli obiettivi, ai criteri e ai principi stabiliti dall'art. 21 del TUF.
Respinta quindi l'eccezione di carenza di requisiti di tassatività e precettività delle disposizioni in parola, la Corte passa ad esaminare le concrete violazioni riscontrate dall'autorità di vigilanza. Tali violazioni, secondo la Corte d'Appello, si sono manifestate in un comportamento della banca, che ha effettuato il servizio di offerta alla clientela dei contratti derivati senza avere provveduto a creare al suo interno quelle procedure ed organizzazione necessarie per la creazione e per l'offerta di un siffatto servizio. La banca quindi, secondo la Corte d'appello, ha mancato nel non aver adottato procedure con le quali fosse possibile formare i contratti derivati offerti alla clientela, definiti nel jargon del linguaggio finanziario "prodotti derivati" OTC, le cui caratteristiche fossero poi effettivamente idonee a coprire i rischi degli operatori cui erano destinati.
I risultati dell'ispezione Consob, che sono stati alla base del procedimento sanzionatorio ai sensi degli artt. 190 e 195 del TUF, hanno infatti messo in luce che il cosiddetto processo di "ingegnerizzazione" dei prodotti da parte della banca non è risultato adeguatamente presidiato per poter garantire che le caratteristiche dei prodotti derivati creati e negoziati con la clientela della UBI, fossero effettivamente consoni alle esigenze della clientela. L'ispezione della Consob ha posto infatti in luce che tali contratti si caratterizzavano per la elevata sofisticazione, caratterizzata dalla presenza di opzioni incorporate ed effetti leva, che determinavano a carico del cliente prestazioni pecuniarie, il cui sorgere, il cui ammontare, la cui prevedibilità risultavano tutt'altro che lineari (determinavano profili di pay off non lineari). Nell'ispezione veniva rilevato, inoltre, che il complesso meccanismo di questi contratti era costruito in modo tale da portare a risultati differenziati tra il primo anno dalla stipula del contratto ed i successivi e questo al fine di rinviare nel tempo gli esborsi, vale a dire, le prestazioni pecuniarie a carico della clientela. Nel loro complesso si trattava, secondo l'ispezione, di operazioni che erano volte spesso a privilegiare profili di cash flow, piuttosto che gli aspetti economici propri dell'operazione.
Nello stesso tempo, la valutazione anche dell'altra autorità di vigilanza, la Banca d'Italia, aveva fatto emergere che i contratti su tassi presentano caratteristiche finanziarie poco idonee a coprire eventuali posizioni dei clienti ovvero a stabilizzare nei flussi finanziari. La Banca d'Italia aveva inoltre accertato che i contratti derivati proposti e collocati presso la clientela si caratterizzavano per il fatto di non assolvere in realtà alla loro funzione di copertura e di non svolgere quindi un'effettiva funzione utile per il cliente, la Banca d'Italia, in particolare, rilevava che risultava netta... la caratterizzazione non di copertura dei numerosi prodotti [definiti] relative value (es. famiglia spread CMS) o di quelli incorporanti effetto leva.
Il risultato di un siffatto comportamento della banca, è stato, dunque, quello di confezionare prodotti derivati che erano finalizzati a realizzare le esigenze di gestione della tesoreria della UBM e non certo le specifiche esigenze e richieste della clientela. Tali esempi emergono dalla ispezione della Consob in relazione al prodotto derivato denominato Sunrise, che veniva commercializzato dalla banca e offerto alla clientela pur non corrispondendo agli interessi e alle esigenze di quest'ultima.
L'ispezione della Consob ha infatti accertato la contraddizione tra le dichiarazioni della banca e del gruppo bancario, che affermava di voler offrire alla clientela non finanziaria (vale a dire la clientela corporate o aziendale) prodotti derivati per realizzare la copertura dei rischi della clientela, e l'effettivo risultato (nella quasi totalità dei casi negativo) che tali operazioni in derivati venivano a produrre nel patrimonio della clientela stessa.
La ragione di una siffatta divaricazione, secondo l'ispezione della Consob, risiede nel fatto che la banca non ha creato idonei presidi procedurali che le consentissero di collegare la formazione e la creazione dei contratti derivati secondo una omogeneità di interesse e di funzioni con le esigenze della clientela e con gli obiettivi concretamente operativi di questa.
È risultato, quindi, che i prodotti derivati commercializzati alla clientela fossero tutt'altro che utili a coprire i rischi finanziari e di interesse industriale e risultassero ancor più inadatti alle piccole e medie imprese che sono caratterizzate da strutture finanziarie particolarmente semplici e assolutamente non in grado di valutare la portata, gli oneri ed i rischi di tali contratti.
È pertanto emerso che la procedura di controllo preventivo predisposta dalla banca nell'attività di collocamento e di gestione dei contratti derivati (procedure che prevedono i cosiddetti semafori), fosse diretta piuttosto alla gestione del rischio assunto dalla banca o dal gruppo bancario, mentre non prevedeva nulla per la verifica della coerenza dell'operazione contrattuale proposta e gestita dalla banca con le esigenze manifestate dal cliente, esigenze che comunque la banca doveva conoscere e interpretare.
La conclusione di questi accertamenti è stata, dunque, nel senso della inidoneità delle operazioni su derivati proposte dalla banca a realizzare le effettive esigenze della clientela.

6. Tale inidoneità e inadeguatezza è emersa non soltanto nella proposizione dei contratti ma anche, successivamente alla stipulazione dei contratti, in quella che l'ispezione Consob ha definito una massiccia attività di rimodulazione delle posizioni contrattuali in essere, svolta dalla banca in modo sistematico e continuativo.
Va osservato che questo termine rimodulazione tende a fornire un'immagine non corrispondente alla realtà, in quanto evoca una nuova negoziabilità concordata attraverso la quale le parti contrattano e dispongono per il futuro, in ordine ad un rapporto contrattuale in corso ed al quale intendono dare uno sviluppo diverso rispetto al passato.
La realtà effettiva è assai diversa ed è caratterizzata dal comportamento della banca che presenta al cliente una vera e propria continuazione dell'operazione in corso modificando e aggiornando alcune o tutte le componenti del contratto. Secondo le dichiarazioni della banca, tale rimodulazione è posta al fine di rendere l'operazione già iniziata più aderente agli interessi dei clienti ed anche alle mutate condizioni del mercato.
Essa appare pertanto al cliente una continuazione della precedente operazione, aggiornata dalla banca, la quale unilateralmente ha apportato la modifica delle condizioni e dei parametri di riferimento.
Va considerato che il contratto precedente alla c.d. rimodulazione (che solitamente è il primo contratto) è ormai un contratto chiuso, o perché venuto a scadenza o , nella maggior parte dei casi, perché è stato anticipatamente estinto su iniziativa del tutto unilaterale della banca, che ha presentato al cliente la necessità e operare una rinegoziazione, che sostituisca l'operazione precedente, la quale, essendo ancora in corso, deve pertanto essere estinta anticipatamente.
La chiusura della operazione precedente, in ogni caso, comporta nella maggioranza dei casi una severa perdita a carico del cliente. La banca, tuttavia, piuttosto che rendere evidente questo risultato negativo nel patrimonio del cliente addebitandone il conto corrente, tende ad indurre il cliente alla apparente continuazione del contratto ed, in realtà, alla conclusione di un altro e del tutto nuovo contratto, che, per sua natura, parte da condizioni del tutto svantaggiose per il cliente, essendo caricato della perdita precedente.
Avviene, quindi, che la chiusura della prima operazione su derivati è caratterizzata da un peculiare comportamento della banca. Essa, infatti, omette di esigere dal cliente la somma di danaro dovuta, vale a dire la prestazione pecuniaria che costituisce il risultato negativo dell'intera operazione su derivati già svolta. Le ragioni di tale comportamento risiedono nel fatto che, se la banca avanzasse immediatamente al cliente la richiesta di pagamento della prestazione maturata per effetto del contratto derivato, il cliente avrebbe piena contezza dell'effettivo risultato negativo e dell'inaspettata onerosità dell'intera operazione, e, conseguentemente, questi sarebbe messo nella condizione di valutare il carattere effettivamente pregiudizievole delle operazioni in derivati cui la banca l'ha condotto e sarebbe quindi indotto a decisioni conflittuali quali l'interruzione dei rapporti, l'instaurazione di un contenzioso ecc., decisioni tutte che comunque comporterebbero per la banca il venir meno della possibilità di continuare a collocare prodotti derivati al cliente, con conseguente perdita di rilevanti fonti reddituali sulle quali la banca, in vista del raggiungimento di sempre più esasperati obiettivi di fatturato, ha difficoltà a rinunciare.
La banca, quindi, non ha in realtà alcun interesse ad interrompere la catena dei contratti derivati. Infatti anche sulla base di quanto emerso dalle indagini svolte dalla Consob, la banca ha interesse a continuare a collocare ulteriori contratti derivati, anche al fine di trarre vantaggio dalle rilevanti commissioni da essa applicate e che, tra l'altro, restano occulte e non appaiono nella loro onerosità al cliente.
Il risultato è, dunque, che la banca, da un lato non esige la prestazione dal cliente e contemporaneamente lo induce a continuare, a condizioni addirittura più sfavorevoli, l'operatività in strumenti finanziari derivati.

7. Le operazioni di c.d. rimodulazione operate dalla banca presentano, pertanto, profili assai problematici. Il contratto (o i contratti) che la banca fa sottoscrivere al cliente attraverso le diverse operazioni di rimodulazione sono contrassegnati dal fatto che essi, piuttosto che essere volti a riequilibrare tassi di interesse o di cambio, secondo le esigenze del cliente, risultano conseguire valori differenziali positivi nei cambi o nei tassi, al fine di coprire un debito già verificatosi in capo al cliente e pari alla perdita scaturita dall'operazione precedente.
La banca, infatti, come detto, al momento dell'estinzione (peraltro prevalentemente anticipata rispetto alla scadenza prevista) del precedente contratto, non esige dal cliente la prestazione pecuniaria dovuta in seguito alla perdita generata dall'operazione, ma, al contrario, accredita al cliente una somma di pari importo a titolo di up­front, che ha la funzione di pareggiare la perdita addebitata e, contemporaneamente, fa stipulare al cliente un nuovo contratto che, si dice, incorpora la perdita precedente.
Questo significa che il secondo contratto (e poi i successivi) nasce già contrassegnato da una posizione debitoria del cliente verso la banca. Inoltre significa che tale secondo contratto, il cui obiettivo primario è quello di recuperare la perdita già verificatasi con il primo, deve necessariamente comportare una "scommessa" più rischiosa, in quanto strutturato in maniera già in partenza squilibrata.
La tecnica che viene a tal fine utilizzata consiste nel modificare profondamente l'equilibrio del contratto. Mentre infatti il primo contratto prevedeva che i parametri contrattuali fossero omogenei con le variabili di mercato di quel momento, in maniera tale che il valore attuale atteso dei flussi dall'azienda alla banca e viceversa fosse identico, con la c.d. rinegoziazione la banca costruisce un contratto ("ingegnerizza", per usare le parole della ispezione della CONSOB, riprese dal provvedimento in commento), con un contenuto e condizioni diverse anche nell'equilibrio delle previsioni a carico delle parti. La perdita verificatasi con il primo contratto viene infatti caricata su uno dei due lati dello swap (lato azienda cliente), agendo quindi su una o più variabili, così da far pendere la "bilancia" dei flussi attesi da una parte, in modo tale da compensare la perdita. Nella sostanza il contratto c.d. rinegoziato è un contratto più oneroso e soprattutto contrassegnato da una onerosità dalle caratteristiche nuove e impensate per il cliente. Essa non consiste infatti in un prezzo o corrispettivo più alto, aspetto questo che sarebbe facilmente percepibile dal cliente, ma consiste, piuttosto, in elementi che sfuggono totalmente alla percezione del cliente, in quanto consistono nel diverso dimensionamento delle variabili, sulle quali sono costruiti i possibili risultati posti a carico del cliente ed a vantaggio della banca, ad esempio la durata con allungamento delle scadenze, l'aumentare del c.d. nozionale, i livelli di tasso, l'introduzione di eventuali effetti di leva, e soprattutto le diverse complesse condizioni che legano i risultati ad eventi economico finanziari, condizioni che nella pressoché totalità dei casi risultano di impossibile o assai incerta realizzazione a favore del cliente.
L'operazione di rinegoziazione si svolge e si può svolgere solo in quanto la banca effettua la copertura della posizione debitoria originata dal precedente contratto, al solo ed unico fine di consentire al cliente di divenire di nuovo parte di altre operazioni di swap.
La continuazione dell'operazione su derivati avviene attraverso l'accredito di una somma pari all'importo registrato a perdita precedente.
Il rapporto che scaturisce da tale operazione ha dei caratteri del tutto ibridi e suscettibili di essere poco controllati e definiti, sia sotto il profilo della causa di finanziamento, che della causa del contratto derivato.
Il finanziamento è esclusivamente finalizzato ed è anzi, suscettibile di essere utilizzato, solo attraverso la nuova operazione su derivati. Si tratta infatti di un finanziamento che non trova la sua causa in una operazione di credito - altrimenti la somma dovrebbe essere liberamente disponibile da parte del cliente -, ma trova la sua unica giustificazione nella continuazione delle operazioni su derivati. E' opportuno quindi soffermarsi sui tratti assai particolari di questo finanziamento. Esso si giustifica in quanto volto a rendere il cliente idoneo a continuare ad obbligarsi in derivati.
Un finanziamento che non serve al cliente per gestire meglio il suo patrimonio in vista di una più idonea allocazione delle risorse, ma che serve solo a far sì che questi possa continuare in quella operatività su derivati, di cui ha peraltro già registrato la negatività.
Un finanziamento, in conclusione, che ha la funzione, una volta che il cliente ha registrato una perdita, di mantenere il cliente obbligato a continuare nella stessa attività in derivati, al solo assai improbabile scopo di riassorbire la precedente perdita.
Un finanziamento che non serve, quindi, a finanziare ma serve piuttosto alla banca a rendere il cliente idoneo all'assunzione di nuove obbligazioni su derivati, con il risultato di stringere il cliente stesso in una dipendenza contrattuale sempre più intensa e soffocante. I nuovi contratti rinegoziati danno luogo al sorgere di sempre più pesanti prestazioni pecuniarie dovute dal cliente.
La situazione nella quale si trova il cliente in conseguenza di questi effetti della rinegoziazione è quindi contrassegnata da presenti ed assorbenti oneri pecuniari, che essendo suscettibili di condurre ad un aumento geometrico della onerosità conducono ad una corrispondente incertezza le possibili scelte del cliente, che si trova a dover scegliere tra la liquidazione dei rapporti in corso con rovinosi oneri da saldare immediatamente, oppure il subire in un momento successivo oneri ancora più esiziali per l'impresa. E' evidente che il cliente si trova proiettato improvvisamente e senza averlo mai effettivamente voluto in un campo di azione, di scelte e di ragionamento che è del tutto estraneo alla sua posizione soggettiva, alla sua esperienza, attività e interesse a stare nel mercato.

8. La espressione rimodulazione o rinegoziazione lascerebbe pensare ad una attività di revisione, modifica e miglioramento dei contratti derivati posta in essere per iniziativa di entrambe le parti, come del resto solitamente avviene allorquando, di fronte a determinate problematiche che sono in sorte nell'esecuzione del contratto, le stesse parti preferiscono raggiungere un accordo, generalmente di natura novativa, con il quale consensualmente, attraverso consapevoli trattative trovano e stabiliscono un nuovo equilibrio contrattuale anche in vista di rinnovate esigenze bilateralmente condivise.
In realtà, l'attività di rinegoziazione delle operazioni su derivati è caratterizzata da una forte ed assorbente iniziativa della banca, che sollecita il cliente il più delle volte prima ancora della scadenza del primo contratto (e spesso a pochi mesi dalla conclusione del primo contratto), per indurlo alla estinzione anticipata di tale contratto ancora non scaduto ed in corso anche da poco tempo ed alla sua "sostituzione" con un nuovo contratto derivato il cui contenuto viene totalmente determinato dalla banca stessa.
Va osservato che siffatta iniziativa di cosiddetta rimodulazione che viene sistematicamente intrapresa può trovare la docile adesione da parte del cliente proprio ed in quanto l'intera operazione è totalmente creata nel suo contenuto, come pure proposta, da parte della banca.
Il cliente si trova nella posizione dell'aderente ad un contratto di cui, nella sostanza, non può conoscere il contenuto. Il cliente accoglie la proposta della banca di firmare il contratto, ritenendo, sulla base delle dichiarazioni della stessa banca, che sarà quest'ultima a realizzare il suo interesse al controllo dei rischi. In sostanza il cliente ritiene che la banca si è assunta il compito di fornire tutti gli strumenti tecnici per la più opportuna copertura dei rischi offerti dai contratti derivati, di cui essa è esperta, sia nella ingegnerizzazione, che nella fornitura alla clientela.
Ne consegue che, nel momento in cui la banca, anche a pochi mesi dalla stipulazione del primo contratto, consiglia al cliente di rinegoziare la sua posizione contrattuale, il cliente interpreta tale iniziativa come la perfetta sapiente e responsabile esecuzione da parte della banca di una sua prestazione contrattuale volta ad assicurare l'adeguamento nel tempo del migliore strumento di copertura dei rischi.
Il cliente della banca si trova pertanto in una posizione, se è consentita una metafora, ancora più difficile rispetto a quella del paziente che segue i consigli della struttura sanitaria specializzata e che al fine di tutelare la propria salute, acconsente alla prima e poi alle ulteriori e diverse terapie, sulla base di una sua modesta conoscenza e comprensione delle diverse caratteristiche delle terapie stesse. Nel caso di prodotti finanziari complessi come i derivati, infatti, il cliente non può che basarsi sulla fiducia in cognizioni tecniche delle quali egli per definizione non è in possesso ma che al contrario, crede, anzi dà addirittura per scontato, siano patrimonio di conoscenza professionale della banca.
Il cliente della banca, a dire il vero, si trova in una situazione in cui è ancor più difficile avere precisa e determinata contezza degli esiti effettivi dell'operazione in derivati che è in corso. Il paziente, infatti, può constatare direttamente e solitamente con immediatezza il miglioramento o il peggioramento del suo stato di salute. Al contrario il cliente che, sulla base della sollecitazione della banca ha concluso un contratto in derivati, avverte il significato e la portata dell'esito dell'operazione solo se viene reso edotto dalla banca stessa.
In particolare, mentre in qualsiasi rapporto bancario è universalmente noto che la banca, nelle varie fasi di attuazione del rapporto, rende immediatamente esigibili le eventuali prestazioni pecuniarie dovute dal cliente per effetto delle operazioni svolte, richiedendo il pagamento della somma stessa, nel caso dei contratti derivati, la banca non richiede l'immediato pagamento delle somme di cui il cliente può essere divenuto debitore per effetto del primo contratto, ma piuttosto si limita a
neutralizzare l'addebito con un accredito di pari importo al solo fine di non far apparire la "sofferenza" del conto corrente. Ma l'accredito non comporta di certo una cancellazione della debenza del cliente. Questa risorge infatti inaspettata e certamente in modo tutt'altro che trasparente, quale up-front nella struttura del derivato rimodulato, che per questo parte necessariamente squilibrato a sfavore del cliente.
La iniziativa di rinegoziazione, avanzata dalla banca prima della stessa scadenza del contratto o immediatamente alla scadenza, non viene neanche presentata al cliente come un'iniziativa volta a regolare le modalità di restituzione alla banca di una somma di danaro maturata a favore di quest'ultima, e cioè come un'operazione analoga a quella anche frequente in cui il mutuatario o il cliente titolare di un'apertura di credito "incagliata" decide di rinegoziare la restituzione della somma attraverso l'accordo dilatorio o altre forme che consentano più opportune modalità di restituzione.
La banca presenta piuttosto le iniziative di rinegoziazione sostanzialmente come se esse fossero una fase del tutto funzionale e consueta nell'ambito di un rapporto in contratti derivati mentre, al contrario, una rinegoziazione nei contratti di credito costituisce pur sempre un momento eccezionale e a volte traumatico dello stesso rapporto.
Va poi ulteriormente rilevato che, a ben vedere, i contratti rimodulati sulla base dell'accredito di up-front da parte della banca, non esprimono neanche la natura di contratto derivato, in quanto la causa di finanziamento è in essi prevalente, considerato che l'intero contratto è volto alla restituzione alla banca del finanziamento3.
In concreto poi, le forme della restituzione sono affidate ad un meccanismo di formazione delle obbligazioni restitutorie che presenta una onerosità ed un'alea (che nei suoi effetti può definirsi unilaterale) incompatibile con qualsiasi contratto di finanziamento, in quanto la causa restitutoria è assorbita dal fatto che la provvista, erogata dalla banca con l'up-front, diviene la posta di una operazione speculativo-aleatoria volta a scommettere sulla remota possibilità per il cliente che al verificarsi di una serie particolarmente complessa di eventi e di variabili tale somma non debba essere restituita in modo tale da assorbire indirettamente la perdita precedente.
Il contratto rinegoziato appare pertanto un ibrido contrattuale che, visto dal lato del cliente, poggia su piedi d'argilla.
Bisogna domandarsi, infatti, se una simile causa contrattuale, proprio per questi caratteri così contraddittori, incerti ed ibridi sia effettivamente suscettibile di trovare tutela. Questo perché il meccanismo del finanziamento contrasta con qualsiasi corretta esigenza e funzione del finanziamento bancario. E' evidente non solo l'anomalia di un finanziamento che viene erogato dalla banca sotto forma di up-front in una fase, quale quella contrassegnata dalla perdita della prima operazione su derivati, in cui la situazione patrimoniale dell'impresa sovvenuta è tutt'altro che meritevole di finanziamento bancario; ma è altrettanto evidente l'ulteriore ancora più grave anomalia del fatto che la prestazione restitutoria del finanziamento viene in modo assorbente trasformata in una prestazione del tutto asservita agli esiti dell'operazione su derivati, la quale perde anch'essa ogni funzione di razionalizzare dei rischi sui cambi o sui tassi del cliente, per essere finalizzata alla sola assai incerta ed improponibile copertura del finanziamento erogato con l'attribuzione esclusivamente up­front.
Il rapporto contrattuale che emerge dalla rinegoziazione è contrassegnato da un carattere ibrido che sembra poggiare su incerte ed ambigue basi. Da un lato la funzione di finanziamento, la cui prestazione caratteristica è però in modo del tutto anomalo sterilizzata per il semplice fatto che il cliente non può comunque liberarsi attraverso la prestazione del tantundem, e dall'altro, la funzione di operazione su derivati, la quale però piuttosto che essere volta a svolgere la copertura di rischi futuri, è rigidamente asservita ad indirizzare gli eventuali flussi positivi che dovessero derivare al cliente, solo ed unicamente alla (improbabile) copertura del debito di finanziamento del cliente, snaturando, pertanto, la funzione dell'intera operazione su derivati.
A questo riguardo potrebbero emergere rilevanti profili di invalidità dell'operazione sotto il profilo della meritevolezza del contratto atipico, in modo analogo a come sono sorte quelle operazioni di investimento denominate My Way e For You4.
Invero, come la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di rilevare in relazione a fattispecie atipiche che, sia pure con caratteri del tutto diversi, potrebbero presentare sul piano dell'ambiguità della causa profili di analogia (si trattava dei contratti My Way e For You proposti da alcune banche alla propria clientela), "l'ordinamento giuridico non può ammettere la validità di contratti atipici... che, lungi dal prevedere semplici modalità di differenziazione dei diversi profili di rischio, trasferisca piuttosto a carico di una sola parte tutta l'alea derivante dal contratto, attribuendo invece alla controparte profili certi quanto alla redditività futura del proprio investimento"5.
Nella esperienza pratica, come è stato del resto riscontrato dalla stessa ispezione della Consob, le c.d. rimodulazioni, attuate attraverso il descritto meccanismo di erogazione di finanziamenti esclusivamente finalizzati alla prosecuzione dell'operatività in strumenti finanziari derivati, sono avvenute prima della scadenza naturale, attraverso estinzione anticipata, effettuata dalla banca anche dopo pochi mesi dall'inizio della prima operazione e dunque in maniera che appare ingiustificata e del tutto contraddittoria rispetto alla stessa operazione.
Non si comprende infatti il motivo per cui un intermediario, dopo aver creato e proposto attraverso una organizzazione volta alle "ingegnerizzazione" dei contratti una cospicua messe di contratti derivati, possa poi coltivare la prassi di rimodulare a pochi mesi dalla loro sottoscrizione gli stessi contratti, adducendo ragioni che secondo l'intermediario sarebbero esclusivamente legate alle mutate esigenze di mercato, e che, nella sostanza, consistono nell'andamento dei tassi o dei cambi che però gli stessi contratti avrebbero dovuto razionalizzare e controllare.
La motivazione di questo comportamento, in realtà, è stata chiaramente messa in luce dalla Consob nel corso dell'istruttoria che ha dato luogo ai provvedimenti sanzionatori. E' emerso che il meccanismo delle rimodulazioni risultava assai profittevole per la banca poi sanzionata, la quale ogni volta che i singoli clienti procedevano su sua istruzione ad una rimodulazione, applicava all'operazione commissioni o ricarichi che restavano del tutto ignoti al cliente.
Invero queste commissioni occulte vengono caricate sulle nuove strutture contrattuali e pagate dalla clientela attraverso un corrispondete aumento e lievitazione della prestazione pecuniaria generata dal derivato proprio da questo meccanismo.
La Consob nei propri provvedimenti sanzionatori, confermati dalla Corte d'Appello di Venezia e ora da quella di Milano, ha messo in luce questo comportamento così evidenziato dal provvedimento in commento:"nonostante la dichiarata politica di gruppo contemplasse la vendita di prodotti derivati atti ad assicurare la copertura di rischi finanziari (soprattutto di piccole e medie imprese), la procedura di controllo (c. d. semaforo) predisposta (attraverso l'uso di particolari codici) era in sostanza finalizzata alla gestione del rischio di insolvibilità del cliente, assumendo perciò una valenza meramente speculativa: a fronte di un costo certo, il cliente si esponeva a nuovi rischi, sicché solo condizioni di mercato particolarmente favorevoli avrebbero consentito di ammortizzare i ricarichi applicati dalla banca".

9. L'esame dell'opposizione alla sanzione irrogata dalla Consob, ha offerto l'occasione alla Corte milanese di esaminare gli accertamenti svolti dalla stessa Consob sul comportamento della banca nella creazione e collocamento dei contratti derivati e di valutarne quindi le conseguenti violazioni alle regole del TUF e dei connessi regolamenti.
L'analisi ed i rilievi che emergono dalla decisione forniscono importanti elementi per una più esatta comprensione dell'effettiva portata della contrattazione realizzata attraverso l'offerta dei servizi di investimento ed, in particolare, attraverso l'offerta di prodotti derivati alla clientela aziendale o cosiddetta clientela corporate.
L'esperienza dell'esame dottrinale e giurisprudenziale del collocamento di questi diversi contratti, principalmente per effetto del rilevante contenzioso che si è sviluppato (prima in relazione alle vicende del collocamento di una pluralità di bond emessi da società insolventi attraverso veicoli esteri assolutamente privi di qualsiasi capitalizzazione, poi attraverso il collocamento di contratti derivati), ha evidenziato l'insufficienza delle consuete categorie codicistiche a regolare e poi fornire adeguati strumenti di valutazione del comportamento e del modo in cui la banca adempie alla obbligazione dovuta verso il cliente.
Costituisce un fatto di comune esperienza che nel delineare i tratti caratterizzanti la responsabilità dell'intermediario nello svolgimento dei servizi di investimento venga, dalla dottrina, nella motivazione delle sentenze, e nella stessa narrativa degli atti giudiziari, fatto riferimento alle diverse regole introdotte sin dalla legge 1/91 e poi ulteriormente elaborate e specificate dalla legge Eurosim e poi nel TUF, sulla attività dell'intermediario nello svolgimento dei servizi.
Nello stesso tempo, va osservato che, anche a causa della obiettiva novità di siffatte fattispecie di responsabilità e risarcitorie, nel momento in cui viene effettuata la valutazione del comportamento tenuto dall'intermediario nella prestazione dei servizi di investimento, la applicazione dei criteri della diligenza e della correttezza, ai quali viene fatto necessariamente ricorso, trova sicuramente difficoltà ad essere agevolmente collegata agli altri, ulteriori e nuovi criteri sinteticamente riassumibili nei doveri di organizzazione, di investimento di risorse e di controllo interno.
Infatti se pure questi ultimi sono ben conosciuti da tutti coloro che hanno in questi anni maturato una dimestichezza professionale (dottrinale, giudiziaria, ecc.) con questi temi, l'applicazione di siffatti criteri, in relazione alla specifica prestazione dell'intermediario, non appare così agevole e diretta.
La decisione in commento entra direttamente nella considerazione dell'osservanza di questi ulteriori doveri e fa emergere importanti elementi che caratterizzano la prestazione richiesta all'intermediario per lo svolgimento della attività di investimento. Dal decreto emerge infatti che la valutazione dell'avvenuto rispetto della diligenza e correttezza deve essere necessariamente compiuta attraverso la verifica dell'osservanza degli altri doveri. La motivazione è assai chiara e lucida al riguardo. L'intermediario offriva alla clientela aziendale (corporate), prodotti derivati over the counter (OTC) finalizzati, secondo le dichiarazioni della banca, a fornire alle aziende strumenti atti ad assicurare la copertura dei rischi finanziari, ma nello stesso tempo, secondo quanto rilevato dalla decisione in commento e dalla ispezione della Consob, la organizzazione di uomini e mezzi della banca era tale da contraddire ed impedire l'erogazione di una siffatta prestazione.
Mancavano nell'organizzazione interna dell'intermediario procedure volte a formare contratti derivati effettivamente idonei a coprire i rischi delle aziende cui erano destinate. Tale carenza organizzativa riguardava la cosiddetta ingegnerizzazione del contratto, sia in riferimento ad una giustificata formazione delle condizioni da applicare alla clientela, sia in quanto rispetto ai prezzi ed oneri posti a carico del cliente mancavano criteri suscettibili di fornire ex ante una ricostruzione coerente (c. d. meccanismo di pricing). Le procedure di controllo esistenti erano volte piuttosto alla sola gestione del rischio di insolvibilità del cliente in un'ottica esclusivamente speculativa con la conseguenza che il cliente a fronte di un costo certo si esponeva a nuovi rischi, sicché solo condizioni di mercato particolarmente favorevoli avrebbero consentito di ammortizzare i ricarichi applicati dalla banca.
Il difetto di una struttura organizzativa idonea a creare i contratti ed a gestirne complessivamente la successiva utilizzazione da parte della clientela, in quanto per definizione tali rapporti non sono suscettibili di essere autonomamente gestiti, ha comportato, osserva la decisione in commento, l'impossibilità per gli organi della banca di ricostruire e controllare le condizioni contrattuali ed economiche man mano applicate alla clientela.
A questo riguardo l'argomentazione contraria fornita dalla difesa della banca, secondo cui tali censure mosse dalla Consob e ribadite dalla Corte milanese, non sarebbero rilevanti perché la banca, sulla base del generale principio della libertà di scelta di politica commerciale, sarebbe libera di determinare a sua discrezionale scelta le condizioni contrattuali e le condizioni economiche applicate alla clientela, fornisce al giudice della corte milanese la possibilità di chiarire la stretta connessione tra obblighi organizzativi e osservanza della diligenza e correttezza nella prestazione del servizio, sulla quale ci siamo soffermati.
Di fronte a questo argomento difensivo l'espressione usata dalla decisione in commento è particolarmente significativa: secondo la Corte milanese, l'opponente ha dimenticato che è sindacabile l'adeguatezza dei profili organizzativi (procedure interne), volti ad assicurare la prestazione del servizio secondo canoni di diligenza correttezza e trasparenza, i quali [se fossero stati applicati dalla banca] avrebbero comportato la limitazione dei margini di discrezionalità dei singoli operatori e la possibilità di fornire a posteriori indicazioni analitiche sui criteri di determinazione dei ricarichi, indicazioni che UBM ha invece fornito a CONSOB in termini sintetici ed evasivi.
Le regole di erogazione della prestazione del servizio di investimento, alla luce della ormai consolidata normativa primaria e secondaria del settore, non consentono infatti di lasciare arbitro l'intermediario di far guidare il suo comportamento dai generali criteri di libertà di scelta economico commerciale, soggettivamente e contingentemente nel tempo determinata.
L'ordinamento delle regole primarie e secondarie del mercato finanziario esige al contrario una sindacabilità anche intensa delle scelte operate dall'intermediario. Questo deve avvenire in primo luogo attraverso la sindacabilità dei profili organizzativi, che pertanto potranno essere verificati sia nella loro consistenza attraverso l'individuazione delle risorse e procedure destinate a questi compiti dalla banca, sia sotto il profilo della idoneità ad indirizzare l'offerta contrattuale della banca a realizzare gli interessi di effettivo controllo del rischio della clientela secondo un criterio di adeguatezza alle peculiarità e dimensioni della azienda in questione.
La conseguenza è dunque una del tutto rinnovata dimensione delle regole della diligenza e della correttezza. Il criterio della dimostrazione del livello dell'impegno applicato da parte della banca nell'adempimento della prestazione, non risulta più sufficiente per valutare l'idoneità della prestazione eseguita. L'adempimento della prestazione non è infatti questione di impegno soggettivo ed il criterio dell'osservanza della diligenza professionale del bonus argentarius è del tutto insufficiente ad esprimere il contenuto della prestazione richiesta all'intermediario nella offerta dei servizi di investimento.
La predisposizione di una organizzazione interna, in grado di congegnare i contratti derivati conformemente alle finalità di copertura dei rischi offerte alla clientela, la predisposizione di procedure di verifica e controllo delle condizioni contrattuali nell'evolversi degli stessi rapporti istaurati con la clientela, in modo da assicurare tanto nel momento dell'offerta che nei successivi momenti di gestione dei contratti la realizzazione delle finalità di copertura senza aggravare la posizione contrattuale del cliente, sono tutti elementi qui sinteticamente richiamati della prestazione della banca, che debbono essere adempiuti da questa per il solo fatto di intraprendere nel mercato finanziario il collocamento di contratti che, quali i derivati, comportano rischi per la clientela.
Ne consegue che la mancata osservanza di questi doveri (di organizzazione ecc.), ha l'effetto di rendere la prestazione eseguita dalla banca inidonea ad essere considerata come esecuzione della prestazione dovuta. Affinché si possa ritenere che l'attività posta in essere dalla banca integri effettivamente il contenuto, i requisiti e le modalità della prestazione dovuta da un intermediario che offre servizi di investimento di questa natura, è necessario, infatti, che il contesto organizzativo dell'intermediario sia caratterizzato da quelle dotazioni organizzative e procedurali più volte richiamate.
In mancanza non è neanche configurabile una effettiva esecuzione della prestazione dovuta, ma piuttosto una attività che può essere anche fortemente pregiudizievole per la clientela e della quale la banca risponde sia sotto il profilo contrattuale, che extracontrattuale.
La motivazione della decisione in commento coglie pienamente questo aspetto, rilevando che l'elevato livello di sofisticazione e complessità dei prodotti derivati OTC e la possibilità, concretamente verificatasi, che il loro utilizzo assuma finalità speculative, estranee alla finalità di copertura di rischi della clientela, obbligava l'intermediario a corredare la propria attività con tecniche procedurali particolarmente stringenti per evitare ogni potenziale profilo di opacità.
Ne consegue, conclude la motivazione in esame, che il fatto che quei rischi forieri di perdite multiple rispetto al capitale investito) si siano concretamente riversati sulla quasi totalità dei clienti, esposti a onerose e plurime rinegoziazioni nelle quali gli operatori di UBI decidevano in piena autonomia gli ulteriori carichi destinati ad essere ripartiti con UBM (generando una molteplicità di reclami), lungi da costituire la base dell'accertamento, costituisce il riscontro indiziario ex post di un difetto genetico di strutturazione del prodotto finanziario, la cui distribuzione tramite UBI non era assistita da alcun meccanismo di controllo.

10. Il difetto genetico nella strutturazione del prodotto finanziario, come viene efficacemente descritto dalla motivazione, è
conseguenza della mancata predisposizione all'interno della banca di quella organizzazione, di quelle procedure e di quei controlli senza i quali il prodotto finanziario derivato non può in alcun modo realizzare la prestazione offerta dalla banca e per la quale la banca si impegna con la clientela.
Un prodotto derivato ingegnerizzato, offerto, collocato e rinegoziato al di fuori dei citati presupposti organizzativi procedurali, reca con sé difformità tali rispetto all'oggetto della prestazione dedotta nello svolgimento del servizio di investimento da escludere che la banca abbia effettivamente eseguito la prestazione dovuta.
Va considerato infatti che la complessità e sofisticazione dei prodotti derivati, ricordata espressamente dalla motivazione, è tale da escludere un qualsiasi intervento additivo o correttivo da parte del cliente. Non a caso non è neanche concepibile la partecipazione del cliente alla formazione del contenuto e delle condizioni del contratto. Questo non soltanto per l'insuperabile difficoltà a comprenderne i contenuti ed ancor più ad intervenire su di essi, ma perché, come è stato detto, si tratta di un contratto che è ingegnerizzato, vale a dire è il risultato di un'opera di ingegneria giuridico-finanziaria alla quale addirittura la banca offerente è estranea, limitandosi essa a commercializzare e collocare contratti ingegnerizzati da un'altra banca del gruppo che a sua volta (sempre con linguaggio molto espressivo, e significativo), costituisce la "fabbrica prodotto" o comunque la banca che intermedia la sua attività con ulteriori fabbriche prodotto sparse per il mondo finanziario.
In conclusione, il contratto derivato offerto e collocato alla clientela è un prodotto del tutto chiuso, si potrebbe ironicamente dire senza porte e senza finestre come le monadi di Gottfried Leibniz, con la conseguenza che, in seguito al suo collocamento, gli effetti obbligatori non vengono determinati dal comportamento del cliente ma piuttosto dalla interazione delle previsioni contrattuali relative ai parametri con le condizioni più diverse, ingegnerizzate dalla fabbrica prodotto, dalla quale la banca collocatrice ha acquistato il contratto.
É a questo punto assolutamente evidente che su un siffatto strumento contrattuale non solo il cliente ma neanche l'iniziativa dei più solerti funzionari bancari può assicurare l'uso e la gestione corretta.
Un tale obiettivo, che non va dimenticato è richiesto dalla legge, potrà essere perseguito solo se nel creare il prodotto la banca si sarà dotata di una organizzazione in grado di "ingegnerizzare" prodotti effettivamente volti a controllare e coprire i rischi della clientela, prodotti quindi che siano effettivamente esenti da quei vizi genetici cui fa riferimento la decisione in commento. Non solo, ma esso potrà essere perseguito solo se la banca si sarà dotata di una organizzazione interna in grado di controllare i prodotti offerti e di raccordarli alle esigenze della clientela e non certo alle esigenze di profitto della banca, se, cioè, a tal fine la banca avrà investito adeguate risorse e sarà stata in grado di instaurare procedure adeguate all'offerta, controllo e gestione anche dopo l'instaurazione dei rapporti, di procedure, cioè, in grado di assicurare le finalità del contratto derivato per la clientela.
Ne consegue che l'obbligazione della banca è governata in modo assorbente dai doveri di organizzazione interna che entrano quindi a dare il contenuto vero e proprio all'obbligo di diligenza e correttezza, in quanto senza l'osservanza di tali presidi organizzativi e procedurali ogni discorso sulla diligenza e correttezza è un mero e retorico flatus vocis.

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Per maggior informazione del lettore riportiamo i passi salienti dell'atto di accertamento della Consob nel Procedimento sanzionatorio ai sensi degli artt. 190 e 195, D. Lgs. n. 58/98, nei confronti di Unicredit Banca Mobiliare s.p.a. e relativi esponenti aziendali - Atto di Accertamento (si tratta però soltanto di 7 pagine su un totale di 72; lo spazio ci impedisce di riportare le contrapposte deduzioni delle parti e della sua Divisione Intermediari, dalle quali la Consob ha desunto le conclusioni che seguono).

Le tipologie di prodotti e di operazioni
UBM ed UBI trattavano con le imprese non finanziarie - clienti di quest'ultima - una vasta gamma di derivati, riconducibili a varie forme di swap e di opzione aventi diverse tipologie di esposizione al rischio; i sottostanti erano prevalentemente rappresentati da tassi di interesse, seguiti dai tassi di cambio ed, in maniera residuale, da altre tipologie. In particolare la parte più rilevante in termini di nozionale era costituita da swap aventi ad oggetto tassi di interesse (interest rate swap, IRS).
In tale ambito, i prodotti creati dalla UBM erano caratterizzati da elevata complessità; infatti i prodotti standard (cd. "plain vanilla") avevano un rilievo dimensionale molto ridotto (circa il 4% del nozionale degli IRS complessivamente negoziati) a confronto con i nozionali sviluppati dai prodotti più sofisticati (cd. prodotti esotici). I prodotti esotici erano ottenuti dalla banca mobiliare mediante l'innesto in strutture elementari di opzioni implicite e di moltiplicatori che, applicati ai tassi di riferimento, determinavano un effetto leva, talvolta anche di particolare rilevanza. Numerosi poi sono risultati i prodotti del tipo "relative value", la cui valorizzazione dipendeva dall'andamento di un differenziale fra tassi, piuttosto che dalla dinamica di un unico indice di riferimento.
Tra le operazioni poste in essere da UBM e UBI con la relativa clientela un'importanza fondamentale assumevano poi le rinegoziazioni, ossia rimodulazioni delle precedenti posizioni in essere fra UBI e la clientela.
Dagli accertamenti è infatti emerso che, fra i contratti stipulati con le imprese non finanziarie clienti di UBI, prevalevano di gran lunga, già nel 2003, le rinegoziazioni e che, nei primi cinque mesi del 2005, le rimodulazioni rappresentavano circa i 3/4 del "venduto" da parte di UBI. In proposito, secondo quanto rilevato dalla Banca d'Italia, considerata la difficoltà di impostare nuove operazioni e di espandere la base di clienti di UBI, l'azione di rimodulazione è risultata essenziale per il raggiungimento degli obiettivi economici del gruppo.

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Nel contesto operativo sopra rappresentato, le procedure interne di UBM, definite per regolare l'operatività in derivati over the counter, si sono rivelate carenti. In particolare, il complesso delle disposizioni interne e delle pattuizioni definite con l'altra società del gruppo (UBI) coinvolta nella operatività in derivati OTC, distribuiti in ultimo a clientela non finanziaria, si è dimostrato inadeguato in relazione ai profili di seguito rappresentati.

A. Le procedure di ingegnerizzazione di nuovi prodotti
Il processo di ingegnerizzazione dei prodotti non è risultato adeguatamente presidiato in maniera da garantire l'allineamento delle caratteristiche dei prodotti derivati, creati e negoziati con la clientela di UBI, con le politiche commerciali e con i diversi target di clientela.
Le strutture esaminate nel corso della complessiva attività di vigilanza condotta, riconducibili in gran parte alla categoria degli swap su tassi di interesse, sono risultate caratterizzate da elevata sofisticazione per la presenza di opzioni incorporate ed effetti leva che determinano profili di pay off non lineari, frequentemente differenziati tra il primo anno dalla stipula e i successivi, in maniera da rinviare nel tempo gli esborsi delle controparti. Si trattava di operazioni volte spesso a privilegiare i profili di cash flow, piuttosto che gli aspetti economici dell'operazione.
Secondo quanto rilevato dalla Banca d'Italia nel corso degli accertamenti condotti presso UBI "i contratti su tassi presentano caratteristiche finanziarie poco idonee a coprire eventuali posizioni dei clienti ovvero a stabilizzarne i flussi finanziari". In particolare la stessa Banca d'Italia ha definito come "netta [...] la caratterizzazione non di copertura dei numerosi prodotti relative value (es. famiglia "Spread CMS") o di quelli incorporanti effetto leva".
I prodotti, nella fase di ingegnerizzazione, sono risultati quindi confezionati con caratteristiche tali che, prescindendo da specifiche richieste della clientela, erano spesso, di converso, serventi ad esigenze di gestione della tesoreria di UBM. A titolo esemplificativo, questo è emerso dalla lettura della stessa documentazione commerciale realizzata da UBM per il prodotto SUNRISE, in cui viene fatto esplicitamente presente che "l'attuale portafoglio operazioni [di UBM] continua a presentare una forte incidenza di benchmark "Tasso Fisso" che rappresenta ad oggi più del 75% del totale. In questo ambito il Sunrise Swap nella sua componente di "spread product" contribuirebbe a sterilizzare il valore del portafoglio a fronte di una riduzione o stabilità dei tassi d'interesse; [infatti] il mark-to-market si muove, tendenzialmente, in controtendenza con il mark-to-market di operazioni a benchmark IRS, esercitando un effetto "stabilizzante" sul portafoglio complessivo delle operazioni".
Dunque, nonostante la dichiarata politica di gruppo prevedesse la vendita di prodotti derivati a clientela non finanziaria solo per finalità di copertura dei rischi di quest'ultima, UBM - che, nell'ambito del gruppo, ha curato la fase di produzione dei derivati OTC - non si è posta in grado, in assenza di idonei presidi procedurali, di allineare a tali canoni la concreta operatività, costruendo operazioni in derivati privi "geneticamente" della finalizzazione pur in generale affermata.
Le strutture commercializzate non sono risultate infatti, in via generale, utili a coprire i rischi finanziari di imprese industriali, essendo viepiù inadatte alle piccole e medie imprese, solitamente caratterizzate da strutture finanziarie particolarmente semplici.
Né sono stati rilevati criteri, meccanismi e conseguenti sistemi di controllo in grado di assicurare che l'operazione, in linea con la dichiarata politica del gruppo, venisse implementata sulla base delle esigenze del cliente finale; al contrario, nel corso degli accertamenti sono state rinvenute evidenti tracce, quali quelle sopra menzionate, di un approccio di tipo opposto, basato sui bisogni dell'intermediario derivanti da proprie, preesistenti posizioni. Neppure gli accordi stipulati con UBI prevedevano una verifica ex ante della effettiva idoneità dei prodotti a coprire eventuali posizioni dei clienti ovvero a stabilizzarne i flussi finanziari; infatti la procedura di controllo preventivo predisposta da UBM sulla base di tali accordi (c.d. semaforo) è risultata sostanzialmente diretta alla gestione del rischio di controparte che il gruppo assumeva, mentre nulla prevedeva per la verifica della coerenza della transazione proposta con le esigenze manifestate dal cliente.
A conferma della inidoneità delle operazioni proposte a servire le esigenze della clientela risulta anche la massiccia, successiva, attività di rimodulazione delle posizioni in essere, che ha posto in evidenza l'incongruenza delle iniziali posizioni assunte dal cliente rispetto alle effettive esigenze di copertura dello stesso, risultando peraltro particolarmente remunerativa per il gruppo, in quanto ha consentito, in un mercato in via di saturazione, di incamerare ulteriori e ampi mark up dalla clientela già acquisita.

B. Procedure per il pricing delle operazioni
Sostanzialmente assenti sono risultate le procedure necessarie a fornire adeguata giustificazione alle condizioni economiche applicate alle operazioni in derivati strutturate da UBM e negoziate over the counter con UBI e la sua clientela costituita da imprese non finanziarie.
In particolare, in sede ispettiva è emerso che sia i prezzi che UBI ha applicato ai suoi clienti sia quelli adottati per la transazione, c.d. back to back, che avveniva fra UBI e UBM, sono stati determinati da quest'ultima.
Nella fase del contatto tra UBI ed il proprio cliente, lo Specialista o il Gestore di UBI provvedeva a consultare gli operatori dell'U.O. CorporateLab di UBM e richiedeva le condizioni economiche alle quali UBM sarebbe stata disposta a perfezionare l'operazione.
Al fine di stabilire queste condizioni, gli addetti di CorporateLab di UBM utilizzavano il modello di pricing di Front Office; tale modello partiva da un prezzo teorico calcolato sulla base di funzioni costruite all'epoca dell'ingegnerizzazione del prodotto da parte della U.O. Risk Technologies & Product Development della stessa UBM.
Secondo quanto rilevato nel corso degli accertamenti, l'operatore di front-office di UBM, fin dalla prima fase, applicava al valore teorico fornito dalla funzione di pricing dello specifico strumento da prezzare delle "maggiorazioni". Tali spread sarebbero stati applicati tenendo in considerazione parametri di mercato, quali le quotazioni dei fattori di rischio, insiti nel prodotto derivato negoziato con la clientela, da parte delle principali controparti di mercato e la volatilità intra-day dei medesimi fattori di rischio. Queste maggiorazioni sono risultate estranee alle convenzioni stipulate con UBI da UBM e restavano ad esclusivo vantaggio di quest'ultima; in proposito la stessa UBM ha riferito, nel corso della riunione del Comitato Derivati di UBI del 28 giugno 2005, che sussisteva ad esclusivo favore della banca mobiliare un ulteriore "differenziale", variante tra 15 b.p. e 138 b.p., dovuto alla "differenza tra la quotazione iniziale di UBM e il valore a midmarket ... sostenuto ... per l'hedging di mercato".
Peraltro, dalle verifiche è emerso che non esistevano presso UBM criteri direttivi atti a delimitare la discrezionalità degli operatori che, dunque, in concreto, erano liberi di stabilire la misura delle ridette maggiorazioni senza essere guidati da specifiche procedure.
Le procedure aziendali non sono risultate idonee a garantire neppure ex post la ricostruzione, con la dovuta precisione ed analiticità, delle condizioni utilizzate per la fissazione di tali maggiorazioni, né della loro misura.
La Consob ha, infatti, formulato (30 marzo 2006) una specifica richiesta a UBM in merito all'effettivo ammontare di questa componente del prezzo dei prodotti derivati, dovuto alla "differenza tra la quotazione iniziale di UBM e il valore a midmarket ... sostenuto ... per l'hedging di mercato", di cui era noto solo un intervallo di oscillazione.
A fronte di ciò, l'Intermediario non è stato in grado di stabilire l'esatto livello assunto nel corso del tempo da tale spread per le singole transazioni, fornendo esclusivamente stime di tipo sintetico, caratterizzate peraltro da elevata aleatorietà, in merito al "costo di mercato" delle operazioni effettuate sulla base delle "evidenze gestionali interne della Direzione Sales".
In una seconda fase, al valore così formato, comprensivo delle maggiorazioni, veniva applicato un ulteriore ricarico. Infatti, per ricavare le effettive condizioni economiche da utilizzare nelle due transazioni, quella cliente-UBI e quella UBI-UBM, l'operatore di UBM richiedeva allo Specialista di UBI, al momento del contatto, di comunicare il margine lordo che si intendeva ricavare dall'operazione; tale quantità, secondo quanto asserito dal sig. Fornoni, vice direttore generale di UBM, avrebbe rappresentato il guadagno generato dall'operazione svolta con il cliente, suddiviso poi fra UBI ed UBM nelle percentuali prestabilite dalla convenzione regolante i rapporti reciproci. Esso sarebbe stato pari, in concreto, alla differenza tra prezzo applicato al cliente e prezzo di mercato vigente, calcolato come media dei prezzi applicati dalle migliori tre controparti di mercato.
La fissazione di tale margine è risultata rimessa all'iniziativa degli addetti di UBI, senza alcun controllo sulla congruità del medesimo da parte di UBM.
Conosciuto anche il margine lordo, l'operatore di UBM aveva a disposizione tutti gli elementi per "prezzare" l'operazione mediante i sistemi automatici di cui era dotato; successivamente, secondo quanto riferito agli ispettori, UBM avrebbe comunicato telefonicamente un range dei termini accettabili per la chiusura del contratto, al cui interno, di nuovo, i dipendenti di UBI avrebbero avuto ulteriori, autonomi spazi di manovra.
L'ammontare complessivo dei mark up applicati concretamente alla clientela di UBI è risultato, dunque, non riconducibile a precise metodiche di pricing, essendo stato determinato, per la gran parte, dall'esercizio di scelte discrezionali da parte degli operatori di UBM (con riferimento alle prime maggiorazioni) e di UBI (con riferimento al livello del margine lordo), non vincolati da adeguate linee guida.
Pertanto, l'intero processo di formazione del prezzo utilizzato nella negoziazione in conto proprio di derivati OTC non è risultato idoneo a garantire un'efficiente e giustificabile determinazione dei prezzi applicati nello svolgimento del servizio.
Tutto ciò in un contesto nel quale sono stati accertati mark up particolarmente elevati a carico dei clienti.
La rilevante misura dei mark up è confermata da specifiche evidenze; secondo analisi condotte dalla Banca d'Italia, la quasi totalità dei clienti che attraverso UBI hanno negoziato i derivati in parola risultavano avere in essere posizioni che, valorizzate al prezzo teorico (mark to market), presentavano valori negativi, ossia pressoché tutti i clienti stavano subendo perdite potenziali; in particolare il mark to market negativo dei clienti, al 31 maggio 2005, è risultato pari complessivamente ad Euro 1,97 mld.; ciò a fronte di posizioni con mark to market positivo per appena Euro 0,07 mld, riconducibili peraltro a strumenti "plain vanilla" e, comunque, a non più del 7% dei clienti.
L'unidirezionalità dei mark to market (a svantaggio dei clienti ed a vantaggio delle banche) non è, tuttavia, scaturita da un'analoga unidirezionalità delle posizioni assunte dai clienti sul sottostante; non è, infatti, risultato che i clienti avessero adottato strategie omogenee nell'operatività in derivati ma, al contrario, sono emerse posizioni caratterizzate da esposizioni alle variabili di mercato complessivamente bilanciate. Analisi di sensitività condotte nel corso del 2005 dalla stessa UBM evidenziano la sostanziale neutralità del portafoglio derivati in essere in capo ad UBI, rispetto a variazioni dei principali fattori di rischio, proprio a dimostrazione delle differenziate posizioni assunte dai clienti, che consentivano una sostanziale compensazione dei rischi in capo ad UBI/UBM.
I medesimi studi evidenziano, d'altro canto, pesanti perdite potenziali gravanti sui clienti, indipendentemente dalla classe di prodotto a mezzo della quale era stata assunta la posizione.
Ne discende, quindi, che le perdite potenziali in essere in capo ai clienti sono derivate dalla particolare onerosità degli spread rispetto ai prezzi teorici applicati dagli intermediari in sede di negoziazione delle operazioni.
Per effetto di ciò, le posizioni assunte dai clienti, indipendentemente dal segno e dal tipo di prodotto utilizzato, risultavano già alla nascita gravate da pesanti perdite potenziali, che solo un andamento di mercato particolarmente favorevole avrebbe potuto invertire.
Di questa circostanza appare aver acquisito una certa consapevolezza la stessa UBI che, seppur solo in data 14 luglio 2005, faceva rilevare, in sede di Comitato derivati, le "variazioni ritenute anomale del mark to market il giorno seguente il perfezionamento di una operazione" in derivati OTC, che evidentemente assumevano immediatamente una valorizzazione negativa per la clientela a causa dei mark up applicati in sede di negoziazione.
Come puntualizzato poi dalla Banca d'Italia, l'effetto negativo prodotto sulle posizioni assunte dai clienti dagli ampi spread applicati rispetto ai prezzi teorici è stato amplificato in caso di rinegoziazione. Queste operazioni determinavano, infatti, un fenomeno di moltiplicazione del mark up: ogni rinegoziazione aggiungeva il proprio mark up a quello precedente, causando un aggravamento esponenziale della posizione negativa del cliente.
La particolare onerosità degli spread applicati alla clientela di UBI risulta, d'altro canto, evidente esaminando la speciale redditività generata per UBM dall'operatività in parola. Infatti, a fronte di un peso in termini di volumi non particolarmente rilevante (1,5%), la profittabilità delle operazioni poste in essere da UBM con la clientela di UBI è risultata particolarmente elevata ragguagliandosi, a seconda degli anni, dal 20% al 30% dei ricavi prodotti dal complesso delle operazioni in derivati poste in essere da UBM.
Viepiù, tali dati non si riferiscono alla complessiva profittabilità dell'operatività in parola poiché considerano esclusivamente la quota di margine lordo di pertinenza di UBM ex convenzione stipulata con UBI, senza tener conto dell'ulteriore margine che, come visto, la stessa UBM manteneva a proprio esclusivo beneficio. Tale componente risulta peraltro, a causa delle ridette carenze procedurali, solo stimabile; in particolare UBM, in una risposta alla Consob pervenuta in data 31 maggio 2005, ha rappresentato che, dal punto di vista gestionale, tale mark up, riconosciuto ai desk di vendita (unità CorporateLab) che erano in contatto con UBI, avrebbe avuto una dimensione complessiva stimata di Euro 164 mln nel 2003, di Euro 72 mln nel 2004 e di Euro 48,7 mln per tutto il 2005. A fronte di questo, nella medesima risposta è stata fornita una stima di massima degli utili effettivamente realizzati da UBM con il trading delle posizioni assunte con clientela UBI, che nel 2003 si sarebbero ragguagliati ad Euro 285 mln, nel 2004 ad euro 115 mln e nel 2005 ad euro 94 mln.

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Sempre in relazione alle procedure di pricing, è emerso che UBM non si è neppure dotata di efficaci procedure di controllo delle funzioni utilizzate per la definizione del prezzo teorico dei ridetti prodotti.
Infatti, la Banca aveva previsto che il processo di rilascio in produzione di ogni nuova funzione di pricing relativa alla determinazione del prezzo teorico di nuovi prodotti fosse preceduta da test effettuati prima dell'utilizzo operativo delle stesse, al fine di controllarne la corretta specificazione.
Tuttavia, da analisi svolte dalla funzione di controllo interno di UBM è emerso che tale disposizione è stata continuamente disattesa.
In particolare, nel corso dell'anno 2004 la funzione di controllo interno ha svolto una verifica sulle funzioni effettivamente validate da parte dell'Unità incaricata. Dalla suddetta verifica è emerso "un sostanziale arretrato nello svolgimento delle attività di controllo del rischio modello previste dalle procedure aziendali" e che diverse funzioni di pricing sono state rilasciate in produzione senza essere state sottoposte al model test ed in mancanza della prevista informativa al Comitato Rischi.
Più in particolare, l'attività di model testing delle funzioni sviluppate dal Servizio Product Development per il sistema informativo "Summit" risulta essere stata effettuata soltanto per 9 delle 32 funzionalità rilasciate dallo stesso Servizio. Le funzionalità non sottoposte a model test riguardano principalmente opzioni sul tasso CMS e swap sull'inflazione. Inoltre, è stato rilevato come per n. 12 funzioni standard di "Summit" utilizzate non sia stata prevista alcuna attività di model test.









1) Avvertiamo il lettore che i riferimenti alla legislazione primaria e secondaria contenuti nel presente scritto, riguardano la disciplina vigente prima dell'entrata in vigore della MIFID, che ha modificato il TUF e dei regolamenti attuativi ai sensi del nuovo art. 6, comma 2-bis, che prevede l'emanazione congiunta da parte di Banca d'Italia e Consob di regolamenti specifici in materia di procedure di controllo interno per la corretta prestazione dei servizi di investimento. Tale regolamento è stato adottato dalla Banca d'Italia e dalla Consob con provvedimento del 29 ottobre 2007 reperibile in www.consob.it.
2) Rinvio al riguardo a V. PICCININI, I poteri sanzionatori della CONSOB nei confronti delle banche per violazione delle norme che disciplinano l'attività degli intermediari finanziari in Dir Fall., 2006, II, 851 e segg., nota a App. Ancona, 30 novembre 2005; App. Venezia, 1 dicembre 2005; App. Bologna, 1 dicembre 2005; App. Bologna, 14 dicembre 2005; App. Torino, 18 gennaio 2006 in Guida al diritto, 2007.
3) Cfr. a questo proposito la lucida analisi di SCOTTI CAMUZZI, L'istituto di credito è tenuto a garantire l'effettiva osservanza delle regole CONSOB, con riferimento alla importante pronuncia del Tribunale di Novara, 18 gennaio 2007, n. 23, in Guida al Diritto.
4) Su questo particolare aspetto, v. B. INZITARI - V. PICCININI, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari a cura di B. INZITARI, Padova, 2008, 149 e segg.
5) Trib. Brindisi 8 luglio 2008, Trib. Salerno 26 settembre 2007, entrambe in www.ilcaso.it


















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