Com'è noto, il criterio generale tributario in tema di conferimento di partecipazioni è quello delineato dall'articolo 9 TUIR che, assimilando tale operazione a una cessione a titolo oneroso, considera come corrispettivo il valore normale (cioè un importo prossimo al suo valore di mercato) della partecipazione conferita, sovente ben maggiore del suo importo di confronto, ovvero il valore fiscalmente riconosciuto, con la conseguente generazione di una plusvalenza imponibile.
A tale proposito, un'importante opportunità offerta dall'ordinamento è quella contenuta nell'articolo 177, comma 2, TUIR che consente anche alle persone fisiche non operanti in regime d'impresa di poter godere di un precipuo sistema agevolativo, c.d del "realizzo controllato". Quest'ultimo consiste nel fatto che, in caso di acquisto del controllo ovvero di aumento dello stesso per vincoli statutari o doveri legali, la plusvalenza viene determinata assumendo, come corrispettivo, l'aumento di patrimonio contabilizzato dalla conferitaria. In tal modo, se, poniamo, una partecipazione di costo storico 100 viene iscritta dalla conferitaria medesima allo stesso importo di 100, non si realizzerà alcun plusvalore tassabile, indipendentemente dal valore effettivo della partecipazione; come si vede, il meccanismo, dipendendo da un comportamento contabile, è differente dalla pura e semplice neutralità.
Va precisato che il controllo di cui si parla, in presenza del quale scatta il regime del "realizzo controllato" è denominato "di diritto" ed è previsto dall'articolo 2359, 1° comma c.c. (così modificato dall'articolo 1 del D.P.R. 09.04.1991, n. 127). Esso fornisce la definizione di società controllata, cioè la società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria.
Sono dunque escluse dalla fattispecie prevista dall'articolo 177, comma 2, le situazioni di controllo "di fatto" previste dai commi 2, 3 del predetto articolo 2359 c.c. La prima fattispecie ricorre allorché si disponga, in un'altra società, di un controllo minoritario ma sufficiente di voti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria, reso possibile dall'assenteismo degli altri soci, (c.d. "controllo di fatto interno"). La seconda situazione si verifica quando una società si trova sotto l'influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (c.d. "controllo esterno di fatto"), indipendentemente dal controllo delle azioni o quote.
Da questo punto di vista l'ambito di applicazione dell'articolo 177, comma 2, è più ristretto di quello dell'articolo 175 TUIR, (precluso, però, alle persone fisiche non in regime d'impresa), che invece prevede, financo, l'applicazione nel caso di controllo di fatto interno ex articolo 2359, n. 2 c.c. dianzi descritto.
Ma vi è un'ulteriore limitazione applicativa dell'articolo 177, comma 2, ovvero che la società conferita deve essere una società di capitali residente in Italia, mentre nel caso dell'articolo 175 questo requisito non è richiesto.
Il regime di cui al predetto articolo 175 TUIR è sovente denominato anche "realizzo contabile" o "regime della tassazione a valori contabili" (come preferisce contraddistinguere l'operazione l'Assoholding), perché la plusvalenza viene calcolata a seconda del comportamento contabile adottato dal conferente e dalla conferitaria, laddove, come sopra visto, nell'articolo 177, comma 2, rileva solo l'eventuale incremento di patrimonio contabilizzato dalla conferitaria.
Il problema che potrebbe porsi è se un'operazione strutturata ai sensi dell'articolo 177, comma 2, possa configurare un abuso di diritto ai sensi dell'articolo 10-bis, commi 1 e 2, della L. 27/07/2000 n° 212 (c.d. "Statuto del contribuente), cioè, come si dirà meglio in seguito, se possa delinearsi come un complesso di azioni prive di sostanza economica, mirate essenzialmente al mero conseguimento di indebiti vantaggi fiscali e quindi sia passibile di essere censurata dall'Agenzia delle Entrate.
Quest'ultima, nella recente risposta a Interpello n. 215 del 26 aprile 2022, ottimamente segnalata e commentata da A. Germani ("Partecipazioni, non è abusivo il conferimento con utili esenti", in Il Sole 24 Ore del 27 aprile 2022, pag. 34), ha fornito interessanti elementi al riguardo. Il caso esaminato concerne una persona fisica che conferisce una partecipazione di controllo (70%) detenuta nella Delta S.p.A.. Le ipotesi contemplate dall'istante sono due: nella prima egli effettua il conferimento sic et simpliciter in una partecipata da lui già interamente posseduta (Alfa Srl unipersonale), mentre nella seconda viene creata una novella società (Beta Srl unipersonale), conferendo in essa la partecipazione sia di Alfa che di Beta. Mentre nel primo caso, secondo quanto prospettato, vi sarebbe senz'altro l'esercizio d'impresa, ovvero svolgimento di attività edilizia, artistica, energetica, nell'altra eventualità la Beta svolgerebbe in via prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni.
Va rimarcato che i dividendi distribuiti dalla Delta SpA andrebbero ad alimentare le risorse della controllante: essi, ai sensi dell'articolo 89, comma 2, TUIR, costituirebbero materia imponibile IRES solo per il 5%, invece dell'ordinaria misura del 26% prevista per le persone fisiche. Invero, se il soggetto che incassa i dividendi è un soggetto IRES che ha per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali e ha la residenza in Italia, gli utili che riceve da una società anch'essa residente sono soggetti a imposizione fiscale, appunto, solo per il 5% del loro ammontare.
Il fenomeno di quasi totale detassazione, peraltro, viene accentuato dal fatto che la società di nuova costituzione, trovandosi in una fase iniziale, potrebbe non dover pagare proprio nessuna imposta, visto che all'inizio dell'operatività i costi superano sovente in ricavi.
Va rilevato che la suddetta disciplina del realizzo controllato di cui all'articolo 177, comma 2, costituisce, laddove la fattispecie presenti tutti i necessari requisiti, un regime che si applica per il conferente in modo del tutto ordinario, senza adempimenti specifici. Esso rappresenta, come del resto affermato dal Principio di Diritto dell'Agenzia delle Entrate del 28/07/2020, un caso caratteristico di calcolo del reddito del conferente, che ha natura di facilitazione e si applica in via automatica, senza che vi sia facoltà di libera azione e decisione, beninteso, se vi sono la totalità degli elementi previsti dal citato articolo, compreso il comportamento contabile descritto all'inizio. Già questa considerazione è di sé decisiva nel non poter giudicare le azioni relative a siffatti conferimenti, in via generale, come elusivi, visto che lo stesso articolo 177, comma 2, disciplina compiutamente il caso nei suoi effetti particolari.
La problematica dell'abuso del diritto va invece valutata alla luce di quanto descritto dal succitato articolo 10-bis, commi 1 e 2, della L. 212/2000, secondo cui le operazioni effettuate non sono opponibili all'Amministrazione finanziaria, che può disconoscere i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Più specificatamente, un comportamento, per essere giudicato abusivo, deve presentare il contemporaneo verificarsi delle seguenti tre condizioni:
a) il conseguimento di un beneficio fiscale indebito, composto da utilità, pure non istantanee, realizzate fuori dai principi dell'ordinamento tributario o dagli scopi delle norme fiscali;
b) l'assenza di un fondamento economico della manovra cioè la presenza di sole operazioni non capaci di produrre effetti significativi differenti dai benefici fiscali;
c) la fondamentalità del raggiungimento di un vantaggio fiscale.
La mancanza di una delle tre caratteristiche testé delineate causa un giudizio di assenza di abuso del diritto. Nel successivo comma 3 del predetto articolo 10-bis viene però spiegato esplicitamente che non possono in ogni caso ritenersi abusive le operazioni che, anche possedendo i tre elementi elencati, sono motivate da legittime ragioni extrafiscali non accessorie, quali il miglioramento dell'assetto gestionale o organizzativo.
Tornando ora alla seconda eventualità lumeggiata nell'Interpello, la questione importante, a mio parere, risiede nell'aspetto legato alla circostanza che la partecipazione di controllo venga conferita in una società unipersonale che operi come holding. L'Agenzia sembra riservare, sia pure implicitamente, un diverso trattamento alla holding gestorie (o dinamiche o operative) rispetto a quelle statiche. Le prime, solitamente contrassegnate con il Codice Ateco 70.10.00, svolgono attività gestionali di assistenza, consulenza, organizzazione nei confronti delle partecipate. Le seconde, generalmente contraddistinte dal Codice Ateco 64.20.00, invece, sono caratterizzate dall'unica finalità di assumere partecipazioni senza intervenire nella gestione delle stesse, a parte, ovviamente, l'esercizio dei diritti derivanti dalla qualità di socio. In altri termini, esse non amministrano o gestiscono o forniscono servizi alle società di cui detengono il capitale. Per le holding statiche, dunque, il problema dell'abuso del diritto potrebbe porsi, visto che vi sarebbe un'attività assimilabile al puro godimento e non a un esercizio imprenditoriale.
Tuttavia, l'Agenzia delle Entrate ha posto il problema in termini molto generali, evitando esplicitamente qualsiasi riferimento all'articolo 162-bis TUIR (norma di riferimento per tali tipologie associative) per quanto attiene alle società di partecipazione, laddove sarebbe stata invece utile un'indicazione precisa in tal senso, visto che le holding (gestorie o dinamiche), sono previste e definite, a livello tributario, proprio da detta norma.
La risposta dell'Agenzia delle Entrate al citato Interpello è, in linea generale, orientata verso la liceità delle operazioni prospettate in entrambe le ipotesi, nella misura, però, si badi bene, in cui vi sia una gestione contraddistinta da un utilizzo dinamico ed efficiente dei mezzi ricevuti.
Il problema dell'abuso del diritto si porrebbe solo se vi fosse un'amministrazione puramente passiva delle attività, il che manifesterebbe l'essenza puramente fiscale del riordinamento effettuato. In particolare, la norma aggirata sarebbe l'articolo 27, comma 1, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, che disciplina la ritenuta d'acconto sui dividendi, attualmente pari, per le persone fisiche, al 26%.
In definitiva le holding statiche, pur ammesse dall'ordinamento dall'articolo 162-bis e pur non essendo il "regime controllato" oggetto di scelta discrezionale (v. il Principio di Diritto citato), potrebbero essere soggette alla normativa dell'abuso del diritto, il che introduce un elemento di contraddizione nell'ordinamento tributario, che forse ha colto la stessa Agenzia delle Entrate nella risposta all'Interpello, non volendo entrare nel merito, come sopra accennato, di una disamina organica del precitato articolo 162-bis.