La notificazione della cartella di pagamento quale pre-condizione della conversione delle pene pecuniarie non pagate
Pubblicato il 02/02/20 02:00 [Articolo 854]






La riscossione delle pene pecuniarie avviene attualmente mediante ruolo ([1]).

Nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo, disciplinato dal d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, la notificazione della cartella di pagamento ([2]) costituisce atto preliminare indefettibile per l'effettuazione di un pignoramento da parte dell'agente della riscossione perché essa, a mente dell'art. 25 del d.p.r. citato, assolve uno actu le funzioni svolte ex art. 479 c.p.c. dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nell'espropriazione forzata codicistica ([3]).

In mancanza della notificazione al debitore della cartella di pagamento deve considerarsi insussistente la condizione posta dall'art. 660, comma 2, c.p.p. ai fini dell'attivazione da parte del pubblico ministero della procedura di conversione presso il magistrato di sorveglianza: condizione costituita dalla "accertata impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa" ([4]).

Tale conclusione vale pure rispetto all'ipotesi divisata dall'art. 238-bis, comma 3, d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, secondo cui "ai medesimi fini di cui al comma 2" (id est, ai fini dell'attivazione da parte del pubblico ministero della procedura di conversione) "l'ufficio investe, altresì, il pubblico ministero se, decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente della riscossione e in mancanza della comunicazione di cui al comma 2, non risulti esperita alcuna attività esecutiva".

Anche quest'ultima norma, infatti, presuppone comunque e indefettibilmente la notificazione al debitore della cartella di pagamento perché in sua assenza - lo si ripete - risulta insussistente l'accertamento dell'impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una sua rata e, quindi, la pre-condizione posta dall'art. 660, comma 2, c.p.p. ai fini dell'attivazione della procedura di conversione;

Né in senso contrario può invocarsi quanto ha scritto Corte cost., sentenza 20 dicembre 2019 n. 279, la quale ([5]) ha affermato quanto segue: "Al riguardo, va tuttavia considerato che la notifica della cartella di pagamento da parte dell'agente della riscossione è necessariamente preceduta dalla notifica dell'avviso di pagamento, ad opera dell'ufficio del giudice dell'esecuzione; e che già tale avviso ha la funzione di intimare al condannato il pagamento della pena pecuniaria stabilita nella sentenza di condanna, ponendolo così a conoscenza anche delle possibili conseguenze del mancato pagamento".

Così scrivendo, invero, la Consulta ha (ci pare) preso un abbaglio perché l'avviso di pagamento ex art. 212 d.p.r. 115/2002 … non esiste più ([6]).

Già prima di codesta decisione della Corte costituzionale, infatti, la Corte di cassazione aveva puntualmente rilevato che in materia di riscossione mediante ruolo delle spese processuali e delle pene pecuniarie relative a sentenza penale di condanna "l'iscrizione a ruolo del credito effettuata dopo il 4 luglio 2009 - data di entrata in vigore della l. n. 69 del 2009, che ha modificato l'art. 227-ter del d.p.r. n. 115 del 2002 - non deve essere preceduta dalla notificazione dell'invito al pagamento, già previsto dall'art. 212 del d.p.r. n. 115 del 2002, dovendo ritenersi abrogata quest'ultima previsione a seguito della modifica del citato art. 227-ter" ([7]).

Conclusivamente: in mancanza della notifica al debitore della cartella di pagamento e, quindi, della condizione della conversione costituita dalla "accertata impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa", il magistrato di sorveglianza deve disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero affinchè richieda alla cancelleria del giudice dell'esecuzione di riprendere la procedura di riscossione ([8]).

NOTE
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([1]) V. d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, artt. 227-bis e ss. Un'efficace e sintetica ricostruzione del quadro normativo si ritrova nella motivazione di Cass. civ., Sez. III, sentenza 30 gennaio 2019 n. 2553, Rv. 652486, dove sta scritto quanto segue: "Il recupero delle spese di giustizia e delle somme statuite in favore della Cassa delle ammende avviene … ex art. 227-ter, comma 1, testo unico spese di giustizia, a mente del quale 'entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l'obbligo.., l'ufficio.., procede all'iscrizione a ruolo'. Norma che, del resto, era sul punto la stessa anche prima delle modifiche normative di cui si sta per dire, già a decorrere dall'introduzione dell'art. 227-ter per mezzo dell'art. 52 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133. Si evidenzia per completezza che, nel caso, il procedimento di riscossione mediante ruolo è stato avviato successivamente alla convenzione - prevista dalla stessa norma a séguito della modifica apportata dalla legge n. 69 del 2009 e stipulata inizialmente il 23 settembre 2010 - con cui la quantificazione del credito e la formazione del ruolo sono state affidate alla società Equitalia Giustizia s.p.a. (posseduta da Equitalia s.p.a. e, dopo il decreto legge 27 ottobre 2016 n. 193, convertito dalla legge 1° dicembre 2016 n. 225, dal Ministero dell'economia e delle finanze). Il tutto dopo la trasmissione, da parte degli uffici recupero crediti (Urc) delle articolazioni giudiziarie, della nota di trasmissione (digitalizzata) contenente le informazioni necessarie alla formazione del ruolo medesimo (per una ricostruzione del procedimento amministrativo cfr. Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 3/2017/G). Prima della stipula della citata convenzione, invece, gli uffici di recupero crediti (Urc) dei vari uffici giudiziari quantificavano il credito e, formato il ruolo, lo trasmettevano (in estratto) per la riscossione al concessionario".

([2]) In base all'art. 25, comma 2, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 "la cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del ministero delle finanze, contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata".

L'applicabilità dell'art. 25, comma 2, d.p.r. 602/1973 nel procedimento di riscossione delle pene pecuniarie è espressamente prevista dall'art. 227-ter, comma 2, d.p.r. 115/2002.

([3]) Così scrivendo, abbiamo sostanzialmente riprodotto la massima di Cass. civ., Sez. III, sentenza 8 febbraio 2018 n. 3021, Rv. 647938.

Nello stesso senso v. ancor più recentemente Cass. civ., Sez. III, sentenza 30 gennaio 2019 n. 2553, Rv. 652486.: "In tema di procedimento di riscossione coattiva per il recupero delle spese di giustizia e delle somme dovute alla Cassa delle ammende, di cui all'art. 227-ter del d.p.r. n. 115 del 2002, la formazione del ruolo e la notificazione della cartella di pagamento non devono essere precedute dalla notifica dei provvedimenti giurisdizionali da cui sorge il credito, posto che la notificazione della detta cartella, nella quale siano riportati gli elementi minimi per consentire all'obbligato di individuare la pretesa impositiva e di difendersi nel merito, costituisce notificazione di un omologo del precetto riferito ad un titolo esecutivo rappresentato, a sua volta, dal sotteso ruolo".

([4]) V. in tal senso Cass. pen., Sez. I, sentenza 16 maggio 2014 n. 25355, Giannecchini, Rv. 262545: "Il provvedimento di rateizzazione della pena pecuniaria, attribuito alla competenza del magistrato di sorveglianza dall'art. 660, comma terzo, cod. proc. pen., è subordinato alla esistenza di 'situazioni di insolvenza' e non presuppone affatto la richiesta di conversione della pena pecuniaria da parte del pubblico ministero, alla quale deve darsi luogo, ai sensi del precedente comma secondo dello stesso art. 660 cod. proc. pen., solo in presenza della diversa condizione costituita dall'accertata 'impossibilità di esazione' della pena pecuniaria o di una rata di essa".

([5]) Con questa sentenza sono state dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 238-bis, comma 3, d.p.r. 115/2002 nella parte in cui, ai fini dell'attivazione della procedura di conversione delle pene pecuniarie dinanzi al magistrato di sorveglianza, parifica all'ipotesi della comunicazione di esperimento infruttuoso della procedura esecutiva l'ipotesi di mancato esperimento della procedura esecutiva decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente della riscossione.

([6]) Un residuo ambito operativo dell'istituto può rinvenirsi in materia di riscossione del contributo unificato: v. art. 248, comma 2, d.p.r. 115/2002.

([7]) Così esplicitamente Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 13 settembre 2017 n. 21178, Rv. 645484; nonché già prima Cass. civ., Sez. III, sentenza 10 giugno 2013 n. 14528, Rv. 626687, in motivazione.

([8]) Cfr. Cass. pen., Sez. I, sentenza 19 maggio 1997 n. 3460, P.M. in proc. Gelsomino, Rv. 207974: "Nel procedimento di esecuzione delle pene pecuniarie, il compito del pubblico ministero, nelle ipotesi in cui la procedura di recupero - cui è preposta istituzionalmente la cancelleria del giudice dell'esecuzione - abbia avuto esito negativo, consiste soltanto nel controllo formale dell'attività svolta dalla cancelleria medesima. Pertanto, una volta ricevuti gli atti della procedura risoltasi negativamente, egli deve limitarsi ad accertare se le ragioni di tale esito diano luogo a un'effettiva impossibilità di esazione della pena pecuniaria ovvero se risultino in qualche modo superabili, rivolgendosi, nella prima ipotesi al magistrato di sorveglianza - cui è demandato l'accertamento del passaggio dalla situazione di mera e contingente impossibilità di esazione a una condizione di insolvenza effettiva e concreta - perché provveda alla conversione della pena pecuniaria, e, nella seconda ipotesi, restituendo gli atti alla cancelleria del giudice dell'esecuzione, perché riprenda la procedura di riscossione".






















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