Il mercato delle regole. La questione dei bonds argentini
Pubblicato il 21/01/05 02:00 [Articolo 746]






(*) In Giurisprudenza italiana, n. 1, 2005
(**) La sentenza è riportata di seguito al commento.


1. Premessa; 2. La gestione del conflitto; 3. La diligenza professionale; 4. L'adeguatezza delle informazioni; 5. La suitability rule; 6. la nullità del contratto (ordine) d'acquisto; 7. il formalismo della libertà delle forme; 8. L'inadeguatezza della mediazione al ribasso; 9. Prospettive.



1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Mantova affronta il problema di talune regole comportamentali che i soggetti abilitati devono rispettare, nei loro rapporti con la clientela, nella prestazione dei servizi di investimento[1].

Nella vicenda oggetto della sentenza, l'attore contesta la legittimità di due differenti ordini di acquisto, impartiti nell'ambito di un contratto "quadro" di negoziazione per conto terzi[2], di obbligazioni argentine. Le censure ruotano principalmente intorno alla violazione da parte della Banca della disciplina di settore in materia di informazione e adeguatezza delle operazioni, prevista dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (d'ora in avanti TUF) e dal Regolamento Consob n. 1522/98 e succ. mod. (d'ora in avanti anche Regolamento Consob).

Il Tribunale di Mantova accoglie solo parzialmente la domanda di parte attorea, condannando la Banca a restituire al cliente il danaro relativo al primo ordine d'acquisto, in conseguenza della declaratoria di nullità del relativo negozio, mentre si pronuncia per la validità della seconda operazione, non ravvedendo nella condotta dell'intermediario alcuna illegittimità.


2. Relativamente al primo ordine di acquisto impartito il 5 settembre 2001, il Tribunale esclude, in primis, che l'operatore finanziario abbia violato la disciplina normativa in materia di conflitto di interessi. La soluzione - pur argomentata succintamente - cui è pervenuto il Giudice monocratico sembra condivisibile. Sul punto sono peraltro necessarie alcune considerazioni.

Come noto, l'art. 21, comma 1, lett. c) del TUF stabilisce che: "Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono (...) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento".

Si tratta di una regola analoga a quella codificata a livello europeo nel documento del Committee of European Securities Regulators (noto come CESR) "Un regime europeo per la protezione dell'investitore: l'armonizzazione delle regole di condotta"[3]. Lo standard 5 stabilisce, infatti, che: "Un'impresa di investimento deve prendere tutte le precauzioni necessarie affinché i conflitti di interesse tra la stessa ed i propri clienti siano identificati, e dunque eliminati o amministrati in modo tale da non pregiudicare l'interesse dei risparmiatori (...)"[4]. Anche la Direttiva Europea del 21 aprile 2004, n. 39[5], che abroga la Direttiva 93/22/CEE, accoglie un'impostazione simile, cristallizzando definitivamente un orientamento di matrice anglo-americana[6], che si era da tempo imposto nel senso della International Organisation of Securities Commissions[7].

Pertanto, il legislatore delegato, abbandonando il previgente modello di gestione dei conflitti[8], da una parte, impone alle imprese di investimento di strutturarsi in modo tale da evitare, per quanto possibile, una mera concorrenza di interessi con gli investitori, dall'altra, preso atto dell'ineluttabile compresenza di situazioni conflittuali, impone alle stesse di informare i clienti della situazione e di agire equamente, cioè nell'esclusivo interesse dell'investitore[9]. L'informazione va resa in via iniziale con il contratto quadro concluso con il risparmiatore e non, per contro, volta per volta, prima di ogni singola operazione.

Per vero, la disciplina regolamentare posta in essere dalla Consob con il Regolamento n. 11522/98 "fa rientrare dalla finestra ciò che il legislatore ha fatto uscire dalla porta". Ci si riferisce in particolare all'art. 27, comma 2 del citato Regolamento il quale, per i servizi diversi dalla gestione di portafogli di investimento su base individuale, prevede che: "Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l'investitore sulla natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione e l'investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all'effettuazione dell'operazione (...)".

In altri termini, la Commissione introduce nuovamente nel nostro ordinamento giuridico la nota regola disclose or abstain, in base alla quale l'intermediario non deve operare nel caso di mero interesse nell'operazione (recte concorrenza), salvo espressa e specifica autorizzazione preventiva del cliente, messo a conoscenza della situazione.

Si tratta di una regola inefficiente, perché in un rapporto dinamico la verifica della natura e dell'estensione del conflitto e l'autorizzazione time by time incidono negativamente sull'esecuzione dell'incarico, oltre che formalista poiché l'investitore non sofisticato non avendo competenze specifiche nel settore finanziario non è comunque in grado di monitorare la "situazione", e con l'escamotage del consenso-autorizzazione si accolla i costi di un'eventuale operazione potenzialmente dannosa, deresponsabilizzando l'operatore[10]. Si aggiunga altresì che tale impostazione è foriera di eventuali comportamenti opportunistici da parte del cliente, il quale potrebbe funzionalizzare a suo favore la puntigliosa disciplina normativa per non accollarsi le perdite di un (dis)investimento, a seguito di sfavorevoli congiunture di mercato, nonostante la buona fede dell'operatore.

Sono queste le ragioni che hanno indotto la Consob a proporre una modifica dell'art. 27 del Regolamento n. 11522/98. La Commissione, in sede di recepimento degli "standards comuni elaborati dal CESR (...) in tema di regole di condotta degli intermediari", ha, infatti, definito un modello di gestione del conflitto "più snello" che estende a tutti i servizi "una modalità operativa di disclosure già conosciuta dalla disciplina vigente per la gestione individuale (45)"[11].

Ciò premesso, e ritornando al caso che ci occupa, il Tribunale di Mantova pur escludendo, sulla base delle risultanze probatorie, che la Banca avesse i titoli argentini nel proprio portafoglio riconosce la presenza di un interesse concorrente tra intermediario e cliente, posto che gli strumenti finanziari di cui si discute sono stati acquistatati "tramite il circuito telematico Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la B.A.M., del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della MPS Finanza) (...)".

Sul punto dunque non sembrano esserci dubbi. La Banca ha operato in concorrenza di interessi e, stando alla disciplina regolamentare vigente, avrebbe dovuto informare per iscritto l'investitore sulla natura e l'estensione dell'interesse nella specifica operazione. Così non è stato fatto. Pur tuttavia, "dalla consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato era il migliore rispetto a quello praticato dagli altri c.d. »contributori» agenti sul mercato sicché nessun danno è derivato agli attori".

Escluso quindi che il comportamento dell'operatore finanziario fosse contrario ai canoni della correttezza, ed accertata la mancanza del danno in capo al risparmiatore a seguito dell'operazione in conflitto, il Giudice di Mantova, disapplicando la normativa regolamentare, ha - saggiamente - utilizzato il criterio generale dell'equo trattamento (rectius buona fede oggettiva[12]) per calibrare gli interessi delle parti, evitando, per tale via, comportamenti opportunistici da parte del cliente[13]. In altri termini, la mancata applicazione della disciplina regolamentare da parte dell'Autorità giudiziaria ha scongiurato il rischio di un utilizzo strumentale della normativa del conflitto, in disprezzo dei principi generali previsti, tra l'altro, a livello europeo, che mirano a funzionalizzare la discrezionalità dell'intermediario a vantaggio esclusivo del risparmiatore e del mercato[14].

In sintesi, applicando, forse inconsapevolmente, il principio della "supremazia del diritto comunitario", il Giudice di prime cure sfugge dal neo-formalismo negoziale su cui si appunta, invece, la (vigente) regolamentazione Consob ed accoglie un modello di gestione del conflitto che sposta la valutazione del comportamento dell'intermediario ex post, attraverso una difficile ma certamente più efficace analisi dell'"intenzione".


3. Provata la correttezza del comportamento della Banca, il Tribunale di Mantova ha censurato l'agere della stessa in punto di verifica della diligenza. In particolare, il Giudice ha puntualizzato che la "banca non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del TUF del regolamento Consob (...) che impongono all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati".

Assunto, inoltre, come risulta dalle indagini del c.t.u, che i titoli del debito argentino acquistati il 5 settembre 2001 erano considerati dalle principali agenzie di rating ad alto rischio, il Tribunale contesta all'istituto di credito il mancato rispetto della disciplina in materia di adeguatezza delle operazioni, così come prevista dall'art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/98.

Come correttamente osservato dal Giudice, il concetto di diligenza di cui all'art. 21, comma 1, lett. a) del TUF si riferisce alla "diligenza del buon professionista" e non a quella del "buon padre di famiglia". Pertanto, anche se non menzionata espressamente, la professionalità contrassegna la modalità di comportamento degli intermediari, precisando il significato della diligenza. È, quindi, al concetto di diligenza professionale che possono ricondursi gli obblighi richiamati in sentenza che gravano l'intermediario. In particolare, l'obbligo di acquisire le informazioni necessarie dai clienti e di operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati (art. 21, comma 1, lett. b) del TUF); l'obbligo di informarsi sulla situazione finanziaria dell'investitore, - c.d. know your customer rule - (art. 28, comma 1, lett. a) del Regolamento Consob) e l'obbligo di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione,- c.d. suitability rule - (art. 29, comma 1 del Regolamento Consob).


4. Al di là delle risultanze probatorie, sul punto non si può che condividere l'orientamento del Giudice là dove grava l'operatore dell'obbligo di fornire al cliente indicazioni precise circa la pericolosità dell'investimento, anche con riguardo al rischio rimborso capitale, non accogliendo le deduzioni difensive basate prevalentemente sull'assolvimento degli obblighi suddetti, come naturale conseguenza della consegna all'investitore del c.d. documento sui rischi generali degli investimento in strumenti finanziari.

Ai sensi dell'art. 28, comma 1, lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98, infatti, "prima (...) dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento (...), gli intermediari autorizzati devono (...) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all'Allegato n. 3"[15].

Il documento in esame dovrebbe mettere l'investitore nelle condizioni di comprendere la natura e il grado di esposizione al rischio delle operazioni in strumenti finanziari. Per raggiungere un obiettivo così ambizioso, la Consob, con un apprezzabile sforzo di semplificazione, sintetizza concetti complessi e sofisticati, (apparentemente) strumentali ad una miglior comprensione della dinamica delle operazioni nel mercato finanziario.

A titolo meramente esemplificativo, tramite il documento de quo, si insegna all'investitore neofita che "il rischio può essere idealmente scomposto in due componenti: il rischio specifico ed il rischio generico (o sistematico)"; inoltre, si mette in guardia lo stesso investitore del fatto che "il rischio sistematico per i titoli di capitale trattati su un mercato organizzato si origina dalle variazioni del mercato in generale; variazioni che possono essere identificate nei movimenti dell'indice del mercato". Ovvero che "il rischio sistematico dei titoli di debito (...) si origina dalle fluttuazioni dei tassi d'interesse di mercato che si ripercuotono sui prezzi (e quindi sui rendimenti) dei titoli in modo tanto più accentuato quanto più lunga è la loro vita residua (...)".

È agevole comprendere come, nella maggior parte dei casi, l'investitore non professionale non abbia gli strumenti cognitivi per poter metabolizzare informazioni così complesse e, in particolare, per funzionalizzarle nell'elaborazione delle strategie di investimento.

"Rischio sistematico", "rischio di cambio", "divisa", "opzioni di tipo americano" etc. sono termini che non appartengono al vocabolario dell'investitore comune, il quale, dinnanzi alla complessità attuale dell'ingegneria finanziaria, sente sempre più l'esigenza di investire nella fiducia della controparte, minimizzando i costi, soventi proibitivi, della "conoscenza".

Beninteso: quanto detto non deve essere interpretato come una presa di posizione contrastante con la policy della c.d. investor education; l'importanza di mettere gli investitori nelle condizioni di conoscere meglio i prodotti finanziari, di orientarsi più agevolmente nelle scelte di investimento, di utilizzare forme legittime di autotutela etc. è un dato di fatto ormai acquisito e certamente apprezzabile anche a parere di chi scrive[16].

Questo per dire che l'obbligo dell'intermediario di consegnare il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari deve essere considerato esclusivamente come una delle tante tecniche utilizzate dall'ordinamento giuridico per colmare il gap informativo tra le parti; e non, quindi, come una "diabolica" presunzione di consapevolezza del risparmiatore[17].

Siffatta chiave di lettura, accolta dal Tribunale di Mantova, conduce ad escludere che il mero rispetto da parte dell'intermediario dell'obbligo in questione trasformi - miracolosamente - il cliente non professionale in investitore consapevole, capace di tutelare da sé il proprio interesse e, in ultima analisi, in grado di assumersi i rischi dell'investimento compiuto. "L'intermediario deve comunque assicurare all'investitore la propria assistenza e la propria guida nella scelta delle operazioni da compiere, anche al di là delle asettiche e standardizzate informazioni riportate nel documento"[18].

In tale ottica, per giustificare, in termini tecnici, l'orientamento accolto dal Giudice di primo grado, viene in rilievo il concetto di adeguatezza delle informazioni che riecheggia all'art. all'art. 21, comma 1 lett. b) del TUF; il quale stabilisce, per l'appunto, che nella prestazione dei servizi di investimento e accessori gli intermediari finanziari devono operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati[19].

Il concetto di adeguatezza delle informazioni, che trova la propria fonte nell'art. 11, punto 5 della direttiva n. 93/22/CEE, consente, infatti, a prescindere dalle aprioristiche specificazioni della Consob, valutazioni discrezionali circa la definizione degli obblighi informativi, rimesse in prima battuta all'intermediario e in secondo luogo all'interprete.

Vi è, quindi, spazio - anche in Italia[20] - per un'interpretazione elastica della disciplina dell'informazione, in grado di evitare sia di circoscrivere l'informazione richiesta a quella prevista a livello regolamentare, sia di "travolgere il cliente sotto un flusso magmatico e incontrollato di dati di ogni sorta, con conseguenti, inevitabili, effetti distorsivi"[21].

In altri termini, il riferimento alle informazioni adeguate può essere utilizzato come strumento per rafforzare le regole informative previste a livello regolamentare e allo stesso tempo per attenuarne la rigidità. Il concetto di adeguatezza costituisce infatti nel settore in esame l'anello di congiuntura con i principi generali, così che gli obblighi informativi possono far leva sul principio di buona fede oggettiva e di professionalità ed essere applicati con gradazioni e intensità diverse in tutte le fasi del rapporto tra le parti[22].

Il riferimento all'adeguatezza presuppone naturalmente che le informazioni debbano essere modellate dall'intermediario alla luce delle peculiarità del rapporto con il cliente, in guisa che, a seconda della controparte, l'operatore finanziario dovrà calibrare diversamente gli obblighi informativi, soddisfando le specifiche esigenze informative proprie del singolo rapporto[23].

Siffatta chiave di lettura costituisce, in ultima analisi, un ostacolo ad un modello operazionale che utilizza in modo distorto il dovere di buona fede e di correttezza per imporre un dovere di informazione totalizzante. Restituire valenza operativa alla clausola della buona fede permette di non sacrificare gli interessi sostanziali delle parti (entrambe), evitando di creare un dogma alternativo - ma altrettanto pericoloso - a quello della volontà e dell'autonomia[24].


5. Come si è avuto modo di ricordare, il Tribunale di Mantova, ha censurato il comportamento della Banca - per quanto concerne il primo ordine di acquisto - anche in relazione al profilo dell' "adeguatezza dell'operazione". Una volta assunto che i titoli del debito pubblico argentino erano considerati di problematico rimborso, ai tempi della conclusione della operazione, il Tribunale ha osservato, a ragione, che "l'istituto avrebbe (...) dovuto segnalare l'inadeguatezza dell'operazione ai sensi dell'art. 29 del regolamento sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della sua dimensione (sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del patrimonio dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti e della circostanza che i clienti fossero investitori non professionali (...)".

La c.d. suitability rule - introdotta per la prima volta a livello europeo nell'ordinamento inglese contestualmente all'inizio del dibattito che avrebbe poi portato all'emanazione del Financial Services Act[25], e già nota da anni nell'ordinamento giuridico statunitense[26] - è disciplinata all'art. 29 del Regolamento Consob[27].

Il comma 1 della disposizione richiamata grava infatti gli intermediari finanziari dell'obbligo di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. Naturalmente, l'intermediario può astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni "non adeguate", solo se conosce specificamente l'esperienza degli stessi clienti nel campo degli investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione finanziaria, i loro obiettivi di investimento e la loro propensione al rischio.

In tale frangente, dunque, riemerge la centralità dei doveri informativi, ed in particolare di quel dovere previsto all'art. 21, comma 1, lett. b) del TUF che impone all'operatore finanziario di acquisire le informazioni necessarie dai clienti. Informazioni specificate all'art. 28, comma 1 lett. a) del Regolamento Consob[28].

Si aggiunga che l'assolvimento dell'obbligo in questione presuppone che gli intermediari abbiano adeguate informazioni sui prodotti finanziari oggetto della valutazione (c.d. know your merchandise rule)[29].

La sinergia tra i doveri richiamati è evidente, ed emerge altresì chiaramente nella motivazione della sentenza in commento. Gli intermediari, infatti, possono astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate in relazione alle caratteristiche finanziarie e personali della clientela solo se conoscono, in primo luogo, gli strumenti finanziari oggetto dell'operazione e, in secondo luogo, le caratteristiche della stessa clientela.

In sintesi, la know your merchandise rule e la know your custmomer rule sono prodromiche all'applicazione della suitability rule[30].

Poiché da un punto di vista giuridico il concetto fondante la suitability rule è quello della diligenza professionale, l'intermediario è responsabile per il compimento di un'operazione non adatta, qualora non abbia utilizzato tutti i mezzi e gli accorgimenti necessari per attuare il tipo d'attività in cui è ravvisabile la soddisfazione dell'interesse dell'investitore.

Essendo il "rischio" l'elemento più idoneo a dare significato al concetto di diligenza nell'ambito della suitability rule[31], compito dell'autorità giudiziaria è di verificare, attraverso l'ausilio di c.t.u., l'effettivo grado rischio dell'investimento in relazione all'avversione al rischio dell'investitore.

Una volta accertata l'esistenza di uno scarto tra tali due elementi l'investitore è automaticamente protetto dalla normativa sull'adeguatezza; ed il mancato rispetto della stessa da parte dell'intermediario, secondo ovvie considerazioni dettate da un'analisi costi-benefici, è di per sé sufficiente per censurarne il comportamento, in punto di verifica della diligenza[32].

Dalle evidenze processuali sembra potersi desumere che tale scarto sussistesse. Il profilo di rischio dell'investitore era infatti di media propensione, mentre era dato acquisito per il mercato che gli strumenti finanziari oggetto del contendere appartenessero alla categoria speculativa.

In questo quadro operativo la Banca non ha informato il cliente dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni per cui non era opportuno procedere alla sua esecuzione. Pertanto la decisione sul punto del Tribunale sembra ineccepibile e va accolta senza riserve alcune.


6. Come noto, il legislatore e la Consob non hanno preso posizione sulla natura invalidante e imperativa delle regole richiamate (artt. 21 TUF, 28 e 29 del Regolamento Consob). Si tratta di un atteggiamento che non caratterizza esclusivamente il settore che ci occupa.

Come la dottrina più qualificata ha avuto modo di puntualizzare "il legislatore non ha certo né la pazienza necessaria, né l'abitudine, di avvertirci ogni volta" se le regole legali "sono dotate di una qualità imperativa o dispositiva (...)"[33]. Spetta all'interprete ipotizzare "collegamenti fra la natura invalidante della norma e il carattere pubblico dell'interesse protetto dalla norma, il carattere oggettivo e incondizionato del divieto (...)"[34]

In presenza di una norma proibitiva non formalmente perfetta è quindi necessario controllare la natura sostanziale della disposizione violata, stabilendo se la stessa è dettata a tutela di un interesse pubblico[35]. In tale circostanza, una volta verificato che il negozio si pone in contrasto diretto con la norma imperativa, l'autorità giudiziaria, salva l'eccezione di una diversa disposizione di legge, commina la sanzione della nullità, così come previsto dall'art. 1418, comma 1 cod. civ.

Seguendo tale impostazione, il Tribunale di Mantova, dopo aver accertato che le disposizioni de quibus sono poste a salvaguardia del risparmio - ovvero di un interesse pubblico (costituzionale[36]) generale[37] - ha dichiarato, a ragione, la nullità dell'ordine d'acquisto[38] ai sensi e per gli effetti dell'art. 1418, comma 1 cod. civ.[39]; e come conseguenza della conditio indebiti sine causa ha condannato la Banca, ex art. 2033 cod. civ., alla restituzione dell'intero investimento oltre agli interessi[40], "posto che, nel dicembre 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni (c.d. default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna concreta assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale dell'investimento".

Come noto, il pagamento dell'indebito oggettivo, quale trasferimento di un valore patrimoniale che il solvens non aveva l'obbligo di effettuare, né l'accipiens il diritto di ricevere, costituisce il presupposto per l'esercizio dell'azione di ripetizione dell'indebito ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. Si aggiunga che il comportamento dell'accipiens, pur non legittimando un'automatica richiesta risarcitoria, non esclude al creditore di agire per chiedere l'ulteriore risarcimento del danno.

Tale profilo si inserisce nell'ambito del più ampio tema della responsabilità per conclusione di contratto invalido[41]. Tema quest'ultimo che conduce a sua volta al vivace dibattito sulla natura di tale responsabilità che, come noto, ruota principalmente intorno al limite (dell'interesse negativo o positivo) della risarcibilità dei danni.

Non è questa la sede più idonea per approfondire un argomento di così vasta portata. Ai fini che qui rilevano è sufficiente evidenziare come la tesi più accreditata ammette la risarcibilità dei danni nei limiti dell'interesse negativo. Forma infatti "oggetto dell'obbligo del risarcimento quel danno che la controparte avrebbe evitato se avesse saputo che la prestazione promessa non era dovuta e non sarebbe stata effettuata; e non, invece, il lucro che la controparte avrebbe conseguito per effetto della prestazione promessa"[42].

Nel caso che ci occupa, parte attorea ha insistito per la liquidazione degli ulteriori danni subiti. Il Giudice tuttavia in mancanza di prova (anche presuntiva) del danno ex art. 1224, comma 2 cod. civ. ha - a ragione - rigettato la domanda, limitandosi a condannare la Banca al pagamento del capitale e degli interessi.


7. Quanto alla seconda operazione di investimento il Giudice ha valutato diversamente il profilo dell'adeguatezza di cui all'art. 29 del Regolamento Consob "(...) atteso che, in tal caso, la banca aveva segnalato l'inadeguatezza dell'operazione e che, ciò nonostante, il cliente aveva confermato per iscritto l'ordine di acquisto".

In merito, il Tribunale osserva "che a fronte della segnalazione dell'inadeguatezza dell'operazione, la normativa non prevede un divieto di dare esecuzione all'operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e cioè la conferma scritta dell'ordine che, nel caso di specie, è stata data".

In particolare, come risulta dalla motivazione della sentenza, l'inadeguatezza era stata segnalata dall'intermediario all'investitore "in relazione al fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero patrimonio (...) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta suscettibile di oscillazioni".

Da un punto di vista formale, l'impostazione accolta dal Giudice sembra - apparentemente - ineccepibile. Nel caso in cui un'operazione disposta dal cliente si configuri come inadeguata, l'intermediario è infatti tenuto al mero rispetto degli ulteriori adempimenti dettati dall'art. 29, comma 3, del Regolamento n. 11522/98 e, in particolare, a informare il cliente dell'inadeguatezza dell'operazione disposta e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dar corso all'operazione, l'intermediario può eseguire l'operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto (...) in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute[43].

Per vero, nel caso di specie, e da quanto risulta dai motivi della sentenza, tale disposizione è stata rispettata solo in parte, posto che la Banca, una volta informato verbalmente l'investitore dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni per le quali non era opportuno procedere, si è limitata a far figurare sulla conferma d'ordine la dicitura "operazione non adeguata". In altri termini, nell'ordine impartito per iscritto non si è "fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute", come invece prescritto dall'ultima parte dell'art. 29, comma 3 del Regolamento Consob.

Questo per dire che il richiamo del Tribunale all'art. 1350 cod. civ. in tema di libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale vale relativamente alla prima parte della disposizione mentre, per esplicita previsione normativa, deve essere disatteso avendo riguardo alla seconda parte, che prescrive, per l'appunto, all'operatore di formalizzare per iscritto le ragioni per le quali l'operazione deve considerarsi inadeguata e quindi per le quali non è opportuno procedere[44].

L'intento primario perseguito dal legislatore e dalla Consob attraverso il formalismo negoziale è di tutelare il contraente disinformato, il risparmiatore, cercando di ridurre il gap informativo che separa quest'ultimo dall'intermediario[45]. Soprattutto nel mercato finanziario, dove gli studiosi dell'economia dell'informazione[46] hanno da tempo sottolineato che solo una piena efficienza informativa è idonea ad assicurare il buon funzionamento e l'integrità del mercato[47], si è imposta prepotentemente l'idea che il formalismo negoziale debba far sì che le parti trattino in una posizione di simmetria informativa. Idea, quest'ultima, alimentata da una giurisprudenza pratica e teorica che ha visto nei doveri informativi un efficace strumento per imporre una maggior giustizia contrattuale o un modello più razionale[48]. In altri termini, i regulators sembrano funzionalizzare il formalismo che permea l'articolata disciplina informativa alla creazione di un investitore capace di tutelare da sé i propri interessi e prendere delle consapevoli decisioni di investimento.

Si tratta naturalmente di un'illusione che nella realtà genera mostri[49].

In guisa che, nel caso che ci occupa non sarebbe stata probabilmente sufficiente un'informativa scritta per mettere il cliente nelle condizioni di effettuare un investimento "consapevole e informato", tenuto peraltro conto che tra la prima e la secondo operazione non sono intercorsi più di quattordici giorni.

Tali brevi riflessioni mettono comunque in luce la fragilità della motivazione della sentenza sul punto.

Il Tribunale di Mantova non censura, infatti, la condotta della Banca in quanto la stessa avrebbe rispettato, nella forma, la disciplina regolamentare; parimenti il Giudice non si sofferma a verificare se l'intermediario abbia effettivamente perseguito l'utilità del risparmiatore (oltre che l'integrità del mercato), utilizzando quei mezzi e quegli accorgimenti (non meramente formalisti) necessari per attuare il tipo d'attività in cui è ravvisabile la soddisfazione dell'interesse di controparte.

In altri termini, assumendo (peraltro erroneamente, a parere di chi scrive) il rispetto "formale" della disciplina regolamentare (cfr. supra), l'Autorità giudiziaria non ravvede alcuna illegittimità nel comportamento della Banca, appellandosi "formalmente", per giungere a tali conclusioni, al "principio della libertà delle forme".

Giova precisare, a scanso di equivoci, che la disciplina specifica dei comportamenti degli intermediari finanziari, che caratterizza il settore in esame, non esclude l'opportunità e sovente la necessità di ricorrere alla disciplina di diritto comune.

Questo per dire che prima di applicare lo standard di condotta elaborato in sede regolamentare dalla Consob, i giudici devono verificarne l'efficienza e l'effettività alla luce del caso di specie, potendo riservarsi il potere di (ri)scrivere, almeno in parte, il contenuto del concetto di diligenza.

È interessante notare dunque come nella prima parte della motivazione l'Autorità giudiziaria attinge alle regole di diritto comune[50] per interpretare, nel rispetto del principio di legalità, la disciplina regolamentare della Consob: ad esempio, in materia di conflitto di interessi, ovvero in materia di "informazioni adeguate". Mentre nella seconda parte il Giudice di Mantova si appunta su regole formali(ste), peraltro interpretandole, si è visto, non del tutto correttamente, senza tener conto di quei principi e di quelle regole relative alla libertà di mercato, alla responsabile autodeterminazione di chi nel mercato opera e alla tutela del risparmio. Principi su cui si fonda il codice civile e più in generale il nostro diritto privato[51].


8. La seconda operazione d'acquisto si inserisce nell'ambito di quel fenomeno che gli operatori di settore definiscono come "mediazione al ribasso". La c.d. average down consiste, in veloce sintesi, in quella tecnica di investimento che prevede l'acquisto di strumenti finanziari della stessa tipologia (non solo della stessa specie[52]) in tempi diversi, a seguito di una flessione dei corsi sul mercato.

L'obiettivo che si persegue con tale tecnica è di strutturare un portafoglio con un pacchetto di titoli aventi un prezzo medio di carico inferiore ai prezzi d'acquisto iniziali.

La prassi di "mediare" i prezzi di carico di una posizione titoli, nonostante abbia un appeal intuitivo, non ha nessun fondamento teorico, e sotto il profilo della gestione del rischio è considerata dagli studiosi di settore priva di qualsiasi validità scientifica.

Se la posizione dell'investitore perde è evidente che anche il capitale netto investito si riduce di valore, in guisa che mediando il prezzo di carico si incrementa l'esposizione al rischio[53].

È infatti noto che la scelta di acquistare uno strumento finanziario con un trend al ribasso è del tutto indipendente dalla storia della posizione, ma dipende esclusivamente dalle aspettative sul futuro.

"Ammettiamo (...) che un investitore abbia comprato a 10.000 lire mille azioni che ora valgono 6.000 lire. In un caso simile converrebbe comprarne altre, per es. la stessa quantità già posseduta: »infatti così - questo è il ragionamento che si sente - il prezzo medio di carico scende a 8.000 lire e dunque la perdita media passa dal 40% al 25%». Peccato che la perdita media percentuale non conti nulla. Conta quella in termini assoluti (cioè tante lire, tanti euro...), che non cambia di un centesimo per quanti ulteriori acquisti si facciano. Prima era di 4.000 lire per mille titoli, dopo sarebbe di 2.000 lire per duemila titoli: dunque sempre di quattro milioni. Anche per il futuro le prospettive non migliorano per il semplice fatto di aver ridotto i costi medi. È vero infatti che dopo basterebbe un rialzo di 2.000 lire della quotazione per trovarsi complessivamente in pareggio. Ma ciò si è ottenuto raddoppiando l'investimento. Raddoppiando quindi non solo i possibili guadagni, ma anche le possibili perdite. Un ulteriore investimento nello stesso titolo si farà (o non si farà) in funzione delle sue prospettive, senza nessun riferimento ai prezzi di carico"[54].

Non intendiamo approfondire temi che sfuggono alla competenza di chi scrive. Pur tuttavia, ai fini dell'analisi che si conduce, è opportuno evidenziare come la "mediazione al ribasso" sia di per sé una tecnica di investimento insidiosa (speculativa), giacché spinge l'investitore ad aumentare la propria esposizione contro il mercato, in disprezzo sia dei principi fondamentali di analisi finanziaria sia della regola basilare della diversificazione (regola unanimemente riconosciuta e condivisa dagli esperti di settore).

Nel caso che ci occupa, come si è ricordato, la seconda operazione di acquisto dei bonds argentini integra, nei fatti, un fenomeno di mediazione al ribasso. In altri termini, l'operazione in questione è speculativa, giacché raddoppia l'esposizione al rischio del risparmiatore; e come tale è inadeguata per un investitore con un profilo di rischio medio.

Se così è, la suitability rule deve proteggere il cliente anche in tale frangente, obbligando l'intermediario a informare il cliente dell'inadeguatezza di una operazione "average down" e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione.

Nel caso di specie questo non è avvenuto. Come emerge dalla pronuncia in commento, l'inadeguatezza era stata segnalata dall'intermediario all'investitore esclusivamente "in relazione al fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero patrimonio (...) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta suscettibile di oscillazioni". Mentre nulla si dice sulla rischiosità della tecnica di investimento utilizzata, e probabilmente consigliata dalla stessa Banca, tenuto conto, come si legge nei motivi, "(...) che i clienti erano investitori non professionali (funzionario di amministrazione statale [...] e casalinga)".

Ciò sembra sufficiente, per censurare, in punto di accertamento del rispetto della regola sull'adeguatezza delle operazioni, il comportamento della Banca, anche avendo riguardo alla seconda operazione d'investimento.


9. In conclusione, giova ricordare che, il 21 aprile 2004, è stata approvata la Direttiva n. 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari. Come noto, l'iniziativa del legislatore di Bruxelles, in armonia con gli indirizzi strategici delineati dal Consiglio europeo di Lisbona[55] e dal Piano d'azione per i servizi finanziari, è finalizzata a modernizzare il quadro normativo europeo per far fronte alle esigenze del nuovo contesto in cui si svolge la negoziazione degli strumenti finanziari.

La direttiva n. 04/39, fra l'altro, riscrive la disciplina delle norme di condotta poste a tutela dei risparmiatori, tenendo conto degli standard di tutela degli investitori adottati recentemente dal CESR.

Il legislatore comunitario non si limita più a codificare alcuni standard comportamentali di ampio respiro, ma individua nel dettaglio regole di condotta, demandando peraltro al CESR il compito di formulare le disposizioni più analitiche e soggette ad una rapida obsolescenza[56].

I criteri della professionalità e della buona fede vengono specificati nel dettaglio.

La disciplina dei contratti, il principio della know your customer, gli obblighi di trasparenza sulle operazioni da eseguire, la suitability rule, etc. diventano regole di diritto comunitario.

È interessante ricordare, ai fini che qui rilevano, che la nuova direttiva ha fissato i criteri e le procedure che consentono di stabilire se un cliente possa essere considerato professionale, ai fini dell'applicazione della normativa di riferimento (Allegato II).

L'impostazione accolta dal Parlamento e dal Consiglio è condivisibile. Si individuano, infatti, alcune categorie di soggetti da considerarsi investitori professionali[57], senza peraltro privarli della possibilità di richiedere un livello di protezione più elevato. Non solo. Quando il cliente è una società (...), prima dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento, l'operatore finanziario deve informarlo che, sulla base delle informazioni di cui dispone, esso viene considerato cliente professionale e verrà trattato come tale, salvo una diversa pattuizione a riguardo. Vi è, altresì, un onere di informare il cliente della facoltà di richiedere una modifica dei termini dell'accordo, per ottenere un maggior livello di protezione.

Infine, e più importante, la Commissione ha previsto che anche i clienti non "istituzionali", tra cui i singoli investitori privati, possano essere autorizzati a rinunciare a talune delle protezioni previste dalle norme di comportamento[58]. Si tratta di un orientamento che modifica l'attuale sistema normativo. La Consob presuppone(va), a torto, che vi sia (fosse) un'identità tra persona fisica e contraente debole[59], escludendo al private investor la possibilità di richiedere la disapplicazione della stringente disciplina di settore[60]. In tale contesto, per evitare di paralizzare il sistema la gestione della regola sull'adeguatezza delle operazioni veniva affidata alla discrezionalità professionale dell'intermediario.

È evidente tuttavia che nel nuovo quadro operativo è opportuno ripensare alla regola di cui si discute. Una volta infatti che un investitore privato decide di avvalersi della (costosa) protezione delle conduct of business rules è preferibile un modello di suitability rigido, che non consenta alcuna deroga alle parti entrambe[61].

In altri termini, verificato ex ante che l'investitore non è sofisticato, e che non è dunque in grado di assumere delle consapevoli scelte di investimento sarebbe ragionevole gravare l'intermediario dell'obbligo inderogabile di non porre in essere operazioni unsuitable.

Si tratta di un modello razionale. È meno costoso spostare la valutazione dell'operazione (rispetto al cliente) all'inizio del rapporto che in corso di esecuzione. Si aggiunga che, da un punto di vista equitativo, si evitano fenomeni di abuso del diritto, di cui sovente lo stesso interprete è impotente spettatore.

* * * * *

TRIBUNALE DI MANTOVA, 18 marzo 2004 - MAURO BERNARDI Giudice unico. - Gambuti e Meani - Banca Agricola Mantovana Spa.

Obbligazioni e contratti - Negoziazione per conto terzi di strumenti finanziari - Obbligazioni argentine - Conflitto di interessi - Informazione adeguata - Suitability rule - Nullità

Ai sensi degli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 e succ. mod. gli intermediari finanziari devono operare in modo tale che i clienti siano sempre adeguatamente informati sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio e devono astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. La violazione di tali norme, poste a presidio di interessi costituzionalmente rilevanti, comporta la nullità ex art. 1418 cod. civ. del contratto (ordine) di acquisto e il conseguente obbligo dell'intermediario di restituire la somma di danaro investita, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2033 cod. civ.


Omissis. -
Svolgimento del processo: Con atto di citazione notificato in data 20-2-2002 gli attori, assumevano di avere fatto confluire parte dei propri risparmi, depositati presso altro istituto di credito, sul conto corrente cointestato n. 160/32/123080 acceso presso la B.A.M., in un primo tempo utilizzato per far fronte alle piccole spese, in quanto allettati dalle vantaggiose offerte proposte dalla banca convenuta, conto che, alla data del 31-7- 2001, presentava un saldo attivo di £ 98.625.187.

Gli istanti aggiungevano che al Gambuti, recatosi presso l'agenzia bancaria ove era stato invitato a presentarsi, era stata rappresentata dal funzionario addetto l'opportunità di acquistare obbligazioni argentine di cui la banca era in possesso, in quanto esenti da ogni rischio ed aventi un alto rendimento e che, stante la convenienza dell'operazione consigliata, il Gambuti aveva deciso di investire anche ulteriori risparmi tanto che, il 5-9- 2001, egli aveva versato sul conto la somma di £ 440.000.000 sottoscrivendo, il medesimo giorno, un ordine d'acquisto di 315.000 titoli (argent. 00/07 10% EU) per un controvalore di £ 501.332.658.

Da parte attorea veniva precisato che, in occasione dell'ordine di acquisto di cui sopra, il Gambuti, contestualmente alla consegna di un documento sui rischi generali degli investimenti, aveva sottoscritto, in qualità di consumatore, una richiesta di apertura del deposito a custodia e amministrazione titoli ed un questionario in cui si dava atto che l'esperienza degli esponenti era medio-bassa con media propensione al rischio.

I coniugi istanti asserivano inoltre di essere stati avvertiti qualche giorno dopo dal medesimo funzionario che, a seguito degli attentati del 11-9-2001 e del crollo dei mercati finanziari, si era verificata una diminuzione della quotazione dei titoli destinata ad essere riassorbita e che ciò avrebbe costituito una ottima occasione per un ulteriore investimento anche al fine di mediare il prezzo delle obbligazioni acquistate il 5 settembre rendendo così più sicuro l'investimento: a seguito di ciò gli esponenti, dopo avere liquidato una polizza costituita presso la Banca di Parma e Piacenza con una perdita di circa £ 120.000.000, convogliavano il ricavato sul conto acceso presso la B.A.M. ed il 19-9-2001 veniva sottoscritto un ulteriore ordine d'acquisto di 400.000 obbligazioni argentine 2010 11,375% per un controvalore di £ 502.708.000, operazione che la banca segnalava come inadeguata ma che veniva confermata dal Gambuti.

Alla luce di tali fatti e del successivo azzeramento del valore del titolo a seguito della crisi finanziaria che aveva colpito lo stato argentino, gli attori convenivano in giudizio la banca onde essere risarciti dei danni patiti per effetto dell'operato della banca deducendo la nullità ovvero l'annullabilità dei contratti d'acquisto delle obbligazioni in questione.

Essi premettevano che gli istituti finanziari già alla fine di luglio del 2001 sarebbero stati a conoscenza dello stato d'insolvenza dell'Argentina come si poteva desumere dagli articoli apparsi sulla stampa specializzata nonché dal basso rating attribuito ai titoli in questione dai più rinomati istituti specializzati e che la banca, al fine di evitare una perdita certa e rilevante, avrebbe illecitamente indotto i correntisti ad investire i propri risparmi nell'acquisto delle obbligazioni argentine con una serie di artifizi, consistiti anche nell'omissione delle necessarie informazioni circa l'affidabilità del titolo, con ciò violando il disposto di cui all'art. 28 co. II del regolamento Consob emanato in attuazione del d.lgs. 58/98.

La difesa degli attori sosteneva quindi l'invalidità dei contratti d'acquisto ex art. 1418 c.c. in relazione all'art. 640 c.p. nonché ai sensi del combinato disposto degli artt. 1427 e 1439 c.c..

Veniva inoltre sostenuto che la banca avrebbe violato, nel caso di specie, l'art. 21 del d. lgs. 58/98 e gli artt. 26-27-28 e 29 del regolamento Consob, da considerarsi tutte come norme imperative ex art. 1418 c.c..

In subordine veniva fatto rilevare che la firma di Menani Luciana in realtà sarebbe stata apposta sui documenti contrattuali dal marito: posto che gli atti negoziali in questione richiedevano ad substantiam la forma scritta, che il marito non aveva una procura scritta e che non era intervenuta ratifica scritta del suo operato, la difesa degli attori sosteneva l'inopponibilità alla Menani dei contratti, con la conseguenza che la banca avrebbe dovuto restituire metà delle somme investite.

La B.A.M., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda affermando a) che gli istanti non erano sprovveduti risparmiatori avendo in precedenza investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale predisposta dalla B.A.M. di natura altamente speculativa (ed internamente classificata come C3 ossia aperta in titoli esteri sino al 25 % del capitale investito e all'investimento in titoli azionari italiani sino al 50% del patrimonio) nonché in una Sicav ed in una polizza Index allocate presso la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza; b) che il funzionario della B.A.M. aveva fornito al Gambuti tutti i necessari ragguagli circa la rischiosità dell'investimento anche in considerazione dell'alto rendimento previsto per l'obbligazione in questione desumibile dal confronto con quello assicurato dai titoli di stato italiani, consegnando il prescritto documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari che, con riguardo ai titoli di debito, contempla specifiche indicazioni nell'art. 1.3 co. III; c) che il Gambuti, pur avendo rifiutato di fornire indicazioni sulla sua situazione finanziaria, aveva però dichiarato nel corso del colloquio con il funzionario della banca, di avere investito importanti importi in strumenti finanziari, di puntare all'elevata rivalutabilità dell'investimento in rapporto al rischio di oscillazione dei corsi, opzione questa che avrebbe rappresentato una scelta verso strumenti finanziari ad elevato rischio di oscillazione ed infine di avere una media propensione al rischio: da tali dati e dalle pregresse esperienze di investimento sarebbe emerso un profilo di risparmiatore quale soggetto di medio-alta disposizione all'investimento speculativo sicché l'operazione impartita era apparsa perfettamente in linea con le propensioni all'investimento del risparmiatore; d) che la B.A.M. non aveva i titoli argentini nel proprio portafoglio avendoli dovuti acquistare sul mercato (non regolamentato) a seguito dell'ordine impartito il 5-9-2001 dal Gambuti; e) che, in occasione del secondo ordine, la banca aveva segnalato l'inadeguatezza dell'operazione e che, nondimeno, il Gambuti aveva ordinato l'acquisto dei titoli (denominati in dollari) nonostante il prezzo delle obbligazioni, nel giro di due settimane fosse già notevolmente calato e che, anche in questa occasione, la banca aveva acquistato i titoli sul mercato.

In considerazione di quanto sopra esposto la difesa della B.A.M. rilevava come non sussistessero né i presupposti della truffa contrattuale né quelli per l'annullamento del contratto ex art. 1439 c.c. non essendo stati adoperati raggiri per indurre il proprio correntista all'investimento in obbligazioni argentine ed inoltre che sarebbe stata scrupolosamente osservata la normativa sul collocamento dei titoli anche tenendo conto della propensione agli investimenti in strumenti finanziari in concreto dimostrata dall'ordinante.

In ordine poi alla domanda svolta in via subordinata e con particolare riguardo alla posizione di Menani Luciana, la banca faceva rilevare che, sul conto corrente, potevano operare anche disgiuntamente i due coniugi, che gli ordini erano stati impartiti dal Gambuti e che la Menani non aveva mai contestato gli addebiti operati sui conti in conseguenza dell'acquisto dei titoli, sicché, anche sotto tale profilo, la domanda doveva essere rigettata.

Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u. affidata al dott. Chizzoni, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi: La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono.

Preliminarmente va respinta l'eccezione di incapacità del teste Marani, dipendente della banca, tempestivamente eccepita ex art. 246 c.p.c. dalla difesa degli attori.

Invero secondo la giurisprudenza di legittimità non comporta incapacità a testimoniare per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell'operazione che ha dato origine alla controversia poiché le due cause si fondono su rapporti diversi e i dipendenti hanno un interesse solo riflesso a una determinata soluzione della causa principale che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l'esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi alcun pregiudizio (in tali termini vedasi Cass. 4-3-1993 n. 2641; Cass. 28-1-1983 n. 771; Cass. 27-1-1979 n. 623): la sua dichiarazione è quindi pienamente utilizzabile salva un'attenta valutazione sotto il profilo dell'attendibilità. Né ha fondamento la deduzione secondo cui l'incapacità deriverebbe dal fatto che, nei confronti del funzionario, sarebbe ipotizzabile un concorso in truffa contrattuale atteso che l'incapacità prevista dall'art. 246 c.p.c. ricorre solo quando la persona chiamata a deporre abbia nella causa un interesse concreto ed attuale che sia tale da coinvolgerla nel rapporto controverso e da legittimare una sua assunzione della qualità di parte nel giudizio e non è pertanto ravvisabile quando tale persona sia portatrice di un interesse di mero fatto ad un determinato esito del giudizio stesso: ne consegue che la dedotta incapacità non sussiste (peraltro non risulta nemmeno che il teste sia stato sottoposto a procedimento penale), atteso che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 85 del 1983, ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 246 c.p.c nella parte in cui non prevede l'incapacità a deporre nel giudizio civile di chi è imputato di un fatto-reato su circostanze relative o connesse al fatto medesimo (in tal senso vedasi Cass. 3-2-1993 n. 1341).

Ciò premesso va osservato che dalla documentazione dimessa e dagli accertamenti svolti dal consulente è emerso come la B.A.M. non avesse i titoli argentini nel proprio portafoglio ma li abbia acquistati sul mercato contestualmente al ricevimento dell'ordine da parte del cliente.

Va poi aggiunto che non è stato in alcun modo provato che fosse stato il funzionario a consigliare agli istanti l'acquisto dei titoli: la circostanza che i risparmiatori fossero stati invitati a recarsi in banca per valutare le possibilità di investimento non appare di per sé significativa tenuto conto della assai scarsa remunerazione riconosciuta ai fondi lasciati sul conto corrente sicché deve ritenersi che l'invito in questione sia stato rivolto unicamente al fine di rappresentare ai clienti l'opportunità di investire il denaro in impieghi più vantaggiosi.

Da tutto ciò deriva che è infondata la domanda attorea diretta a sostenere l'invalidità degli ordini d'acquisto ex artt. 1418 e 1439 c.c. non essendovi alcuna prova che l'istituto, nel caso di specie, avesse artificiosamente indotto i clienti ad acquistare i titoli obbligazionari in questione con il fine di recare ad essi danno, dovendosi altresì osservare, con riguardo alla prima delle prospettazioni che, per aversi contrarietà a norme imperative ai sensi dell'art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto il comportamento materiale delle parti (in tal senso vedasi Cass. 25-9-2003 n. 14234).

Per quanto attiene invece alle altre censure sollevate occorre valutare separatamente i singoli atti di acquisto dei titoli. Con riguardo all'ordine impartito il giorno 5-9-2001 va in primo luogo escluso che la B.A.M. abbia violato il disposto di cui agli artt. 21 I co. lett. c) d. lgs. 58/98 e 27 reg. Consob per non avere segnalato di avere un interesse in conflitto con quello del cliente. Premesso che la convenuta non aveva tali titoli nel proprio portafoglio e pur avendoli essa acquistati, tramite il circuito telematico Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la B.A.M., del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della MPS Finance), dalla consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato era il migliore rispetto a quello praticato dagli altri c.d. "contributori" agenti sul mercato sicché nessun danno è derivato agli attori: l'art. 27 reg. Consob deve infatti interpretarsi alla stregua del principio giurisprudenziale affermatosi in sede di applicazione dell'art. 1394 c.c. secondo cui la responsabilità del rappresentante che persegua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato sussiste solo ove alla utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé o per il terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato (cfr. Cass. 17-4-1996 n. 3630; Cass. 16-2-1994 n. 1498; Cass. 19-9-1992 n. 10749; Cass. 25-1-1992 n. 813).

Deve invece ritenersi che la banca non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.

In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall'indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino acquistati il 5-9-2001, nel mese di luglio 2001 l'agenzia Moody's aveva attribuito come rating la valutazione Caa1 (indicante un titolo ad alto rischio di insolvenza) e che, nell'anno precedente, tali obbligazioni erano state classificate rispettivamente, B1 (20-8-2000), B2 (20-3-2001 e 4-6-2001), B3 (13-7-2001), laddove tali indicatori designano titoli molto speculativi che offrono scarsa sicurezza di puntualità del pagamento nel lungo termine, con una valutazione progressivamente negativa da B1 a B3.

Nella valutazione di Standard & Poor's invece al titolo in questione era stato attribuito il seguente rating con andamento parimenti sempre più negativo: BB (15-9-2000), B (8-5- 2001), B (6-6-2001), B- (12-7-2001), CCC+ (9-10-2001), laddove le prime classificazioni indicano titoli speculativi in cui il debitore mantiene al momento la capacità di onorare i propri impegni ma condizioni avverse di mercato potrebbero incidere negativamente sulla stessa, mentre l'ultima designa un debitore ad alto rischio di insolvenza nel senso che, ove le condizioni di mercato divengano sfavorevoli, molto probabilmente il debitore non sarà in grado di onorare i propri impegni.

In proposito va detto che i titoli obbligazionari argentini al momento dell'acquisto da parte degli istanti erano considerati ad alto rischio di insolvenza dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, entrambe le agenzie avevano ripetutamente rivisto in senso negativo il loro giudizio sull'affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino (c.d. downgrading): per quanto riguarda il rating leggermente più favorevole indicato da Standard & Poor's nel periodo antecedente l'acquisto, va osservato che, poiché rientra nelle massime di comune esperienza il dato secondo cui, di fronte a valutazioni divergenti (peraltro modeste nel caso di specie), gli investitori prendono in considerazione quella più negativa (peraltro già nell'ottobre del 2001 il rating attribuito da tale agenzia si era allineato a quello espresso da Moody's), deve ritenersi che costituisse dato acquisito per il mercato quello secondo cui i titoli del debito pubblico argentino erano considerati di roblematico rimborso.

Al riguardo va osservato che la banca doveva fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che il cliente intendeva porre in essere (obbligo imposto dall'art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522), informazione che, trattandosi di soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell'operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell'ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l'interesse dei clienti (v. artt. 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98, non senza dimenticare che la tutela del risparmio è addirittura imposta dall'art. 47 della Costituzione), necessariamente comprendeva l'indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell'investimento operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dovendosi ritenere, sotto tale profilo, che la banca sia obbligata a conoscere tali dati e, conseguentemente, a riferirli al cliente.

Non vale poi a far ritenere immune da censure il comportamento da parte della B.A.M., la circostanza che il funzionario escusso abbia riferito di avere evidenziato la rischiosità dell'investimento anche in relazione al paese emittente e di avere parlato di rating con il cliente: pur prescindendo da ogni considerazione circa l'attendibilità del teste, va detto che tali avvertenze avevano carattere del tutto generico laddove la banca avrebbe dovuto espressamente informare il cliente del fatto che gli analisti del mercato consideravano a rischio il rimborso stesso del capitale.

Né merita adesione la deduzione difensiva dell'istituto secondo cui il risparmiatore sarebbe comunque stato in grado di valutare la pericolosità dell'operazione alla luce delle indicazioni contenute, in particolare, nell'art. 1.3 del documento previsto dall'art. 28 lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98, atteso che tali indicazioni hanno carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quell'investimento. Va poi aggiunto che l'art. 23 u.c. del d. lgs. 58/98 pone a carico dei soggetti abilitati all'esercizio dei servizi di investimento l'onere di provare di avere agito con la specifica diligenza richiesta e tale onere probatorio, per quanto sopra osservato, non è stato assolto dalla banca.

Appare inoltre fondato il rilievo secondo cui l'istituto avrebbe comunque dovuto segnalare l'inadeguatezza dell'operazione ai sensi dell'art. 29 del regolamento sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della sua dimensione (sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti e della circostanza che i clienti fossero investitori non professionali (funzionario di amministrazione statale il Gambuti e casalinga la moglie).

A tale riguardo va rilevato che la banca ha sostenuto di non aver violato la c.d. suitability rule in considerazione della propensione al rischio manifestata dai clienti anche in relazione alla pregressa operatività posto che in precedenza il Gambuti aveva investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale B.A.M. del tipo C3 (ossia la più rischiosa dopo quella puramente azionaria secondo la classificazione interna dell'istituto) e che al funzionario l'attore avrebbe riferito di avere investito i propri risparmi in una Sicav ed in una polizza Index tramite la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (circostanza questa non negata dal Gambuti e riferita sin dall'atto introduttivo dalla difesa della B.A.M. che pertanto, ex art. 118 c.p.c., può ritenersi provata).

Dal documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari risulta che i clienti avevano indicato quale proprio obiettivo di investimento (in una graduatoria da uno a cinque in cui al numero più basso corrisponde il rischio minimo) il punto 4 (prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi) mentre, in ordine alla propensione al rischio, nell'ambito delle opzioni alta, media e bassa, essi avevano indicato quella media.

Orbene alla stregua di siffatte evidenze deve ritenersi non provato che il profilo di rischio dei clienti potesse individuarsi in quello puramente speculativo posto che la gestione patrimoniale in precedenza accesa presso la B.A.M. riguardava comunque una gestione (sia pure la più aggressiva) di tipo bilanciato (caratterizzata quindi anche dalla presenza di titoli obbligazionari emessi dallo stato) e che si trattava comunque di uno strumento finanziario affidato alla gestione di un operatore professionale (analoghe considerazioni valgono anche per quanto concerne l'investimento in una Sicav e nella polizza Index).

Per la prima operazione di acquisto la domanda attorea risulta quindi fondata essendo stati dimostrati la violazione, da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (diligenza degli intermediari nonché tutela del risparmio) e della natura generale di siffatti interessi (per l'affermazione di tale principio in termini generali vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272) nonché il danno subito dai clienti concretatosi nella perdita dell'intero investimento posto che, nel dicembre del 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni (c.d. default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna concreta assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale dell'investimento.

A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alla seconda delle operazioni di acquisto dei c.d. tango bonds atteso che, in tal caso, la banca aveva segnalato l'inadeguatezza dell'operazione e che, nonostante ciò, il Gambuti aveva confermato per iscritto l'ordine di acquisto.

Al riguardo va osservato che, a fronte della segnalazione dell'inadeguatezza dell'operazione, la normativa non prevede un divieto di dare esecuzione all'operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e cioè la conferma scritta dell'ordine che, nel caso di specie, è stata data. Il funzionario di banca ha chiarito, nel corso dell'escussione, che l'inadeguatezza era stata segnalata all'investitore in relazione al fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero patrimonio (secondo quanto era a conoscenza della banca alla stregua delle dichiarazioni rese dal Gambuti in occasione dei vari incontri, atteso che lo stesso aveva rifiutato di dare informazioni sulla propria situazione finanziaria ex art. 28 reg. Consob) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta suscettibile di oscillazioni.

In proposito va osservato che siffatte dichiarazioni appaiono pienamente attendibili trovando riscontro nella documentazione in atti mentre non può accedersi alla tesi difensiva secondo la quale la norma di cui all'art. 29 reg. Consob sarebbe comunque stata violata non avendo la banca predisposto documentazione scritta delle avvertenze date e figurando sulla conferma d'ordine unicamente la dicitura "operazione non adeguata" atteso che l'art. 29 co. III reg. Consob prescrive agli intermediari l'obbligo di informare l'investitore dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione, senza peraltro imporre una specifica forma dovendosi notare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dall'art. 1350 c.c. si desume sussistere il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale in mancanza di fonti legali o contrattuali che prevedano la forma scritta (cfr. Cass. 17-1-2001 n. 577; Cass. 3-3-1994 n. 2088).

Pur apparendo assorbenti le considerazioni sopra formulate va aggiunto che deve escludersi che tale secondo acquisto sia stato effettuato in violazione del disposto di cui all'art. 27 reg. Consob atteso che la B.A.M. aveva comperato i titoli dalla società (di diritto svizzero) Arcadia Securities in relazione alla quale non è emersa l'esistenza di rapporti rilevanti ai fini dell'applicazione della norma sopra richiamata.

Parimenti infondata risulta la deduzione difensiva attorea (peraltro svolta solamente in comparsa conclusionale) circa la pretesa nullità dell'acquisto in relazione al disposto di cui all'art. 30 del regolamento Consob atteso che il documento contrattuale contiene tutti gli elementi essenziali per lo svolgimento dell'attività di raccolta ordini e negoziazione (durata, modifiche del contratto, modalità di conferimento degli ordini, misura di commissioni e spese sia pure indicata con rinvio ai fogli informativi analitici).

Né, con riguardo all'acquisto dei titoli effettuato il 19-9-2001, può trovare accoglimento la domanda, proposta in via subordinata, diretta ad ottenere la restituzione della metà del capitale investito sul presupposto che la sottoscrizione di Menani Luciana sui vari documenti contrattuali sarebbe stata apposta dal marito: premesso che la banca si è limitata a prendere atto delle affermazioni di controparte senza riconoscere alcunché, occorre infatti rilevare che incombeva sugli attori ex art. 2697 c.c. l'onere, dai medesimi non assolto, di provare il proprio assunto laddove l'acquisto deve ritenersi formalmente regolare posto che il contratto prevedeva un'operatività con firma disgiunta e che l'ordine è stato impartito dal Gambuti.

In ordine alla quantificazione del danno va rilevato che, in difetto di puntuali indicazioni daparte degli attori, della nota volatilità dei mercati e del fatto che risulta provato come essi prediligessero scelte di investimento non limitate alla mera redditività, manca del tutto la prova che gli stessi, impiegando il capitale in titoli comunque diversi da quelli a più basso rischio, avrebbero senz'altro ottenuto un guadagno.

Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e non essendo stato provato che gli attori abbiano subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi, ex art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 5-9- 2001 sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la B.A.M., in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.

La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione, nella misura della metà, delle spese di lite liquidate come da dispositivo, riducendosi ad € 750,00 quelle di c.t.p..

P.Q.M.

Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede: dichiara la nullità dell'ordine d'acquisto di 315.000 obbligazioni Argentina 00/07 10% identificate dal codice 11674445 impartito il 5-9-2001; condanna la B.A.M. s.p.a. a corrispondere agli attori la somma di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo; condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite compensandole nella misura della metà e, per l'effetto, liquidandole in complessivi euro 11.363,35 di cui € 1.809,00 per spese (comprese quelle di c.t.u.), € 2.054,35 per diritti ed € 7.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.









[1] Per una trattazione generale del tema mi sia consentito rimandare a F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004.
[2] Sulle problematiche relative alla classificazione del contratto di negoziazione di strumenti finanziari cfr. M. LOBUONO, La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, pagg. 120 e ss.
[3] Il documento è scaricabile all'indirizzo web del CESR: http://www.europefesco.org; cfr. anche il documento integrativo "A European Regime of Investor Protection. The Professional and the Counterparty Regimes", luglio 2002, (Ref. CESR/02-098b).
[4] Per un commento analitico alle regole elaborate dal CESR cfr. AA.VV., Capital Market in the Age of the Euro - Cross Border Transactions, Listed Companies and Regulation, Ferrarini, Hopt, Wymeersch (Editors), Dordrecht, 2002.
[5] Cfr. in particolare, l'art. 18. Come si legge nella relazione accompagnatoria alla direttiva: "Qualora l'impresa abbia tentato di gestire i conflitti di interesse predisponendo meccanismi organizzativi senza però riuscire ad acquisire la ragionevole certeza che questi conflitti non presentino più alcun pregiudizio potenziale per gli interessi dei clienti, l'impresa è tenuta ad informare il cliente dell'esistenza di conflitti di interesse residui. Se opportuno o necessario, la comunicazione al cliente può avere cartattere generale".
[6] In materia, cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, pagg. 127 e ss.; M. GRAZIADEI, Diritti nell'interesse altrui­Undisclosed agency e trust nell'esperienza giuridica inglese, Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche, Trento, 1995, pagg. 352 e ss.; AA.VV., Encyclopedia of Financial Services Law, Lomnicka, Powell (a cura di), I-IV, London, 1987.
[7] Sul punto, i principi IOSCO stabiliscono che "Un intermediario deve cercare di evitare l'insorgere di qualsiasi conflitto di interessi, ma qualora ciò non sia possibile deve assicurare a tutti i clienti un trattamento equo, mediante una adeguata informazione, attraverso regole organizzative interne e, financo, evitando di operare qualora il conflitto non possa essere neutralizzato. In ogni caso l'intermediario non deve mai anteporre il proprio interesse a quello dei clienti".
[8] Ci si riferisce alla disciplina normativa vigente la legge 2 gennaio 1991, n. 1 (c.d. legge sim). Come noto, tale modello vietava alle società di intermediazione mobiliare di effettuare operazioni con o per conto della clientela in presenza di un interesse conflittuale nell'operazione (diretto o indiretto), fatta salva l'ipotesi di una comunicazione per iscritto del cliente sulla natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione correlata ad una preventiva ed espressa autorizzazione per iscritto. L'art. 6, lett. g) della legge sim disponeva infatti che: "Nello svolgimento delle loro attività le società di intermediazione mobiliare (...) non posso effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse conflittuale nella operazione, a meno che non abbiano comunicato per iscritto al cliente la natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione, e il cliente non abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto all'effettuazione dell'operazione".
[9] In materia, cfr. F. SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, pagg. 191 e ss.
[10] Cfr. F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit.,pag. 281.
[11] Così si legge nel commento alla bozza di modifica dell'art. 27 del Regolmanto Consob. Il documento si può scaricare sul sito della Consob (http://www.consob.it) o sul sito diritto bancario, nella sezione "archivio news" (http://www.dirittobancario.it). Si tratta di un modello di gestione del conflitto non dissimile, come si vedrà nel prosieguo del commento, a quello utilizzato dal Tribunale di Mantova nella sentenza in epigrafe.
[12] Come ho avuto modo di puntualizzare nel mio Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, pag. 281. "»Equo trattamento» significa (...) che l'intermediario non abusi della fiducia ripostagli dal cliente; ovvero, che il primo ponga in essere un'operazione finalizzata a privilegiare il proprio interesse o quello di un altro cliente a discapito del secondo. Cfr. anche G. ALPA, Commento all'art. 21, in Alpa, Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998 pag. 221; nonché le pagine critiche di G. DE NOVA Conflict of Interest and the Fair Dealing Duty, in Riv dir. priv., 2002, pagg. 479 e ss.
[13] La correttezza, infatti, intesa come buona fede o dovere di lealtà, rappresenta un criterio oggettivo e flessibile di comportamento che deve informare la condotta delle parti e in particolare dell'intermediario finanziario, il cui contenuto può essere verificato solo ex post, sulla base di un'indagine degli interessi di riferimento e delle caratteristiche della fattispecie. Se così è, la correttezza (buona fede) può essere utilizzata quale raffinato strumento per calibrare gli interessi delle parti e, in ultima analisi, per garantire l'effettività della tutela civilistica del risparmiatore e l'integrità del mercato. Più in generale, cfr. F. SARTORI, Il conflitto di interessi nel diritto dei contratti, in Riv. dir. priv., 2002, n. 2, pagg. 283 e ss.
[14] Per giungere a tali conclusioni il Tribunale ha fatto riferimento all'interpretazione dell'art. 1394 cod. civ. che si è consolidata in sede giudiziale. Il richiamo a tale disposizione non sembra convincente. Pagine critiche si leggono in D. MAFFEIS, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2003, pagg. 72 e ss.; nonché ID, Il conflitto di interessi nella prestazione di servizi di investimento e la prima sentenza sulla vendita a risparmiatori di obbligazioni argentine, in BBTC, in corso di pubblicazione.
[15] La consegna del documento deve precedere l'avvio della prestazione dei servizi e non, di contro, la stipulazione di ogni singolo contratto; in altri termini, se un medesimo cliente stipula, nel corso del tempo, con lo stesso intermediario diversi contratti, la consegna del c.d. risk disclosure statement deve avvenire prima dell'inizio della prestazione relativa al primo contratto e non deve - necessariamente - essere reiterata. In questi termini, cfr. F. ANNUNZIATA, Regole comportamentali degli intermediari, in Ferrarini e Marchetti (a cura di), La riforma dei mercati finanziari, Milano, 1998, pagg. 117 e 118.
[16] Si deve almeno ricordare che la Consob da qualche anno ha attivato una sezione del proprio sito web (http://www.consob.it) rubricata "investor education" dove si possono trovare preziose informazioni per i risparmiatori.
[17] In questi termini, cfr. ancora F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit.,pagg. 181 e ss.
[18] In questi termini, cfr. F. ANNUNZIATA La disciplina del mercato mobiliare, Torino, I ed., 2001, pag. 107.
[19] Il corsivo è nostro.
[20] Il riferimento è al concetto analogo di material fact che si ritrova nel sistema statunitense. Tale aspetto viene approfondito in chiave comparativa nel mio, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pagg. 192 e ss.
[21] In questi termini, cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, cit., pag. 321.
[22] Sul punto è interessante richiamare un passo particolarmente significativo delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d'Italia (tit. X, cap. I, sez. I). Sebbene, infatti, il documento si riferisca alla normativa in tema di trasparenza bancaria, le stesse conclusioni possono essere ripetute mutatis mutandis in subjecta materia. "La disciplina sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari persegue l'obiettivo di rendere noti ai clienti gli elementi essenziali del rapporto contrattuale e le loro variazioni, quale mezzo di promozione e salvaguardia del regolare esplicarsi della concorrenza nei mercati bancari e finanziari nonché di tutela dei "contraenti deboli", senza limitare sostanzialmente l'autonomia negoziale delle parti del rapporto. (...) La disciplina sulla trasparenza stabilisce principi e regole minimali. Essa diviene strumento efficace di concorrenza e di tutela della clientela col concorso di un comportamento degli operatori informato al corretto svolgimento dei rapporti con la clientela. A tal fine non è sufficiente, soprattutto nei confronti della clientela meno consapevole, la formale adesione alle prescrizioni normative, ma occorre il rispetto di regole deontologiche fondate su criteri di buona fede e correttezza nelle relazioni di affari. Questo comportamento, connaturato al carattere fiduciario del rapporto banca-cliente, consente nel lungo termine alla banca di fronteggiare le sollecitazioni provenienti dalla concorrenza e di rafforzare il grado di fidelizzazione della clientela, con benefici per la banca in termini di reputazione sul mercato". Il corsivo è nostro.
[23] Cfr. G. ALPA, commento art. 21, in Alpa, Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cit., pag. 225.
[24] Sulle external critique (e i loro limiti) operate dalla law and al dovere di informazione cfr. A. MUSY, Il dovere di informazione, Saggio di diritto comparato, Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche, Trento, 1999.
[25] Sul punto cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, cit. nonché M. BLAIR, Financial Services. The New Core Rules, London, 1991.
[26] La NASD rule 2310 dispone, alla lettera a), che in recommending to a customer the purchase, sale, or exchange of any security, a member shall have reasonable grounds for beliving that the reccomandation is suitable for such customer upon the basis of the facts, if any, disclosed by such customer as to his other security holdings and has to his financial situation and needs. Cfr. M. R. COHEN, The Suitability Rule and Economic Theory, 80 Yale. L. J., 1608 (1971); J. T. ROACH, E. ARVID, The Suitability Obligations of Brokers; Present Law and the Proposed Federal Securities Code, 29 Hastings L. J., 1161, (1978). T. A. MINER, Measuring Damages in Suitability and Churning Actions Under Rule 10b-5, 25 Boston Coll. L. Rev., 847 (1984).
[27] Per la giurisprudenza italiana formatasi sulla regola in esame cfr. App. Milano 19 giugno 1999, n. 1735; App. Milano 13 aprile 1999, n. 855; App. Milano 26 gennaio 1999, n. 204; Trib. Milano 20 febbraio 1997, n. 1888. Cfr. anche Cass. 14 novembre 1997, n. 11279, in Foro it., 1998, I, 3292 con nota redazionale e di G. CATALANO, L'utilità di una sentenza "anacronistica": gli "swap" in Corte di Cassazione.
[28] Tale disposizione stabilisce, per l'appunto, che: "Prima (...) dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento gli intermediari autorizzati devono chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (...)".
[29] In merito, la Consob ha stabilito all'art. 26, comma 1, lett. e) del regolamento Consob n. 11522/98 che "gli intermediari autorizzati, nell'interesse degli investitori e dell'integrità del mercato mobiliare (...) acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di operazione da fornire".
[30] Così F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, cit., pag. 341; nonché ancora F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pag. 207.
[31] Cfr. R. A. BOOTH, The Suitability Rule, Investor Diversification, and Using Spread to Measure Risk, 54 Buss. L., 1614 (1999).
[32] Per un'analisi economica della suitability rule cfr. F. PACCES, Financial Intermediation in the Securities Markets, Law and Economics of Conduct of Business Regulation, 20 12 Int. Rev. Law. Ec., 479 (2000); nonché F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pagg. 209 e ss.
[33] Così R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, in Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, II, 3 ed, 2004, pag. 78.
[34] Ibidem, pag. 79.
[35] cfr., ex plurimis, Cass. Civ. sez. I, 7 marzo 2000 n. 3272.
[36] Non sfugge certo al lettore il richiamo in sentenza all'art. 47 della Costituzione.
[37] La contrarietà ad un norma posta a presidio di un interesse pubblico comporta quindi la "illiceità" del negozio. "[L]'illiceità si apparenta al rischio, o alla certezza, che il contratto leda l'interesse di una delle parti, non abbastanza provveduta per autodifendersi (...). Altre volte il contratto è disapprovato perché crea esternalità negative, sotto forma (...) di danno arrecato alla comunità in genere". Così R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, cit., pag. 62 e ss.
[38] Come correttamente puntualizzato da R. COSTI, L. ENRIQUES, Il mercato mobiliare, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004, pagg. 332 e 333 (nt. 27), la nullità virtuale concerne l'ordine di borsa e "non certo l'operazione di borsa compiuta dall'intermediario in nome proprio sul mercato; è pacifico infatti che l'invalidità di un contratto di commissione non si estende al contratto di vendita concluso in nome proprio dal commissionario, bensì semmai, al negozio traslativo di esecuzione di cui all'art. 1706, secondo comma, c.c.".
[39] L'ipotesi di nullità del contratto per contrasto con norme imperative è configurabile indipendentemente da una espressa previsione di "legge", ovvero dall'esistenza di una norma proibitiva perfetta che contenga, oltre ad uno specifico divieto, anche la sanzione civilistica di nullità del negozio. In merito, non rileva la natura primaria o secondaria (regolamentare) della disposizione. È infatti pacifico in dottrina e giurisprudenza che l'ipotesi di nullità del contratto è configurabile nel caso in cui la norma sia imperativa, e ciò a prescindere dalla collocazione gerarchica della stessa. Cfr. i dati raccolti da R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, cit., pagg. 79 e ss.
[40] Dal giorno del pagamento sino al saldo definitivo e non dal giorno della proposizione della domanda "non potendosi ritenere che la B.A.M., in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede".
[41] Per un'analisi approfondita sul tema cfr. R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, cit., pagg. 595 e ss.
[42] Cfr. ancora R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, cit., pag. 605. Cfr. anche F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pag. 400. "Per quantificare il mancato guadagno (...) non si devono considerare i vantaggi che l'investitore avrebbe realizzato da un andamento positivo del contratto effettivamente concluso, ma si deve guardare al vantaggio (o allo svantaggio) potenziale che l'investitore avrebbe conseguito se l'intermediario si fosse comportato professionalmente".
[43] Il corsivo è nostro.
[44] Sul punto cfr. R. COSTI, L. ENRIQUES, Il mercato mobiliare, cit., pag. 336, i quali richiamano (nt. 40) M. DE MARI e L. SPADA, Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari. Parte terza, in Foro it., 2002, I, c. 859 ss., a c. 871, ove riferiscono di una sentenza inedita della Corte d'Appello di Genova, la quale ha stabilito che "la conferma di un'operazione inadeguata, per essere valida e sollevare l'intermediario da responsabilità, deve essere specifica e non già generica, potendo solo in tal modo la disposizione raggiungere la propria finalità".
[45] Più in generale, cfr. P. PERLINGIERI, Note critiche sul rapporto tra forma negoziale e autonomia, in La forma degli atti nel diritto privato, Studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli, 1988, pagg. 569 e ss.
[46] Per tutti cfr. R. COSTI, Informazione e mercato finanziario, in Banca, impr. soc., 1989, spec., pagg. 210 e ss.
[47] In questi termini cfr. C. D'ADDA, Il governo dei mercati finanziari, in Economia e diritto del terziario, 1991, pag. 601; cfr. anche G. ROSSI, L'informazione societaria al bivio, in Riv. soc., 1986, pagg. 963 e ss.
[48] Cfr. R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, I, cit., pag. 467-472; 617 e ss.; nonché A. MUSY, Il dovere di informzione, cit., pagg. 6 e ss.
[49] Cfr. Ibidem. Per settore dell'intermediazione cfr. R. LENER, Forma contrattuale e tutela del contraente "non qualificato" nel mercato finanziario, Milano, 1996; nonché F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pagg. 192 e ss.
[50] Si pensi, ad esempio, al riferimento all'interpretazione giudiziale formatasi intorno all'art. 1394 cod. civ.
[51] Cfr., sul punto, F. CARBONETTI, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, pag. 17. Come è stato osservato infatti, tali regole costituiscono le modalità di svolgimento del rapporto, a prescindere dalle specifiche disposizioni di settore, così che, diligenza e correttezza assumeranno il significato di obblighi di protezione degli investitori, ed in ultima analisi del mercato. In termini simili, cfr. A. DI MAJO, La Correttezza nell'intermediazione mobiliare, cit., pag. 290; C. CASTRONOVO, Il diritto civile della legislazione nuova. La legge sulla intermediazione mobiliare, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, pagg. 300 e ss; ID, La nuova responsabilità civile. Regola e metafora, Milano, 1991; M. LOBUONO, La responsabilità degli intermediari finanziari, cit., pag. 134.
[52] Nel caso che ci occupa, infatti, la seconda operazione non ha per oggetto i medesimi titoli, sebbene si tratti di bonds emessi dallo stesso Paese e con un profilo di rischio analogo in considerazione del c.d. down grading.
[53] Discorso diverso si potrebbe fare con riguardo ai c.d. piani di accumulazione di capitale (PAC), i quali prevedono acquisti di strumenti finanziari della stessa categoria ad intervalli di tempo e per importi predeterminati. Il PAC è prevalentemente utilizzato come destinazione del risparmio in formazione, ma può essere utilizzato anche come strategia d'investimento di un capitale già esistente. In questo ultimo caso, contrariamente alla "tecnica" della "media al ribasso", si riduce il rischio poichè si diluisce nel tempo il momento d'ingresso di un investimento già predeterminato (e quindi compatibile con la strategia di portafoglio complessiva). La c.d. average down si pone, irrazionalmente, l'obiettivo di avere un prezzo medio di carico più basso rispetto al primo acquisto, questo comporta un incremento del rischio complessivo. La strategia che impiega il PAC si pone invece l'obiettivo di diminuire il rischio legato al timing dell'investimento. Due concetti, quindi, totalmente diversi e, per certi versi, opposti: speculativo il primo, difensivo il secondo.
[54] Così B. SCIENZA, Il risparmio tradito, Torino, 2001, pagg. 135 e ss.
[55] Il Consiglio europeo di Lisbona ha infatti sottolineato l'esigenza di realizzare entro il 2005 mercati finanziari efficienti e integrati.
[56] Ai sensi dell'art. 59, comma 1 della della direttiva in esame la Commissione è affiancata dal Committee of European Securities Regulators. La nuova struttura istituzionale prevede infatti che i principi di livello superiore vengano armonizzati mediante lo strumento della direttiva; mentre, le misure di esecuzione uniformi devone essere introdotte dal CESR.
[57] Si tratta ad esempio degli enti creditizi; delle imprese di investimento; delle imprese di assicurazioni; degli OICR; delle grandi società di capitali etc.
[58] Tuttavia, anche in tale evenienza, gli intermediari non devono mai presumere che tali clienti possiedano conoscenze ed esperienze di mercato, comparabili a quelle dei clienti professionali individuati dallo stesso legislatore. Infine, sempre nella prospettiva di garantire elasticità senza tuttavia sacrificare le esigenze di tutela degli investitori, è previsto che qualunque riduzione della protezione assicurata dalle norme di comportamento standard debba considerarsi valida solo se, dopo aver effettuato una valutazione adeguata della competenza, delle conoscenze e delle esperienze del cliente, l'impresa di investimento ritenga, con ragionevole certezza, (tenuto conto anche della natura delle operazioni o dei servizi previsti) che il cliente sia in grado di adottare le proprie decisioni di investimento e di comprendere i rischi esistenti. È chiaro che per tale via si introduce un criterio di verifica ex post del comportamento dell'operatore finanziario sulla base di una analisi finalizzata a verificare l'effettivo livello di asimmetria informativa tra le parti. Per agevolare tale delicato compito, sono previsti alcuni criteri che l'intermediario è tenuto comunque a rispettare. In particolare, si stabilisce che l'operatore, nel corso della predetta valutazione, debba tener conto di taluni profili. Ad esempio, che il cliente abbia effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato rilevante con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti; ovvero che il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante e gli strumenti finanziari, superari 0,5 milioni di Euro, etc. Affinché la disapplicazione delle regole di condotta non dia comunque adito ad abusi da parte di intermediari infedeli, è introdotta una procedura in base alla quale i) i clienti devono comunicare per iscritto all'impresa di investimento che desiderano essere trattati come clienti professionali (a titolo generale o rispetto ad un particolare servizio di investimento o operazione o tipo di prodotto o di operazione); ii) l'impresa di investimento deve avvertire i clienti, in una comunicazione chiara e per iscritto, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere; iii) i clienti devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni. Peraltro, tale articolata procedura non esonera l'intermediario dall'adottare altre misure per accertarsi che il cliente che chiede di essere considerato cliente professionale soddisfi i requisiti rilevanti, così coma sopra indicati.
[59] Cfr. l'art. 31 del Regolamento Consob n. 11522/98.
[60] In materia cfr. le riflessioni di G. CARRIERO, Statuto dell'impresa di investimento e disciplina del contratto nella riforma del mercato finanziario, Milano, 1997, pagg. 46 e ss. Cfr. anche F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pagg. 164 e ss.
[61] Cfr. L. D. LOWENFELS, A. R. BROMBERG, Suitability in Securities Transactions, 54 Bus. L., 1594, 1557 (1999). Secondo gli autori se l'investitore intraprende un'attività di investimento che ineluttabilmente lo porta al "suicidio economico" è compito dell'intermediario intervenire quasi in veste di tutore per prevenire tale situazione. "(...) Does the bartender at some point have a duty to cut off the drinker's supply of liquor? Similarly, by analogy, does a broker at some point have a duty to intervene to prevent even a wealthy and sophisticated investor from engaging in reckless, unsuitable trading which approaches financial suicide? (...)".





















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