Massima
La violazione dei doveri d'informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d'investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c.**
Obiter dictum
Il divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d'interessi attiene anch'esso alla fase esecutiva di detto contratto, costituendo, al pari del dovere d'informazione, una specificazione del primario dovere di diligenza, correttezza e professionalità nella cura degli interessi del cliente.
Sommario: 1. Premessa: inadempimento (pre)contrattuale e profili di responsabilità; 2. La nullità virtuale: una teorica sovversiva? 3. Regole di condotta vs Regole di validità: la ratio decidendi; 4. Un obiter dictum: la mancata autorizzazione scritta come inadempimento "strutturale"; 5. Sul significato economico dei rimedi.
1. Premessa: inadempimento (pre)contrattuale e profili di responsabilità
Che la violazione dei doveri informativi gravanti l'intermediario nella fase prenegoziale o in quella esecutiva del rapporto con l'investitore faccia discendere un obbligo risarcitorio è massima coerente con il nostro sistema di diritto positivo[1].
Criterio fondamentale che determina la condotta dell'impresa di investimento nell'adempimento dell'obbligazione con il cliente è infatti la diligenza professionale, ossia l'impiego adeguato delle energie e dei mezzi necessari alla soddisfazione dell'interesse dell'investitore ad assumere consapevoli decisioni di investimento. In questa prospettiva, si coglie il concetto di adeguatezza dell'informazione, che fa da sfondo all'evoluzione normativa in materia, e costituisce il momento di congiunzione con i principi generali del nostro diritto privato[2].
Il "dovere di informare" (e di informarsi sull') l'investitore è diventato, per tale via, elemento caratterizzante l'intera disciplina delle regole di comportamento degli intermediari finanziari poste a presidio della tutela del risparmiatore e dell'integrità del mercato[3]: dovere che si è tradotto in una pluralità di dettagliati obblighi informativi inerenti allo svolgimento dei servizi di investimento, ed aventi come destinatari diretti i clienti degli intermediari.
L'obbligo di consegnare il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, l'obbligo di informarsi sulla situazione finanziaria del cliente (meglio conosciuta con l'anglismo know your customer rule), l'obbligo di fornire all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle operazioni finanziarie e dei servizi, gli obblighi informativi in caso di perdite, la regola sulla adeguatezza delle operazioni (la c.d. suitability rule[4]), la disclosure dei conflitti di interesse, le rendicontazioni etc. gravano gli operatori in tutte le fasi del rapporto con l'investitore: dalla fase precontrattuale a quella di attuazione del rapporto[5].
L'infedeltà ai doveri suddetti consiste allora nella imperizia, quale deficienza dell'inosservanza delle specifiche regole tecniche applicabili al settore dell'intermediazione finanziaria: si tratta di colpa specifica. E il mancato rispetto di siffatte regole va qualificato in termini di inesatto adempimento, costituendo una deviazione rispetto al comportamento dovuto dal debitore.
Contro l'inadempimento il creditore ha a disposizione tra l'altro il rimedio risarcitorio (per equivalente[6]), quale mezzo di tutela generale del credito: rimedio finalizzato a compensare il danno effettivamente subito, rimuovendo gli effetti economici negativi connessi all'agere deviato dell'impresa di investimento.
Come è ben noto, in materia contrattuale oltre ai rimedi generali a tutela del credito, si aggiungono quegli specifici rimedi che tutelano la parte contrattuale nei contratti sinallagmatici, ovvero per usare l'espressione del legislatore all'art. 1453 c.c., "nei contratti con prestazioni corrispettive". Contro l'inadempimento grave[7] allora il cliente insoddisfatto potrà altresì chiedere lo scioglimento del rapporto contrattuale inadempiuto, esercitando l'azione di risoluzione[8].
Quanto detto è intimamente correlato alla violazione dei doveri (informativi) imposti all'intermediario nella fase esecutiva del contratto. I rimedi indicati difatti tutelano l'interesse del creditore alla corretta esecuzione delle prestazioni connesse ad un vincolo obbligatorio già sorto. Ma taluni degli obblighi scanditi dalla disciplina di settore segnano il comportamento dei soggetti abilitati prima dell'instaurazione del vincolo contrattuale: siamo nella fase delle trattative e della formazione del contratto. Fase già moralizzata dal legislatore del 1942 con la disciplina dell'art. 1337 c.c.[9], e amministrata, nel settore che ci occupa, da puntuali regole ispirate al principio della buona fede. In questo frangente si avverte, forse con maggior vigore, quell'esigenza menzionata di consapevolizzazione del cliente: "(...) le analisi della fase precontrattuale saranno le aree di elezione dove si svilupperà più puntigliosa la dottrina concernente questi obblighi [informativi]. Obblighi la cui origine "si ricollega alla disuguaglianza di fatto dei contraenti di fronte all'informazione (...)" e che inseguiranno "le parti durante tutto il rapporto contrattuale"[10]. Ciò che si vuole tutelare in questa fase è allora la libertà di autodeterminazione dell'investitore e il suo interesse negativo a non stipulare un contratto dal contenuto alterato o financo invalido. Nel caso di accertata violazione di tali obblighi, sorgerà a carico dell'intermediario l'obbligo del risarcimento del danno nei limiti dell'interesse negativo, ovvero dell'interesse dell'investitore a non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale[11].
A tali conclusioni, in estrema sintesi, sono pervenute le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 19 dicembre 2007, n. 26725, risolvendo un contrasto (apparente[12]) che nell'ultimo lustro ha diviso la giurisprudenza pratica[13] e teorica[14] che si è occupata del tema.
2. La nullità virtuale: una teorica sovversiva?
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione ha inteso negare validità a quell'orientamento, in un primo momento prevalente, che ha elevato le regole informative che gravano gli intermediari nei loro rapporti con la clientela a regole di validità del contratto. Regole che - se violate - incidono sulla struttura e sul contenuto dell'atto travolgendolo con la sanzione della nullità (virtuale), coerentemente al disposto dell'art. 1418, comma 1 c.c. In altri termini, seguendo tale impostazione, la violazione delle regole che impongono all'intermediario di informarsi sulla situazione finanziaria del cliente e di operare in modo che il cliente sia sempre adeguatamente informato (anche dell'inadeguatezza dell'operazione o di eventuali situazioni di conflitto) si traduce in un vizio genetico del contratto di borsa.
Anche l'idea della "fattispecie nulla" appare invero familiare al giurista italiano. Assunta la natura imperativa delle norme ricordate e individuati gli interessi che le stesse intendono presidiare (il risparmio come valore costituzionale) la condanna alla nullità dell'atto non è operazione sovversiva[15]. Anzi. Sembra coerente con il compito sociale pubblicistico che alla nullità viene sovente attribuito. Un rimedio residuale ma "sanzionatorio"[16], capace sovente di dare adeguata tutela a interessi generali[17], o meglio indisponibili dai privati[18].
La correlazione tra violazione della norma imperativa e nullità del contratto non è tuttavia sempre scontata, e ciò a prescindere dall'espressione incerta utilizzata dal legislatore con l'inciso "salvo che la legge disponga diversamente"[19].
Le ambiguità applicative dell'istituto, nonostante il punto fermo dell'interesse pubblico o generale perseguito dalla norma violata, non consentono di enucleare una massima coerente. L'istituto della nullità virtuale viene infatti applicato con gradazioni e intensità diverse senza un preciso riscontro normativo.
È così nullo, per contrarietà a norma imperativa, il patto di non concorrenza finalizzato a limitare l'iniziativa economica privata altrui, e ciò in quanto contrario all'ordine pubblico costituzionale[20]. Parimenti nullo, per contrarietà ad un interesse economico generale, è il contratto di agenzia concluso tra un agente "abusivo" e un cliente[21]. Lo stesso regime non sembra invece applicarsi, inspiegabilmente, al contratto di mediazione, nel caso di mediatore "abusivo", non iscritto nell'apposito albo[22]. Per poi riattivarsi, nel caso di contratti di attività giornalistica da parte di soggetti non iscritti all'albo[23], ovvero da Società di intermediazione abusive[24]. E così via[25].
In questo contesto, va letta la pronuncia in epigrafe che sul punto non sembra lasciare invero spazio per interpretazioni alternative: "In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può (...) determinare la nullità del contratto di intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c."[26]. E ciò in quanto la tesi della nullità sarebbe plausibile "solo ove risultasse l'unica in grado di rispondere all'esigenza - sicuramente presente nella normativa in questione e coerente con la previsione dell'art. 47, comma 1, Cost. - di incoraggiare il risparmio e garantirne la tutela"[27].
Il ragionamento della Corte è allora chiaro. Le norme in discussione hanno carattere imperativo e sono poste a presidio di un interesse generale rilevante. Tuttavia, l'effettività della norma è comunque assicurata - almeno in parte[28] - dalla previsione di rimedi alternativi: il rimedio risarcitorio e, in presenza dei presupposti di legge, financo quello risolutorio.
3. Regole di condotta vs Regole di validità: la ratio decidendi
Sullo sfondo della decisione affiora la distinzione tra regole di condotta e regole di validità: le regole informative, in quanto espressione della professionalità e della correttezza vengono più agevolmente ricondotte nella prima categoria anche a dispetto di quella "tendenza evolutiva" in atto - ben stigmatizzata dal Supremo Collegio - che mette in discussione tali categorie in guisa di "un fenomeno di trascinamento del principio di buona fede sul terreno del giudizio di validità dell'atto"[29].
Sulla base dei presupposti teorici delineati, il Giudice di legittimità enuncia la ratio della decisione "per cui la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione in questione"[30].
Il doppio regime di responsabilità - precontrattuale e contrattuale - è intimamente connesso con la teorica del c.d. "contratto normativo"[31], cui è riconducibile la fattispecie negoziale del contratto per la negoziazione (sottoscrizione, collocamento, ricezione, trasmissione e mediazione) degli ordini concernenti strumenti finanziari. Accordo quest'ultimo mediante il quale le parti prestabiliscono, conformemente alla disciplina di settore, le modalità e taluni aspetti del contenuto dei futuri negozi: gli ordini di borsa, per l'appunto. Ordini che, pur avendo natura negoziale, "costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di intermediazione"[32].
Da questo angolo di visuale - il riferimento al mandato sembra cogliere nel segno - ne deriva che solo la violazione delle regole informative antecedenti alla stipulazione del contratto normativo si traduce in una responsabilità di tipo precontrattuale. Si tratta delle regole che impongono agli intermediari di consegnare alla controparte il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, nonché di acquisire le "informazioni sull'esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, situazione finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio" del cliente[33].
In questo frangente, le Sezioni Unite sembrano condividere allora la sentenza della Cassazione 29 settembre 2005, n. 19024 secondo cui la violazione delle norme richiamate ha natura prettamente risarcitoria, in dipendenza della eventuale violazione del principio di buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. E ciò in quanto, il mancato rispetto della disciplina in tema di flussi informativi - antecedenti alla stipulazione del contratto normativo (e soltanto del contratto normativo) - è riconducibile ad una violazione dell'art. 1337 c.c.; norma quest'ultima il cui raggio di azione non si estende esclusivamente alle ipotesi di rottura ingiustificata delle trattativa ma ricomprende altresì il dovere di comportarsi in modo leale, "astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto".
La violazione, per contro, di tutte le altre regole comportamentali che devono essere rispettate successivamente alla stipulazione del contratto normativo è destinata ad integrare un inadempimento e dunque una responsabilità di tipo contrattuale, ferma restando la possibilità da parte del cliente di invocare il rimedio risolutorio qualora alla luce dell'economia del contratto l'inadempienza dell'intermediario non abbia scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 c.c.[34].
4. Un obiter dictum: la mancata autorizzazione scritta come inadempimento "strutturale"
Il ragionamento seguito dal Supremo Collegio, almeno da un punto di vista dogmatico, sembra, fino a questo punto, lineare. Come si è avuto modo di precisare, non sorprende che la violazione degli obblighi informativi, espressione della professionalità e della solidarietà cui l'intermediario deve conformare il proprio agere, sia accompagnata da un rimedio risarcitorio.
Più difficile appare invero aderire al passaggio successivo scandito dalla Cassazione - e presentato come obiter - là dove, forse frettolosamente, ai doveri informativi accomuna, in punto di conseguenze di violazione, gli obblighi che impongono alle imprese di investimento di astenersi rispettivamente dall'effettuare operazioni inadeguate[35] ovvero in conflitto di interessi[36], senza una specifica autorizzazione scritta da parte del cliente.
Se da una parte tali regole "integrano veri e propri doveri di non fare, la cui violazione si traduce nella stipulazione di altrettanti contratti vietati da norma imperativa: [e] il che per quanto sopra detto, dovrebbe colpire alla radice gli atti vietati, rendendoli illeciti e per ciò nulli", dall'altra "il compimento delle operazioni di cui si tratta (...) si pone pur sempre come momento attuativo di obblighi che l'intermediario ha assunto all'atto della stipulazione col cliente del «contratto quadro»". In altri termini, "[i]l divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto di interessi attiene (...) anch'esso (...) alla fase esecutiva di detto contratto, costituendo, al pari del dovere di informazione, una specificazione del primario dovere di diligenza, correttezza e professionalità nella cura degli interessi del clienti"[37]. E ciò sembrerebbe dedursi dal "modo stesso in cui la norma è formulata" sintomo della volontà del legislatore di contemplare anche in tale circostanza "obblighi di comportamento precontrattuali e contrattuali, non già regole di validità del contratto"[38].
La prospettata configurazione non appare pienamente condivisibile. Oltre che essere in contraddizione, per stessa ammissione della Corte, con quella giurisprudenza (di legittimità, richiamata nel testo della pronuncia[39]) che commina la sanzione della nullità ai contratti stipulati senza una prescritta autorizzazione a contrarre.
Il difetto dell'autorizzazione scritta (o della diversa procedura di garanzia prevista dalla disciplina di settore) in entrambe le ipotesi menzionate sembra difatti incidere sulla struttura dell'atto negoziale. A prescindere dalla funzione rimediale, in tal caso il contratto di borsa risulta giuridicamente mancante o comunque minorato. E non convincente appare il tentativo di ricondurre tale deficienza ad un vizio funzionale in guisa della natura "assorbente" del contratto quadro.
La mancanza dell'autorizzazione redatta per iscritto, inderogabilmente prevista per dar sèguito ad una operazione inadeguata o in conflitto di interessi, incide sul nascere del negozio. Si tratta di un vizio genetico. Di una irregolarità giuridica che trae titolo da un fatto contestuale al perfezionamento e all'efficacia del contratto. E non di una sopravvenuta inadempienza atta (eventualmente) a tradursi in una anomalia funzionale del contratto.
Il giudizio di (in)validità può essere effettuato alla luce della mancanza di un elemento inderogabile (la forma) che compone la struttura del contratto. Anche non volendo aderire alla tesi della forma necessaria alla validità del negozio, nel caso di specie la forma non è certamente imposta per la prova dell'atto. Vi è infatti un diverso caso che si verifica quando il legislatore chiede "che una dichiarazione «risulti» da una scrittura privata o da una annotazione fatta in un registro (...). La «risultanza» fa pensare, a prima vista, alla prova. Ma, quando il legislatore esige la «risultanza», il documento è necessario anche se è pacifico che la dichiarazione (informe) ebbe esistenza (...). Quando è richiesta la risultanza dell'atto dallo scritto, il negozio informe è inoperante (...)"[40].
Se si abbandona la strada della nullità strutturale ex art. 1418, comma 2 c.c., sostenendo ad esempio che la forma non è accompagnata da una nullità testuale, il contratto di borsa posto in essere in mancanza della specifica autorizzazione prescritta potrebbe comunque essere considerato nullo dacché l'atto in quanto tale (e non le modalità che ne caratterizzano l'esecuzione) è contrario a una norma imperativa che esprime un principio di ordine pubblico (per usare le parole del Supremo Collegio, posta in essere "nell'interesse generale all'integrità dei mercati finanziari")[41].
In sintesi, il mancato rispetto dell'autorizzazione scritta a contrarre esprime in ogni caso "una valutazione negativa del contratto: 1) per la sua definitiva deficienza strutturale, ossia mancanza o impossibilità originaria di un elemento costitutivo, ovvero 2) per la sua dannosità sociale, e quindi per la sua illiceità"[42].
Chi non ha scomodato la più grave forma d'invalidità negoziale, in materia di conflitto di interessi, ha comunque assoggettato il contratto alla sanzione dell'inefficacia di applicazione giudiziale. Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno infatti da tempo avanzato, argomentando ex art. 1394 c.c., la tesi dell'annullamento[43]. Tesi da ultimo ripresa dalla sentenza richiamata della Corte di Cassazione del 29 settembre 2005 là dove essa Corte ha specificato che l'inosservanza delle norme in questione sembrano "assumere rilievo, sotto altro profilo, alla stregua dei principi stabiliti dagli arti. 1394 e 1395 c.c.".
Si tratta, come è agevole comprendere, di configurazioni profondamente diverse l'una con l'altra, ma che hanno entrambe il merito di condividere un assunto fondamentale: l'inosservanza della norma che impone agli intermediari di eseguire un ordine di borsa inadeguato o in conflitto di interessi previa autorizzazione scritta da parte del cliente si sostanzia in una qualifica negativa del contratto, fin dal momento del perfezionamento e dell'efficacia dello stesso[44].
2. 5. Sul significato economico dei rimedi
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria conducono la responsabilità precontrattuale nel più generale istituto della responsabilità extracontrattuale[45].
Come immediata conseguenza, il termine prescrizionale relativo alle eventuali violazioni dei doveri informativi antecedenti alla stipulazione del contratto quadro (ie consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, nonché know your customer rule) è tosto ridotto a cinque anni "dal giorno in cui il fatto si è verificato". Anche volendo aderire alla tesi che fa decorrere il momento iniziale del termine di prescrizione in quello in cui - a seguito dell'inadempienza altrui - si verifica la lesione concreta della sfera giuridica del cliente (ovvero il default della società emittente) ogni doglianza relativa al mancato rispetto di siffatti obblighi si deve ritenere prescritta, avendo riguardo, si intende, agli scandali finanziari dell'inizio del nuovo millennio.
Cambiando angolo di visuale, è altresì agevole comprendere come la scelta del criterio di attribuzione di responsabilità giochi un ruolo strategico nell'indurre le parti del contratto di investimento (entrambe) a tenere un determinato comportamento nell'ambito di una relazione naturalmente destinata a durare nel tempo. La scelta tra il rimedio della invalidità (che si accompagna all'azione di ripetizione dell'indebito) e quello risarcitorio può essere infatti analizzata dal punto di vista degli effetti sulle parti del contratto, creditore e debitore, oltre che della loro efficienza (di sistema) nella distribuzione dei costi correlati al danno e della loro conseguente rilevanza come deterrente al compimento di future infedeltà.
Come si è avuto modo di accennare, i flussi informativi tra intermediario e cliente (e viceversa) rimangono apparentemente confinati nell'ambito di un rapporto bilaterale[46]. Mutuando la tassonomia dei beni, l'informazione in questione sembra assurgere al rango di bene privato, in guisa della naturale esclusività del godimento che la caratterizza. L'informazione al cliente non è liberamente fruibile da chiunque, bensì in via esclusiva dal singolo investitore-controparte negoziale, che per goderne i benefici deve tra l'altro sopportarne i costi (di produzione). Siffatta dinamica di equilibrio tende ad assicurare una adeguata produzione dell'informazione privata e a scongiurare, di conseguenza, i rischi di free riding, preludio dei fenomeni di instabilità finanziaria.
In questa prospettiva, nel caso di accertato inadempimento dell'intermediario dei doveri informativi, appare, almeno in prima battuta, efficiente un rimedio capace di assicurare una perfetta compensazione del creditore, riportando quindi il cliente al livello di benessere di cui avrebbe beneficiato se non ci fosse stato l'inadempimento. Solo un risarcimento "perfetto" è idoneo infatti ad assicurare l'internalizzazione dei costi prodotti dalla condotta illecita, evitando fenomeno distorsivi e quindi inefficienze di mercato[47].
Seguendo tale prospettiva, sembra allora che il rimedio "adeguato" sia quello risarcitorio a seguito di un giudizio di responsabilità contrattuale. La costellazione di regole previste nel nostro ordinamento di diritto privato in materia di determinazione del danno risarcibile è permeata dal principio del danno effettivo: "l'obbligo del risarcimento deve adeguarsi al danno effettivamente subito dal creditore, il quale non deve ricevere né più né meno di quanto necessario a rimuovere gli effetti economici negativi dell'inadempimento o dell'illecito"[48].
Per tale via, si coglie la rilevanza attribuita dall'art. 1223 c.c. al nesso causale tra inadempimento e danno: sono risarcibili i danni conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento. Ovvero di tutte le altre regole che concorrono a delimitare l'ambito del danno risarcibile: la regola c.d. della causa successiva ipotetica, ricavabile ex art. 1221 c.c., in base alla quale il danno risarcibile è ridotto nella misura in cui altre cause non imputabili avrebbero ugualmente arrecato al creditore il danno prodotto dall'inadempimento; la regola del concorso di colpa del creditore, che prevede una riduzione del risarcimento in guisa della gravità della colpa e dell'entità delle conseguenze che sono derivate dal fatto colposo del danneggiato; la regola, prevista dall'art. 1227, comma 2 c.c., che esclude il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza; la regola non codificata, ma riconosciuta coma massima di diritto positivo dalla giurisprudenza, della compensatio lucri cum damno, in base alla quale la determinazione del danno risarcibile deve scontare gli (eventuali) effetti vantaggiosi che hanno causa diretta nell'inadempimento; infine la regola della prevedibilità del danno ex art. 1225 c.c. che limita, nel caso di inadempimento colposo, il risarcimento ai soli danni che potevano prevedersi.
Seguendo tale impostazione, i sostenitori del rimedio risarcitorio hanno tra l'altro osservato che il rimedio restitutorio (la ripetizione dell'indebito che si correla al vizio genetico) "immunizza" il risparmiatore dagli eventuali danni conseguenti all'andamento del mercato; escludendo, siffatto rimedio, l'eventuale incidenza del fatto colposo del danneggiato e il rapporto di causalità tra il pregiudizio lamentato e la condotta dell'impresa d'investimento[49]. E che tale maggior costo verrebbe comunque traslato sul mercato (rectius sugli investitori) attraverso l'aumento delle commissioni d'intermediazione, creando inoltre fenomeni di overdeterrence a svantaggio degli intermediari finanziari meno dotati patrimonialmente[50].
Le riflessioni esposte non tengono peraltro conto della dimensione pubblica dell' "informazione privata". L'investitore determina - almeno in linea di principio[51] - le proprie scelte di investimento anche alla luce della valutazione relazionale dello strumento finanziario, effettuata sulla base delle informazioni rese disponibili (oltre che dal mercato anche) dall'intermediario. Tale processo selettivo si basa, in particolare, sulla fiducia informativa che a sua volta, in una logica cerchio-bottista, si basa sulla qualità e la veridicità dell'informazione prodotta.
Il tema conduce a sua volta al ruolo degli intermediari finanziari nelle dinamiche di mercato, nonché all'economia dell'informazione[52] (finanziaria) come antidoto al moral hazard e alla selezione avversa. Fenomeni che se non opportunamente controllati possono compromettere non soltanto l'investitore in qualità di controparte debole dell'intermediario, bensì più in generale la corretta allocazione del risparmio, innescando quel fenomeno a spirale di degenerazione informativa - il "fenomeno dei bidoni"[53] -, preludio del fallimento del paradigma convenzionale dell'efficienza dei mercati[54].
Come è stato dimostrato, applicando il modello di Akerlof al settore finanziario[55], nel caso di incertezza sulla qualità e la veridicità dell'informazione (che per legge viene fornita dagli intermediari alle controparti negoziali), l'investitore (razionale e neutrale al rischio) tende a confondere la qualità degli strumenti finanziari negoziati riducendone indifferentemente il prezzo di acquisto. Come è agevole comprendere, l'"equilibrio unico" del prezzo innesca un circolo vizioso che tende ad escludere dal mercato gli emittenti strumenti finanziari di buona qualità non adeguatamente compensati dal mercato stesso. È un tipico caso si selezione avversa. Siffatto fenomeno, almeno nella ricostruzione teorica ricordata, porta ad una progressiva riduzione del prezzo sulla base della conseguente revisione da parte dell'investitore del valore atteso degli strumenti finanziari negoziati e l'ineluttabile collasso finale: "«Lemons» will dominate the market [...] Investors and society both lose"[56].
L'anello di congiuntura tra interesse privato e interesse pubblico all'informazione si coglie, allora, nell'asimmetria informativa e, in particolare, negli effetti di sistema che essa produce in assenza di incentivi adeguati o in presenza di incentivi distorti.
Seguendo questa prospettiva, non è dubbio che il rimedio restitutorio assolve in modo più incisivo alle finalità di prevenzione intimamente connesse alle esigenze pubbliche delineate. Da un punto di vista economico, la ripetizione dell'indebito che si accompagna all'invalidità del contratto di borsa, sembra comportare una completa internalizzazione dei costi in capo all'impresa di investimento che ha causato il pregiudizio (al mercato) costituendo un robusto deterrente contro future azioni infedeli. In altri termini, la responsabilità attesa di siffatto rimedio sembra più idonea a indurre l'intermediario a rispettare il modello di diligenza previsto dalla normativa di settore, rispetto al rimedio risarcitorio connesso a una responsabilità per colpa.
Il rischio (tipicamente punitivo ed effettivamente presente) che la ripetizione si traduca in una compensazione eccedente rispetto al reale valore pecuniario del danno a favore del singolo investitore sembra "compensare" - in una logica preventiva - le alte probabilità che la condotta illecita dell'intermediario non venga accertata. Specularmente, la responsabilità risarcitoria potrebbe non scontare a sufficienza gli alti costi probabilistici connessi all'accertamento dell'illecito in un settore, come quello finanziario, altamente sofisticato, e ciò a prescindere dall'inversione dell'onere della prova (che inversione tecnicamente non è). Il rimedio risarcitorio potrebbe apparire, dunque, soffice e poco costoso per intermediari infedeli o negligenti. Le difficoltà legate alla prova (questa a carico dell'investitore) della causalità giuridicamente rilevante, del dolo dell'intermediario ai fini del superamento del limite della prevedibilità del danno, nonché i limiti connessi alla quantificazione del danno in materia (pre)contrattuale sembrano impedire un adeguato risarcimento a favore dell'investitore danneggiato, agevolando fenomeni distorsivi di underdeterrence che, come noto, si accompagnano a fenomeni di undercompensation.
Come è agevole comprendere, queste pagine non si prestano ad esaurire un tema di così vasta portata e precipitare quindi frettolose conclusioni. Va peraltro evidenziato che a sèguito della recente applicazione nei Paesi membri della direttiva n. 2004/39/CE (c.d "Direttiva MiFID") e degli atti esecutivi (direttiva n. 2006/73/CE e Regolamento n. 1287/2006) il quadro normativo europeo in materia di intermediazione finanziaria e, in particolare ai fini che ci occupano, di regole di comportamento che le imprese di investimento devono rispettare nei loro rapporti con la clientela non lascerà più margine per l'affermarsi di fenomeni di arbitraggio normativo.
Il legislatore comunitario ha trascurato (intenzionalmente) la materia rimediale, limitandosi a stabilire, in modo stereotipato, che le sanzioni siano efficaci, proporzionali e dissuasive. Le differenze ordinamentali si coglieranno allora proprio nel settore dei rimedi, del private enforcement[57]. Ordinamenti dotati di strumenti rimediali efficaci tenderanno ad escludere intermediari opportunisti e infedeli e, di converso, ad attrarre investitori e capitali. Correlativamente, ordinamenti non adeguatamente attrezzati attireranno intermediari dal basso valore reputazionale, che pregiudicheranno la credibilità del mercato con l'inevitabile dispersione di capitale. Si verificherà un fenomeno di "arbitraggio rimediale".
In conclusione è possibile affermare che il dictum della Suprema Corte abbia investito un tema strategico, idoneo a segnare nell'imminente futuro - in chiave di concorrenza tra ordinamenti - l'efficienza del mercato e la tutela dei risparmiatori. Di tale problematiche il Giudice di legittimità, in armonia a una spiccata sensibilità all'approccio tradizionale, non si è formalmente fatto carico. L'iter argomentativo seguito, attento a risolvere una querelle di stampo marcatamente dogmatica, è allora (almeno da questo punto di vista) deludente e inidoneo a dare adeguate risposte a chi ha, legittimamente, "opinioni diverse sul grado di efficacia della tutela in tal modo assicurata dal legislatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni sempre più ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari finanziari"[58].
FILIPPO SARTORI
Università degli Studi di Trento, Facoltà di Giurisprudenza
** Massima non ufficiale.
[1] La Corte sente l'esigenza di rimarcare che la disciplina applicata al caso di specie è quella della legge 2 gennaio 1991, n. 1. Disciplina come noto, modificata prima dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 e quindi dal d.lgs 24 febbraio 1998, n. 58, come da ultimo novellato dal d.lgs 17 settembre 2007, n. 164 attuativo della direttiva n. 2004/39/CE e degli atti esecutivi (direttiva n. 2006/73/CE e Regolamento n. 1287/2006).
[2] Cfr. F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, pag. 321.; G. Alpa, commento art. 21, in Alpa e Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998, pag. 225; A. Dolmetta, U. Minneci, voce Borsa (contratti di), in Enc. dir. Aggiornamento, V, Milano, 2001, pag. 173, nonché da ultimo F. Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004. Concetto ripreso dal legislatore comunitario con la direttiva n. 2006/73/CE recante modalità di esecuzione della direttiva n. 2004/39/CE ove, ad esempio, al considerando 45 stabilisce che il livello di precisione delle informazioni che devono esser fornite ai clienti dall'impresa di investimento "può variare in funzione della classificazione del cliente (...) e della natura e del profilo di rischio degli strumenti finanziari che vengono offerti".
[3] Cfr. N. Moloney, EC Securities Regulation, Oxford, 2002, pag. 514.
[4] È in parte condivisibile l'opinione di chi individua "il vero asse portante" di siffatta disposizione "al novero degli obblighi di informazione nella fase delle trattative", cfr. A. Perrone, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, in Riv. delle Soc., 2005, pag. 1023. Sia consentito rimandare altresì alle riflessioni svolte nel mio Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive MiFID, in Riv. dir. priv., 2008, in corso si stampa.
[5] Seguendo la strada delineata, è agevole cogliere la stretta interdipendenza dei diversi obblighi in esame, funzionalmente preordinati a porre il risparmiatore "nella condizione ideale di effettuare consapevoli e ragionate scelte di investimento o disinvestimento, sul presupposto di una postulata correlazione funzionale della conoscenza quale guida alla volontà dell'agire intenzionale e cosciente e momento costitutivo essenziale della intera esperienza pratica dell'uomo". Testualmente V. Scalisi, Dovere di informazione e attività di intermediazione mobiliare, in Mazzamuto-Terranova (a cura di), L'intermediazione mobiliare. Studi in onore di Aldo Maisano, Napoli, 1993, pag. 72. Come è stato acutamente osservato, si tratta di un "rapporto di mezzo a scopo", di "un modello che privilegia regole di risultato a regole di procedura" attraverso l'utilizzo di "una clausola generale come regola di chiusura del sistema (...)". Così A. Perrone, Gli obblighi di informazione nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca borsa tit. cred., 2006. Sui profili strutturali del dovere di informazione cfr., in generale, S. Pugliatti, I fatti giuridici, revisione e aggiornamento di A. Falzea, Ferrara, Messina, 1945.
[6] A cui si aggiunge - se ne ricorrono le condizioni ex art. 2058, comma 1 c.c.. - il risarcimento in forma specifica, finalizzato non già a compensare pecuniariamente il danno (inteso come effetto economico negativo), bensì a rimuoverlo direttamente.
[7] La gravità dell'inadempimento si coglie in considerazione della natura estrema del rimedio, atto a caducare il contratto e le obbligazioni conseguenti. Sul punto, cfr. C. M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità, Trattato di diritto civile, V, 1994, pag. 270.
[8] In generale, sul tema cfr. G. Collura, Importanza dell'inadempimento e teoria del contratto, Milano, 1992; M.G. Cubeddu, L'importanza dell'inadempimento, Torino, 1995.
[9] In questi termini, cfr. R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, Trattato di Diritto Civile, diretto da Sacco, II, Torino, ed. 2004, pag. 233.
[10] Ibidem, pag. 258.
[11] Come è agevole comprendere, il tema della responsabilità precontrattuale connessa alla violazione dei doveri informativi, conduce al fenomeno dei vizi del consenso (per colposa o dolosa induzione in errore) che a sua volta riporta l'attenzione dell'interprete al tema della tutela del creditore mediante l'azione di ripetizione dell'indebito connessa alle invalidità negoziali.
[12] Come correttamente osservato dal Giudice di legittimità (1.3.) "(...) nel caso in esame non si ravvisa la necessità di comporre un contrasto giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi decisioni delle sezioni semplici sulla questione di diritto" oggetto dell'intervento. Il riferimento sembra concernere il contrasto "virtuale" tra Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, in Giust. civ., 2001, 2109 e Cassazione 29 settembre 2005, n. 19024, in La nuova giur. civ. comm., 2006, I, pagg. 897 e ss., con nota di Passaro. Pronunce radicalmente diverse nei presupposti decisionali giacché la prima sentenza si basava sull'assunto (assorbente) del mancato rispetto da parte dell'intermediario del requisito dell'iscrizione nell'albo delle Sim. Profilo colto lucidamente da A. Dolmetta, Strutture rimediali per la violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa), Relazione al Convegno «I contratti di negoziazione di strumenti finanziari», organizzato dal Consiglio Superiore della magistratura - Formazione Decentrata dei Magistrati del Distretto di Brescia in collaborazione con l'Ordine degli avvocati di Mantova, tenutosi in Mantova, 30 novembre 2007, edita in IL CASO - Foglio di giurisprudenza mantovana, http://www.ilcaso.it, pag. 6.
[13] Accolgono, tra gli altri, la tesi del vizio funzionale rispettivamente i Tribunali e le Corti d'Appello di Roma e Milano (non senza invero qualche voce contraria); nonché tra i tanti il Tribunale di Rimini, il Tribunale di Brescia, il Tribunale di Oristano, il Tribunale di Savona, il Tribunale di Udine, il Tribunale di Modena, il Tribunale di Bologna, il Tribunale di Padova, il Tribunale di Foggia, il Tribunale di Rovereto; rispettivamente le Corti d'Appello di Torino e Brescia. Di converso, sembrano più orientati a traslare la violazione dei doveri comportamentali degli intermediari sul piano della fattispecie fra gli altri il Tribunale di Mantova, il Tribunale di Trento, il Tribunale di Firenze, il Tribunale di Palermo, il Tribunale di Venezia, il Tribunale di Brindisi, il Tribunale di Ferrara, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il Tribunale di Parma, il Tribunale di Marsala, il Tribunale di Treviso, il Tribunale di Cagliari, il Tribunale di Trani, il Tribunale di Foggia.
[14] In dottrina, tra i tanti che si sono occupati del tema cfr. di recente G. Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari. Ancora qualche divulgazione sul tema, in Giur. it., 2006, 1633 e ss.; ID, Una giurisprudenza in bilico: i casi Cirio, Parmalat, bonds argentini, in Giur. it., 2006, 537 e ss.; F. Mazzini, La giurisprudenza sulla adeguatezza dell'operazione del cliente, Relazione al convegno organizzato dall'Università degli Studi di Siena sul tema: "La stagione dei corporate bond tra giurisprudenza e riforma del risparmio", Siena, 24 marzo 2006, in Dir. banc. merc. fin., 2006, pagg. 605 e ss.; A. Perrone, Gli obblighi di informazione nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca borsa tit. cred., 2006, I, pagg. 373 e ss.; F. Galgano, I contratti di investimento e gli ordini dell'investitore all'intermediario, in Contratto e impresa, 2005, pagg. 889 e ss.; D. Maffeis, Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. priv., 2005, pagg. 575 e ss.; V. Roppo, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l'ambaradam dei rimedi), in Contratto e impresa, 2005, pagg. 896 e ss. Da ultimo con particolare riguardo ai prodotti finanziari derivati, B. Inzitari, Strumentalità e malizia nella predisposizione e raccolta della dichiarazione di operatore qualificato, Relazione al Convegno «I contratti di negoziazione di strumenti finanziari», organizzato dal Consiglio Superiore della magistratura - Formazione Decentrata dei Magistrati del Distretto di Brescia in collaborazione con l'Ordine degli avvocati di Mantova, tenutosi in Mantova, 30 novembre 2007, edita in IL CASO - Foglio di giurisprudenza mantovana, http://www.ilcaso.it/. A livello monografico, affrontano il tema, tra gli altri, F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993; M. Lobuono, La responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999; E.M. Mastropaolo, I servizi di investimento e gli intermediari professionali, Milano, 2003; F. Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano. 2004. Per una ricognizione della letteratura statunitense cfr. A. M. Pacces, Financial Intermediation in the Securities Markets, Law and Economics of Conduct of Business Regulation, 20 12 Int. Rev. Law. Ec., 490, 479 (2000).
[15] Come di contro appare alla Suprema Corte di Cassazione là dove afferma, nella sentenza in commento, che "gli strumenti di tutela esistono anche sul piano del diritto civile, essendo poi la loro specifica conformazione giuridica compito del medesimo legislatore le cui scelte l'interprete non è autorizzato a sovvertire, sicché il ricorso allo strumento di tutela della nullità radicale del contratto per violazione di norme di comportamento gravanti sull'intermediario nella fase prenegoziale ed in quella esecutiva, in assenza di disposizioni specifiche, di principi generali o di regole sistematiche che lo prevedano, non è giustificato" (1.9.).
[16] Sul punto cfr. le note critiche cfr. R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, II, cit., pag. 525.
[17] La letteratura è vastissima. Cfr. tra tanti, F. Ferrara sen., Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1914; V. Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001; G.B. Ferri, Introduzione al sistema dell'invalidità del contratto, in Trattato Bessone, Il contratto in generale, VIII, Torino, 2002; G. De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, pagg. 436 e ss; A. Di Majo, La nullità, in Trattato Bessone, cit.
[18] Il riferimento scontato è alle nuove nullità di protezione.
[19] Su cui cfr. G. De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., nonché G. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993.
[20] Cfr., ad esempio, Cassazione 19 dicembre 2001, n. 16026, in Mass. Foro it., 2001.
21 Cfr., tra le altre, Cassazione, Sezioni Unite, 3 aprile 1989, n. 1613, in Foro it., 1989, I, 1420 e ss.
[22] Cfr. Cassazione, 27 giugno 2002, n. 9380, in Mass. Foro it., 2002. Anche se la giurisprudenza sul punto non è unanime.
[23] Così Cassazione 4 febbraio 1998, n. 1157, in Mass. Foro it., 1998.
[24] Cfr. Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, cit.
[25] Dati aggiornati in M. Mantovani, La nullità e il contratto nullo, in Trattato del Contratto, Roppo (a cura di), Milano, 2006, pagg. 50 e ss.
[26] Cfr. 1.11.
[27] Cfr. 1.9.
[28] Trapela una certa consapevolezza della minor incisività del rimedio risarcitorio (rispetto a quello di ripetizione) in un passo ove la Corte afferma, per l'appunto, che "[s]i possono ovviamente avere opinioni diverse sul grado di efficacia della tutela in tal modo assicurata dal legislatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni sempre più ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari finanziari. Ma non si può negare che gli strumenti di tutela esistono (...)" (1.9.).
[29] Cfr. 1.6.
[30] Cfr. 1.11.
[31] Su cui in generale cfr. G. Guglielmetti, I contratti normativi, Padova, 1969; A. Orestano, Accordo normativo e autonomia negoziale, Quaderni romani di diritto privato, Padova, 2000. Per una bibliografia analitica dell'istituto cfr. V. Roppo, Il Contratto, cit., pagg. 528 e ss.
[32] Cfr. 1.2.
[33] Regola questa invero che si riattiva nel corso del rapporto negoziale e può rilevare quindi anche ai fini dell'accertamento della responsabilità contrattuale. Come correttamente osservato dalla dottrina più qualificata "talora l'interprete stenterà a distinguere il dovere precontrattuale d'informazione e l'obbligazione di informare, vista come prestazione contrattuale". Così R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, II, cit., pag. 258 che richiamano l'esempio del medico chirurgo. Il medico "informa la paziente sui rischii e le speranze che si collegano ad un intervento. In casi come questo l'interprete ama menzionare l'art. 1337; ma non è facile sottrarre un'informazione di questo genere al regime delle consulenze prestate in virtù di un rapporto contrattuale ormai instaurato".
[34] La Cassazione non sviluppa tale profilo, giacché come ben noto la "[g]ravità dell'inadempimento è res facti". Così R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, II, cit., pag. 633.
[35] Sul punto sia consentito rimandare al mio, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive MiFID, cit.
[36] Sul tema del conflitto di interessi in materia di servizi di investimento cfr. ex plurimis F. Annunziata, "Governance" delle banche e conflitti di interessi. Il difficile equilibrio tra disciplina bancaria e dei servizi di investimento, in Analisi giuridica dell'economia, 2004, pagg 178 e ss.; R. Razzante, Il conflitto di interessi tra lex specialis e normativa civilistica: un tentativo di ricostruzione della disciplina applicabile, in Riv. dir. Comm., 2004, pagg. 51 e ss.; F. Sartori, Il conflitto di interesse tra intermediari e investitori, in Riv. dir. civ., 2001, pagg. 191 e ss. In generale, cfr. il D. Maffeis, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002.
[37] Cfr. 1.10.
[38] Ibidem.
[39] Cfr. 1.7.
[40] R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, I, cit., pag. 714.
[41] Cfr. 1.4. In giurisprudenza sul punto si era già espresso il Tribunale Milano, 11 maggio 1995, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, pagg. 442 e ss. La Corte afferma che (anche) le norme relative al conflitto di interessi "sono da considerarsi imperative - in quanto, oltre a tutelare l'interesse dei singoli contraenti e ricevere una corretta e completa informazione e quindi alla produzione di un corretto processo formativo della volontà, presiedono allo svolgimento di attività economiche rilevanti secondo regole tali da salvaguardarne e consentirne la corretta e regolare esecuzione - per cui devono considerarsi nulli gli atti che violano le stesse norme". Va peraltro dato atto che il foro ambrosiano negli anni successivi ha accolto con maggior frequenza la tesi dell'annullamento, su cui cfr. infra.
[42] Testualmente M. C. Bianca, Diritto Civile, Il Contratto, Trattato di diritto civile, III, 2000, pag. 612.
[43] Cfr. F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, cit., pagg. 327 e ss.; V. Santoro, Gli obblighi di comportamento degli intermediari mobiliari, in Riv. soc., pagg. 798 e 799.
[44] In tema di inadeguatezza dell'operazione finanziaria, argomentando ex art. 1711 c.c., è stata altresì avanzata la possibilità di applicare il rimedio previsto nel caso di eccesso di mandato. La tesi è stata sostenuta da D. Maffeis nella relazione, ad oggi inedita, presentata al Convegno «I contratti di negoziazione di strumenti finanziari», cit. Ma cfr. anche le riflessioni svolte dall'a. in Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella prestazione dei servizi di investimento, cit., pagg. 593 e ss.
[45] Cfr. R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, II, cit., pagg. 260 e ss., ove una attenta ricostruzione della giurisprudenza pratica e teorica sull'argomento. In particolare nt. 2 e 3.
[46] In termini generali, l'informazione "non si configura come un bene unitario e monovalente; essa, fuori dal contesto peculiare - meglio di un rapporto giuridico concreto - stenta ad assumere valore autonomo", testualmente P. Perlingieri, L'informazione come bene giuridico, in Il diritto dei contratti fra persona e mercato, cit. pag. 351, il quale sostiene che "L'informazione come bene è frutto infatti della vita di relazione tra soggetti, essa assume un senso ed un ruolo nella dinamica delle attività umane", richiamando (nt. 72) A. Sandulli, La libertà d'informazione, in Problemi giuridici dell'informazione, Roma, 1977, pag. 2. Ciò che rileva è allora il contenuto dell'informazione "che però è variabile in relazione a quelle che possono essere le aspettative, gli interessi o i diritti dell'altra parte. Essa va fornita perché la formazione della volontà non sia inficiata da ignoranza". Così V. Zeno-Zencovich, voce Informazione (profili civilistici), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, IX, 1993, pag. 423.
[47] Cfr. R. Cooter, U. Mattei, P.G. Monateri, R. Pardolesi, T. Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, I, Bologna, ed. 2006.
[48] M. C. Bianca, Diritto Civile, La Responsabilità, cit., pag. 127.
[49] Cfr. A. Perrone, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, cit., pagg. 1015 e ss.
[50] Ibidem.
[51] L'assunto, invero non sempre condivisibile, è quello della razionalità dell'investitore. Cfr. D.C. Langevoort, Selling Hope, Selling Risk: Some Lessons for Law from Behavioral Economics About Stockbrokers and Sophisticated Customers, in 84 Cal. L. Rev., 627 (1996). Una accessibile ricostruzione del tema in M. Egidi, Dalla razionalità limitata all'economia comportamentale, in Le nuove economie (R. Viale, a cura di), Milano, 2005, pagg.173 e ss.
[52] Su cui in generale, cfr. V. Zeno-Zencovich, G.B. Sandicchi, L'economia della conoscenza e i suoi riflessi giuridici, in Dir. inf., 2002, pagg. 971 e ss.
[53] Cfr. G. Akerlof, The Market for "Lemons": Quality Uncertainity and the Market Mechanism, in 84 Q. J. Econ., 488 (1970), ben illustrato da M. Onado, Mercati e intermediari finanziari. Economia e regolamentazione, Bologna, 2000, pagg. 209 e ss. Si parla di "bidoni" in quanto l'a. prende in considerazione il mercato delle auto usate, tra cui i c.d. lemons (i bidoni appunto).
[54] Cfr. J. Stiglitz, Information and Economic Analysis: a Perspective, Conference Papers. Supplement to the 95 "Economic Journal", (21) 1985.
[55] La letteratura è vastissima. Per chiarezza si distinguono F.H. Easterbrook, D. R. Fishel, The Economic Structure of Corporate Law, Harvard University Press, Cambridge MA, 1991, pag. 280; nonché A. Perrone, Informazione al mercato e tutele dell'investitore, Milano, 2003, pag. 3, ove una esauriente bibliografia (nt. 4).
[56] Così F.H. Easterbrook, D. R. Fishel, The Economic Structure of Corporate Law, cit., pag. 280.
[57] Cfr. più in generale sul ruolo dei controlli, L. Enriques, Dum Romae Consulitur...Verso una nuova disciplina comunitaria del conflitto di interessi nei servizi di investimento, in Banca impresa e società, 2004, pag. 452.
[58] Cfr. 1.9. Enfasi aggiunta.