Sommario: 1. Il caso trattato alla Cassazione.- 2. Gli effetti giuridici della cancellazione della società.- 3. Il fallimento intervenuto dopo l'accertamento notificato ai soci della società estinta..- 3. Considerazioni conclusive.
1. Il caso trattato alla Cassazione
Una società di capitali era dichiarata fallita entro l'anno dalla data della propria cancellazione dal Registro delle imprese, ex art. 10 l. fall.
Dopo la cancellazione, ma prima della sentenza dichiarativa di fallimento, l'Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento in materia d'imposte dirette ai soci della società, iure successionis.
I soci impugnavano l'avviso di accertamento con separati ricorsi i quali, previa riunione, venivano respinti dalla Commissione tributaria provinciale di Padova.
Avverso la decisione di primo grado i soci proponevano appello avanti la Commissione tributaria regionale del Veneto, la quale accoglieva il gravame.
I giudici di seconde cure, con riferimento al tema che qui interessa, ritenevano che una volta intervenuto il fallimento l'Ufficio avrebbe dovuto annullare l'accertamento notificato ai soci, riemettendolo nei confronti del curatore, unico soggetto legittimato a rappresentare il contribuente sottoposto a procedura concorsuale.
L'Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione censurando l'assunto della CTR del Veneto secondo il quale, una volta apertosi il concorso, la società contribuente, per quanto già cancellata dal Registro delle imprese, dovesse essere considerata nuovamente "esistente".
Secondo l'ente erariale, pertanto, la pretesa fiscale non doveva essere "nuovamente" fatta valere nei confronti del curatore fallimentare, e concludeva per la legittimità dell'originaria notifica nei confronti dei soci.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento[1], ha accolto il ricorso proposto dall'Amministrazione finanziaria, ritenendo che al momento in cui era stato notificato l'avviso di accertamento ai soci, gli stessi erano stati correttamente individuati, sotto il profilo della legittimazione passiva, quali soggetti cui fosse riferibile il debito di pertinenza della società estinta.
2. Gli effetti giuridici della cancellazione della società
La scansione dei fatti :
o 20 febbraio 2012, cancellazione della società
o 17 ottobre 2012, notifica dell'accertamento ai soci
o 15 febbraio 2013, fallimento della società,
induce ad effettuare un preliminare, sintetico approfondimento sugli effetti giuridici correlati alla estinzione delle società di capitali.
L'art. 2495, comma 2, c.c. dispone che dopo la cancellazione della società dal Registro imprese i creditori possano far valere le proprie ragioni nei confronti dei soci, nei limiti di quanto dagli stessi riscosso in base al bilancio finale di liquidazione, oltreché nei confronti dei liquidatori, in caso di colpa.
L'estinzione di una società di capitali determina un effetto di tipo successorio: le obbligazioni aziendali non si estinguono con la cancellazione dell'impresa dal Registro delle imprese, ma si trasferiscono ai soci, nei limiti fissati dalla norma sopra richiamata.
Secondo il consolidato insegnamento della Cassazione, una diversa interpretazione - ovvero che alla cancellazione della società consegua l'estinzione dei debiti non soddisfatti - permetterebbe "al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui (magari facendo venir meno le garanzie prestate da terzi che a quei debiti accedano), ciò che pare tanto più inammissibile in un contesto normativo nel quale l'art. 2492 c.c. neppure accorda al creditore la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione".[2]
Peraltro, il fenomeno successorio in capo ai soci si verifica a prescindere tanto dall'esistenza, quanto dall'ammontare dell'attivo patrimoniale che risulti dal bilancio finale di liquidazione redatto ed approvato ex art. 2492 c.c.
Le attività distribuite ai soci rappresentano solo il presupposto - oltreché la misura - della loro responsabilità patrimoniale, non rilevando ai fini dell'assunzione della qualità di successori della società estinta, effetto - quest'ultimo - che si verifica in ogni caso.
In questo senso, secondo la Suprema Corte, il fatto che "i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente ai fini della esclusione dell'interesse ad agire del Fisco".[3]
E ciò dal momento che l'Amministrazione finanziaria può avere interesse ad accertare il proprio diritto alla pretesa tributaria: si pensi, ad esempio, al caso in cui alcuni beni e/o diritti aziendali non siano stati ricompresi nel bilancio finale di liquidazione.
Tali assets, con la cancellazione della società dal Registro imprese, si trasferiscono di diritto in capo ai soci, in regime di contitolarità e/o di comunione indivisa,
La suddetta circostanza legittima l'interesse dell'Amministrazione finanziaria ad ottenere un titolo - l'avviso di accertamento legalmente notificato - che le consenta di far valere la pretesa fiscale verso i soci della società estinta (concetto "dinamico" di interesse ad agire).[4]
3. Il fallimento intervenuto dopo l'accertamento notificato ai soci della società estinta
Abbiamo visto che nel caso in esame la sentenza dichiarativa di fallimento è intervenuta, ex art. 10 l. fall., dopo la notifica dell'avviso di accertamento ai soci della società estinta.
Considerato che il fallimento è intervenuto dopo i sessanta giorni decorrenti dalla notifica dell'accertamento ai soci, si deve presumere che al momento dell'apertura del concorso gli stessi avessero già ritualmente impugnato l'atto impositivo avanti al giudice tributario.
La questione è dunque se il fallimento della società estinta sia idoneo a far venire meno la soggettività/legittimità passiva dei soci con riferimento al procedimento tributario dagli stessi azionato.
Ciò implica una valutazione della portata del sopra richiamato art. 10 l. fall.: l'imprenditore, individuale e collettivo, può essere dichiarato fallito entro l'anno dalla cancellazione qualora l'insolvenza si sia manifestata prima di tale momento ovvero entro l'anno successivo.
Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, l'art. 10 l. fall. rappresenta un'eccezione al principio generale secondo cui la dichiarazione di fallimento fa venire meno la capacità di stare in giudizio della società estinta, con conseguente necessità di interruzione del procedimento.
Il richiamato art. 10 limita la propria portata applicativa all'ambito del concorso, facendo sì che laddove una società sia dichiarata fallita entro l'anno dalla cancellazione, "tanto il procedimento per la dichiarazione di fallimento, quanto le eventuali successive fasi d'impugnazione continuino a svolgersi nei confronti della società (e, per essa, del suo legale rappresentante)".[5]
È dunque solo nel contesto della procedura concorsuale maggiore che permane la legittimazione processuale della società estinta, in persona del proprio legale rappresentante.[6]
La natura eccezionale - e derogatoria - dell'art. 10 l. fall. fa sì che in ambiti diversi rispetto al concorso, quale quello che interessa il contenzioso tributario, il fallimento della società intervenuto nell'anno dalla cancellazione non determina il venir meno della soggettività passiva dei soci, né della loro legittimazione processuale.
In questo quadro, la sentenza della CTR del Veneto ha erroneamente considerato "reviviscente", con riferimento ai profili tributari, la società estinta per effetto del successivo fallimento, andando oltre "il limitato ambito entro la quale la previsione ex art. 10 l. fall. deve trovare applicazione, non potendosi ritenere che tale previsione abbia la finalità di ricostituire una legittimazione passiva tributaria della società estinta e fallita entro l'anno che, in forza dell'art. 2495 c.c., è configurabile solo nei confronti dei soci, a titolo successorio".[7]
4. Considerazioni conclusive
Nel caso in esame la sentenza dichiarativa di fallimento della società cancellata è stata emessa in pendenza di un procedimento tributario avviato dai soci destinatari di un accertamento già inerente la posizione reddituale della società.
Laddove, al contrario, il fallimento fosse intervenuto in pendenza di un contenzioso fiscale a suo tempo promosso dalla società prima della propria cancellazione dal Registro delle imprese, si sarebbe verificata una causa interruttiva del giudizio.
In questo caso, vi sarebbe stata per l'Erario la necessità di integrare il contraddittorio con la chiamata in causa dell'intera compagine sociale: trattandosi di un rapporto giuridico tributario relativo alla società estinta, si sarebbe verificato un effetto successorio con conseguente ricaduta sull'intero corpo sociale della medesima società.
NOTE
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[1] Cass. Civ., Sez. V, 20 gennaio 2022, n. 1689.
[2] Cass. Civ, Sez. Un., 12 marzo 2013, nn. 6070-6072.
[3] Cass. Civ., Sez. V, 7 aprile 2017, n. 9094.
[4] Contra, Cass. Civ., Sez. V, 22 luglio 2016, n. 15218, secondo la quale la mancanza di responsabilità patrimoniale in capo ai soci per non avere gli stessi beneficiato di alcun riparto di attivo in ambito di bilancio finale di liquidazione sarebbe idonea a far ritenere non sussistente un autonomo interesse ad agire verso i soci da parte dell'Amministrazione finanziaria.
[5] Cass. Civ., Sez. Un., 12 marzo 2013, n. 6070.
[6] Si veda, in questo senso, Cass. Civ., Sez. I, 5 novembre 2010, n. 22547, secondo la quale in ambito di procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società di capitali cancellata dal Registro delle imprese, la legittimazione al contraddittorio spetta al liquidatore il quale, pur dopo la cancellazione, è legittimato a proporre reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, ex art. 18 l. fall.
[7] Cass. Civ., Sez. V, 20 gennaio 2022, n. 1689.