La clausola di indicizzazione del cambio in valuta estera, inserita nell'ambito di un rapporto di locazione finanziaria, non configura un contratto autonomo, con causa di rischio assimilabile a un derivato swap, ma costituisce una mera operazione di adeguamento della prestazione pecuniaria.
Attraverso la pronuncia in commento la Corte di Cassazione si sofferma sulla natura della clausola con cui le parti di un rapporto di leasing decidono di denominare il finanziamento in valuta nazionale (euro, nel caso di specie), ma lo indicizzano al cambio di valuta (nel cambio euro/franchi svizzeri), escludendo che tale operazione possa configurare un contratto autonomo, avente una causa di rischio analoga al derivato swap.
La qualificazione fornita dalla Corte di legittimità è quella di una clausola di adeguamento della prestazione pecuniaria alle esigenze delle parti, correlata alla locazione finanziaria, tanto priva di una autonomia causale, quanto estranea alla funzione di rischio pro futuro propria del derivato finanziario.
Da tale interpretazione discende che la clausola di indicizzazione al tasso di cambio della valuta non deve essere assoggettata a un controllo di meritevolezza diverso e ulteriore rispetto a quello concretamente operabile sul contratto che vincola le parti (nel caso di specie, di locazione finanziaria), con il conseguente effetto che rispetto ad essa non sono formulabili autonome e specifiche domande di invalidazione.
Detta soluzione contrasta con quella ravvisata dalla Corte di Appello di Trieste, la quale individuava quale fonte dei pagamenti reciproci fra le parti non già il rapporto di locazione finanziaria, bensì le oscillazioni dei valori di cambio euro/franco svizzero e riconduceva la clausola di indicizzazione a uno scopo di rischio finanziario nuovo ed autonomo, assimilato al derivato swap, in ragione della scommessa generata dai contraenti rispetto a quale fra essi sarebbe stato il futuro beneficiario di dette oscillazioni.
La rivisitazione operata dalla Corte di legittimità prende le mosse dall'analisi della materia dei derivati finanziari quali operazioni di speculazione sulla variazione di titoli e valori, insuscettibili di una definizione unitaria, così come recentemente già specificato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 8770/2020).
Con particolare riguardo al contratto di swap, evocato dalla Corte triestina nel caso di specie, esso si distingue per via della creazione pattizia di un differenziale tra il valore dell'entità negoziata al momento della stipulazione e quello da questa acquisito a una determinata scadenza, ad esempio tramite il ricorso a clausole di indicizzazione.
Se appare pacifica la riconduzione di tale impianto negoziale a una concreta funzione speculativa, di arricchimento finanziario, ne è invece discussa l'analogia alla figura della scommessa: essa è richiamata dall'articolo 1933 del codice civile, che esclude tanto l'azione quanto, ad eccezione della frode e dell'incapacità, la ripetizione delle somme che ne sono ad oggetto, in qualche modo estraniando tale istituto dall'orizzonte di una qualsiasi tutela giuridica, tanto che ne è discussa la natura contrattuale.
Effettivamente, non appare da escludere a priori una tutela giuridica del rapporto di swap, così distinguendolo nettamente dalla figura priva di tutele della scommessa, tenuto conto del riconoscimento sociale, oltre che finanziario, che tale strumento speculativo comunque ha conosciuto, indipendentemente da possibili perplessità morali o anche economiche, basate sul grande sviluppo che il gioco speculativo ha avuto negli ultimi decenni, anche a discapito della cosiddetta "economia reale", caratterizzata dallo scambio di beni, più che di valori.
Giuridicamente, il nodo delle tutele che il rapporto di swap pone non sta nella loro concedibilità in astratto, bensì nella loro effettiva concessione, avuto riguardo alla meritevolezza della causa in concreto.
In dettaglio, premesso che il gioco speculativo fa dello squilibrio sopraggiunto fra le parti la sua essenza, perché si alimenta di una ripartizione differenziale delle risorse finanziarie, esso si puo' reputare privo di meritevolezza causale allorquando tale squilibrio già sia presente e conosciuto in origine, difettando quindi la sua essenziale alea, in analogia alla nullità prevista dall'articolo 1895 del codice civile in materia di contratto di assicurazione.
Tuttavia, tali approfondimenti di giudizio, sicuramente utili a definire i contorni giuridici dei derivati finanziari e particolarmente dello swap, dalla Corte di Cassazione sono esclusi con riferimento alla clausola di indicizzazione al rapporto di cambio valutario, cui, come detto, la pronuncia in rassegna esclude un valore negoziale, e pertanto causale, autonomo.
Tale esclusione poggia sinteticamente sull'osservazione della clausola di indicizzazione in rapporto al contratto di leasing cui fa riferimento, e da cui si ricava che le parti non perseguono uno scopo primariamente speculativo, ma soprattutto di definizione dell'entità dei canoni dovuti e quindi di esecuzione della prestazione ad oggetto del contratto di leasing, il quale, sebbene possa pure costituire un mezzo di investimento, permane strutturalmente un contratto per la fornitura di beni/servizi.
Rispetto a un contratto autonomo di swap, l'operazione di mera indicizzazione del canone del leasing risulta incompatibile con una sua libera ed indipendente circolazione sul mercato: in altri termini, mentre un derivato finanziario è contratto liberamente cedibile, l'indicizzazione valutaria costituisce una clausola inscindibilmente legata al contratto (in questo caso di leasing) cui accede, di talché la sua cessione presupporrebbe la cessione dell'intero rapporto di leasing, o al limite del solo credito che si sostanzia nei canoni oggetto di rivalutazione.
Va tuttavia precisato che la Corte di legittimità non separa completamente la clausola di indicizzazione in questione rispetto allo swap, cogliendone comunque una analogia di carattere finanziario, per quanto non giuridico. Pertanto, l'arricchimento speculativo di uno dei paciscenti è una conseguenza economica del differenziale valutario nel rapporto concreto euro/franchi svizzeri, ma non rappresenta certo la funzione economico-sociale della indicizzazione, poiché essa risiede nel rapporto principale di leasing, di cui la clausola è meramente strumentale a definire il contenuto oggettivo e pecuniario.
In conclusione, si è esaminato il contenuto della sentenza 4659/2021 della Corte di Cassazione, che ha escluso la natura contrattuale autonoma della clausola di indicizzazione al rapporto di cambio valutario ed una sua conseguente connessione con la causa aletaoria del derivato finanziario, consideratane la inscindibilità al contratto di fornitura di beni o servizi cui accede e valutatane la natura di adeguamento dell'oggetto della prestazione.