Decreto di trasferimento di immobile e cancellazione delle formalità pregiudizievoli: il discusso requisito della definitività (Corte di Cassazione, I Sez. Civ., 10.02.2020, n. 3096)
Pubblicato il 25/03/20 02:00 [Articolo 868]






"Se, nel procedimento di espropriazione e vendita forzata immobiliare, il decreto di trasferimento del bene, recante l'ordine di cancellazione dei gravami (pignoramenti, ipoteche, privilegi, sequestri conservativi) determini, in forza dell'art. 2878, n. 7, cod. civ., l'estinzione dei medesimi vincoli, dei quali il Conservatore dei registri immobiliari (oggi Ufficio provinciale del territorio- Servizio di pubblicità immobiliare, istituito presso l'Agenzia delle Entrate) è tenuto ad eseguire la cancellazione, indipendentemente dal decorso dei termini per la proponibilità di opposizioni all'esecuzione a norma dell'art. 617 cod. proc. Civ."

Premessa: la questione rimessa alle Sezioni Unite.

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 10.02.2020, n. 3096, che si annota, ha rimesso innanzi alle Sezioni Unite la questione della efficacia dell'ordine di cancellazione dei gravami contenuto nel decreto di trasferimento dell'immobile espropriato ai sensi dell'art. 586 c.p.c.: se, in particolare, nel procedimento di espropriazione e vendita forzata immobiliare, il decreto di trasferimento del bene, recante l'ordine di cancellazione dei gravami (pignoramenti e ipoteche) determini, in forza dell'art. 2878, n. 7, cod. civ., l'estinzione dei medesimi vincoli, dei quali il Conservatore dei Registri Immobiliari è tenuto ad eseguire la cancellazione, indipendentemente dal decorso dei termini per la proponibilità dell'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 cod. proc. civ.
E' noto infatti come in giurisprudenza alla tesi secondo cui tale ordine di cancellazione sarebbe immediatamente efficace ed esecutivo, se ne contrappone un'altra, invero piuttosto diffusa nella prassi delle nostre Conservatorie, che invece richiede, quale presupposto per il prodursi degli effetti purgativi, la "stabilizzazione" del decreto di trasferimento, ossia il decorso dei termini per un'eventuale opposizione.

La vicenda posta all'attenzione della Suprema Corte.

La vicenda oggetto di scrutinio da parte della Corte di Cassazione trae origine da due ricorsi in opposizione agli atti esecutivi promossi da una debitrice esecutata nei confronti della Curatela fallimentare di due fallimenti (della società e dei soci), creditore procedente in una espropriazione immobiliare a proprio carico.
In particolare, nel primo giudizio di opposizione, l'opponente lamentava l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione nella vendita senza incanto, che era già stato impugnato ex art. 591-ter c.p.c. e rigettato dal Giudice dell'esecuzione. Nel secondo giudizio, contestava la legittimità del decreto di trasferimento e dell'atto di precetto per rilascio dell'immobile staggito.
Il Tribunale di Sondrio, dopo aver riunito i due giudizi, ha rigettato tutte le domande proposte dalla opponente. In particolare, ha disposto che il decreto di trasferimento costituisce, ex art. 586 cod. proc. civ., titolo per la trascrizione e titolo esecutivo per il rilascio. Mentre per quel che riguarda gli obblighi del Conservatore, il Tribunale ha ribadito che costui deve, ex art. 2659 cod. civ., eseguire la trascrizione del decreto, essendo esente dalle sue funzioni la verifica sull'efficacia esecutiva dello stesso.

I motivi del ricorso in Cassazione.

Avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio, l'esecutata ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi ad una serie articolata di motivi, tre dei quali degni di particolare attenzione tanto da giustificare la rimessione alle Sezioni Unite.
In particolare, con l'undicesimo motivo, la ricorrente ha eccepito che il Conservatore avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 2674 cod. civ., controllare sia l'identità dei soggetti a favore dei quali era stata chiesta la trascrizione, sia la presenza della formula esecutiva sul decreto di trasferimento (ritenendo le sentenze provvisoriamente esecutive non operative per trasferimenti che riguardano immobili) ed avrebbe dovuto verificare, ai sensi dell'art. 101 cod. proc. civ., la regolare notifica del decreto di trasferimento al fine di garantire il principio del contraddittorio rendendolo opponibile.
Col quattordicesimo motivo, la ricorrente ha contestato la violazione dell'art. 282 cod. proc. civ. e dell'art. 586 cod. proc. civ., poiché secondo la sua ricostruzione il decreto di trasferimento, il relativo atto di precetto ed il verbale di vendita sarebbero atti presupposti e non sarebbero idonei a produrre effetti fino al passaggio della sentenza che avrebbe definito la causa. Col quindicesimo motivo, infine, assume che l'accoglimento anche di una sola delle impugnazioni proposte contro il decreto di trasferimento avrebbe determinato un effetto a cascata con conseguente obbligo di retrocessione del bene da parte dell'aggiudicatario.

L'iter argomentativo della Suprema Corte.

La Corte, nella ordinanza che si annota, aderendo alle considerazioni proposte dalla Procura Generale, ha statuito l'inammissibilità dei tre motivi di ricorso in esame. Tuttavia, la stessa Procura Generale ha segnalato la particolare rilevanza della questione sottesa a tali motivi (in particolare, all'undicesimo) in presenza "di indirizzi e di prassi sensibilmente divergenti fra loro, ancorché basate sulla interpretazione delle medesime disposizioni legislative che vengono in rilievo (art. 586 c.p.c.; art. 2787 n. 7 e 2884 cod. civ.), invocando l'enunciazione del seguente principio di diritto nell'interesse della legge, ex art. 363, comma 3, cod. proc. civ.: "Nel procedimento di espropriazione e vendita forzata immobiliare, il decreto di trasferimento del bene, recante l'ordine di cancellazione dei gravami (pignoramenti, ipoteche, privilegi, sequestri conservativi) determini, in forza dell'art. 2878, n. 7, cod. civ., l'estinzione dei medesimi vincoli, di cui il Conservatore dei registri immobiliari (oggi Ufficio provinciale del territorio- Servizio di pubblicità immobiliare, istituito presso l'Agenzia delle Entrate) è tenuto ad eseguire la cancellazione, indipendentemente dal decorso dei termini per la proponibilità di opposizioni all'esecuzione a norma dell'art. 617 cod. proc. Civ.".
Le criticità ermeneutiche - ritiene la Corte - riguardano essenzialmente tre punti: 1) se il decreto di trasferimento del bene pronunciato dal G.E. a norma dell'art. 586 cod. proc. civ. comporti ex lege l'immediata cancellazione dei pesi gravanti sul bene; 2) se, in caso di risposta negativa al precedente quesito, venga in applicazione l'art. 2884 cod. civ.; 3) quale sia l'ambito di valutazione del Conservatore dei registri immobiliari, con particolare riguardo alla verifica di stabilità/definitività del decreto di trasferimento.
Per esaminare tali questioni, secondo la Corte è necessario svolgere una breve premessa su contenuti ed effetti - specie in termini di stabilità - del decreto di trasferimento, quale atto conclusivo della vendita forzata (nella specie immobiliare), che la prevalente dottrina declina in termini di sub-procedimento del processo di espropriazione, in linea con il consolidato orientamento di questa Corte per cui il procedimento di esecuzione forzata è organizzato "non già come una sequenza continua di atti ordinati ad un unico provvedimento finale - secondo lo schema proprio del processo di cognizione - bensì come una successione di sub-procedimenti, consistenti ciascuno in una serie autonoma di atti ordinati e di distinti provvedimenti successivi, di modo che le situazioni invalidanti che si producano in una fase sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo solo in quanto impediscano il conseguimento dello scopo ultimo dell'intero procedimento esecutivo, e cioè l'espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori". In particolare, l'autonomia di ciascuna delle fasi (in caso di espropriazione immobiliare: autorizzazione della vendita, vendita, aggiudicazione, trasferimento del bene, distribuzione del ricavato) "è resa evidente dal fatto che ciascuna serie di atti è ordinata ad un provvedimento che la conclude, il quale, quando abbia avuto esecuzione, non è ritrattabile dal giudice che lo ha emesso (art. 487, primo comma, cod. proc. civ.), ma può essere dichiarato nullo solo a seguito di opposizione agli atti esecutivi".
E' dunque la peculiare funzione del processo esecutivo - che a differenza del processo di cognizione non ha come fine tipico l'accertamento dei diritti - a far sì che eventuali situazioni invalidanti verificatesi in una determinata fase "sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo solo in quanto impediscano che il processo attinga il risultato che ne costituisce lo scopo", ossia, come detto, il soddisfacimento dei creditori (in tal senso ex multis Cass. SS.UU., 27/10/1995, n. 11178; conf. Cass. SS.UU., 28/11/2012, n. 21110).
Orbene, alla luce di queste premesse sistematiche, la Corte ritiene che le norme del codice sostanziale e del codice di rito attribuiscano al decreto di trasferimento emesso dal Giudice dell'esecuzione "un marcato carattere di esecutività e definitività", sia con riguardo all'effetto traslativo - poiché a norma dell'art. 586, co. 1 cod. proc. civ., esso «trasferisce all'aggiudicatario il bene espropriato» - sia con riguardo all'effetto purgativo - poiché a norma del successivo comma 3, esso «costituisce titolo per la trascrizione della vendita sui libri fondiari»; inoltre, nell'art. 2878 cod. civ. - che elenca le «cause di estinzione» dell'ipoteca - si legge al n. 7), che essa si estingue «con la pronunzia del provvedimento che trasferisce all'acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche», ipotesi questa che significativamente compare accanto e in aggiunta a quella indicata al n. 1), per cui essa si estingue «con la cancellazione dell'iscrizione», quasi a volersi rimarcare l'immediata efficacia del decreto di trasferimento, che quell'ordine contiene.

La "frizione ermeneutica" con l'art. 2884 cod. civ.

Come acutamente osservato dalla Corte, nella ordinanza che si commenta, "la frizione ermeneutica" si annida in un'altra disposizione del codice civile, l'art. 2884 (contenuto nella Sezione XI, intitolata «Della cancellazione dell'iscrizione»), il quale dispone che «la cancellazione deve essere eseguita dal Conservatore, quando è ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti».
Il riferimento contenuto in questa disposizione alla definitività del provvedimento che ordina la cancellazione dell'iscrizione ipotecaria ha dato vita ad un orientamento di merito (v. Trib. Lucca, n. 3727/2017; App. Firenze, n. 2174/2017; Trib. Taranto, n. 1356/2019), nonché a prassi delle Conservatorie ad esso ispirate, che subordinano la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie alla "definitività" del decreto di trasferimento, da far constare mediante una attestazione di cancelleria circa il decorso del termine di venti giorni ex art. 617 cod. proc. civ. (o novanta giorni dal deposito ex art. 26 legge fall.) o la mancata proposizione di impugnazioni nel medesimo termine, ovvero sulla base del rilascio di copia autentica del decreto successivamente al materiale decorso del termine, o infine tramite una vera e propria certificazione di "inoppugnabilità" del decreto (secondo moduli assimilabili alla cancellazione disposta nei casi di estinzione del processo esecutivo ex art. 629 o di inefficacia del pignoramento ex art. 562 cod. proc. civ.).
Ebbene, la Corte riconosce alle due norme in oggetto un diverso ambito di operatività, sostanziale e procedurale. In particolare, l'art. 2878 cod. civ. istituisce un catalogo di cause di estinzione dell'ipoteca, al cui interno è assai significativo, come sopra evidenziato, che la mera «pronunzia del provvedimento che trasferisce all'acquirente il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche» figuri accanto (tra l'altro) alla «cancellazione dell'iscrizione». L'art. 2884 cod. civ. regola invece, nella fase successiva, i meccanismi di pubblicità immobiliare correlati alla «cancellazione ordinata con sentenza», subito dopo le norme che disciplinano la «cancellazione consentita dalle parti interessate».
E' pur vero che avverso il decreto di trasferimento possa essere promossa opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 cod. proc. civ., ma è parimenti vero che il decreto di trasferimento sia protetto da una particolare "stabilità" e dotato di una intrinseca e immediata esecutività, indipendente dalla eventuale proposizione di un'opposizione esecutiva.
Quanto alla stabilità - prosegue la Corte - l'art. 2929 cod. civ., nel disporre che «la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente», sterilizza le invalidità da cui risultino affetti gli atti precedenti la vendita, rendendone immune l'acquirente (e i suoi aventi causa), a meno che, appunto, questi sia colluso con il creditore procedente; nel qual caso la norma precisa che «gli altri creditori» (cioè, quelli non collusi) «non sono in nessun caso tenuti a restituire quanto hanno ricevuto per effetto dell'esecuzione», così legittimando la tesi, avanzata in dottrina, che anche a processo esecutivo concluso l'invalidità degli atti esecutivi precedenti la vendita potrebbe farsi valere in danno dell'acquirente colluso, con l'opposizione agli atti esecutivi o altra autonoma azione, altrimenti non restando che circoscrivere la portata della norma alla sola ipotesi di un riparto parziale intervenuto prima della chiusura del processo esecutivo.
Quanto, invece, alla intrinseca e immediata esecutività del decreto di trasferimento, essa è attestata anche dal potere del Giudice dell'esecuzione di sospenderne l'efficacia, così come di disporne la revoca "di sua iniziativa, anche dopo la scadenza del termine previsto dalla legge per la proposizione dell'opposizione di cui all'art. 617 cod. proc. civ., a meno che il provvedimento non abbia avuto definitiva esecuzione, momento, quest'ultimo, che si identifica non con quello dell'emanazione del decreto di trasferimento, ma con quello del compimento, da parte del cancelliere, delle operazioni indicate dall'art. 586 cod. proc. civ." (Cass. Sez. III, n. 24001/2011; conf. Cass., nn. 11316/2009, 666/2011, 25110/2015, 21081/2015; cfr. Cass. n. 10251/2015).

L'estensione del principio alle vendite fallimentari.
Invero, la tesi avallata dalla Suprema Corte, è stata condivisa anche da un orientamento di merito piuttosto recente maturato nel diverso ambito fallimentare. In particolare, il Tribunale di Prato, con interessante decreto n. 2311 del 3.9.2018 reso all'esito del reclamo proposto da un professionista delegato ai sensi dell'art. 2888 cod. civ. e 113 disp. att. c.c., ha ordinato al Conservatore, presso l'Agenzia delle Entrate, di procedere alla immediata cancellazione di due ipoteche gravanti sul bene oggetto di un decreto di trasferimento pronunciato all'esito di una vendita fallimentare.
Il Tribunale di Prato, con ragionamento articolato e condivisibile, ha ritenuto che il decreto di trasferimento è un atto che non può essere equiparato ai provvedimenti giurisdizionali suscettibili di produrre giudicato, né è possibile postularne l'inoppugnabilità ai fini dell'ottenimento della cancellazione dei gravami.
La definitività di cui parla l'art. 2884 cod. civ. per gli atti diversi dalle sentenze («altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti»), tra cui rientra senz'altro il decreto di trasferimento, è un concetto diverso dalla loro inoppugnabilità: si tratta di atti che sono definitivi, pur essendo impugnabili. Ed il decreto di trasferimento è atto di per sé definitivo, proprio perché definisce la fase liquidatoria e non è revocabile quando sia stato posto in esecuzione, cioè siano state espletate le formalità successive alla sua emanazione (così Cass. n. 24000/2011). E' un provvedimento a carattere meramente esecutivo, un atto dovuto privo di natura decisoria, inidoneo ad influire con efficacia di giudicato sulle situazioni giuridiche soggettive dei soggetti interessati (Cass. n. 6643/2013 in relazione alla cancellazione disposta dal G.D.).
In particolare, il decreto del Giudice delegato è immediatamente esecutivo, tanto che l'art. 108 comma 2 l. fall. subordina «la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo» al solo versamento del prezzo e non al decorso del tempo per l'impugnazione.
Va inoltre precisato che il decreto di trasferimento non è impugnabile, ma semmai è assoggettabile a reclamo che è cosa ben diversa da un processo impugnatorio. Il reclamo non è un diverso grado di uno stesso processo, ma è un processo a cognizione sommaria avviato contro un atto del Giudice delegato. Ed in effetti tra processo fallimentare e reclamo agli atti del Giudice delegato non vi è nemmeno identità di res judicanda (cfr. Corte Cost., ord. 497 del 28.11.2002, con riferimento all'opposizione agli atti esecutivi).

La tutela dei creditori ipotecari: una preoccupazione da non sopravvalutare.
Infine, la preoccupazione che la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie, quale atto irreversibile, possa vanificare le ragioni del creditore prelatizio, secondo la Corte non va sopravvalutata ed in ogni caso non è decisiva.
Sicuramente in sede fallimentare, i creditori non subiscono un effettivo pregiudizio, grazie alle tutele apprestate dagli artt. 42, 44 e 45 l. fall., in virtù del c.d. "spossessamento" del debitore che deriva dalla dichiarazione di fallimento. Invero, i creditori muniti di prelazione sul bene venduto non perdono i diritti che erano già risultati opponibili al fallimento, anche se la relativa iscrizione sia stata "fisiologicamente" cancellata dai registri immobiliari all'esito della vendita fallimentare, e ciò sia nel caso di riacquisizione del bene (dietro restituzione del prezzo all'aggiudicatario), sia nel caso in cui ciò sia impossibile, dovendo comunque essere soddisfatti secondo l'ordine delle cause legittime di prelazione accertate ai sensi degli artt. 52 e 93 e ss. della legge fallimentare (in tal senso cfr. Trib. Prato, n. 2311/2018 cit.)
Ma anche nell'esecuzione individuale - dove la contestuale cancellazione della trascrizione del pignoramento ordinata ex art. 586 cod. proc. civ. sembrerebbe eliminare gli effetti protettivi corrispondenti alla sentenza dichiarativa di fallimento - l'ipoteca "fisiologicamente" estinta in forza del decreto che conclude la fase della vendita forzata proietta i suoi effetti nella successiva fase della ripartizione del ricavato, conservando la collocazione preferenziale del credito cui ineriva. E ciò per l'effetto "purgativo" della estinzione dei vincoli e gravami esistenti sul bene staggito (pignoramenti, sequestri conservativi, ipoteche e altri diritti di prelazione) che risponde alla funzione propria dell'espropriazione immobiliare, ove appunto, una volta realizzatosi il trasferimento del diritto all'esito della vendita forzata, gli originari vincoli (tanto quello pignoratizio, finalizzato alla liquidazione del bene, quanto quello ipotecario, finalizzato all'acquisizione di un diritto di prelazione sul ricavato ai sensi dell'art. 2808 cod. civ.) si trasferiscono dal bene espropriato alla somma di denaro in cui esso si è convertito.


















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