"Il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, pronunciato sul reclamo avente ad oggetto il provvedimento del giudice delegato, nella parte in cui decide la controversia concernente, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell'attivo fino a quel momento disponibile e, dall'altro, il diritto degli ulteriori interessati ad ottenere gli accantonamenti delle somme necessarie al soddisfacimento dei propri crediti, nei casi previsti dall'art. 113 l.fall., si connota per i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, avverso di esso, è ammissibile il ricorso straordinario per Cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7°, Cost.".
"In tema di riparto fallimentare, ai sensi dell'art. 110 l.fall. (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), sia il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso il progetto - predisposto dal curatore - di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello ex art. 26 l.fall. contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale" [massima non ufficiale].
Premessa: le questioni oggetto di scrutinio
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza che si annota si occupa di due questioni particolarmente dibattute in tema di "procedimento di ripartizione" dell'attivo fallimentare così come disciplinato dall'art. 110 l.fall. nel testo risultante dalle Riforme del 2006/2007 (d.lgs. 9.1.2006, n. 5 e d.lgs. 12.9.2007, n. 169).
In particolare, sotto la lente di ingrandimento delle Sezioni Unite è finita la questione della ricorribilità in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., del decreto con il quale il Tribunale fallimentare, in sede di reclamo proposto ex art. 26 l.fall. avverso il decreto del Giudice Delegato, ha dichiarato esecutivo il piano di riparto parziale predisposto dal Curatore e quella della legittimazione attiva a proporre (non solo il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso il progetto di riparto parziale del Curatore, ma anche) il reclamo ex art. 26 l.fall. con-tro il decreto del Giudice Delegato che abbia deciso il primo reclamo.
La prima questione viene risolta dalla Corte nel senso favorevole alla ricorribilità in Cassazione del provvedimento del Tribunale che ha dichiaro esecutivo lo stato passivo, pronunciato in riforma del decreto del Giudice Delegato che, invece, in sede di impugnazione ex art. 36 l.fall., aveva sospeso la esecuzione del piano, disponendo l'accantonamento di tutte le somme distribuibili.
La seconda questione, sollevata d'ufficio dalla Corte, viene risolta nel senso di estendere la legittimazione attiva a proporre non solo il reclamo ex art. 36 l.fall. (contro il piano di riparto del Curatore), ma anche quello ex art. 26 l.fall. (contro il decreto del Giudice Delegato che abbia deciso il primo reclamo) a "qualunque controinteressato", inteso come creditore che, in qualche modo, può essere potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante e di imporre per entrambe le impugnazioni l'obbligo di notificazione a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale.
Tant'è che la Corte, avendo riscontrato nella vicenda oggetto di scrutinio che il reclamo proposto al Tribunale ex art. 26 l.fall. non era stato notificato o comunicato agli altri creditori concorrenti, ha ravvisato una violazione delle norme sul contraddittorio, cassando per l'effetto il provvedimento impugnato e rinviando la causa al Giudice Delegato, in persona di diverso giudicante, ai sensi dell'art. 383, terzo comma, c.p.c., per il suo nuovo esame.
Il panorama giurisprudenziale
Sul tema della ricorribilità in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., della decisione assunta dal Giudice di merito sulle impugnative endoconcorsuali al piano di riparto, la Cassazione ha registrato talune pronunce negative la cui ratio decidendi si incentra sulla considerazione secondo cui le somme sottratte alla ripartizione non vengono definitivamente negate al creditore reclamante, o attribuite ad altri, ma soltanto rinviate, con la distribuzione sulla base del piano di riparto finale, sicché la relativa statuizione avrebbe carattere meramente ordinatorio.
Come efficacemente affermato nella ordinanza interlocutoria del 13.04.2019, la negazione dell'assegnazione monetaria non equivarrebbe ad un diniego assoluto e definitivo del pagamento, posto che la quota di riparto sarebbe sostituita dall'accantonamento, secondo un provvedimento di "mera gestione", e il pagamento al creditore soltanto differito, ma non escluso, così che ben potrebbe predicarsi la non ricorribilità in Cassazione, non avendo il decreto del Tribunale i requisiti della decisorietà e della definitività.
Dall'altro, però, non è revocabile in dubbio che il provvedimento sull'accantonamento, in concreto negato, potrebbe esprimere un profilo decisorio e una natura definitiva e, se non impugnato, potrebbe cristallizzare ex art. 114 l.fall. i pagamenti nel frattempo eseguiti con il riparto esecutivo e conformare in modo irrimediabilmente limitativo la partecipazione del creditore che non abbia ottenuto l'invocato accantonamento.
La questione si intreccia inevitabilmente ed anzi presuppone la soluzione al quesito se il provvedimento che dispone l'esecutività del piano di riparto sia vincolante allo stato degli atti o se, al contrario, esso risulti direttamente condizionato dall'evoluzione dei costi o delle spese in prededuzione e, dunque, potenzialmente revocabile. Aderendo alla prima impostazione, solo l'esaurimento dei mezzi d'impugnazione metterebbe in sicurezza l'esecuzione del piano di riparto, proposto e vagliato giudizialmente, non retrocedibile di fase, nè "ritirabile", se non se ed in quanto non raccordato con lo stato passivo o con le condizioni per l'accantonamento di alcune somme.
Ove si ritenesse, invece, che il piano di riparto possa essere in tutto o in parte - "ritirato", in ogni momento divenendo oggetto di modifica o di revoca ovvero di sospensione in ordine alla sua esecutività, lo si renderebbe permeabile all'evoluzione dei conti della procedura, dovendosi accantonare tutte le risorse necessarie a fronteggiare le spese o i debiti prededucibili inizialmente non previsti (oppure, come nella vicenda in esame, i debiti prededucibili di grado diverso). Ma, con una tale interpretazione, la modificabilità o la revocabilità del piano di riparto comporterebbe ipso iure l'inammissibilità del ricorso per Cassazione, ex art. 111 Cost., poiché il provvedimento impugnato non sarebbe mai definitivo.
L'impianto motivazionale della sentenza
Le SS.UU., nella sentenza annotata, ricordano come la Cassazione con orientamento risalente nel tempo abbia affermato il principio di diritto secondo il quale il piano di riparto parziale, reso esecutivo dal Giudice Delegato - ed a prescindere dalla sua concreta esecuzione -, non ha carattere provvisorio, sì da potere essere modificato in seguito ad ulteriori risultanze ma, al contrario, una volta decorsi i termini di impugnazione, diventa definitivo e quanto con esso sia stato disposto non può essere più oggetto di contestazione (così, fra le altre, Cass., Sez. 2, n. 2035 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 776 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 594 del 1973; Cass., Sez. 2, n. 2374 del 1972). Anche più recentemente, la Suprema Corte (Cass., Sez. 1, n. 4729 del 2018; Cass., Sez. 1, n. 20748 del 2012) ha affermato l'esistenza di un principio generale di "intangibilità" dei riparti dell'attivo eseguiti nel corso della procedura fallimentare, con la sola eccezione contemplata espressamente dall'art. 114 l.fall. (dell'accoglimento cioè di domande di revocazione), sicché le ripartizioni, che in base ad esso sono state eseguite nella procedura fallimentare, non possono essere più rimesse in discussione (Nigro - Vattermoli, Diritto della Crisi delle Imprese, Bologna, 2009).
Il principio dell'intangibilità dei riparti fallimentari eseguiti nella procedura sancito dall'attuale art. 114 l.fall. trova conferma peraltro nell'art. 229 del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (d.lgs. n. 14 del 12.1.2019) nel testo che entrerà in vigore il 15.08.2020 (in forza della vacatio legis prevista dall'art. 388 CCII), che ne riproduce fedelmente il testo normativo.
Nella stessa direzione depone, inoltre, l'affermazione, anch'essa ricorrente in giurisprudenza, secondo la quale i provvedimenti resi dal Giudice Delegato nel fallimento sono revocabili o modificabili, d'ufficio o su istanza di parte, sino a quando essi non abbiano avuto esecuzione, trovando applicazione il principio generale di cui all'art. 487 c.p.c., per il quale le ordinanze del giudice dell'esecuzione sono revocabili o modificabili finché non abbiano avuto esecuzione. Ragion per cui - ritiene la Corte - se il progetto di riparto parziale è stato dichiarato esecutivo dal Giudice Delegato - perchè sono decorsi i quindici giorni previsti dal terzo comma dell'art. 110 ovvero si siano esauriti i mezzi di impugnazione esperiti dagli eventuali reclamanti - e il Curatore vi abbia dato pronta esecuzione, mediante la distribuzione delle somme ai creditori concorrenti, non può più sostenersi che il Giudice Delegato, in deroga al principio generale dell'art. 487 c.p.c., possa, d'ufficio o su istanza di parte, revocare o modificare il decreto di esecutività che risulti apposto sul progetto di riparto ormai eseguito.
In forza delle superiori argomentazioni, le SS.UU. della Corte di Cassazione concludono per la ricorribilità in Cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., del decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale predisposto dal Curatore.
La decisione si pone in linea, non solo con la Relazione ministeriale di accompagnamento del d.lgs. 169/2007 (cfr. Codice Commentato del Fallimento, a cura di Lo Cascio, IV edizione, Milano, 2017, 1533), ma anche con l'opinione prevalente della dottrina, la quale non ha mai dubitato del carattere definitivo del decreto reso dal Tribunale all'esito del procedimento di reclamo, in quanto non ulteriormente reclamabile alla Corte d'Appello. Ma ha anche riconosciuto la natura decisoria del provvedimento de quo posto che se il fallimento è un procedimento esecutivo e se dunque il fine è proprio quello della soddisfazione dei creditori, il momento in cui diviene attuale il soddisfacimento del credito è proprio quello dell'attuazione del piano di riparto (cfr. Codice com-mentato del fallimento, op. cit., 1533).
In tale prospettiva il decreto del Tribunale deve quindi considerarsi ricorribile per Cassazione (Cass., 21.02.2001, n. 2493; in dottrina cfr. AA.VV. La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2008, 868; AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2006,1825), con esclusione della ipotesi in cui la contestazione riguardi solo la misura dell'accantonamento generico perché in questo caso non viene decisa una volta per tutte la spettanza delle somme (Cass., 2.2.2006, n. 2329: in dottrina cfr. M. Fabiani, Diritto Fallimentare, Bologna, 2011, 478).
In ordine alla seconda questione relativa alla individuazione dei soggetti attivamente legittimati all'impugnativa del piano di riparto, se sulla legittimazione attiva a proporre reclamo avverso il progetto depositato dal Curatore, ai sensi dell'art. 36 l.fall., non sembrano sussistere particolari perplessità, dovendosi far coincidere i creditori interessati con i destinatari della comunicazione - tramite pec - del progetto medesimo ("tutti i creditori, compresi quelli per i quali è in corso uno dei giudizi di cui all'art. 98"); non è altrettanto semplice capire - ritiene la Corte - se il reclamo ex art. 26 l.fall., da chiunque proposto (il comma 2 estende la legittimazione a "chiunque vi abbia interesse"), debba essere comunicato, oltre che al Curatore, come espressamente presuppone la norma ("sentito il curatore"), anche a tutti gli altri creditori controinteressati.
Sul secondo punto le SS.UU. si conformano ad un precedente della Prima Sezione (sentenza n. 16633 del 2015, ove è stato affermato il principio per il quale "il giudice delegato deve ordinare il deposito in cancelleria del progetto di riparto delle somme disponibili predisposto dal curatore ed inoltre, al fine di un eventuale reclamo, la sua comunicazione non solo ai creditori ammessi al passivo fallimentare e a quelli che abbiano proposto impugnazione allo stato passivo, ma anche ai creditori ammessi tardivamente prima del decreto di esecutività del progetto di riparto"), nonché all'opinione prevalente della dottrina, la quale ha sempre ritenuto che oltre al Curatore devono ritenersi contraddittori anche i creditori la cui quota di ripartizione sarebbe suscettibile di variazione in peius nel caso di accoglimento del gravame proposto (in tal senso cfr. Forgillo, La ripartizione dell'attivo. Fallimento e Concordati, a cura di Forgillo - Celentano, Torino, 2008, 971; Codice Commentato del Fallimento, op. cit., 1534).