Sommario: 1. L’ordinanza 10 luglio 2023 n. 1756 del Tribunale di Venezia, la fattispecie esaminata – 2. Il ricorso analogico, anche nell’ambito delle s.r.l., alla disciplina dell’art. 2388 c.c. come principio generale dell’ordinamento. 3. I limiti della legittimazione dei soci all’impugnazione delle delibere consiliari. 4. Conclusioni: un’apertura verso l’estensione della legittimazione dei soci nell’ambito delle s.r.l..
Con l’ordinanza 10 luglio[1] 2023 n. 1756, il Tribunale di Venezia, Sezione Impresa, si trova a decidere della sospensione in via cautelare di una delibera del consiglio di amministrazione di una società titolare di un contratto di concessione in project financing per la progettazione, costruzione e gestione di un impianto crematorio, nonché per la gestione tecnica ed amministrativa, ivi inclusa la manutenzione ordinaria, di alcuni cimiteri.
Nel caso di specie, la delibera, assecondando la richiesta della pubblica amministrazione, disponeva l’inumazione a terra delle salme senza mezzi meccanici. La delibera veniva adottata alla presenza dell’amministratrice dissenziente e del legale rappresentante di un socio e, a quanto consta, il relativo verbale veniva approvato a distanza di circa due mesi dal c.d.a.
L’amministratrice dissenziente e il predetto socio, anch’esso contrario alla delibera, impugnavano la stessa per violazione degli artt. 167 e 168 del D.lgs. 81 del 9 aprile 2008 in tema di sicurezza dei lavoratori nella movimentazione dei carichi chiedendone la sospensione d’urgenza.
Il Tribunale di Venezia, con l’ordinanza in commento si pronuncia a sfavore della sospensiva, rappresentando l’intervenuta decadenza (ex art. 2378 c.c.) in cui sarebbero incorsi i ricorrenti, atteso il fatto che avrebbero impugnato la delibera dopo i novanta giorni dalla sua adozione, posto che il termine a quo non si applica alla verbalizzazione della precedente seduta, ma esclusivamente alla data della deliberazione, “che invece rappresenta il momento rilevate per il decorso del termine decadenziale”.
Senza entrare nel merito di quest’ultimo aspetto concernente il decorso del termine di una delibera non pubblicata o comunque non verbalizzata[2], si segnala la decisione del Tribunale di Venezia, per alcuni passaggi non scontati e che vanno verso un’interpretazione estensiva delle facoltà concesse al singolo socio di una s.r.l., partendo comunque dal presupposto dell’applicazione analogica della disposizione di cui all’art. 2388 c.c. in tema di s.p.a..
Il Tribunale osserva che si verte sull’impugnazione e sospensione di una delibera del consiglio di amministrazione di una s.r.l., per la quale il legislatore non ha dettato una specifica normativa, e che “l’unica previsione, infatti, si rinviene nell’art. 2475-ter c.c., che prevede la possibilità per gli amministratori di impugnare entro novanta giorni le decisioni del consiglio di amministrazione adottate con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società che cagionino a quest’ultima un danno patrimoniale”.
Il Giudice veneziano, rileva che da tale premessa, tuttavia, non discende che le delibere del consiglio di una s.r.l. assunte in violazione della legge o dello statuto sotto profili diversi dal conflitto di interesse “non siano impugnabili, perché l’art. 2475-ter c.c. non è una norma eccezionale ma è una declinazione del principio generale di sindacabilità delle decisioni degli organi amministrativi delle società di capitali contrarie alla legge o allo statuto che si ricava dall’art. 2388 c.c., dettato per le s.p.a.”.
Conseguentemente il Tribunale conclude che tale norma deve ritenersi applicabile analogicamente alle s.r.l., sia in ordine all’individuazione dei soggetti legittimati sia in ordine al termine di impugnazione di novanta giorni, ricavabile dal rinvio all’art. 2378 c.c. contenuto all’art. 2388 c.c., “espressione dell’interesse generale alla stabilità delle decisioni degli organi sociali”[3].
La decisione sembra assestarsi nel solco della più recente giurisprudenza in materia, ma lancia spunti non scontati volti ad un’interpretazione estensiva della legittimazione del socio di s.r.l. a censurare le delibere del consiglio.
E’ opportuno prima di esaminare i passaggi salienti della decisione, fare il punto sugli arresti giurisprudenziali in materia.
La decisione del Tribunale veneziano si innesta in quella che fino a pochi anni fa risultava una vexata quaestio, ossia se sussista, al di fuori della società per azioni, la possibilità di censurare la delibera dell’organo amministrativo per ragioni ulteriori e diverse rispetto al conflitto di interessi[4].
Come è noto, in materia di s.p.a. è previsto a livello codicistico (art. 2388 c.c.) che la delibera dell’organo amministrativo non conforme alla legge o allo statuto sia impugnabile, anche per ragioni ulteriori rispetto al conflitto di interessi, nel termine di novanta giorni, ai sensi dell’art. 2388 c.c. [5].
Quanto alla disciplina della s.r.l., la mancanza di norma analoga è stata ritenuta inizialmente come esplicitazione della volontà di non ammettere la legittimazione dei soci all’impugnazione della delibera dell’organo amministrativo asseritamente invalida[6].
Sennonché è stato osservato che la laconicità della disciplina dedicata complessivamente al modello legale di amministrazione della s.r.l. è sì evidente da precludere in radice la “possibilità di considerare il silenzio in tema di impugnazione delle delibere come di per sé indicativo dell’inapplicabilità alla s.r.l. della disciplina prevista per l’invalidità delle delibere consiliari di s.p.a.”[7].
Su tale scia, già dall’inizio degli anni 2000, nella giurisprudenza di merito si è fatta strada la tesi per cui l’assenza di disciplina specifica in tema di impugnazione delle delibere dell’organo amministrativo nell’ambito di una s.r.l., oltre il caso del conflitto di interesse, possa essere colmata con l’applicazione analogica dell’art. 2388 c.c. dettato in tema di s.p.a.[8].
In tale ottica, la Cassazione con ordinanza 10188 del 10.5.2011, in materia di impugnazione di delibere di organi di associazione non riconosciuta, ha affermato che “la regola dettata in materia di società per azioni dall’art. 2388 cod. civ. costituisce un principio generale dell’ordinamento”: regola fatta propria dalla giurisprudenza di merito più recente[9].
Ad oggi, dunque, può dirsi ormai consolidato in tema di s.r.l. l’orientamento preconizzato nel 2015 dal Tribunale di Palermo[10], secondo cui la previsione dell’art. 2475 ter c.c., non preclude l'impugnazione delle decisioni dell'organo amministrativo della s.r.l., “da parte di soggetti diversi dagli amministratori e per ragioni ulteriori rispetto al conflitto di interesse”[11].
Conseguentemente, per usare i termini della decisione in commento, anche in tema di s.r.l. è applicabile analogicamente l’art. 2388 c.c., “per ciò che concerne l’individuazione dei soggetti legittimati (amministratori assenti o dissenzienti, soci e componenti dell’organo di controllo) e anche il termine di impugnazione di novanta giorni”.
Vien da chiedersi a questo punto, però, se nella prospettiva di una società, come la s.r.l., dove è centrale il ruolo dell’assemblea con limiti specifici alle prerogative dell’organo amministrativo previsti da norme inderogabili[12], se la legittimazione dei soci ad impugnare le delibere dell’organo amministrativo soggiaccia alle stesse limitazioni che la giurisprudenza ritiene imperanti in materia di s.p.a..
3. I limiti della legittimazione dei soci all’impugnazione delle delibere consiliari.
La disposizione codicistica di cui all’art. 2388 c.c., espressamente prevede che “possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti”, prevedendo, dunque, una limitazione alla legittimazione dei soci all’impugnazione delle decisioni dell’organo amministrativo, potendo far valere la loro illegittimità per contrasto alla legge o allo stato, esclusivamente quando sia leso un loro diritto.
In altre parole, dal dato letterale, letta la norma al contrario, non risulta riconosciuta ai soci la possibilità di impugnare le delibere del c.d.a. non direttamente lesive dei loro diritti[13].
Degno di nota, al riguardo, il provvedimento del Tribunale di Milano del 29 marzo 2014[14], secondo cui una delibera che incida sul solo patrimonio della società non è autonomamente impugnabile dai soci, posto che “in tema di società di capitali, il diritto ad impugnare una decisione gestoria del consiglio di amministrazione, sussistente ogni qual volta il collegio sindacale o l’amministratore assente o dissenziente ravvisi in essa un profilo di illegittimità legale o statutaria, non può avere la medesima estensione per il singolo socio: il quale dovrà invece allegare e dimostrare a tale fine l’incidenza sfavorevole di quella decisione su di un suo diritto, tale quindi da arrecare pregiudizio alla sua personale sfera giuridico-patrimoniale personale”[15].
Più di recente il Tribunale di Venezia, con la citata sentenza 1388 del 6 luglio 2021 ha precisato che se la delibera consiliare non sia “effettivamente pregiudizievole dei diritti dei soci, eventuali vizi della delibera potranno essere fatti valere solo dagli amministratori assenti o dissenzienti o dal collegio sindacale”, posto che l’utilizzo nel testo dell’art. 2388 c.c. del termine “diritto evoca un diritto soggettivo e non un mero interesse”.
Conseguentemente all’epoca il giudice veneziano ha concluso che “il socio è onerato di dimostrare di aver subito un pregiudizio che colpisca in modo diretto la sua sfera giuridico-personale patrimoniale”, mentre per altre violazioni di fonti legali o statutarie che involgano l’attività gestoria, i rimedi messi a disposizione dell’ordinamento in favore dei soci sono di diversa natura e si sostanziano precipuamente nell’esercizio dell’azione di responsabilità verso gli amministratori.
In tale ottica si è pronunciato expressis verbis anche il Tribunale di Milano con la citata sentenza 18 luglio 2022, n. 6356[16], arrivando alla conclusione che la legittimazione del socio rispetto all’impugnativa di delibere del Cda è confinata “ad ipotesi eccezionali” e solo “se la delibera violi direttamente una posizione di diritto amministrativo o patrimoniale sua propria”[17].
I più sono, dunque, concordi nel ritenere che la legittimazione del socio dipenda dalla lesione di un diritto spettante allo stesso “in quanto titolare di una partecipazione sociale”[18] e non di un diritto che egli vanti nei confronti della società sulla base di rapporti giuridici diversi ed ulteriori. La distinzione, in linea di principio lineare, è, tuttavia, quanto meno per la s.r.l., foriera di generare questioni applicative la cui soluzione deve ritenersi tutt’altro che scontata.
A titolo esemplificativo e non esaustivo, alcuni interrogativi sorgono spontanei dal semplice raffronto tra la dizione dell’art. 2388, comma 4, c.c. e quella dell’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c., norma inderogabile in tema di s.r.l., che stabilisce che le decisioni di compiere “operazioni che comportano …una rilevante modificazione dei diritti dei soci” sono di competenza esclusiva dell’organo assembleare e non del consiglio: dunque, la legittimazione del socio ad impugnare le delibere del consiglio può in qualche modo dipendere a seconda che le conseguenze della delibera del consiglio incidano “in modo rilevante” o meno sui loro diritti[19]?
O piuttosto il vizio di nullità della delibera del consiglio perché adottata in contrasto con le competenze assembleari inderogabili di legge, impone comunque l’impugnazione della delibera consigliare entro il termine di novanta giorni, posto che, per usare le parole del giudice meneghino, tale impugnabilità “non opera alcuna distinzione tra ipotesi di c.d. “annullabilità” e “nullità”” e non distingue secondo la gravità del vizio[20]?
Ed ancora, di conseguenza, se viene concluso un negozio giuridico sulla base di una delibera consiliare da ritenersi nulla perché di competenza assembleare, la mancata impugnazione della delibera a monte entro novanta giorni, preclude l’impugnazione del negozio a valle[21]?
Anche quest’ultimo interrogativo non può dirsi peregrino atteso che l’art. 2388 c.c., al comma 5, prevede espressamente che “in ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle deliberazioni”.
Questi sono solo alcuni degli interrogativi che sorgono spontanei dall’applicazione in seno al modello della s.r.l. della regola (di cui all’art. 2388 c.c.) concepita per le s.p.a., le cui risposte non possono dirsi scontate, tanto più che, a posteriori, in tema di responsabilità, la censura dell’operato dell’organo amministrativo trova il limite nell’insindacabilità delle scelte di gestione (cd. “business judgment rule”) salvo la verifica della ragionevolezza delle stesse[22].
Quid iuris?
4- Conclusioni: un’apertura verso l’estensione della legittimazione dei soci nell’ambito delle s.r.l.
Il rischio, neanche troppo velato, è che, basandosi su un’accezione restrittiva dei diritti del socio asseritamente lesi dalla delibera consiliare, venga precluso al socio non solo a monte il controllo sulla decisione degli amministratori, ma anche a valle l’impugnabilità del negozio con il terzo derivante dalla delibera medesima, con ogni conseguenza concernente la difficoltà di censurare, sotto il profilo risarcitorio, l’operato dell’organo amministrativo.
Se l’obiettivo è quello di garantire la stabilità delle decisioni consigliari dopo un limitato periodo di tempo (anche a tutela di terzi), è d’obbligo permettere ai soci una più ampia impugnativa delle delibere consiliari, pur nel rispetto del dettame normativo.
In tale ottica, l’ordinanza cautelare del Tribunale di Venezia del 10 luglio 2023 n. 1756 in commento, sembra ampliare i limiti interpretativi della norma.
Il Giudice veneziano, infatti, quando affronta il presupposto del periculum in mora ai fini della sospensiva[23], compara l’interesse della società con quello del socio ricorrente, laddove viene all’esame un interesse del socio non derivante dal suo status, ma discendente da altro ed ulteriore rapporto giuridico, con ciò valutando il giudice le ripercussioni finali della delibera sul patrimonio del socio.
A chiarimento va evidenziato che la censura del socio ricorrente riguardava il rischio per la salute dei (propri) lavoratori (avendo censurato la violazione degli artt. 167 e 168 del D.lgs 81/2008) laddove l’interesse sotteso all’impugnazione derivava dal maggior costo del personale che ricadeva sul medesimo socio, non in quanto tale, ma in quanto, a sua volta, incaricato dalla società “della gestione cimiteriale e del servizio di necroforia”.
Nel caso di specie, dunque, la legittimazione del socio non derivava tanto dal suo status di socio, ma da un rapporto giuridico diverso, pur suscettibile di subire le ripercussioni discendenti dalla delibera consiliare.
Sennonché il giudicante non ha ritenuto la connessione meramente accidentale e come tale insuscettibile di consentire la legittimazione attiva del ricorrente, ma è entrato nel merito della comparazione degli interessi sottesi, laddove ha precisato che “ad ogni buon conto appare dubbia anche la sussistenza del requisito del periculum in mora, sia perché l’asserito pericolo per la sicurezza dei lavoratori e il rischio di esposizione a sanzioni può essere ovviato con sistemi alternativi all’utilizzo dei mezzi meccanici sia perché, nella comparazione tra il pregiudizio che deriverebbe al … (SOCIO[24]) dalla mancata sospensione (maggiore aggravio dei costi per l’utilizzo di maggiori unità di personale) e il pregiudizio arrecato alla … (SOCIETA’) dalla sospensione della delibera impugnata (rischio di contestazioni da parte dell’Amministrazione comunale di inadempienze al contratto e risoluzione di quest’ultimo per inadempimento) appare prevalente quest’ultimo”.
Un passo dunque per ritenere legittimato all’impugnazione delle delibere consigliari, il socio uti singulus ogni qual volta rischi di subire un pregiudizio diretto o indiretto al suo patrimonio dalla delibera medesima?
La domanda è provocatoria e la risposta non è certo desumibile da un argomento ad adiuvandum utilizzato dal giudicante in seno ad un provvedimento cautelare.
Certo è che un’interpretazione estensiva idonea a legittimare ciascun socio di una s.r.l. all’impugnazione di una delibera consiliare ogni qual volta sia leso un suo interesse, anche non strettamente collegato al suo status, consentirebbe di evitare scomode risposte ai segnalati interrogativi che de plano discendono dall’applicazione di una regola concepita per un’altra tipologia societaria.
[1] La data del 10 luglio è quella della pubblicazione per la precisazione, risultando emessa l’8 luglio.
[2] Anche secondo Tribunale Catania il termine di novanta giorni decorre comunque dalla delibera, vedasi sentenza 5 aprile 2019. Quanto ai soci si pone il problema di individuazione del dies a quo idoneo a consentir loro l’impugnazione, nel caso di delibere non soggette ad iscrizione nel registro dell’imprese. Secondo alcuni il termine per l’impugnativa inizierebbe a decorrere nel momento in cui il socio abbia avuto effettiva conoscenza della stessa (così Nazzicone, Commento sub art. 2388, in Società per azioni, Amministrazione e controlli, 2003, 108). Tale soluzione deriva anche in relazione al fatto che i soci, nell’ambito delle s.p.a., non hanno notizia delle convocazione dell’organo amministrativo né hanno facoltà di consultazione dei verbali delle delibere consiliari tenuto conto dell’art. 2422 c.c.. Discorso, in parte diverso, deve ritenersi per le s.r.l. dove il diritto di accesso del socio non soggiace agli stessi limiti. Il caso di specie, comunque, differisce per una peculiarità, ossia per il fatto che sia l’amministratore dissenziente che il legale rappresentante del socio ostile alla delibera, erano entrambi presenti al momento dell’adozione della stessa.
[3] Il richiamo è a Tribunale Milano 1 marzo 2012 e 18 novembre 2021, n. 9519.
[4] Il riferimento è all’art. 2391 c.c. in tema di s.p.a. che prevede l’impugnazione della delibera del consiglio in caso di conflitto di interessi. In tema di s.r.l. sussiste la previsione di cui all’art. 2475 ter c.c.. La distinzione tra le due fattispecie riguarda, oltre ai differenti obblighi di disclosure preventiva in capo agli amministratori, più specificatamente il concetto di conflitto di interessi, laddove per la s.r.l. deve trattarsi di un interesse dell’amministratore che risulti obiettivamente in conflitto con quello sociale, mentre l’art. 2391 c.c., in tema di s.p.a., sembra considerare rilevante la mera sussistenza di un mero “interesse” dell’amministratore non necessariamente in conflitto. In tale ottica il conflitto di interessi idoneo a produrre, ai sensi dell’art. 2475 ter c.c., l’annullabilità del contratto (secondo quello che è ormai l’indirizzo prevalente) richiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante da dimostrare non in modo astratto ed ipotetico, ma con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione dell’utile di un soggetto mediante il sacrificio dell’altro (Cassazione 31 gennaio 2017 n. 2529; Cassazione 30 maggio 2008 n. 14481; Cassazione 3 luglio 2000 n. 8879). Vedasi sul punto Raffaele e Coluzzi, Il conflitto di interessi degli amministratori tra diritto comune e diritto delle società (di persone e di capitali) (nota a Tribunale di Latina, sent. n. 2111/2017, 10 ottobre 2017), in rivistadirittosocietario.com; Romano, Conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l., in ilsocietario.it.
[5] Sulla legittimazione all’impugnazione da parte dei singoli amministratori nel caso di cui all’art. 2391, terzo comma, c.c. e 2388, quarto comma, c.c., vedasi di recente in nota a Trib. Torino 26 febbraio 2021, in Foro It., 2021, I, 4, 1434, Niccolini, secondo cui “poste a raffronto, sul piano delle legittimazioni attive, le due discipline dell'art. 2388, 4° comma, e dell'art. 2391, 3° comma, c.c., nel maggiormente concessivo regime di quest’ultima sembrerebbe avvistarsi una più marcata avversione del legislatore per le decisioni amministrative segnate da situazioni conflittuali, che si riscattano da una naturale negatività e insidiosità solo in forza di informazione”.
[6] Il dettame normativo ha indotto parte della giurisprudenza di merito ad adottare una interpretazione restrittiva della norma in questione, ritenendola espressione di una consapevole scelta legislativa volta a limitare, per le s.r.l., le ipotesi di invalidità delle delibere consiliari (vedasi sul punto, Tribunale Bologna 20 ottobre 2006 n.2412).
[7] In tal senso, in dottrina Ranieli, L’invalidità delle decisioni degli amministratori delle società a responsabilità limitata, 2013
[8] Cosi Tribunale Terni, 15 novembre 2004, Giur. comm., 2006, II, 168 ss.; Tribunale Parma, 23 dicembre 2004, www.judicium.it, ove è stato indicato che “in via di prima approssimazione non si può escludere il ricorso all’eadem ratio della disciplina contigua, quindi, mancando una disciplina dell’impugnativa delle delibere consiliari per le società a responsabilità limitata, ricorrere a quella ordinariamente approntata per le società per azioni dall’art. 2388 c.c.”. Di recente il Tribunale di Venezia con la sentenza del 6 luglio 2021 n. 1388, ha avuto modo di riassumere la questione, precisando che “in difetto di una disciplina ad hoc sull’impugnabilità delle delibere del Cda non conformi alla legge o all’atto costitutivo ed in difetto di un richiamo all’art. 2388 c.c. si fronteggiano due opzioni interpretative: la prima fa discendere dal silenzio del codice una specifica scelta del legislatore nel senso della stabilità delle decisioni del consiglio di amministrazione, impugnabili solo nell’ipotesi espressamente prevista del conflitto di interessi; la seconda ravvisa nella carenza di una disciplina una lacuna da colmare con il richiamo alle norme in tema di spa”, per poi concludere che si “ritiene maggiormente persuasiva la seconda delle due tesi illustrate ed intende pertanto fare applicazione dell’art. 2388 cc. (cfr. Tribunale Milano, ord. 1° marzo 2012; sentenza n. 7537 del 5 luglio 2017)”.
[9] Vedasi Tribunale Venezia, 1 dicembre 2019 n. 234, in https://www.osservatoriodirittoimpresa.it/news/visual.php?num=92949, che ha precisato che “l’art. 2388 cc, ove prevede l’annullabilita’ delle decisioni del cda delle spa adottate in violazione della legge o dello statuto, e’ espressivo di un principio generale dell’ordinamento ed e’ quindi applicabile anche alle srl, sebbene per queste ultime l’art. 2475 ter cc contempli espressamente soltanto il vizio del conflitto di interesse degli amministratori”, precisando in motivazione che “l’attuale disciplina dell’art. 2388 c.c. è stata ritenuta espressione di un principio generale applicabile anche alle associazioni non riconosciute”. Vedasi anche Tribunale Milano, 31 gennaio 2023 n. 1944, dove il giudice meneghino ribadisce “la valenza di ‘principi generali dell’ordinamento’ alla disciplina del codice civile in materia di impugnazione (art. 2377 e ss, art. 2388 c.c.)”. Vedasi ancora Tribunale Milano, 18 luglio 2022 n. 6356.
[10] Vedasi Tribunale Palermo, 12 maggio 2015. A commento si segnala Bisignano, Invalidità e impugnazione delle decisioni degli amministratori nelle società a responsabilità limitata (note a Trib. Palermo, 24 novembre 2014 e 12 maggio 2015), in Riv. Diritto Societario, 2015. Vedasi sul punto Illuminati, Invalidità e impugnazione di delibere assembleari del c.d.a. anche nelle s.r.l., in ilsocietario.it.
[11] In tal senso si è espresso anche il Tribunale di Milano con la sentenza 1 marzo 2012, con cui ha precisato che “La carenza di una compiuta disciplina delle decisioni del consiglio di amministrazione di s.r.l. costituisce una lacuna normativa colmabile con l’applicazione analogica dell’art. 2388, 4° e 5° comma, c.c., dettato in materia di società per azioni, che è espressione di un principio generale di “sindacabilità” delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge o allo statuto”, statuendo comunque che “la previsione dell’art. 2388, 4° e 5° comma, c.c. è preordinata ad accentuare il regime di stabilità delle decisioni dell’organo gestorio, poiché, non operando alcuna distinzione tra ipotesi di annullabilità e nullità, consente l’impugnabilità delle delibere solo ai soggetti specificatamente indicati ed entro il termine di decadenza previsto, a prescindere dalla “gravità” del vizio denunciato”. In tal senso si è espressa la Corte di Appello di Milano del 21 ottobre 2019, precisando che “deve ritenersi condivisibile l’orientamento, che è prevalente in dottrina e giurisprudenza, della sindacabilità delle decisioni del consiglio di amministrazione anche nelle società a responsabilità limitata. I componenti del consiglio di amministrazione assenti o dissenzienti possono impugnare le delibere nei modi e nei termini di cui all’art. 2388 c.c., in quanto il mancato rinvio all’art. 2388 cod. civ. rappresenta una lacuna del legislatore, atteso che l’art. 2388 c.c. è espressione di un principio generale di sindacabilità – ad iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero dei soci – delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge e allo statuto”. Vedasi anche Tribunale Catanzaro, che in seno alla sentenza del 3 maggio 2022 ha precisato che l’orientamento teso all’applicazione analogica dell’art. 2388 c.c., è preferibile “perché riposa sulla necessità di assicurare al socio la piena esplicazione del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione che, diversamente, ne uscirebbe fortemente compromesso atteso che i poteri di informazione e di consultazione contemplati dall’art. 2476 co. 2 c.c., prodromici all’azione di responsabilità, non costituiscono uno strumento di tutela specifica dei diritti del socio sulle sue quote di partecipazione azionaria”.
[12] Il riferimento precipuo è all’art. 2479 c.c., che al secondo comma, prevede che “In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci:
1) l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili;
2) la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori;
3) la nomina nei casi previsti dall'articolo 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;
4) le modificazioni dell'atto costitutivo;
5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci”. Fermo restando che le competenze sopra indicate non costituiscono le sole inderogabilmente attribuite all’organo rappresentativo delle proprietà (vedasi ad esempio la previsione degli artt. 2465, comma 2, c.c., 2476, comma 5, c.c., 2481 bis c.c., 2482 bis, comma 1, c.c., 2484, comma 1, n. 6, c.c. ed ancora 2487, comma 1, c.c., 2487 ter c.c., 2500 sexies e septies c.c., 2502 c.c. e 2506 ter c.c..
[13] In tal senso Tribunale Napoli, 4 agosto 2010 in Società, 10, 1276. Si segnala anche un altro orientamento che sembra ipotizzare l’impugnazione delle delibere consiliari da parte dei soci semplicemente nel caso in cui sia evidente la violazione di norme di legge, a prescindere da un danno diretto arrecato al socio, così Tribunale Como, 8.2.2021, in cui risulta ammissibile l’impugnazione di una delibera consiliare viziata nel procedimento di formazione.
[14] in Riv. Diritto commerciale, 2015, 661 e in Foro it. 2015, 5, I, 1836, con nota a cura di Medici, il quale osserva che “il parallelismo con la normativa in tema di azione di responsabilità degli amministratori risulta particolarmente significativo nella parte in cui può ulteriormente dipanare i dubbi interpretativi sull'avverbio «direttamente» riferito alla lesione sofferta dai soci che agiscono in giudizio”. Sul rimedio in parola, come evidenziato da Ranucci in nota a Trib. Roma, 8 giugno 2020 in Foro It. 2020, I, 12, 3975, l’orientamento che sembra prevalere è nel senso “di escludere la possibilità di integrare la disciplina dell'art. 2388, 4° comma, c.c. attraverso l'applicazione analogica dell'art. 2379 c.c.”. In tal senso vedasi Tribunale Milano 12 marzo 2009 e Tribunale Milano 17 aprile 2014
[15] Sul fatto che la lesione deve manifestarsi in un danno diretto ai diritti del socio e non quale conseguenza di una riduzione del patrimonio sociale, vedasi anche Galgano, Il nuovo diritto societario, in Tratt. Galgano, XXIX, 2, 258 e 260.
[16] Il Tribunale meneghino, in motivazione precisa che “l’art 2388 c.c., stabilendo che “Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti” legittima all’azione anche i soci in quando la delibera sia lesiva dei loro diritti. Si tratta di legittimazione aggiuntiva rispetto a quella degli amministratori assenti o dissenzienti che spetta solo con riferimento alle delibere che abbiano come effetto diretto la lesione di un diritto proprio del socio”.
[17] Ad esempio in caso di illegittima esclusione, di mancato riconoscimento del diritto di opzione o di recesso che gli spetti, (Tribunale Milano, 29 marzo 2014 e 2 maggio 2017). Quanto ad altra ipotesi di legittimazione, si segnala Cass. 15 febbraio 2002, n. 2229, secondo cui “è direttamente impugnabile da parte del socio una delibera del consiglio di amministrazione di società cooperativa che disponga obblighi ed oneri a carico del socio ovvero che conservi influenza sulla redazione del bilancio perché finalizzata a sottrarre dalla destinazione sociale beni e risorse della società”, in Dir. fall. 2002, II, 812 (nota di D'Aiuto. Vedasi in tema anche Cass. 11 dicembre 2020, n. 28359, secondo cui “anche nel regime precedente alla modifica dell'art. 2388, comma 4, c.c., intervenuta ad opera del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, le deliberazioni del consiglio di amministrazione contrastanti con la legge o con lo statuto potevano essere impugnate dai soci nel caso in cui si fosse configurata una lesione diretta dei loro diritti. (Nella specie, la S.C., cassando la sentenza con la quale la corte d'appello aveva considerato lesiva dei diritti dei soci la delibera del consiglio assunta in violazione della norma statutaria che attribuiva all'assemblea la competenza a deliberare la nomina del direttore generale, ha osservato che i soci non sono titolari del diritto di scelta del direttore generale, ma solo di quello di partecipare all'assemblea)”. Ed in tema, ancora si segnala Trib. Milano 23 aprile 2018, secondo cui “la clausola di statuto di società quotata che reca la regola simul stabunt simul cadent attribuisce al socio un diritto la cui lesione è tutelabile ai sensi dell'art. 2388 comma 4 c.c.”. Si segnala anche Tribunale Milano, 20 settembre 2007, secondo cui “La deliberazione di un consiglio di amministrazione di società per azioni illegittimamente formato, pur assunta all'unanimità, è invalida; detta deliberazione viola direttamente i diritti del socio se il consiglio è illegittimamente formato perché non composto anche da un membro eletto con le regole statutarie che garantiscono la partecipazione all'interno del consiglio di amministrazione di un membro nominato dal socio di minoranza”. In merito vedasi Scarpa, Deliberazioni consiliari: invalidità e impugnazione, in ilsocietario.it; Vassallo, Il socio che impugna una delibera consiliare deve provare la lesione di un diritto, in ilsocietario.it;
[18] Gianni, L’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, Relazione al Convegno Synergia Formazione, Milano 11-12 febbraio 2010.
[19] La domanda vuole essere provocatoria potendosi comunque replicare che l’ambito delle competenze assembleari non incida di per sé nel diritto del socio uti singulus all’impugnazione delle delibere consiliari.
[20] In particolare il Tribunale di Milano con la succitata sentenza 6356/2022, sull’impugnabilità delle delibere del consiglio precisa che “tale impugnabilità va circoscritta negli stessi limiti previsti dalla disposizione in materia di spa, limiti che, secondo la preferibile interpretazione, sono preordinati ad accentuare il regime di stabilità delle deliberazioni dell’organo gestorio rispetto a quello proprio delle deliberazioni dell’organo assembleare, in particolare la disciplina ex art.2388 cc sotto il titolo di “validità delle deliberazioni del consiglio” non operando per le prime (a differenza di quanto previsto per le seconde dagli artt. 2377 e 2378 cc) alcuna distinzione tra ipotesi di c.d. “annullabilità” e “nullità”, così consentendo l’impugnabilità delle delibere del cda in ogni caso solo ai soggetti specificatamente indicati ed entro il termine di decadenza previsto, e ciò a prescindere dalla “gravità” del vizio denunciato, salva l’ipotesi estrema di delibera inesistente, vale a dire di delibera non riconducibile in alcun modo a una manifestazione di volontà -sia pure irrituale- di organo gestorio”. Si segnala anche Tribunale Milano 12 marzo 2009, n. 3396.
[21] In tal seno la Suprema Corte, sia pure in un caso di conflitto di interessi, con l’ordinanza 6 dicembre 2021 n. 38638, ha ribadito che quando “la conclusione del contratto è deliberata dal consiglio di amministrazione ed il conflitto d'interessi si manifesta già nella fase deliberativa, cosicché, trovando applicazione l'art.2391 cod. civ., l'annullamento del contratto è possibile solo se sia prima annullata la deliberazione che ne ha deciso la conclusione, previa dimostrazione della malafede del terzo (cfr. Cass. 26.9.2005, n. 18792; si veda anche Cass. 10.10.2013, n. 23089, secondo cui nella fattispecie prevista dall'art. 1394 cod. civ., il conflitto di interessi si manifesta al momento dell'esercizio del potere rappresentativo, mentre nel caso previsto dagli artt.2373 e 2391 cod. civ. il conflitto di interessi (rispettivamente, in sede di assemblea e di consiglio di amministrazione) si manifesta al momento dell'esercizio del potere deliberativo)”. La stessa Cassazione ha ribadito il principio anche in tema di s.r.l. con ordinanza 5.1.2022 n. 255.
[22] Sia consentito il rimando a Di Blasi, L’interesse mediato del socio alla conservazione del patrimonio sociale: assoluta carenza di legittimazione attiva nei confronti dei terzi?, in ilcaso.it.
[23] Pur rigettando la domanda cautelare sul presupposto della tardività dell’impugnazione, in punto fumus boni iuris.
[24] La parte in stampatello non in corsivo è dello scrivente il nominativo del socio, con la dizione riportata, così come quello della società interessata.