Mutuo fondiario ed inosservanza del limite di finanziabilità: oscillazioni giurisprudenziali in attesa di un intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione
Pubblicato il 18/10/21 02:00 [Articolo 1213]
Sommario: 1. Premessa. - 2. Le argomentazioni dei contrapposti indirizzi di legittimità. 3. Il limite di finanziabilità nella struttura del mutuo fondiario: riqualificazione giuridica o "nullita' salvo conversione"? 4. Il valore immobiliare di riferimento. 5. L'ottica della "nullità salvo conversione": la circostanza impeditiva della conoscenza della nullità. 6. Segue: la necessaria volontà di perseguire con un mutuo ipotecario ordinario lo stesso scopo pratico del mutuo ipotecario fondiario. 7. Conclusioni
1. Premessa.
Il problema della sorte dei mutui fondiari ai sensi dell'art. 38 T.U.B. nella cui concessione sia stato violato il c.d. "limite di finanziabilità[1], salito alle cronache da circa un decennio[2], ha ormai assunto dignità di vexata quaestio.
L'evoluzione del dibattito è nota agli interpreti e può essere così riassunta.
La prima decisione di legittimità esattamente in termini[3] è Cass. 26672/2013, che ha sancito la validità del contratto, indipendentemente dall'osservanza della soglia massima finanziabile, ed a tale orientamento la Suprema Corte si è attenuta per circa quattro anni[4].
A partire dal 2017, invece, si è assistito ad una drastica virata di indirizzo, con la Cassazione che, a partire dalla sentenza n. 17352/2017[5], ha espressamente preso le distanze dal precedente orientamento ed ha aderito all'opposta visione della nullità del negozio, facendo salva la possibilità di conversione del contratto ai sensi dell'art. 1424 c.c., ove ne sussistano i presupposti[6].
Il dibattito è proseguito, con alterne vicende, fra i giudici di merito: accanto a svariate pronunce che hanno aderito senza riserve al nuovo orientamento[7], se ne sono registrate alcune che invece hanno sposato quello iniziale[8].
A complicare il quadro si è inserito un terzo indirizzo che, aderendo solo in parte alle pronunce di legittimità più recenti, non ne ha condivise le conclusioni (nullità contrattuale e conversione ex art. 1424 c.c.): facendo leva, infatti, sulla contrarietà di tale soluzione alla ratio dell'art. 38 T.U.B., quelle pronunce hanno fatto conseguire, al mancato rispetto del limite di finanziabilità, la riqualificazione del contratto come mutuo ipotecario ordinario, con la conseguenza della sola disapplicazione dei cc.dd. "benefici del fondiario" (consolidamento breve delle ipoteche, irrevocabilità dei pagamenti, esenzione dalla notifica del precetto e procedibilità delle azioni esecutive in costanza di fallimento), fermi restando, quindi, sia il debito ex mutuo che le garanzie che lo assistono.
A quest'ultimo risultato sono giunti Trib. Udine 29 maggio 2014[9], e successivamente Trib. Vicenza 19 dicembre 2017[10]; dopodiché - senza pretesa di completezza - hanno aderito all'indirizzo Trib. Mantova 27 dicembre 2018[11], Trib. Sassari 31 ottobre 2019[12], Trib. Napoli 10.10.2020[13], Trib. Torre Annunziata 10 febbraio 2021[14], ed ancora più di recente Trib. Belluno 7 aprile 2021[15], Trib. Verona 15 aprile 2021[16], e App. Firenze 30 giugno 2021[17].
Questa terza soluzione, infine, è stata condivisa da alcuni Autori[18]; e la riflessione che la stessa sia preferibile e più aderente alla ratio legis si legge anche nella motivazione di una pronuncia di legittimità (Cass. 17439/2019), che non ha aderito all'orientamento di legittimità più datato, ma ha evidenziato come la soluzione della riqualificazione automatica del contratto sia più in linea con il fondamento giuridico della norma[19].
Va segnalato che, nelle prime battute del contrasto in seno alla Suprema Corte, in occasione di Cass. 17352/2017, di Cass. 19015/2017 e di Cass. 6586/2018, il Procuratore Generale aveva (comprensibilmente) chiesto che la questione fosse rimessa alle Sezioni Unite.
Tali istanze non hanno trovato accoglimento, ed il mancato approdo già a quell'epoca ad una soluzione nomofilattica ha generato, come si è visto, tre orientamenti contrastanti, e - come si vedrà nel prosieguo - notevoli incertezze interpretative.
A questo punto, una pronuncia ai sensi dell'art. 374 c.p.c. risulta quantomai opportuna e - sia consentito aggiungere - non più differibile.
In primo luogo, essa risulta l'unico approdo conforme all'art. 374, secondo comma, prima parte, c.p.c., che stimola la soluzione dei conflitti fra pronunce delle sezioni semplici sancendo che "il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici ".
In secondo luogo, il tema presenta le caratteristiche tipiche della questione di diritto di particolare importanza (art. 374, secondo comma, seconda parte, c.p.c.), sia sul versante giuridico che su quello economico, perché incide (in termini di validità o di invalidità), su di una delle più comuni tipologie di contratti bancari (inclusi i mutui abitativi), ed ha un rilevante impatto sia sugli attivi del sistema bancario, sia sui diritti delle parti mutuatarie e sulle prerogative dei terzi garanti.
Inoltre, il fatto che argomenti di tale portata debbano trovare una chiara soluzione nomofilattica corrisponde alle prassi della Corte di Cassazione in materia bancaria. Basti rammentare, per riferimenti recenti, le questioni della c.d. "usura sopravvenuta" (v. Cass. SS.UU. 24675/2017), del computo delle commissioni di massimo scoperto nel calcolo delle "soglie usura", (v. Cass. SS.UU. 16303/2018), della validità o invalidità dei contratti cc.dd. "mono-firma" (Cass. SS.UU. 898/2018), o il problema del rapporto tra la disciplina antiusura e gli interessi moratori (v. Cass. SS.UU. 19597/2020).
Si può ricordare, inoltre, quanto a suo tempo avvenne in tema di anatocismo: dopo l'inatteso revirement di Cass. 2374/1999, si susseguirono pronunce di legittimità conformi al nuovo orientamento, ma, esattamente come nella fattispecie in esame, perdurò una corrente dissenziente, finché la questione venne definitivamente risolta, a cinque anni di distanza, da Cass. SS.UU. 21095/2004, che confermò e consolidò il nuovo indirizzo.
In attesa di vedere la questione definita - finalmente - dalla più alta autorità giurisdizionale, si possono svolgere alcune considerazioni sugli argomenti addotti a sostegno dei tre difformi indirizzi interpretativi; considerazioni vieppiù suggerite dagli argomenti sviluppati dai fautori del terzo dei citati orientamenti.
2. Le argomentazioni dei contrapposti indirizzi di legittimità.
Va osservato in primo luogo che il raffronto tra le argomentazioni svolte dalla Suprema Corte nelle svariate decisioni fra loro contrastanti non sono persuasive della correttezza dell'indirizzo di legittimità che attualmente prevale (nullità, salvo conversione ex art. 1424 c.c.), ed anzi pare maggiormente coerente l'iter logico-argomentativo di quello più datato.
2.1. In quest'ultimo, i giudici di legittimità si sono dati carico di spiegare, in primo luogo, che il tema in esame non rientra fra le fattispecie di cui art. 117 del T.U.B. In questa norma, secondo la Corte, il legislatore ha attribuito alla Banca d'Italia un potere "conformativo e tipizzatorio, in ragione del quale essa può stabilire il contenuto di certi contratti, prevedendo clausole tipo da inserire nelle categorie di contratti previsti". Al contrario, l'art. 38 T.U.B. ha conferito alla Banca d'Italia il ben diverso potere di determinare la percentuale massima di un finanziamento, che costituisce (il finanziamento), l'oggetto del contratto, e che "è quindi un elemento di per sé già tipizzato e costituente una clausola necessaria". Sul punto, la Corte ha soggiunto che, nel caso dell'art. 38 T.U.B., e a differenza che nell'art. 117 T.U.B., "il legislatore ha espressamente previsto quale fosse il contratto su cui la Banca d'Italia dovesse intervenire, e quale fosse la disposizione secondaria da introdurre, senza lasciare a quest'ultima ogni valutazione circa la scelta del tipo di contratto su cui operare un intervento tipizzatorio e la scelta di quale clausola inserire"; ed ha osservato inoltre che il rispetto del limite di finanziabilità non è nemmeno rilevabile dal testo contrattuale, essendo un accertamento che può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell'immobile, "suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa, comunque, come tali, non rilevabili dal testo del contratto". Né l'Autorità di vigilanza ha prescritto che nei contratti di finanziamento fondiario siano indicati il valore dell'immobile o il costo delle opere, a conferma del fatto che "il limite di finanziabilità non è una clausola determinativa del contenuto del contratto" [20].
Sempre nelle decisioni di legittimità più datate è stata rilevata la diversità degli interessi tutelati dall'art. 117 T.U.B. rispetto a quello sottostante alla disciplina dei finanziamenti fondiari.
Si è osservato, al riguardo, che l'art. 117 è inserito nel titolo del T.U.B. dedicato alla "trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti", e prevede una "nullità di protezione", mentre, nel caso dei mutui fondiari, l'interesse del cliente è, all'opposto, di poter utilizzare il patrimonio immobiliare per ottenere un'erogazione creditizia più ampia possibile. Pertanto, non vi può essere una "nullità di protezione", e comunque troverebbe applicazione l'art. 127 del T.U.B., nella parte in cui stabilisce che le disposizioni del titolo VI sono derogabili in senso più favorevole al cliente, che è quello che accade quando viene concesso un importo più elevato rispetto al limite.
Su tali basi, la Suprema Corte ha concluso che l'art. 38, comma 2, T.U.B. non prevede altro che una cautela per le banche finanziatrici, onde evitare che assumano esposizioni a lungo termine senza adeguata copertura.
I giudici di legittimità si sono poi chiesti se si potesse ravvisare, nell'eventuale inosservanza del limite di finanziabilità, una nullità virtuale a sensi dell'art. 1418 c.c.
Sul punto la Corte ha rammentato il principio secondo il quale solo la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto può determinarne la nullità, non anche la violazione di norme che riguardino il comportamento dei contraenti. Quest'ultima violazione può generare responsabilità risarcitorie, non l'invalidità[21], e si è aggiunto inoltre che la nullità non può essere dichiarata ogniqualvolta l'effettività della norma imperativa trovi tutela con rimedi diversi[22].
Si è poi ricordato l'intervento della Corte Costituzionale del 2004, che con la sentenza n. 175 ha spiegato come l'intenzione del legislatore nel dettare l'art. 38 T.U.B. sia stato quello di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ampliando la possibilità di fare ricorso a finanziamenti anche per il superamento di situazioni di crisi. Pertanto, da un lato si era inteso agevolare la concessione del credito bancario, e dall'altro si era previsto un limite massimo erogabile allo scopo di assicurare alle banche mutuanti garanzie adeguate in vista di ipotetiche situazioni future di crisi.
La Suprema Corte, sulla base di tali argomentazioni, ha concluso che il limite di finanziabilità, quand'anche fosse previsto da una norma imperativa, non inciderebbe comunque sulla validità del contratto, ma potrebbe semmai dare luogo alla comminatoria "delle sanzioni previste dall'ordinamento bancario a seguito dei controlli che competono alla Banca d'Italia".
2.2. Le successive pronunce di segno contrario, invece, hanno condiviso che la fattispecie relativa all'art. 38 T.U.B. non sia riconducibile alla nullità espressamente prevista dall'art. 117, comma 8, T.U.B. (il punto, quindi, può darsi per pacifico), ma hanno ritenuto di poter ravvisare, in caso di superamento della soglia massima finanziabile, una nullità virtuale.
(i) In primo luogo, nella motivazione di Cass. 17352/2017 (alla quale le pronunce successive si sono appoggiate, richiamandone l'iter motivazionale), è stato citato come precedente la sentenza n. 9219/1995 della Corte di Cassazione, che, come si è anticipato (v. supra, nota n. 3), aveva affrontato l'argomento in obiter dictum. La pronuncia era resa sulla fattispecie dell'art. 3, l. 474/1949, in tema di mutui di credito edilizio, destinati alla costruzione, ricostruzione, riparazione, trasformazione e sopraelevazione di edifici ad uso prevalente di abitazione non di lusso. Quella norma prescriveva, espressamente, che l'ammontare di ogni mutuo non potesse eccedere la metà del valore cauzionale dell'immobile, e la Suprema Corte spiegò, in quell'occasione, che la sua violazione avrebbe inficiato la validità del negozio, perché "ogni diversità rispetto alle previsioni di legge avrebbe costituito una violazione di uno scopo di carattere pubblico", per cui si doveva concludere nel senso della nullità parziale del contratto, limitatamente alla quota di finanziamento erogata in eccesso rispetto al massimo consentito dalla legge.
(ii) In secondo luogo, quanto alla distinzione operata dalle precedenti decisioni di legittimità fra regole di validità e regole di comportamento, Cass. 17352/2017 ha argomentato che il limite di finanziabilità perseguirebbe, in realtà, "obiettivi economici di carattere generale, attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull'economia nazionale", ed ha soggiunto che la menzionata distinzione riguarderebbe la fase pre-negoziale o esecutiva del contratto, non già la predeterminazione della somma finanziabile, che invece inciderebbe direttamente sulla struttura negoziale.
(iii) Infine, pur essendo indubbio che nei contratti di finanziamento fondiario l'interesse del cliente è ottenere una somma maggiore piuttosto che una somma minore a fronte della garanzia ipotecaria che viene prestata, le più recenti pronunce di legittimità hanno affermato che, qualora sopravvenga la crisi, l'interesse del cliente dovrebbe recedere dinanzi all'interesse della massa creditoria, con un finale richiamo al principio della par condicio creditorum.
2.3. Le argomentazioni così riassunte delle sentenze più recenti paiono suscettibili di confutazione.
Iniziando da Cass. 9219/1995 - anche a prescindere dal fatto che non ha affermato che il mutuo fosse radicalmente invalido, ma lo ha sanzionato di nullità parziale - essa è stata resa nel ben diverso ambito del credito edilizio, nel quale l'interesse pubblico esisteva senz'altro ed era correlato alla natura di mutuo di scopo dei finanziamenti concessi (scopo connesso alla ricostruzione post-bellica), mentre i finanziamenti fondiari ex art. 38 T.U.B., pacificamente, non lo sono[23].
Quanto poi all'affermazione della corrispondenza del limite di finanziabilità non già a norme comportamentali, ma a "obiettivi economici di carattere generale", si deve rammentare in primo luogo che non è corretto sostenere che i doveri di comportamento riguardino solo la fase pre-negoziale o esecutiva del contratto: essi, infatti, esistono anche nella fase della stipulazione, come si legge ad es. in Cass. 9468/2020, che afferma che la loro violazione comporta responsabilità se avviene "nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto";
In secondo luogo, si deve osservare che se - come sembrerebbe - gli "obiettivi economici di carattere generale" si riferiscono alla stabilità del sistema bancario, per i potenziali riflessi sistemici che può produrre l'erogazione di crediti non sufficientemente garantiti, si tratta senz'altro di una regola prudenziale (come spiegato, funditus, da Cass. 26672/2013), ma non certo di un precetto idoneo a determinare la nullità di un contratto, dal momento che non esiste alcun principio, nel nostro ordinamento, che imponga la concessione di finanziamenti bancari solo a fronte di adeguate garanzie, tantomeno a pena di nullità[24]; altrimenti - è agevole rilevare - un limite di finanziabilità esisterebbe anche per i mutui ipotecari ordinari, ed in termini più ampi il legislatore avrebbe sottoposto il rapporto fra crediti bancari e garanzie a regole generali di carattere imperativo, sanzionando le violazioni con l'invalidità, ma non lo ha fatto, anche perché - sia detto per inciso - in tal caso avrebbe dovuto vietare o limitare fortemente l'accesso alle linee di credito chirografarie, che sul versante del debitore sono prive di garanzie per definizione e che sono la parte preponderante degli affidamenti bancari, sotto forma di apertura di credito, mutuo o altre similari.
Non solo, ma il perseguimento dell'obiettivo di preservare la stabilità del sistema bancario imporrebbe semmai di negare ogni ipotesi di invalidità, perché la nullità contrattuale fa venire meno la garanzia reale e degrada il credito a chirografario per ripetizione di indebito, aggravando per il sistema bancario il danno che la norma, nelle intenzioni, dovrebbe evitare; questo - è bene osservare - proprio in termini sistemici, viste le conseguenze che derivano dai ben più rigidi protocolli di svalutazione dei crediti non garantiti (quale quello ex art. 2033 c.c.), rispetto ai protocolli riguardanti quelli assistiti da garanzie reali.
Si aggiunga che, in una delle decisioni di legittimità più recenti (si tratta di Cass. 13286/2018), sempre sul versante del "pubblico interesse", si legge che il mancato rispetto del limite di finanziabilità esporrebbe "il mutuatario debitore ai rischi espoliativi", e contrasterebbe con "l'interesse pubblico alla corretta concorrenzialità del mercato del credito".
Entrambi i riferimenti non sono condivisibili.
Quanto al primo, il "rischio espoliativo" è stato declinato, nella citata pronuncia, nel pericolo che il debitore, avendo ottenuto un finanziamento eccessivo rispetto all'80% del valore del bene ipotecato, possa subire l'esproprio della residua parte del proprio patrimonio.
Questo ha davvero poco senso, sia perché il fatto che il debitore risponda dell'adempimento delle proprie obbligazioni con "tutti i suoi beni presenti e futuri" è uno dei cardini del nostro ordinamento (art. 2740 c.c.), sia perché, quando ottiene un finanziamento più elevato rispetto al limite di finanziabilità, il mutuatario incrementa il proprio patrimonio anche della somma erogata "in supero", per cui non vi è nulla di anomalo nel fatto che, in caso di inadempimento, subisca anche l'aggressione del patrimonio ulteriore, rispetto all'immobile gravato ipotecariamente.
Inoltre, non va dimenticato che il legislatore tutela il debitore - semmai - dall'esorbitanza delle garanzie ipotecarie rispetto ai crediti assistiti, con l'istituto della riduzione di cui agli artt. 2872 ss. c.c., ma ad oggi non ha mai pensato ad una invalidità negoziale per insufficienza dell'ipoteca. Una regola del genere non è mai esistita, e del resto, per le situazioni di sovraindebitamento causate dall'eccesso di credito, il legislatore ha apprestato - quando ha ritenuto di farlo - altre penalizzazioni per il debitore ed i creditori, ad es. impedendo al consumatore l'omologa del piano di ristrutturazione (art. 12-bis, terzo comma, l. 3/2012), e nel nuovo Codice della Crisi precludendo al creditore "colpevole" l'opposizione all'omologa, sia nel piano del consumatore (art. 69, comma 2, CCII), che nel concordato minore (art. 80, comma 4, CCII).
Il tutto, senza mai dimenticare che, in termini ancora più generali, a determinare un "rischio espoliativo" non è l'esorbitanza del finanziamento rispetto alle garanzie, ma semmai l'inadempimento del finanziato.
Sempre su questo versante, si deve poi osservare che la nullità di cui si tratta non è - pacificamente - una "nullità di protezione", e l'indirizzo qui confutato trascura completamente il "pubblico interesse" delle parti mutuatarie, ossia dei clienti, che è quello maggiormente tutelato dalla legislazione bancaria.
L'invalidità affermata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, infatti, rende il contratto radicalmente nullo e travolge il piano di ammortamento, consentendo a qualsiasi banca che si avveda di avere finanziato in modo eccessivo con un mutuo ex art. 38 T.U.B. di "espoliare" il mutuatario, agendo - verosimilmente in via monitoria, per neutralizzare il venir meno della garanzia reale con l'iscrizione di ipoteche giudiziali a garanzia dell'intero credito - per l'immediato rimborso del capitale e degli interessi ex art. 2033 c.c.[25], con conseguente segnalazione di sconfinamento del cliente in Centrale Rischi[26], e successivo passaggio della posizione "a sofferenza"[27], a causa dell'impossibilità, per il mutuatario (salvi casi eccezionali), di estinguere l'intero debito prontamente e in un'unica soluzione. Il tutto, stante la nullità, anche a fronte del regolare pagamento, fino ad allora, delle rate previste nel contratto inefficace[28].
Quanto, poi, all'interesse pubblico alla "corretta concorrenzialità del mercato del credito", il riferimento non è di agevole comprensione: quell'interesse si declina nella necessità di offrire alla clientela le più ampie possibilità di accesso al credito e la più ampia varietà di alternative nella scelta dei prodotti; e non è certo il risultato a cui si perviene con la sanzione della nullità, che anzi sta condizionando negativamente il mercato creditizio, con sempre più istituti che, quando concedono finanziamenti fondiari, per evitare problemi erogano somme ampiamente inferiori al limite di legge, penalizzando i richiedenti, o addirittura si indirizzano verso la concessione dei mutui ipotecari ordinari, che non hanno limiti di finanziabilità, non sono a rischio di nullità per "eccesso di credito", e per la clientela sono meno vantaggiosi, anche solo nella misura degli interessi corrispettivi.
A corollario, si aggiunga che la "nullità virtuale" di cui al primo comma dell'art. 1418 c.c. presuppone che venga violata una norma imperativa posta a tutela di un interesse generale; ma "comando o divieto posto a tutela dell'interesse generale è quello formulato dalla legge o da fonti a questa equiparata, non da fonti normative di grado inferiore"[29], come si può dire nel caso di specie, dal momento che il limite di finanziabilità nei finanziamenti fondiari è stabilito da un provvedimento della Banca d'Italia, ossia da una norma secondaria, la cui violazione non dovrebbe condurre in nessun caso ad una declaratoria di invalidità[30].
Resta da dire del richiamo al tema della "par condicio creditorum".
È agevole osservare che il fallimento si pone, rispetto ai finanziamenti fondiari, come un mero incidente. Il tema in esame, infatti, è puramente civilistico, e la valutazione della validità o della invalidità di un contratto non può fondarsi sulle conseguenze favorevoli agli altri creditori che si produrrebbero in una procedura concorsuale.
Inoltre, per principio consolidato, la tutela della par condicio creditorum non ha nulla a che vedere con la validità dei contratti, tant'è che addirittura il concetto di "frode ai creditori" è cosa diversa dalla "frode alla legge", e non determina nullità di sorta. Si tratta di un principio che la Suprema Corte ha enunciato, anche a Sezioni Unite, in una molteplicità di occasioni[31], e che, nel contesto in esame, rende il richiamo alla par condicio del tutto improprio.
3. Il limite di finanziabilità nella struttura del mutuo fondiario: riqualificazione giuridica o "nullità salvo conversione"?
Entrando ora nell'ottica del limite di finanziabilità come elemento strutturale del mutuo fondiario, la giurisprudenza di legittimità più recente necessiterebbe comunque di una rimeditazione nella parte in cui ha fatto conseguire, dal superamento della soglia massima finanziabile, la nullità integrale del contratto - salva conversione ex art. 1424 c.c. - anziché la semplice riqualificazione del contratto come mutuo ipotecario ordinario, con conseguente disapplicazione dei "benefici del fondiario".
È da premettere che il discrimine strutturale fra un mutuo ipotecario ordinario e un mutuo ipotecario fondiario risiede nel rapporto tra finanziamento e valore della garanzia, perché per il resto entrambi sono riconducibili, in tutta evidenza, al genus del contratto di mutuo.
Se così è, un finanziamento fondiario che non rispetti lo "scarto di garanzia" non è sicuramente un mutuo ipotecario fondiario, ma non si vede come si possa negare che si tratti di un comune mutuo ipotecario.
A sostegno di tale soluzione si possono ricordare due principi generali.
Il primo è che la riqualificazione giuridica dei contratti, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dalle parti, è un cardine dell'ermeneutica contrattuale, essendo consolidato in giurisprudenza il principio secondo il quale, nell'interpretazione del contratto, è necessario dapprima ricostruire gli elementi costitutivi dell'attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti, e solo a quel punto si deve attribuire al negozio il nomen iuris corretto, previa interpretazione sul piano giuridico degli elementi di fatto precedentemente accertati[32]. Tenendo a mente questo concetto, pare evidente che, se il limite di finanziabilità entra davvero a far parte della struttura del finanziamento ex art. 38 T.U.B., il mutuo ipotecario fondiario nel contesto del quale le parti abbiano inteso erogare e ricevere un importo eccedente la soglia massima di legge[33], indipendentemente dai motivi che le hanno spinte a farlo, non è altro che un comune mutuo ipotecario, perché come si è già detto i mutui ipotecari ordinari sono validi quale che sia il rapporto tra l'importo finanziato ed il valore del bene immobile ipotecato.
Il secondo principio attiene alla conservazione dell'atto: secondo la Suprema Corte, esso "trova sicuro riscontro nei criteri di ermeneutica contrattuale (art. 1367 c.c.) e nella conversione del contratto nullo (art. 1324 c.c.), [e] costituisce principio generale immanente all'ordinamento", tanto da trascendere la materia contrattuale[34].
Inoltre, sono del tutto appropriate le riflessioni svolte dai fautori del terzo indirizzo sulla ratio del limite di finanziabilità.
Come già detto, infatti, se esso è evitare che i finanziamenti fondiari siano concessi per importi tali da renderli non adeguatamente garantiti, il rimedio della nullità del negozio produce il risultato contrario all'esigenza alla cui tutela la norma dell'art. 38 T.U.B. è stata posta, perché - anche a questo si è già fatto cenno - determina la caducazione del negozio e delle garanzie, lasciando residuare un credito chirografario ex art. 2033 c.c., ed incidendo negativamente, in termini macroeconomici, proprio sulla stabilità del sistema bancario che il più recente orientamento di legittimità vorrebbe preservare.
Non solo, ma si è già visto che la nullità in discorso non è "di protezione" e si ripercuote a danno del mutuatario, che vede sfumare il piano di ammortamento e si trova esposto, in qualsiasi istante - anche, ovviamente, a fronte della regolare estinzione delle rate, vista l'invalidità del contratto - alla richiesta di pagamento del capitale residuo e degli interessi ex art. 2033 c.c., con conseguente pregiudizievoli anche in termini di segnalazioni alla Centrale dei Rischi presso la Banca d'Italia. Questo - si badi - non solo a fronte di un'iniziativa unilaterale della banca, ma in ipotesi quale reazione cautelativa ad un'azione di nullità proposta dal terzo garante, che approfitti della situazione per chiedere la liberazione dell'immobile dal gravame ipotecario.
Infine, tornando alla riqualificazione del contratto come principio generale, va osservato che nella giurisprudenza di legittimità lo si riscontra proprio in materia di mutui ipotecari fondiari.
In materia concorsuale, infatti, la Suprema Corte ha affermato la possibilità di disapplicare i "benefici del fondiario", ferma restando la validità del contratto, per esigenze di tutela della par condicio creditorum[35] [quelle stesse esigenze richiamate nella giurisprudenza più recente in argomento, n.d.a.]: basti richiamare, al riguardo, Cass. 9482/2013, che ha stabilito che "al contratto di mutuo fondiario stipulato solo per estinguere pregresse esposizioni debitorie non si possono applicare le norme speciali previste dagli art. 38 seg. t.u. bancario e, in particolare, la disposizione dell'art. 39, che prevede il consolidamento e la non revocabilità dell'ipoteca fondiaria, decorso il termine di dieci giorni dall'iscrizione"[36].
4. Il valore immobiliare di riferimento.
Se si aderisce (come aderisce lo scrivente), alla tesi della validità del contratto o, in subordine, a quella della riqualificazione dello stesso come finanziamento ipotecario ordinario, la valutazione del rispetto del limite di finanziabilità assume importanza residuale: nel primo caso perché non influisce sul negozio; nel secondo, perché rileva solo qualora si contesti il diritto di avvalersi dei benefici di legge, ossia si censuri la mancata notifica del precetto, oppure si chieda la revoca dell'ipoteca costituita oltre i dieci giorni, ovvero la revoca dei pagamenti ricevuti dalla banca, o infine si contesti il diritto di procedere in executivis in costanza di fallimento.
Il tema, invece, è di peso fondamentale qualora si acceda alla tesi della nullità; sia perché influisce sulla validità del negozio, sia perché si riverbera sulla "conoscenza della nullità" che impedisce la conversione ex art. 1424 c.c.
La giurisprudenza più recente ha affermato che il valore dell'immobile non è un elemento essenziale del contratto[37], ed al contempo ha sostenuto che la valutazione dell'osservanza della soglia massima finanziabile andrebbe compiuta avuto riguardo al "valore cauzionale" del cespite, nell'ottica di un prudente apprezzamento della futura negoziabilità[38].
Ciò non pare in linea con il disposto dell'art. 38 T.U.B..
Tale norma, infatti, stabilisce che l'ammontare massimo dei finanziamenti è da rapportare "al valore dei beni ipotecati", ed in ciò ha innovato rispetto alla precedente disposizione - abrogata proprio con il d.lgs. 385/1993 - dell'art. 3, l. 474/1949, che si riferiva - essa sì - al valore cauzionale del cespite, stabilendo che "l'ammontare di ciascun mutuo non può eccedere la metà del valore cauzionale dell'immobile, da stabilirsi a giudizio esclusivo dell'Istituto mutuante, in base al progetto dei lavori preventivati ed alla capacità del reddito, a costruzione ultimata, valutata ai sensi dell'art. 6 del regolamento approvato con regio decreto 5 maggio 1910, n. 472".
La modifica legislativa dovrebbe denotare essa sola che il riferimento è mutato, rispetto al precedente assetto normativo, e che il legislatore ha voluto porre al centro, nella novella, non già il valore cauzionale, ma quello di mercato.
A persuadere della correttezza di tale interpretazione viene la considerazione che, poiché i finanziamenti ex art. 38 T.U.B. hanno voluto agevolare la concessione di credito ipotecario alle imprese in crisi (è questo il senso dei "benefici del fondiario"), il legislatore prima, e la Banca d'Italia con la Circolare attuativa, hanno stabilito il limite di finanziabilità parametrandolo al presumibile valore di liquidazione dell'immobile in sede esecutiva o concorsuale.
Si comprende, pertanto, che nella lettura dell'art. 38 T.U.B. e della circolare attuativa il valore di riferimento non è il "valore cauzionale" (ridotto rispetto al valore di mercato), ulteriormente ridotto del 20%, ma è il "valore di pronto realizzo", risultante, in base alla delibera CICR attualmente in vigore, dalla sottrazione del 20% al valore di mercato.
Si aggiunga che, in senso contrario, non depone neanche il riferimento al "prudente apprezzamento della futura negoziabilità dell'immobile" contenuto nella direttiva CE n. 2000/12: anche a prescindere dal fatto che quel provvedimento è successivo di sette anni alla norma applicabile al caso di specie, esso induce il finanziatore a confrontarsi con le prospettive dell'andamento del mercato, non certo a parametrarsi ad un valore ridotto, da diminuire ulteriormente del 20%.
Né si può giungere a diversa conclusione sulla base dell'art. 120-duodecies T.U.B. (ampiamente successivo, anche questo, al d.lgs. 385/1993, visto che risale al 2016): esso stabilisce che le valutazioni degli immobili debbano essere condotte secondo "standard affidabili", e le disposizioni attuative previste dal terzo comma si trovano nel tredicesimo aggiornamento della circolare n. 285/2013 della Banca d'Italia, che al par. 22, sul punto delle valutazioni immobiliari, dispone che devono essere stimati "ad un valore non superiore al valore di mercato".
Dunque, su ogni versante, la tesi secondo la quale il limite di finanziabilità dovrebbe essere l'80% del "valore cauzionale" non pare corretta.
5. L'ottica della "nullità salvo conversione": la circostanza impeditiva della conoscenza della nullità.
Passando ora alla prospettiva della nullità salvo conversione ex art. 1424 c.c., quest'ultima non è automatica, ma opera solo ove concorrano determinati requisiti, il primo dei quali, per principio giurisprudenziale consolidato, è che le parti non fossero al corrente della nullità.
A tanto conduce la norma di riferimento, che dispone che "il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma[39], qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità".
Nella relazione al Codice Civile, al par. 650 la norma è spiegata come segue.
"Il contratto nullo si può però convertire in altro valido (art. 1424 del c.c.). Tale conversione viene fondata sulla volontà delle parti diretta a realizzare un concreto e comune intento pratico mediante il rapporto da esse costituito; perciò non si richiede soltanto che il contratto nullo abbia gli estremi obiettivi di altro contratto valido, ma deve potersi ritenere che questo contratto sarebbe stato voluto dalle parti se esse avessero conosciuto la nullità di quello che avevano concluso. Come si vede, la legge non ha riguardo alla conversione formale del negozio, ma a quella sostanziale, con la quale si dà effetto alla volontà che i contraenti avrebbero avuto se avessero preveduto che il negozio concluso era nullo. Attraverso un negozio giuridico, le parti mostrano di volere raggiungere un certo fine; il negozio da esse prescelto non ha, di fronte a questo fine, se non una funzione strumentale. In modo che è conforme alla buona fede che ciascuna parte rimanga vincolata agli effetti che si proponeva di trarre dal contratto nullo e che avrebbe ugualmente cercato di realizzare con altro contratto se si fosse rappresentata l'inefficienza giuridica di quello concluso".
La giurisprudenza di legittimità ha fatto applicazione della norma in svariate pronunce, e sul versante "soggettivo" ha sempre fatto riferimento al concetto di "conoscenza della nullità", conformemente al tenore letterale.
Si possono menzionare, al riguardo, Cass. 2912/2002, nella cui massima si menziona la "coscienza della nullità" (in motivazione si richiama anche la "conoscenza della nullità"), e Cass. 923/1972 (seguita, in senso conforme, da Cass. 899/1980), che ha stabilito che l'art. 1424 c.c., ai fini della conversione del negozio nullo, ha quale presupposto implicito "la ignoranza di tale nullità". In dottrina, in assonanza con Cass. 923/1972 e Cass. 899/1980, si è osservato come la conversione non possa essere accordata a chi abbia "una nitida percezione ed una chiara consapevolezza della nullità stessa"[40].
Dall'esame di tali principi si trae la conclusione che la conversione del contratto nullo può essere negata solo qualora risulti che le parti avessero la nitida consapevolezza di stipulare un negozio invalido, o, per riprendere i lavori preparatori del 1942, si fossero rappresentate "l'inefficienza giuridica" del contratto che stavano concludendo[41].
Senza dimenticare che, come già evidenziato nel par. 3 che precede, se le parti sono a conoscenza del superamento del limite di finanziabilità, la loro volontà non è quella di stipulare un mutuo fondiario nullo, ma semmai di stipulare un mutuo ipotecario ordinario - e tale deve essere la conclusione in diritto, vuoi in conseguenza di riqualificazione giuridica, vuoi per effetto di simulazione relativa - su questi versanti la fattispecie in esame è per lo meno problematica.
In primo luogo, è incerto il valore di riferimento, che si fonda per forza di cose su valutazioni peritali (sovente condotte ex post), e che lascia aperto il dubbio se si debba prendere a riferimento il valore di mercato (come suggerirebbero i rilievi svolti al punto che precede), o, nell'odierno assetto della giurisprudenza, quello cauzionale.
In secondo luogo, essendosi in presenza di una nullità non "testuale", ma "virtuale", il panorama interpretativo è talmente frastagliato che la consapevolezza di stipulare un atto invalido è ben difficile da ravvisare, visto l'alternarsi di tre indirizzi difformi anche in sede di legittimità, che non consentono di assumere una posizione definitiva nemmeno agli operatori del settore.
A quest'ultima osservazione - è bene precisare - non si può opporre il principio secondo il quale ignorantia legis non excusat. Questo, infatti, ha sicuramente l'effetto di non rendere valido per "ignoranza" un atto nullo, ma non rileva sul versante della consapevolezza di stipulare un negozio invalido. Si verte, infatti, di uno "stato soggettivo rilevante", e si devono tenere a mente i principi generali elaborati dalla giurisprudenza, ad esempio, in materia possessoria (art. 1147 e 1153 c.c.), di obbligazioni (artt. 1189), e di indebito (artt. 2033, 2036 e 2038 c.c.), nel cui ambito è pacifico che tanto l'errore di diritto scusabile, quanto il dubbio promanante da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, consentano di ravvisare la buona fede[42]; per cui, nella perdurante incertezza sulla soluzione in diritto del problema in discussione, si può affermare che anche la violazione consapevole del limite di finanziabilità non significa, allo stato, "conoscenza della nullità" nei termini sopra evidenziati.
6. Segue: la necessaria volontà di perseguire con un mutuo ipotecario ordinario lo stesso scopo pratico del mutuo ipotecario fondiario.
Infine, sempre in merito ai presupposti per la conversione, la giurisprudenza di legittimità sull'art. 1424 c.c. afferma la necessità che "risulti la manifestazione di volontà delle parti propria del negozio diverso", e soggiunge che "ad un tal fine, tuttavia, non occorre l'accertamento della volontà concreta delle parti di accettare il contratto trasformato per effetto della conversione, poiché ciò comporterebbe la coscienza della nullità dell'atto compiuto, esclusa per definizione dall'art. 1424 c.c., ciò che occorre è, invece, la considerazione dell'intento pratico perseguito, cosicché il contratto nullo può convertirsi in un altro contratto i cui effetti realizzino in tutto o in parte quell'intento"[43].
Nella fattispecie in esame, il presupposto "soggettivo" della conversione è agevolmente ravvisabile, perché si può accostare nei due contratti l'"intento pratico perseguito dalle parti", che è quello di erogare/ottenere un finanziamento bancario assistito da una garanzia reale immobiliare.
L'indirizzo di legittimità più recente, peraltro, ha aggiunto che, poiché ciò che differenzia le due tipologie di mutuo - oltre al limite di finanziabilità - è la presenza, per i fondiari, di particolari benefici (esenzione dalla notifica del precetto, consolidamento breve dell'ipoteca, irrevocabilità dei pagamenti ed esenzione dal divieto delle azioni esecutive individuali nel fallimento), il giudice chiamato a convertire il contratto è tenuto a valutarne l'eventuale "essenzialità"[44], nel senso che in loro mancanza non sarebbe stato concesso alcun finanziamento; il che è a dire che, se le parti fossero state consapevoli della nullità del contratto che stavano stipulando, non avrebbero voluto un mutuo ipotecario ordinario.
I privilegi del fondiario sono agevolazioni che il legislatore ha posto a favore della parte mutuante e che vengono in rilievo di fronte ad una controparte che conclude il mutuo in stato di crisi, perché (i) da un lato, agevolano l'esecuzione forzata individuale, (ii) dall'altro, attenuano l'operatività dell'azione revocatoria fallimentare.
In questa prospettiva, si può riflettere che, per la parte mutuataria, la stipula di un mutuo ipotecario ordinario o di un mutuo ipotecario fondiario è sostanzialmente indifferente, visto che sul suo versante rilevavano la concessione del finanziamento e l'iscrizione della garanzia reale, che ricorrono in entrambi i casi.
Per la parte finanziatrice, invece, l'interesse ai benefici fondiari può essere rilevante, e la valutazione al riguardo non può che prendere le mosse dall'esame della situazione economico-finanziaria della mutuataria all'epoca della stipula del mutuo, per poi procedere alla verifica di una volontà (quella di stipulare, altrimenti, un mutuo ipotecario ordinario), meramente ipotetica, e che per ciò solo non è inquadrabile in canoni prestabiliti, essendo piuttosto lasciata al libero convincimento del giudice, con evidenti conseguenze in termini di incertezza dei criteri di riferimento ed imprevedibilità delle decisioni dei singoli casi.
Anche su questo versante non si può non evidenziare come la soluzione della nullità ponga il mercato del credito in una situazione di elevata incertezza, e rischi di affossare la tipologia di mutuo ipotecario più incentivata dal legislatore, con benefici non solo per le banche eroganti, ma anche per le parti mutuatarie.
7. Conclusioni.
A conclusione delle riflessioni che precedono non si può che tornare ad auspicare che la Suprema Corte si determini quanto prima ad assumere, con una decisione a Sezioni Unite, una soluzione chiarificatrice della tematica trattata nel presente commento, oggetto di indirizzi giurisprudenziali contrastanti e con un'importanza indubbiamente particolare.
Nel merito, si crede di avere dimostrato come la soluzione della nullità contrattuale salva conversione ex art. 1424 c.c. sia priva di fondamento giuridico, oltre a frustrare proprio l'interesse pubblico della stabilità del sistema bancario in vista del quale è stata affermata, e a contrastare anche - su numerosi versanti - con l'interesse della clientela.
Si dovrebbe quindi pervenire ad una soluzione che tuteli la stabilità del rapporto, riconoscendo la piena validità del contratto, o al più disapplicando i "benefici del fondiario" a seguito di riqualificazione giuridica come "mutuo ipotecario ordinario".
NOTE
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[1] Attualmente il limite è pari all'80% del valore degli immobili sui quali viene accesa l'ipoteca o del costo delle opere da eseguire sugli stessi, salva concessione di idonee garanzie aggiuntive, nel qual caso il limite sale al 100%: così in base all'art. 38, secondo comma, T.U.B., che dispone che "la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l'ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti", ed alla conseguente delibera CICR in data 22.4.1995, che all'art. 1 prevede: "l'ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all'80 per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Tale percentuale può essere elevata fino al 100 per cento, qualora vengano prestate garanzie integrative, rappresentate da fideiussioni bancarie e assicurative, polizze di compagnie di assicurazione, cessioni di annualità o contributi a carico dello Stato o di enti pubblici, fondi di garanzia e da altre idonee garanzie, secondo i criteri previsti dalla Banca d'Italia".
[2] Il dibattito, in sede dottrinaria, si aprì a seguito di Trib. Venezia 26 luglio 2012, in Fallimento, 2013, 211, con nota di Tarzia, Il credito fondiario ed i limiti di finanziabilità nella precedente e nell'attuale normativa.
[3] Prima di allora, Cass. 9219/1995, di cui si tornerà a dire nel seguito del presente commento, aveva affrontato l'argomento solo in obiter dictum.
[4] Nello stesso senso, v. Cass. 27380/2013, Cass. 22446/2015, Cass. 4471/2016, e Cass. 13164/2016.
[6] In primis l'istanza di parte, che per la giurisprudenza di legittimità condiziona la possibilità di pronunciare la conversione (Cass. SS.UU. 26242/2014), e che peraltro, sempre ad avviso della Suprema Corte, può essere proposta per la prima volta a seguito del rilievo della nullità, anche - nel contesto fallimentare - in sede di opposizione allo stato passivo (v. ad es., in tal senso, Cass. 19016/2017).
[18] G. Falcone, I limiti di finanziabilità nelle operazioni di credito fondiario tra interessi tutelati e problemi applicativi, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, II, 341, e M. Tomassi, Sulla nullità (virtuale) del credito fondiario e sul valore delle Istruzioni della Banca d'Italia, ivi, 354.
[19] Così, in motivazione: "21. Non è però necessario in questa sede prendere posizione, una volta comunque condiviso il presupposto della non riconducibilità del limite di finanziabilità ad una mera regola di condotta per il mutuante in ragione della funzionalizzazione della relativa norma ad un interesse pubblico superiore a quello delle parti del mutuo fondiario, cioè la stabilità del mercato attraverso la stabilità del singolo mutuante: non c'è bisogno di valutare se dalla violazione di quel limite derivi anche la radicale nullità del contratto di mutuo fondiario (neppure parendo, almeno o se non altro prima facie, potersi fare luogo alla conversione in ragione della condotta delle parti risultante dagli atti accessibili nel giudizio di legittimità), oppure se ne consegua solamente, in dissenso dalla conclusione dell'ormai preponderante giurisprudenza di questa Corte ma condivisane la conclusione della rilevanza sulla struttura stessa del contratto, l'effetto di una riqualificazione di questo quale mutuo ordinario. 22. Non potrebbe negarsi, infatti e in linea di principio, la necessità di interrogarsi se e come tale diverso approdo possa apparire più in linea col fine pubblicistico perseguito dalla norma: la stabilità del mercato attraverso la stabilità del singolo operatore del credito, che resterebbe fortemente perturbata, secondo intuitive leggi economiche o regole di comune esperienza, da una integrale - e difficilmente superabile, se non attraverso le aleatorie strettoie della conversione - nullità del mutuo e delle relative garanzie nonostante l'intervenuta erogazione del capitale".
[20] In questo senso v. anche Cass. 29745/2018, che ha affermato che l'indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia non assurge a requisito di forma prescritto ad substantiam, non essendo previsto come tale dalla disciplina specifica di cui agli art. 38 e 117 T.U.B. e non rientrando nell'ambito delle «condizioni» contrattuali di carattere economico.
[21] V. in tal senso, in materia di intermediazione finanziaria, Cass. SS.UU. 26724 e 26725/2007.
[22] V. Cass. 25222/2010, con la seguente massima: "in tema di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. «nullità virtuale»), ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, che va, pertanto, esclusa sia quando risulta prevista una diversa forma di invalidità (es. annullabilità), sia quando la legge assicura l'effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi (nella specie, relativa a domanda di declaratoria di nullità del contratto di vendita di un immobile cui l'istante deduceva di essere stato costretto dall'acquirente con minaccia e pressione usuraria, la suprema corte, nel confermare la sentenza di rigetto dei giudici di merito, ha ritenuto non applicabile l'art. 1418 c.c. ed indicato come parametri normativi di riferimento gli art. 1434 e 1435 c.c., cui pure la corte territoriale aveva fatto ricorso, rilevando che la relativa azione non era stata proposta entro il termine prescrizionale di cinque anni né tale statuizione era stata specificamente impugnata)".
[23] V. ad es., sul punto, Cass. 28662/2013, con la seguente massima: "mentre nel mutuo edilizio la somma concessa, garantita da ipoteca, deve essere destinata a fini immobiliari, in quello fondiario non vi è obbligo di realizzare l'attività programmata poiché non costituisce un mutuo di scopo", nonché Cass. 4792/2012, che ha stabilito che "il mutuo fondiario, quale risulta dalla disciplina di cui agli art. 38 seg. d.leg. 1 settembre 1993 n. 385, non è mutuo di scopo, poiché di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità; non può, pertanto, essere negata tale qualificazione, sul rilievo della previsione contrattuale che nega la destinazione della somma mutuata all'acquisto, costruzione o ristrutturazione di immobili".
[24] Si tratta semmai di un tema attinente alla c.d. "sana e prudente gestione", che in alcune situazioni di negligenza è assunta come fonte di responsabilità risarcitoria in capo al finanziatore (cosa ben diversa dall'invalidità dei contratti); v. in argomento, da ultimo, Cass. 24725/2021, sul possibile concorso della banca nell'aggravamento del dissesto del cliente finanziato.
[25] Questa osservazione si legge in Trib. Verona 15 aprile 2021, cit. alla nota n. 16.
[26] Senza più il mutuo, che è l'"accordato", il debito è da segnalare interamente in "sconfino".
[27] Sofferenza che si propaga rapidamente alle segnalazioni dell'intero sistema affidante.
[28] Se la tesi della nullità dovesse infine prevalere, non è da escludere che le banche prendano a ricorrere ad iniziative del genere, per evitare che i crediti fondiari rimangano privi di garanzie; e non serve certo spiegare le conseguenze che ne deriverebbero sulla clientela finanziata.
[29] GALGANO, Della nullità del contratto, in Commentario Scialoja-Branca, sub art. 1418, Bologna-Roma, 1998, 83.
[30] Si veda, in argomento, TOMASSI, op. cit., 363, con ampia rassegna di dottrina e giurisprudenza.
[31] Cass. SS.UU. 10603/1993, e si vedano inoltre Cass. 14234/2003, Cass. 7485/2008, Cass. 10576/2010, Cass. 9090/2014, Cass. 23158/2014, Cass. 19196/2016, Cass. 18016/ 2018, Cass. 1193/2020, Cass. 20552/2020, Cass. 4694 e 4695/2021, nonché Cass. 10117/2021.
[32] V. ad es. Cass. SS.UU. 27072/2016. Si consideri che, di recente, proprio avvalendosi del potere di riqualificazione automatica dei contratti, la Suprema Corte ha qualificato come pacta de non petendo ad tempus mutui ipotecari giro-contati ad estinzione di precedenti esposizioni chirografarie del cliente: v. in tal senso, da ultimo, Cass. 1517/2021. Si può inoltre ricorrere al caso di scuola dei locatori che, al fine di sfuggire alle regole della l. 392/1978, strutturavano il contratto di locazione come "precario oneroso", salvo subire - non già la nullità contrattuale, ma - la riconduzione giuridica del negozio in ambito locativo (v. ad es., in argomento, Cass. 4109/1981).
[33] Salvo ipotizzare un'ìntesa simulatoria per garantire al mutuante i benefici del fondiario, nel qual caso, comunque, la simulazione sarebbe relativa ed ai sensi dell'art. 1414, secondo comma, c.c., si produrrebbero gli effetti del contratto dissimulato, ossia del mutuo ipotecario comune, sussistendone i requisiti di sostanza e forma.
[34] Cass. 1511/2014.
[35] Sia detto per inciso che la correttezza di questo indirizzo è per lo meno dubbia, atteso che, come si è visto nelle pagine che precedono, il mutuo fondiario non è un mutuo di scopo e la destinazione del finanziamento è libera.
[36] Nello stesso senso v. Cass. 3468/2011, Cass. 20622/2007, ed in fattispecie contigua Cass. 16866/2004.
[37] Cass. 29745/2018, cit. alla nota n. 20.
[38] V. Cass. 11201/2018, che definisce il valore cauzionale come "concreta e attuale prospettiva di negoziabilità dell'immobile, del tutto svincolata da considerazioni di carattere speculativo, sì che, se non è possibile far riferimento a un valore di liquidazione, tra le diverse stime possibili deve privilegiarsi quella di tipo prudenziale".
[39] I requisiti di sostanza e forma, nella fattispecie in esame, ricorrono sempre, trattandosi di contratti stipulati per iscritto avanti a un Notaio.
[40] Si veda in argomento Giaimo, Conversione del contratto nullo - Art. 1424, Milano, 2012, 54, che cita Bigliazzi-Geri, Conversione dell'atto giuridico, in Enc. Dir., vol. X, Milano, 1962, 532. Analogamente si sono espressi gli autori che hanno affrontato l'argomento facendo leva sul concetto di buona fede (Franceschelli, Conversione del negozio nullo, in Digesto civ., vol. IV, Torino, 1989, 377, che parla della "buona fede intesa come ignoranza della nullità del primo negozio", e nello stesso senso De Nova, Conversione (conversione del negozio nullo), in Encicl. giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988, 9). Si veda inoltre Bianca, Diritto Civile, vol. 3, Milano, 1998, 594, che parla della conoscenza o ignoranza "circa l'invalidità del contratto stipulato".
[41] Si pensi, per un esempio agevole, ai contratti di compravendita di oggetti illeciti, nei quali le parti hanno la chiara consapevolezza dell'invalidità.
[42] Sul tema dell'errore di diritto e del dubbio ai fini della buona fede si vedano ad es. Cass. 18171/2016, Cass. 24696/2009, Cass. 7966/2003, e Cass. 2103/1982. Si veda, inoltre, Cons. Stato 2029/2010, che nel contesto delle violazioni amministrative ha valorizzato il grado di chiarezza e precisione della norma violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall'amministrazione, nonché la novità della medesima questione, riconoscendo così portata esimente all'errore di diritto, in analogia all'elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.
[43] V. in tal senso Cass. 2912/2002, Cass. 10498/2001, Cass. 8263/1990.