Spunti per una riflessione collettiva sulle misure adottate ed adottabili per il contrasto alla crisi economica "da pandemia"
Pubblicato il 03/05/20 02:00 [Articolo 935]
1. Premessa. - 2. Le misure già adottate: un quadro sinottico. 3. La necessità di individuare ulteriori e più drastiche soluzioni. - 4. La necessità di individuare soluzioni di rafforzamento patrimoniale. - 5. La necessità di individuare interventi sul conto economico. - 6. La necessità di disporre interventi di sostegno "selettivo" secondo predefiniti criteri. - 7. La necessità di regolare l'effetto della pandemia sul sistema delle obbligazioni. - 8. La necessità di ripensare il modello della disciplina della crisi dell'impresa. - 9. La necessità di ripensare il rapporto tra lo Stato e le imprese.
1. Premessa.
Le misure adottate per il contenimento della diffusione del virus Covid-19 hanno imposto l'interruzione della gran parte delle attività economiche del Paese ingenerando una serie di problemi economico-finanziari (ma anche giuridici) del tutto inediti che, per opinione unanime, non possono essere utilmente affrontati con strumenti tradizionali.
La eccezionale ed urgente necessità di individuare soluzioni "extra-ordinarie" impone alla collettività degli studiosi di ogni disciplina il dovere morale di stimolare e sviluppare un dialogo collettivo che si caratterizzi per rapidità, sintesi e ampiezza di apporti e che consenta di offrire al legislatore, senza ritardo, un ampio paniere di possibili idee (più o meno) condivise.
L'accademia, per sua stessa natura, rifugge ogni analisi che non sia caratterizzata dal rispetto dei dogmi della rigorosa ricerca scientifica. Ma poiché le riflessioni approfondite e le analisi sistematiche (alle quali, si badi, non si può e non si deve rinunciare) impongono tempi di sviluppo non compatibili con l'emergenza in atto, v'è necessità di una riflessione collettiva di largo spettro che non lasci integralmente alla stampa ed ai mezzi di informazione in genere (ed ai pochi studiosi che vi hanno accesso) il compito di avanzare le proposte per attenuare gli effetti economici catastrofici di un virus per il quale ancora non si dispone (ancora) né di una cura efficace, né di un vaccino.
La necessità di sviluppare una discussione rapida e diffusa impone a chiunque vi intenda partecipare l'onere di offrire alla riflessione collettiva proposte facilmente intellegibili e sinteticamente esposte mettendo da parte ogni (più che legittima) aspirazione individuale di corredare le soluzioni preferite dei dovuti approfondimenti, accettando di lasciare alla sola convergenza delle idee il compito di "distillare" il precipitato del dialogo e, dunque, di individuare le soluzioni più condivise.
E' questa la logica, dunque, che sorregge le brevi considerazioni ed osservazioni che seguono le quali, all'evidenza, non hanno altra ambizione che quella di aggiungere alle preziose riflessioni di chi ha già avviato un simile percorso qualche notazione e qualche proposta che possano stimolare le idee di altri (e poco importa se di segno identico od opposto).
2. Le misure già adottate: un quadro sinottico.
L'improvvisa e drastica perdita di ricavi e, soprattutto, di affidabili prospettive per il futuro dell'attività costringe gli operatori economici a fronteggiare le ingenti ed impreviste perdite di esercizio potendo contare, al momento, soltanto sugli interventi dello Stato sin qui adottati e che, in sintesi, hanno avuto ad oggetto (per lo più):
1) il differimento dell'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa (art. 5, D.L. n. 23/2020);
2) la sospensione temporanea delle regole sul capitale minimo (art. 6, D.L. n. 23/2020)[1];
3) la momentanea disapplicazione delle regole bilancistiche in tema di continuità aziendale (art. 7, D.L. n. 23/2020)[2];
4) l'esclusione della regola della postergazione dei finanziamenti apportati dai soci sino al 31 dicembre 2020 (art. 8, D.L. n. 23/2020);
5) la sospensione della procedibilità delle domande di fallimento (art. 10, D.L. n. 23/2020);
6) l'offerta di garanzie statali per la concessione di nuovi prestiti alle imprese da parte del sistema bancario (art. 25, D.L. n. 9/2020; artt. 57 e 58 D.L. n. 18/2020; art. 1, D.L. n. 23/2020);
7) l'introduzione di una particolare (e generica) "esimente" (o rectius "attenuante") dell'inadempimento contrattuale dovuto o connesso con la situazione emergenziale (art. 3, comma 6-bis, D.L. n. 6/2020, introdotto dall'art. 91 del DL n. 18/2020[3]).
Per le finalità che qui interessano, è sufficiente rilevare che l'unanime giudizio di chi ha avuto modo e merito di commentare ciascuna delle diverse misure adottate è che si tratta di interventi utili ma del tutto insufficienti ad evitare che la pandemia inneschi una crisi economica di tipo sistemico e dalle proporzioni inedite.
3. La necessità di individuare ulteriori e più drastiche soluzioni.
Come messo in luce da più parti, è indubbio che per fronteggiare il problema delle straordinarie perdite d'esercizio patite dal sistema economico siano necessari interventi pubblici sul patrimonio e/o sul conto economico delle imprese, a nulla (o a poco) valendo le iniezioni di liquidità a debito se non per fronteggiare l'emergenza più immediata[4].
D'altronde, la concessione su vasta scala di prestiti a medio termine assistiti dalla garanzia statale non è misura priva di inconvenienti generando problemi inediti e molto delicati.
L'idea di garantire una liquidità aggiuntiva a debito, infatti, rallenta l'emersione delle criticità finanziarie delle imprese ma di certo non risolve il problema della loro ridotta patrimonializzazione[5], né quello della perdita di continuità aziendale, né, e men che mai, quello del rischio di fallibilità; e, per di più, presenta il grave inconveniente di generare effetti strutturali anomali che, a loro volta, impongono un ripensamento generale delle regole concordatarie e di diritto penale fallimentare soprattutto in tema di aggravamento del dissesto e di bancarotta preferenziale.
Come già da altri evidenziato, si tratta, nel complesso, di misure che creano "ibridi mostruosi" consentendo la continuazione dell'attività ad imprese prive di capitale di rischio e di merito creditizio e di cui non è chiaro se la relativa gestione possa avvenire ancora nell'interesse dei soci o debba perseguire unicamente quello dei creditori[6].
Quanto poi alle modalità di utilizzazione della liquidità aggiuntiva ottenuta con la garanzia dello Stato, v'è da rilevare che i generici vincoli di destinazione imposti dalla legge[7] non sembrano particolarmente efficaci per escludere il rischio che la nuova liquidità garantita dallo Stato consenta semplicemente l'estinzione dei debiti pregressi alla crisi[8]. Anche nel caso in cui l'impiego delle nuove risorse sia limitato "soltanto" al finanziamento di nuovi investimenti o al pagamento dei debiti funzionali alla continuità dell'attività, nulla impedisce che l'impresa utilizzi le risorse finanziarie generate dall'attività ordinaria per l'estinzione o la riduzione dei debiti pregressi (magari verso la stessa banca erogatrice della nuova finanza), così finendo, in via di fatto, per indurre o consentire la sostituzione dei debiti precedenti con i nuovi[9].
Ad ogni buon conto, come si è già detto, il problema generato dalla pandemia impone l'adozione di soluzioni capaci di consentire un rafforzamento patrimoniale[10] e/o un'attenuazione degli effetti prodotti sul conto economico delle imprese e, dunque, non soltanto di interventi di tipo finanziario[11].
4. La necessità di individuare soluzioni di rafforzamento patrimoniale.
Per quanto attiene il rafforzamento patrimoniale[12], si è già evidenziato che se è vero che, anche per la complessità delle relative procedure, non si può immaginare che lo Stato diventi socio di migliaia (se non di milioni) di imprese[13], nulla osta alla sottoscrizione pubblica e su vasta scala di strumenti finanziari ibridi che, come è noto, non impongono il rispetto delle (o la deroga ex lege alle) rigide formalità degli aumenti di capitale (deliberazione assembleare notarile, rispetto delle procedure sul diritto di opzione e prezzo di emissione, ecc.).
L'idea è certamente condivisibile e meritevole di approfondimento, ma, naturalmente, pone il tema del contenuto concreto dei diritti attribuiti al possessore di tali strumenti finanziari in termini sia di governance che di partecipazione ai risultati dell'impresa.
In quest'ottica, una soluzione interessante potrebbe essere quella utilizzata dalla Federal Reserve statunitense per affrontare la crisi (patrimoniale) delle grandi società finanziarie ed assicurative nel 2008, con la sottoscrizione di titoli emessi senza diritto di voto e con clausola di redimibilità ad opzione della società entro un prefissato termine e, in taluni casi, anche di convertibilità automatica in azioni con diritto di voto alla scadenza del periodo concesso alla società per il riscatto dei titoli[14]. Soluzione individuata per far sì che l'apporto di risorse pubbliche non influenzi la governance della società per il periodo di tempo concesso per il riscatto dei titoli (redimibili) e che, nel contempo, assicura ex ante la "transizione" della società sotto il controllo pubblico in caso di mancato riscatto nel termine (grazie alla automatica conversione in titoli ordinari) [15].
Non sarebbe da escludere, poi, l'inserimento di cautele di tipo statutario che (ad esempio): (i) assicurino al socio pubblico la postergazione nella partecipazione alle perdite ed un adeguato privilegio nella distribuzione degli utili (almeno sino al raggiungimento di una prefissata soglia di remunerazione minima, eventualmente cumulabile negli anni); (ii) prevedano la necessaria autorizzazione assembleare ex art. 2465, n. 5, c.c. per le decisioni di trasferimento dell'azienda o di suoi rami o l'assunzione di partecipazioni in altre imprese; (iv) attribuiscano il diritto di recesso (anche ma non soltanto al socio "pubblico") in ipotesi di dissenso rispetto alle deliberazioni di modifica dello statuto o di sue clausole essenziali e a quelle che autorizzino le operazioni gestorie "limitate" dallo statuto; (v) prevedano il voto di lista per la nomina di amministratori e sindaci[16].
Ma, come si è detto, si tratta solo di suggestioni lasciate alla riflessione comune.
5. La necessità di individuare interventi sul conto economico.
Per quanto concerne i possibili interventi sul conto economico delle imprese, le idee sinora avanzate sembrano caratterizzarsi più che altro per la loro (forse eccessiva) eterogeneità[17].
Il sistema industriale sembra chiedere l'erogazione di contributi pubblici a fondo perduto in misura pari alle perdite patite dalle singole imprese nel periodo di contingentamento. Il che, ovviamente, è ben possibile e forse anche comprensibile, ma apre una serie di problemi di non poco conto, sia per ciò che attiene la quantificazione dell'intervento pubblico, sia, e soprattutto, per i possibili effetti di un tale contributo pubblico "a pioggia" tanto sul mercato nazionale (inciso negativamente dalla concorrenza "sleale" che le imprese più virtuose rischiano di subire da parte di quelle meno sane e, per ciò stesso, maggiormente "aiutate" dallo Stato) quanto, e soprattutto, sui mercati internazionali (specie nel caso delle legislazioni più attente alla disciplina del c.d. "dumping", quale è, prima di ogni altra, quella statunitense).
Maggiormente praticabile, forse, potrebbe essere l'idea di consentire una capitalizzazione straordinaria dei costi (ordinari e straordinari) maturati nel periodo di contenimento dell'epidemia, sul modello del c.d. "Decreto salva calcio" che ha consentito l'iscrizione nell'attivo del bilancio delle società calcistiche delle perdite realizzate (o, meglio, di oneri pluriennali pari a tali importi)[18].
Si tratterebbe, in tal caso, di consentire la capitalizzazione di oneri straordinari giustificati dalla necessità di non disperdere il know how ed i mercati delle singole imprese (quanto meno per quelle che erano sane prima dell'emergenza Covid)[19].
Alternativamente come suggerito da altri[20] (ma forse anche congiuntamente), si potrebbe introdurre una (nuova) disposizione speciale che consenta, in via eccezionale, la rivalutazione (in esenzione d'imposta) dei valori contabili delle immobilizzazioni e la conseguente emersione dei plusvalori latenti (da destinare ad apposite riserve) utilizzabili per coprire le perdite di esercizio.
6. La necessità di disporre interventi di sostegno "selettivo" secondo predefiniti criteri.
Quali che siano le concrete misure che saranno (auspicabilmente) adottate per rafforzare il patrimonio delle imprese italiane e/o per indennizzarle delle perdite subite per effetto della pandemia, non v'è dubbio che occorra contemperare la necessità di aiutare la sopravvivenza del tessuto imprenditoriale del Paese offrendo il sostegno pubblico alla più vasta platea possibile di destinatari con l'altrettanto importante esigenza di evitare la dispersione delle (per definizione limitate) risorse collettive con interventi "a pioggia" notoriamente poco efficaci.
L'erogazione di denaro pubblico "dagli elicotteri" anche alle iniziative che erano già compromesse ed irrecuperabili prima della pandemia produrrebbe, infatti, null'altro che un ulteriore aggravio della situazione delle imprese meno disastrate, in tal modo costrette a competere con soggetti privi di concrete prospettive di risanamento e, dunque, naturalmente predisposte a maggiori azzardi.
Se, quindi, l'ottica non può che essere quella di interventi necessariamente selettivi, il problema diventa quello di individuare i criteri sulla base dei quali procedere con la selezione.
Benché non esistano certo formule universalmente valide e benché non vi sia dubbio che i possibili drivers meritevoli di considerazione dipendono dalle scelte di politica economica che si intendono perseguire, appare arduo escludere dal novero dei criteri di selezione dell'intervento pubblico (di carattere finanziario, patrimoniale, economico o fiscale che sia) quelli capaci (ad esempio) di:
a) considerare i livelli occupazionali (esistenti o previsti) dell'impresa agevolata o, meglio, il rapporto tra sovvenzione pubblica richiesta e numero degli occupati (dando preferenza, all'evidenza, agli interventi che prevedono "contributi pubblici per addetto" di minore importo);
b) commisurare la misura pubblica (all'esistenza e) all'entità di un co-investimento privato (dando preferenza, all'evidenza agli interventi che prevedono il minore rapporto tra la contribuzione pubblica e il nuovo capitale di rischio privato messo in gioco);
c) agevolare le soluzioni concordate delle (purtroppo inevitabilmente numerose) crisi delle imprese[21] in ragione della misura del sacrificio accettato dai creditori privati (dando priorità agli interventi pubblici a sostegno dei piani di ristrutturazione che abbiamo un minor rapporto tra l'entità della misura pubblica richiesta e l'ammontare delle risorse "messe a disposizione" - in termini di stralci, conversioni in equity o nuova finanza - dalle banche e dai fornitori);
d) ridurre l'impatto dei (purtroppo inevitabilmente numerosi) contenziosi generati per effetto o a causa della pandemia, offrendo sostegno pubblico a coloro che accettino di comporre le proprie controversie in via stragiudiziale con reciproche rinunzie (dando priorità agli interventi pubblici a sostegno delle transazioni con minor rapporto tra entità dell'intervento pubblico richiesto e ammontare delle rinunzie concordate).
Quello appena tracciato rappresenta, naturalmente, soltanto un catalogo generico (ed anche grossolano) di (alcune tra le molte possibili) idee da considerare nella selezione dei criteri ai quali ispirare l'intervento pubblico, la cui unica ambizione è quella di ampliare lo spettro delle riflessioni che la comunità scientifica è chiamata a svolgere per offrire al legislatore il maggior numero possibile di opzioni da scandagliare nell'individuazione dei migliori strumenti per attenuare gli attesi effetti disastrosi della pandemia.
E non v'è dubbio che l'eterogeneità delle fattispecie concrete imporrà una opportuna e delicata calibrazione delle singole modalità dell'intervento pubblico sia ove si realizzi con sgravi fiscali o contributivi (sul lavoro o sugli utili reinvestiti o sulla tassazione del reddito da investimento nel capitale di rischio delle imprese), sia che segua la strada dell'erogazione diretta di somme di denaro a fondo perduto o della sottoscrizione di titoli di equity, di debito o "ibridi".
Ciò che, tuttavia, non dovrà mancare è l'unitaria visione d'insieme delle finalità che si intenderanno perseguire (quali che esse siano) ed un forte coordinamento dell'azione pubblica in modo da scongiurare in radice il grave rischio di introdurre una pletora di disorganiche misure utili soltanto a soddisfare l'esigenza politica di breve termine di assecondare il maggior numero possibile delle più disparate istanze provenienti dal sistema economico.
Se ciò è quanto può dirsi in via generale, un discorso necessariamente più articolato deve essere svolto tanto con riguardo al problema degli effetti delle misure di contingentamento sulle obbligazioni contrattuali, quanto al centrale (e più vasto) tema delle regole concorsuali da adottare per fronteggiare meglio l'attesa crisi delle imprese. Mentre sul primo tema ci si può limitare in questa sede ad offrire solo uno spunto di riflessione per altri approfondimenti, sul secondo occorre sviluppare qualche proposta di maggior dettaglio.
7. La necessità di regolare l'effetto della pandemia sul sistema delle obbligazioni.
Come è noto, il nostro sistema giuridico non prevede disciplina specifica della "forza maggiore" e, all'evidenza, il vuoto normativo non è stato colmato dall'art. 3, comma 6-bis, D.L. n. 6/2020, introdotto dall'art. 91 del DL n. 18/2020 secondo cui "Il rispetto delle misure di contenimento ( ) è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti"[22].
La nuova disposizione, infatti, non risolve (ma semmai aggrava) l'incertezza che regna sul punto, finendo unicamente per rimettere al giudice la valutazione circa il fatto se il singolo inadempimento implichi o meno (in tutto o in parte) la responsabilità del debitore[23] e, dunque, circa l'esclusione, in tutto o in parte, della correlazione tra inadempimento e responsabilità, senza alcuna possibilità di incidere diversamente sul complessivo equilibrio contrattuale.
La strabordante numerosità dei casi che è lecito attendersi non consente di ritenere che la suddetta delega alla magistratura possa essere ragionevolmente onorata in tempi (non si pretende rapidi, ma almeno) accettabili. Il che certamente rende auspicabile l'introduzione di misure pubbliche, eventualmente anche sotto forma di contribuzioni in denaro, che stimolino il ricorso a forme alternative di risoluzione delle controversie[24]; ma induce a riflettere anche sull'opportunità di ricorrere ad istituti giuridici più flessibili del binomio "inadempimento-responsabilità".
Al riguardo, l'esperienza del diritto internazionale privato e di qualche legislazione straniera in tema di hardship potrebbe offrire qualche suggestiva idea.
Come è noto, infatti, alcuni sistemi normativi prevedono espressamente "il dovere delle parti di rinegoziare il contratto quando ne sono mutate le condizioni di base" con l'importante corollario secondo cui "se le parti non raggiungono un accordo nella rinegoziazione o si rifiutano di rinegoziare, il giudice corregge il contratto, lo adegua egli stesso alle mutate condizioni di mercato"[25].
Una simile innovazione normativa avrebbe il beneficio di stimolare le parti a trovare in via amichevole una soluzione condivisa alle innumerevoli controversie che, diversamente, saranno destinate ad affaticare enormemente il sistema giudiziario una volta che l'emergenza sarà cessata e potrebbe anche essere utilmente affiancata dalla previsione di un contributo straordinario da parte dello Stato in caso di esito positivo della conciliazione (sul modello di quanto già disposto per la rinegoziazione dei canoni di locazione commerciali dall'art. 65 del D.L. n. 18/2020).
Si tratta di un tema di assoluta centralità (oltre che per la generalità degli individui anche) per il sistema produttivo, visto che l'incertezza sulla sorte della quasi totalità dei rapporti contrattuali pregressi finisce per aggiungere un ulteriore (e forse fatale) grado di incertezza alle già traballanti prospettive future delle imprese italiane imbrigliate in une rete inestricabile di potenziali contenziosi dall'esito e dai contorni indefinibili.
8. La necessità di ripensare il modello della disciplina della crisi dell'impresa.
Indipendentemente da ogni altro intervento normativo, non v'è dubbio che l'eccezionale crisi che il Paese (e non solo) si trova a fronteggiare impone di ripensare il modello regolatorio della crisi dell'impresa[26].
Da più parti, e ben efficacemente, si è messa in luce la necessità di rivedere la filosofia di fondo della disciplina concorsuale (tanto attuale, quanto prossima ventura per come delineata dal rinviato codice della crisi e dell'insolvenza[27]), stante la chiara ed indiscussa inadeguatezza dei modelli tradizionali orientati (per lo più) alla semplice espulsione dal mercato delle imprese non in grado di adempiere alle obbligazioni assunte[28].
In questa ottica, occorre, prima di tutto, considerare che la già disposta generale improcedibilità delle istanze di fallimento (anche nel caso in cui sia estesa ed accompagnata da una sospensione delle azioni esecutive individuali) è uno strumento utile soltanto ad impedire che, nelle more dell'adozione di regole ad hoc, il sistema possa essere travolto da un numero oggettivamente ingestibile di procedure fallimentari. Non pare, infatti, condivisibile l'idea di chi propone l'introduzione di una norma che disponga la generale "non fallibilità" delle imprese che, prima dell'emergenza, non mostravano segni di difficoltà[29]. E ciò in quanto il rimedio, l'esenzione dal fallimento, finirebbe per ingenerare danni peggiori del male che si vorrebbe curare, sia perché lascerebbe il debitore insolvente (ed i suoi creditori) in balia dei drammatici effetti delle esecuzioni individuali, sia perché rischierebbe di mettere in crisi anche le imprese sane per effetto della concorrenza "sleale" delle imprese decotte mantenute "artificiosamente" in vita da una deroga di tal genere.
L'idea che, al momento, sembra catalizzare maggiori consensi ruota, dunque, attorno alla diversa proposta di introdurre un rafforzato ed esteso meccanismo di "automatic stay"[30] (o, se si preferisce, di "ibernazione" dell'impresa[31]) in una sorta di riedizione "in chiave moderna" dell'abrogata amministrazione controllata[32].
L'impostazione è certamente condivisibile. Non già perché la sospensione delle azioni esecutive individuali e la soggezione della ordinaria gestione dell'impresa ad un controllo professionale di un terzo indipendente - nominato dal tribunale, come nelle procedure concordatarie, o anche dallo stesso debitore[33] è questione secondaria - rappresentino, di per se stesse, misure capaci di risolvere una qualsivoglia situazione di crisi che non sia di mera carenza di liquidità. Quanto, piuttosto, perché, in assenza di tali misure, nessuna impresa può seriamente e credibilmente proporre ai propri creditori un piano alternativo al fallimento per effetto dell'eccessiva incertezza che connota qualunque previsione sul proprio futuro in presenza di una crisi sistemica di cui non si ha modo di conoscere l'evoluzione[34].
Per l'effetto, la nuova "amministrazione controllata" dovrebbe avere la durata utile e necessaria a consentire di disporre di informazioni sufficienti per presentare ai creditori una offerta concordataria fondata su un piano previsionale avente un grado di attendibilità almeno accettabile e, al fine di non compromettere ulteriormente le aspettative di soddisfazione dei creditori anteriori, dovrebbe nelle more poter garantire - autonomamente o anche per effetto dell'erogazione di misure di sostegno pubblico ad hoc - un sostanziale equilibrio economico (anche nel caso limite in cui ciò imponga la volontaria interruzione temporanea dell'attività).
La (purtroppo) agevolmente prevedibile elevata numerosità delle crisi che connoteranno il futuro prossimo delle imprese italiane impone qualche ulteriore precisazione e riflessione.
Da un lato, infatti, occorre considerare che la vastità della platea delle imprese potenzialmente interessate ad accedere ad una procedura di tal genere non sembra compatibile con l'ipotesi che l'efficacia dell'automatic stay sia subordinata all'emissione di un qualunque provvedimento giudiziale (anche di semplice nomina del commissario e/o di verifica delle condizioni di ammissibilità giuridica della domanda) e, dunque, induce a preferire soluzioni normative che facciano decorrere gli effetti protettivi dalla domanda di accesso ed eventualmente dalla contestuale nomina "provvisoria", da parte dello stesso imprenditore, di un commissario dotato dei requisiti di professionalità ed indipendenza già previsti per l'attestatore dall'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.[35] e che eserciti le sue funzioni sino alla conferma o sostituzione ad opera del tribunale chiamato, ex post, a vagliare la legittimità della domanda presentata[36].
D'altro canto, poi, è necessario pensare anche a modalità di soluzione delle crisi caratterizzate da ben più radicali canoni di rapidità e snellezza rispetto a quelli delle attuali procedure di concordato e/o di accordo di ristrutturazione (specie se con transazione fiscale)[37]. Come chiunque abbia avuto una qualsiasi esperienza operativa non avrà difficoltà a confermare, il tradizionale sistema di check and balances tra i diversi attori coinvolti in una procedura concordataria o di accordo di ristrutturazione impone il rispetto di formalità e tempistiche del tutto incompatibili con una crisi sistemica durante la quale la soluzione offerta per una particolare insolvenza dipende e condiziona quelle ipotizzabili per tutte le altre con le quali è in rapporto (in una sorta di un drammatico "gioco del domino" tipico anche, per restare vicini al tema, dei concordati di gruppo).
Occorre, dunque, ipotizzare una sostanziale semplificazione e deregolamentazione delle procedure concordatarie, in modo da evitare che la gran parte delle crisi prossime venture finiscano per poter essere affrontate (in chiave preventiva) unicamente con gli accordi di ristrutturazione del debito che, come noto, hanno il limite sostanziale di consentire alle minoranze dissenzienti la possibilità di sottrarsi agli effetti della manovra approvata dalla maggioranza.
In questa logica occorrerebbe rivedere le regole del concordato preventivo[38] ipotizzando (ad esempio, ma gli strumenti possono essere i più vari):
a) di eliminare o abbassare sensibilmente le attuali soglie di soddisfazione minima dei creditori chirografari, quanto meno nel caso in cui il debitore proponga la conversione dei crediti insoddisfatti in strumenti finanziari partecipativi con diritti patrimoniali poziori rispetto a quelli dei soci (sì da escludere ogni indebito vantaggio dei titolari del capitale di rischio a danno dei creditori anteriori) ed, eventualmente, anche con il diritto di nominare una minoranza degli amministratori e/o il sindaco unico o la maggioranza dei componenti del collegio sindacale;
b) di reintrodurre il sistema del silenzio-assenso per l'approvazione delle proposte concordatarie da parte dei creditori (o almeno per quelle che garantiscano soddisfazioni superiori ad una certa soglia percentuale di serietà);
c) di prevedere il sistema del silenzio-assenso per l'approvazione delle proposte di transazione fiscale (vuoi nell'ambito dei concordati preventivi che negli accordi di ristrutturazione), almeno nell'ipotesi in cui il debitore, per un verso, produca l'attestazione circa il fatto che la proposta assicuri una soddisfazione non deteriore (nel quantum e nel quando) rispetto a quella ragionevolmente ipotizzabile in ipotesi di fallimento anche (al limite) attraverso l'offerta di conversione dei crediti fiscali insoddisfatti in strumenti finanziari partecipativi con diritti patrimoniali poziori rispetto a quelli dei soci (e, se del caso, rispetto a quelli dei creditori con privilegi di grado inferiore o chirografari);
d) di abbassare la soglia di soddisfazione che impedisce la presentazione di proposte concorrenti da parte dei creditori;
e) di escludere o limitare il sindacato giudiziale sulla fattibilità economica dei piani concordatari;
f) di semplificare ed ampliare il meccanismo del cram down.
Di contro, si potrebbe anche ipotizzare una particolarissima forma di accordi di ristrutturazione semplificati approvati a maggioranza, nel caso in cui la proposta assicuri la parità di trattamento tra creditori di pari grado e, comunque, attesti che ai creditori dissenzienti sia assicurata una soddisfazione non deteriore (nel quantum e nel quando) rispetto a quella ragionevolmente ipotizzabile in ipotesi di fallimento[39].
Se, lo si ripete, quelli appena evidenziati sono soltanto spunti lasciati alla riflessione collettiva, quel che è certo è che, qualunque sia la revisione delle regole sulla crisi di impresa, non si potrà fare a meno di prevedere opportune deroghe all'attuale sistema sanzionatorio penale del diritto concorsuale.
Come da più parti già evidenziato, infatti, occorre garantire chi concede credito ad un imprenditore in (evidente) difficoltà da ogni rischio di future incriminazioni per concorso in bancarotta e, allo stesso modo, ogni imprenditore ed ogni amministratore o sindaco di società da ogni rischio penale sia per il ritardato ricorso ad una procedura concorsuale, sia per le modalità "preferenziali" di utilizzo della residua o aggiuntiva liquidità[40]. Diversamente, si rischia di sterilizzare in partenza ogni efficacia potenziale delle misure pensate per affrontare la crisi sistematica che occorre(rà) fronteggiare.
9. La necessità di ripensare il rapporto tra lo Stato e le imprese.
Una considerazione in chiusura.
Tutti gli interventi dello Stato in favore del sistema delle imprese implicano un trasferimento alle future generazioni di un incremento del debito pubblico e, dunque, impongono una severa analisi circa la loro effettiva necessità.
Ma nel caso in cui, come nell'attuale crisi, si tratti di importi tutt'altro che marginali, appare ancor più doveroso chiedersi quale "attivo" si può chiedere ai beneficiari privati di trasferire al sistema pubblico (ed alla collettività futura) in cambio dell'aiuto ricevuto.
Dovendosi escludere di voler dar vita un sistema che consenta la collettivizzazione delle perdite attuali e la privatizzazione degli utili futuri, pare gioco forza pensare a strumenti di "public equity" selettivi da attivare con l'ausilio di soggetti specializzati anche di natura privata.
Molto più che semplicemente condivisibile, dunque, appare la proposta di chi suggerisce di conferire in fondi di investimento dedicati tanto le partecipazioni pubbliche assunte nel capitale delle imprese, quanto i crediti di rivalsa derivanti dalle future escussioni delle garanzie statali, avendo cura di offrire le relative quote anche a privati investitori e banche[41] (eventualmente stimolandone l'intervento con il rilascio di garanzie pubbliche simili a quelle già previste dalla normativa in tema di "GACS" per agevolare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza dai bilanci delle banche e degli intermediari[42])[43].
In tal modo, infatti, si riuscirebbe, nello stesso tempo, ad assicurare una gestione professionale delle partecipazioni assunte (e dei crediti concessi grazie alle garanzie prestate) dallo Stato e a moltiplicare gli effetti generati dagli interventi finanziari immediatamente gravanti sul bilancio pubblico, in un auspicabile circolo virtuoso[44].
NOTE
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[1] La disposizione prescrive che "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile". Sul punto, tra i molti, cfr. F. Dimundo, La "messa in quarantena" delle norme sulle perdite del capitale e sullo scioglimento delle società. Note sull'art. 6 del "decreto liquidità", in www.ilcaso.it, 21 aprile 2020.
[2] La norma, in particolare, dispone che "nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività, di cui all'art. 2423-bis, comma primo, n. 1) del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020". Sul tema v., per tutti, M. Irrera, E. Fregonara, La crisi d'impresa e la continuità aziendale ai tempi del coronavirus, in www.ilcaso.it, 15 aprile 2020 e, in chiave critica, M. Spiotta, La (presunzione di) continuità aziendale al tempo del covid-19, in www.ilcaso.it, 11 aprile 2020.
[3] Secondo cui"Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti".
[4] Sul punto, cfr. G. Garesio, Alla ricerca della liquidità perduta. prime considerazioni sulle misure di sostegno alle imprese e sui loro possibili impatti sui ratios patrimoniali delle banche, in www.ilcaso.it, 17 aprile 2020, p. 25, per la quale "Sostenere la liquidità delle imprese consentendo una moratoria - a certe condizioni, come visto - sui debiti pregressi e agevolando l'erogazione di nuovi finanziamenti mediante la concessione di garanzie pubbliche, può sì alleviare temporaneamente la tensione finanziaria conseguente all'emergenza pandemica, ma solo ove consenta alle imprese di riattivare un ciclo produttivo virtuoso, recuperando i fatturati evaporati e ripristinando il ciclo finanziario ordinario, onde evitare che le misure approntate si traducano in un peggioramento (più o meno irreversibile) della posizione finanziaria dei prenditori".
[5] Come ben evidenziato, tra gli altri, da G. Gobbi, F. Palazzo e A. Segura, Le misure di sostegno finanziario alle imprese post-covid-19 e le loro implicazioni di medio termine, reperibile su www.bancaditalia.it, p. 2.
[6] Problema non affrontato espressamente dal legislatore di emergenza, nonostante che nella relazione illustrativa al d.l. 8 aprile 2020, n. 23, p. 7, si riconosca espressamente che "gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese" possono trovarsi "nell'alternativa - palesemente abnorme - tra l'immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell'articolo 2486 del codice civile". Se per D. Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in Il Fallimentarista.it, Focus del 14 aprile 2020, p. 5 si tratta (soltanto) di una "curiosa dimenticanza", sia per C.F. Giampaolino, Congelato l'obbligo di assemblea per perdite di rilevante entità, in Sole 24 Ore. Focus Norme e tributi, 16 aprile 2020, p. 10, che per F. Dimundo, La "messa in quarantena" delle norme sulle perdite del capitale e sullo scioglimento delle società, cit., p. 8, la disposizione dell'art. 2486 c.c. (ossia della norma che impone agli amministratori, dal momento in cui si verifica una causa di scioglimento, la gestione dell'impresa "ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale" (onerandoli della personale e solidale responsabilità per i danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociale ed ai terzi per atti od omissioni compiuti in violazione) deve ritenersi comunque rientrante nell'ambito delle norme "disapplicate" temporaneamente.
[7] L'art. 1, comma 2, lett. n), del D.L. n. 23/2020 dispone che "il finanziamento coperto dalla garanzia [di SACE S.p.A.] deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell'impresa beneficiaria".
[8] Preoccupazione alla base del comunicato stampa dell'ABI con il quale si è sentita l'esigenza di precisare che i finanziamenti erogati con garanzia dello Stato non possono essere utilizzati per "compensare alcun prestito preesistente, anche nella forma dello scoperto di conto corrente" in ragione del fatto che "la compensazione determinerebbe un avvio del rimborso" anticipato rispetto al termine di preammortamento previsto dalla legge e, dunque, farebbe "decadere la garanzia".
[9] Come evidenziato da più parti già all'indomani dell'emanazione delle norme da P. De Rubertis, Le banche usano la garanzia per disfarsi dei fidi ai clienti, in il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2020, p. 6 e C. Solimene, Abi contro le banche «furbette», su Il Tempo, 24 aprile 2020, p. 3.
[10] Da ultimo sollecitata, tra i molti, anche dalla Banca d'Italia: C. Marroni, Bankitalia: «Oltre alle garanzie risorse dirette per le imprese», in Il Sole24ore, 28 aprile 2020, p. 3, in merito all'audizione alla Camera dei Deputati di F. Balassone, capo del Servizio Struttura Economica della Banca d'Italia, secondo cui, considerato che "una parte delle perdite subite dalle imprese non sarà recuperabile e non tutti i debiti (assistiti da garanzie pubbliche) accesi per far fronte alla crisi saranno immediatamente ripagati al termine dell'emergenza sanitaria" occorre prevedere "trasferimenti diretti alle imprese da parte dello
Stato" attraverso "veicoli finanziari pubblici costituiti per facilitare la ristrutturazione dei debiti delle aziende, incentivi fiscali miranti ad agevolarne la ricapitalizzazione".
[11] Come evidenziato, tra gli altri, anche da G. Gobbi, F. Palazzo e A. Segura, Le misure di sostegno finanziario alle imprese post-covid-19 e le loro implicazioni di medio termine, cit., p. 3, secondo cui è necessario ipotizzare "1. Nel breve termine: trasferimenti diretti alle imprese da parte del governo per compensare la perdita di fatturato e coprire le spese operative. Il blocco delle attività azzera i ricavi di alcune aziende e l'impatto negativo sui flussi di cassa è solo in parte compensato dagli aggiustamenti di breve termine sui costi operativi e dagli aiuti pubblici già disponibili quali la cassa integrazione guadagni".
[12] Della cui concreta necessità ed utilità, si badi, nessuno dubita: per tutti cfr. R. Rordorf, Il codice della crisi e dell'insolvenza in tempi di pandemia, in www.giustiziainsieme.it, 8 aprile 2020, secondo cui "i veri rimedi per favorire il superamento delle attuali difficoltà del nostro mondo produttivo, fatto soprattutto di piccole e medie imprese che la pandemia potrebbe distruggere, bisogna cercarli altrove: sul terreno dell'intervento finanziario dello Stato".
[13] Circostanza confermata, da ultimo, anche dalle notizie di stampa sull'ipotesi di affidare a Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. il compito di entrare nel capitale di imprese di medie dimensioni (ed anche non quotate grazie) ad una dotazione straordinaria di fondi pubblici importante ma non certamente sufficiente per interventi generalizzati: cfr. R. Amoruso, Lo Stato nel capitale delle imprese: 50 miliardi di dote in arrivo per Cdp, in Il Messaggero, 28 aprile 2020, p. 14.
[14] In attuazione del programma di intervento federale denominato "Troubled Asset Relief Program" (predisposto con l'"Emergency Economic Stabilization Act') l'intervento federale è avvenuto, normalmente, con la sottoscrizione di titoli di equity caratterizzati dal diritto riservato al Tesoro di ottenere il riscatto dei titoli dopo tre anni dall'investimento e, nel caso della AIG, anche dal diritto di conversione in azioni ordinarie riconosciuto a favore del Tesoro ("Convertible Partecipative Serial Preferred Stock"). Sulle singole misure adottare cfr. A. Morini, Gli strumenti contrattuali, finanziari e societari utilizzati per l'attuazione del TARP da parte dell'amministrazione statunitense, dattiloscritto presentato al Convegno di Roma del 29 e 30 gennaio 2010 su "Il diritto commerciale europeo di fronte alla crisi" organizzato da Orizzonti del Diritto Commerciale (reperibile su www.orizzontideldirittocommerciale.net).
[15] Sul tema generale delle potenzialità applicative dei due istituti della riscattabilità e convertibilità dei titoli azionari sia consentito il rinvio a G. Di Cecco, Fattispecie e disciplina del riscatto azionario, Torino, 2013, p. 13 ss. e Id., Convertibilità e conversione dei titoli azionari, Milano, 2012, p. 1 ss.
[16] Non diverse cautele potrebbero essere previste, con i dovuti adattamenti, anche nel caso di sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi con o senza diritto di voto anche, eventualmente, prevedendo la loro generale convertibilità in azioni ordinarie ad opzione del possessore nel caso in cui sia convocata l'assemblea per deliberare su una delle materie sensibili e, comunque, attribuendo il diritto di recesso in caso di dissenso rispetto all'assunzione di una delle relative decisioni.
[17] Un ampio catalogo di tali possibili misure è offerto da S. Micossi, Nota Assonime sul disegno di legge A.C. 2461 di conversione del dl n. 23/2020, reperibile su www.assonime.it, pp. 5 ss., tra le quali anche la riduzione delle aliquote fiscali o dell'imponibile, il rinvio di ogni scadenza di versamento, la trasformazione delle "DTA (i.e.: le imposte differite attive) sulle perdite fiscali e delle eccedenze di ACE ( ) in crediti di imposta immediatamente utilizzabili", l'introduzione della generalela possibilità per le "imprese di compensare senza limiti i propri crediti - non solo fiscali ma anche commerciali - verso l'Amministrazione con i propri debiti fiscali" o l'introduzione di un generale regime di iva per cassa.
[18] Si tratta della legge n. 27 del 21 febbraio 2003, che ha introdotto la possibilità di distribuire in dieci anni le svalutazioni derivanti dalle perdite durevoli di valore dei diritti alle prestazioni dei calciatori, in deroga ai principi ed alle regole ordinariamente applicabili in sede di formazione del bilancio (ed al fine di evitare l'adozione immediata di eventuali provvedimenti previsti dagli articoli 2446 e 2447 c.c.).
[19] Una proposta analoga è stata avanzata nella Lettera aperta a Conte pubblicata su www.milanofinanza.it il 30 marzo 2020 da alcuni professori di economia aziendale dell'Università di Padova sulla base di un articolato dettato normativo che preveda espressamente che "Le società di capitali che adottano i principi contabili del codice civile e che sono tenute alla redazione del bilancio, sottoposte a revisione ai sensi dell'articolo 2477, possono iscrivere i costi relativi a servizi, contratti che regolano il godimento di beni di terzi, gli investimenti in immobilizzazioni materiali ed immateriali, il lavoro ed il deperimento di materie o merci sostenuti nel periodo che va dal 23 febbraio 2020 fino al 31 luglio 2020 e per i quali non è stato possibile generare ricavi in normali condizioni di operatività, in una apposita voce dello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni immateriali. È ammessa la capitalizzazione dei costi per gli interessi passivi sostenuti fino alla data del 31 luglio 2020".
[20] M. Di Sarli, Redazione del bilancio e dintorni ai tempi del coronavirus: prime riflessioni, in www.ilcaso.it, 11 aprile 2020, pp. 11 e 12, spec. P. 15.
[21] Ad esempio, attraverso la conversione in crediti di imposta di (almeno) parte degli stralci accordati ad imprese da risanare o con il rilascio di garanzie statali su parte dei debiti ristrutturati e/o della nuova finanza erogata.
[22] Su cui, tra i molti, v. A Busani, Contratti, l'inadempimento è quasi impossibilità sopravvenuta, in il Sole 24 ore, 19 marzo 2020 e, in senso critico, T. Dalla Massara, Emergenza sanitaria ed esigenza di regole: scenari e proposte, in www.dirittobancario.it, 30 marzo 2020, p. 1 ss.; A.A. Dolmetta, «Rispetto delle misure di contenimento» della pandemia e disciplina dell'obbligazione, in www.ilcaso.it, 11 aprile 2020, p. 1 ss. ove anche alcune interessanti spunti interpretativi e A. Monteverde, L'incursione del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 in tema di obbligazioni non adempiute e responsabilità del debitore, in www.ilcaso.it, 20 aprile 2020, p. 1.
[23] Osservano correttamente G. Corno e L. Panzani, I prevedibili effetti del coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, in www.ilcaso.it, 25 marzo 2020, p. 5, nota 9, che "La norma non prevede la sospensione o la proroga dei termini contrattuali, ma ipotizza una limitazione o riduzione della responsabilità i cui contenuti non sono ben definiti e presuppongono l'intervento del giudice. Si tratta quindi di un intervento insufficiente".
[24] In questo senso v. anche M. Rabitti, Pandemia e risoluzione delle future controversie. Un'idea "grezza", in www.dirittobancario.it, 23 aprile 2020, secondo cui "La rinegoziazione dell'accordo appare evidentemente essere la strada maestra per salvaguardare il rapporto, ma non può essere imposta; oppure può essere imposta con modifica del codice civile introducendo un "obbligo di rinegoziare secondo buona fede". Questa norma tuttavia non escluderebbe l'insorgenza di contenziosi e il rischio di sovraccaricare i tribunali. ( ) Con riferimento agli incentivi, se le parti rinegoziano con successo il contratto, coadiuvate dall'organismo, si potrebbe assicurare l'intervento di un Fondo pubblico per indennizzare in parte il costo dell'operazione (ad esempio, in termini di percentuale di mancato guadagno e/o copertura delle spese di procedimento). Questo incentivo renderebbe possibile trovare un nuovo equilibrio per le parti con intervento diretto dello Stato nell'economia, che a certe condizioni non è configurabile come aiuto di stato (modello FIR). Ulteriore premialità potrebbe essere quella di attribuire un punteggio alle imprese che rinegoziano utilmente l'accordo, secondo il meccanismo del rating di legalità, che intende premiare comportamenti virtuosi dell'impresa".
[25] Cfr. F. Galgano, La globalizzazione e le fonti del diritto, cit., p. 313 ss. che ricorda che si tratta di un istituto codificato per primo dal diritto civile cinese e poi recepito sia dai principi Unidroit del 1994 sia, ma non senza polemiche, dalla riforma del 2002 del BGB tedesco.
[26] Come esortato dalla stessa Cril - Conference On European Restructuring and Insolvency Law il 20 marzo 2020, nella relazione reperibile sul sito www.ceril.eu, secondo cui «COVID-19 urges legislators to adapt insolvency legislation», stante la forte preoccupazione sulla «capacità della legislazione vigente in materia di insolvenza in Europa di fornire risposte adeguate alla situazione estremamente difficile in cui molte società potrebbero trovarsi nella crisi COVID-19» e come sottolineato anche, tra gli altri, da S. Ambrosini La "falsa partenza" del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell'insolvenza incolpevole, in www.ilcaso.it, 21 aprile 2020, p. 5, secondo cui "l'interrogativo di fondo, in estrema sintesi, è il seguente: lo strumento migliore per affrontare il drammatico frangente attuale e i tempi a venire (e in generale le situazioni di crisi del sistema economico) è rappresentato da una riforma - qual è il Codice della crisi - creditor oriented, che completi il processo avviato con quella che in tanti hanno chiamato la "controriforma" del 2015, o al contrario deve reputarsi preferibile una legge ispirata al preminente obiettivo di salvare le imprese in difficoltà tutelando realmente (e non solo "programmaticamente") la continuità aziendale?".
[27] Sull'opportunità del rinvio, tra i molti, v. M. Fabiani, Il Codice della crisi al tempo dell'emergenza Coronavirus, in Quotidiano giuridico, 27 marzo 2020, p. 2. Contra R. Rordorf, Il codice della crisi e dell'insolvenza in tempi di pandemia, cit., pp. 2-3.
[28] Tra i molti, cfr., ad esempio, G. Limitone, L'accompagnamento fuori della crisi con l'aiuto dell'occ-covid-19, in www.ilcaso.it, 18 aprile 2020, p. 1 , per il quale "Il pericolo maggiore a cui dovremo fare fronte come comunità sociale ed economica, a causa della pandemia, è quello del fallimento sistemico, che si verifica quando viene dichiarato fallito un numero di imprese talmente elevato da infettare l'intero sistema economico, con le ben immaginabili ripercussioni anche a livello sociale e della salute delle persone, imprenditori e non". Nello stesso senso v. anche R. Della Santina, Le discipline dell'insolvenza e della crisi d'impresa ai tempi della pandemia da covid-19. Impressioni e spunti di riflessione, in www.ilcaso.it, 1° aprile 2020, p. 3 secondo cui "in questa contingenza, il cd. approccio «forward looking», utile in situazioni ordinarie a stimare l'evoluzione futura della gestione e, per questa via, i flussi che saranno generati in un ragionevole arco temporale (per esempio i sei mesi successivi), si trasforma, da modello di programmazione aziendale, in un esercizio divinatorio. Le variabili in grado di influenzare le assunzioni da porre a base del piano d'impresa, infatti, non solo sfuggono a qualsiasi pretesa attività di controllo, ma sono in gran parte ignote: tempi, modalità e velocità di uscita dal lockdown".
[29] Come proposto da G. Limitone, La forza maggiore nel giudizio sull'insolvenza, cit., per tutti i casi in cui l'insolvenza dipenda da cause di forza maggiore.
[30] Sul punto v. la proposta di F. Benassi, Brevi spunti per un'agile procedura di "sostegno" alle imprese in crisi da corona virus, in www.ilcaso.it, 20 aprile 2020, p. 2, di consentire un generale meccanismo di automatic stay con nomina di un commissario da parte del tribunale al fine di "rilanciare un'impresa che sia essenzialmente sana e che, in assenza dell'emergenza Coronavirus, sarebbe rimasta sul mercato per un tempo ragionevole".
[31] L'espressione e l'idea sono di G. Corno e L. Panzani, I prevedibili effetti del coronavirus sulla disciplina delle procedure concorsuali, cit., p. 4, ma, nello stesso senso, v. anche R. Della Santina, Le discipline dell'insolvenza e della crisi d'impresa ai tempi della pandemia da covid-19. Impressioni e spunti di riflessione, cit., p. 5, seppur limitatamente alle imprese in grado di "certificare" il proprio stato di salute ante-crisi con una attestazione ex art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.
[32] E' l'interessante proposta di D. Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, cit., p. 9, di introdurre "una nuova procedura concorsuale, semplificata, simile alla vecchia amministrazione controllata, caratterizzata dalla impossibilità di aprire il fallimento, e dal blocco delle azioni esecutive dei creditori; procedura impostata come un "contenitore di sicurezza" per l'impresa in crisi, crisi influenzata negativamente dai provvedimenti emanati per contrastare il virus, con nomina di un Commissario e presenza costante del Giudice, in funzione di monitoraggio, anche sul rispetto delle condizioni di legge per l'erogazione delle varie "provvidenze"; una "fase di osservazione prolungata", in attesa di poter individuare il percorso idoneo a conseguire la ristrutturazione, quando la procedura si potrebbe finalmente "convertire" in concordato preventivo". Nello stesso senso v. anche G. Limitone, L'accompagnamento fuori della crisi con l'aiuto dell'OCC-Covid-19, in www.ilcaso.it, 18 aprile 2020, p. 2 (il quale, peraltro, riferisce di una soluzione non troppo dissimile di cui sembra si stia discutendo negli Stati Uniti a proposito di un c.d. "super chapter eleven ( ) in cui l'impresa potrebbe operare sotto l'egida di un supervisore nominato dal governo, con gestione snella, maggiormente attenta ai lavoratori; il governo federale potrebbe iniettare denaro in cambio di azioni o quote della società in crisi").
[33] Come non pare doversi escludere a priori a patto che le condizioni di terzietà e di responsabilità del commissario siano sufficientemente cautelative per i creditori.
[34] In questo senso, v. anche G. Corno e L. Panzani, La disciplina dell'insolvenza durante la pandemia da covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, in www.ilcaso.it, 27 aprile 2020, p. 2, ove l'osservazione che "la ristrutturazione presuppone, secondo lo schema che si è diffuso in tutti i Paesi più sviluppati, la redazione di un piano da sottoporre ai creditori e al giudice (ovvero all'Autorità amministrativa che in taluni Paesi esercita funzioni analoghe), ma è estremamente difficile redigere un piano e formulare previsioni di fronte ad una crisi così ampia e generalizzata, dagli esiti ancora incerti".
[35] Per G. Limitone, L'accompagnamento fuori della crisi con l'aiuto dell'OCC-Covid-19, cit., p. 4 ss., i compiti di controllo potrebbero essere, invece, affidati agli Organismi di Composizione della Crisi (in una anticipazione rivista e corretta del ruolo loro riservato dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza).
[36] In questo senso anche G. Corno e L. Panzani, La disciplina dell'insolvenza durante la pandemia da covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, cit., p. 16, laddove si immagina "una procedura di moratoria semplificata, dove la sospensione delle azioni esecutive e cautelari per un periodo prefissato segua in via automatica alla iscrizione nel Registro delle imprese di una dichiarazione del debitore, in una con la documentazione che fotografa la situazione dell'impresa, e con indicazione di un professionista con funzione di sorveglianza, sempre tra i soggetti che hanno i necessari requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza, salva la facoltà del tribunale di designare altro soggetto su istanza dei creditori o del P.M." e la possibilità per i creditori e lo stesso pubblico ministero di "proporre opposizione, per ragioni predeterminate".
[37] Una soluzione molto interessante, ma per stessa ammissione dei proponenti poco utile a snellire e velocizzare la procedura, è proposta da G. Corno e L. Panzani, La disciplina dell'insolvenza durante la pandemia da covid-19. Spunti di diritto comparato, con qualche riflessione sulla possibile evoluzione della normativa italiana, cit., p. 15, secondo cui "si potrebbe immaginare ad una convenzione stragiudiziale diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea dei crediti, sempre per un periodo ragionevole, di almeno un anno, raggiunto tra il debitore e la maggioranza qualificata dei creditori non garantiti, in deroga agli articoli 1372 e 1411 cod. civ., e che contempli anche la nomina di un professionista che operi nell'interesse di tutti i creditori".
[38] Come suggerito anche da S. Ambrosini La "falsa partenza" del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell'insolvenza incolpevole, cit., p. 5, per il quale occorrerebbe valutare "l'eventualità di prevedere una procedura ad hoc, snella e veloce, sulla falsariga dell'accordo di ristrutturazione (verosimilmente preferibile a una riedizione "modernizzata" della vecchia amministrazione controllata, abrogata quindici anni fa) e di reintrodurre, quanto meno in via provvisoria, il meccanismo del silenzio-assenso nel concordato preventivo, affinché i creditori si assumano apertamente (specie di questi tempi appare necessario) l'onere di bocciare una proposta di risanamento aziendale e, comunque, di ristrutturazione dei debiti".
[39] E che, magari, preveda il rilascio di garanzie pubbliche a favore dei creditori che eroghino nuova finanza diretta a garantire la continuità dell'impresa. Una soluzione più "estrema" che consentirebbe di non dover necessariamente intervenire sulla regola del "ricapitalizza o liquida" e sulle delicate regole concorsuali (ma, s'intende, tutta da indagare e, comunque, molto complessa) potrebbe essere quella di consentire alle sole imprese con "insolvenze non particolarmente significative" (in via eccezionale, a condizioni prestabilite e con le dovute cautele) la possibilità di segregare in un patrimonio destinato una parte dei debiti anteriori alla crisi prevedendo l'attribuzione (forzosa) ai creditori "segregati" particolari strumenti finanziari partecipativi al capitale dell'impresa così risanata (e del suo patrimonio generale), con espressa deroga alle regole di cui agli art. 2447 e ss. c.c. e con diritto di opposizione riservato solo ad una percentuale predefinita di creditori anteriori e per la sola ipotesi in cui la soluzione appaia deteriore rispetto ai risultati concretamente ottenibili in ipotesi di fallimento. Nonostante la apparente "visionaria ereticità" della proposta, gli effetti non sarebbero molto diversi (ed anzi, per certi versi, forse anche più equilibrati per gli interessi dei creditori coinvolti) da quelli prodotti dalla soluzione proposta da F. Fimmanò, La resilienza dell'impresa di fronte alla crisi da coronavirus mediante affitto d'azienda alla newco-start up, auto-fallimento e concordato "programmati", in www.ilcaso.it, 1° aprile 2020, p. 6, secondo cui sarebbe utile "segregare tempestivamente il complesso produttivo in modo che sia funzionante e funzionale ad altro soggetto giuridico che abbia il medesimo assetto proprietario mediante un affitto virtuoso dell'azienda o di suoi rami, subito dopo richiedere l'auto-fallimento da parte del soggetto giuridico locatore ed infine realizzare ad opera dell'affittuario un concordato fallimentare diretto all'acquisto dell'azienda o, meglio ancora, alla fusione semplificata con la società tornata in bonis".
[40] Al riguardo, v. G. Ripa e A. Lattanzi, Crediti, si rischia la bancarotta, in ItaliaOggi, 24 aprile 2020, p. 31 e L. Serafini, Liquidità, le banche al rilancio, su Il Sole24ore, 23 aprile 2020, p. 6, che riporta la proposta dell'ABI di estendere anche alle erogazioni concesse con la garanzia dello Stato l'esenzione dalla contestazione del reato di bancarotta prevista dall'art. 217 l. fall. per le operazioni poste in essere in esecuzione dei concordati preventivi o degli accordi di ristrutturazione omologati.
[41] Per una dettagliata proposta al riguardo v. anche S. Micossi, Nota Assonime sul disegno di legge A.C. 2461 di conversione del dl n. 23/2020, cit., p. 4, ove la proposta di prevedere "diverse tipologie di interventi, compresa la possibilità di acquistare strumenti ibridi e speciali strumenti partecipativi ( ) inclusa la possibilità di intervenire sul capitale attraverso operazioni di debt equity swap" (operazioni su cui sia consentito il rinvio a G. Di Cecco, La conversione concordataria dei debiti in capitale di rischio: tre riflessioni (ed altrettante proposte) sulle peculiarità della disciplina applicabile alle operazioni di debt to equity swap, in www.ilcaso.it, 18 ottobre 2018, pp. 1 ss.).
[42] Così anche G. Gobbi, F. Palazzo e A. Segura, Le misure di sostegno finanziario alle imprese post-covid-19 e le loro implicazioni di medio termine, cit., p. 3, che propongono "2. Nel medio termine: creazione di un veicolo con capitale pubblico per la ristrutturazione di debiti delle imprese medio-grandi. I governi potrebbero creare un veicolo speciale per acquistare dalle banche i prestiti concessi per le esigenze di liquidità delle imprese a seguito della crisi da Covid-19. Il veicolo sarebbe finanziato con risorse patrimoniali pubbliche e con debito a lungo termine collocato sul mercato. L'ammontare di capitale dovrebbe essere sufficiente a far sì che i titoli di debito a lungo termine emessi dal veicolo siano ammissibili per i programmi di acquisto della BCE". ?Nello stesso senso v. anche A. Bonissoni, I veicoli per gestire le crisi d'impresa, in Milano Finanza, 28 aprile 2020, p. 12.
[43] Unitamente, magari, ad una serie di specifiche regole ad hoc per la gestione dei crediti cc.dd. "Unlike To Pay" detenute dal sistema bancario e creditizio, come evidenziato anche da G. Garesio, Alla ricerca della liquidità perduta. prime considerazioni sulle misure di sostegno alle imprese e sui loro possibili impatti sui ratios patrimoniali delle banche, cit., p. 16 ss.
[44] Last but non least, non può tacersi che forse il più importante aiuto all'intero sistema economico potrebbe venire da una norma a costo zero che imponga a tutte le articolazioni della pubblica amministrazione di proporre entro un breve termine una autoriforma per la semplificazione burocratica, accompagnata, a mò di clausola di garanzia in caso di mancata attuazione dell'auto-riforma richiesta, dalla previsione di un automatico sistema di silenzio-assenso per tutte le domande dei privati (che non impattino sulla salute o sui settori strategici).