Il successo della riforma dipende dall'OCRI: un accorato suggerimento al legislatore
Pubblicato il 04/12/18 02:00 [Articolo 750]






Sommario: 1. L'OCRI. 2. Il ruolo del collegio degli esperti e le modalità di svolgimento dell'incarico. 3. idem, nella composizione assistita. 4. Il concreto rischio di innescare un incendio che non si riuscirebbe a domare. 5. Una proposta per evitare il rischio di fallimento delle misure di allerta.


1. L'OCRI.

Nel nuovo Codice della Crisi e dell'Insolvenza attualmente all'esame delle Camere, il compito dell'Organismo di Composizione della Crisi d'Impresa (OCRI) è quello di gestire e facilitare la fase delle misure di allerta e, solo laddove vi sia chiamato, quella del procedimento di composizione assistita della crisi.

Si è portati a identificare l'OCRI con il collegio degli esperti, ma si tratta di una visione particolarmente riduttiva di un insieme, del quale il collegio è solo una parte. L'OCRI è, innanzitutto, il referente, costituito dal segretario della camera di commercio o da un suo delegato, cui spetta il compito di assicurare la tempestività del procedimento e il rispetto degli adempimenti e dei termini posti a carico sia del collegio che del debitore. L'OCRI è anche l'ufficio del referente, che dovrà essere costituito dalla singola camera di commercio per gestire le attività di nomina dei collegi e di secretazione dei dati, nonché la gestione dei flussi informativi con i collegi. La vera ossatura dell'OCRI è però un'altra ancora. Essa solo traspare dalla norma ed è costituita dall'autoregolamentazione che dovranno principalmente darsi gli Organismi. Ci si riferisce al corpo delle policy, delle regole, delle procedure anche informatiche e delle best practice di comportamento che dovranno essere definite per assicurare la riservatezza e confidenzialità delle informazioni, la gestione delle stesse, l'adeguata composizione dei collegi, il trattamento efficace delle pratiche.

Il che richiederà che quanto prima parta, si auspica stimolata dal CNDCEC e dal sistema camerale, un'attenta ricognizione dell'esperienza maturata in questi anni di gestione delle crisi, un rigoroso vaglio critico volto ad individuare gli attuali punti di forza e di debolezza e un intenso dibattito tra tutti gli specialisti; il tutto per pervenire ad un framework procedimentale efficace ed omogeneo all'interno del territorio nazionale.

Per comprendere il ruolo che gli Organismi avranno nella ricerca delle soluzioni della crisi pare doveroso ripercorrere il processo che va dalla segnalazione (ci si riferisce sia a quella interna proveniente dal debitore e dai suoi organi di controllo che a quella esterna proveniente dai creditori pubblici qualificati) sino alla chiusura del dossier.

In particolare, ricevuta la segnalazione, l'OCRI deve darne comunicazione agli organi di controllo societari e attivare la raccolta delle designazioni dei componenti del collegio degli esperti. La prima di tali designazioni è costituita dalla nomina diretta da parte del presidente della sezione del tribunale delle imprese competente, una scelta che, come si legge dalla relazione ministeriale, intende sottolineare che non si tratta di un'apertura anticipata di una procedura concorsuale. La seconda, anch'essa diretta, proviene dal presidente della camera di commercio presso cui opera l'OCRI, o da un suo delegato, che non può, naturalmente, essere lo stesso referente. La terza è espressa dal referente, che, sentito il debitore, la sceglie tra gli iscritti nell'elenco trasmesso annualmente all'OCRI dalle associazioni imprenditoriali di categoria, sulla base dell'associazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore. Il ministero qui ha dimostrato di cogliere il suggerimento di consentire la partecipazione del debitore alla designazione di un componente. Come si dà atto nella relazione ministeriale, la previsione secondo la quale deve essere sentito anche il debitore è diretta a fare in modo che l'organismo operi, e sia anche percepito dal debitore, come un ente "amico", che ha il compito di assisterlo e agevolarlo nella gestione della situazione di crisi.

La riservatezza e la confidenzialità sono un cardine dell'intero procedimento. A tal fine, la richiesta di esprimere le designazioni non deve contenere elementi idonei a identificare l'impresa, ma unicamente l'indicazione del settore in cui la stessa opera e le sue dimensioni, in termini di addetti e di ammontare annuo dei ricavi. Dei tre soggetti titolati ad esprimere la nomina, l'unico che conosce il nome dell'impresa è il referente ed è, infatti, a questo che è rimesso il compito di intervenire per adeguare la composizione del collegio, sostituendo il componente di nomina diretta da parte del presidente della camera di commercio.

La speditezza del processo è sottolineata dal termine brevissimo (3 giorni lavorativi) entro il quale le designazioni devono pervenire all'OCRI, in difetto delle quali il referente procede alla loro nomina in via sostitutiva.

Ancor più stretto (il giorno successivo dalla nomina) è anche il termine entro il quale il membro designato deve rendere la dichiarazione della sua indipendenza e, anche se la norma non lo prevede, nel rispetto dei principi generali, accettare l'incarico. Si vedrà che vi è, infatti, un profilo delicato costituito dalle disponibilità di tempo e risorse da parte del designato.


2. Il ruolo del collegio degli esperti e le modalità di svolgimento dell'incarico.

Il primo atto del collegio degli esperti è l'audizione del debitore e degli organi di controllo societari che deve avere luogo entro 15 giorni lavorativi dalla segnalazione. La norma sottolinea il carattere riservato e confidenziale dell'audizione che si estende necessariamente anche alla convocazione. L'uso del plurale con riferimento agli organi di controllo lascia intendere che debba essere convocato anche il revisore, ancorché quest'ultimo non sia, propriamente, un organo sociale e lo stesso incipit dell'art. 14 potrebbe portare a propendere per una lettura diversa della norma.

Laddove il debitore non compaia all'audizione, l'art. 22 prevede che il collegio, se ravvisa dalla segnalazione elementi che rendano evidente la sussistenza di uno stato di insolvenza, lo debba segnalare al referente con relazione motivata e ne debba dare notizia al pubblico ministero del tribunale competente. Segnalazione quest'ultima gravida di conseguenze, posto che il pubblico ministero, valutata la fondatezza della notizia di insolvenza, è tenuto "in ogni caso" ad esercitare l'iniziativa dell'istanza di liquidazione giudiziale (art. 38). Il riferimento della norma al debitore porta a ritenere insufficiente, per escludere l'obbligo di notiziare, la comparizione dei soli organi di controllo, dai quali anzi (in forza della deroga all'obbligo di segretezza di cui all'art. 2470 c.c., disposta dal co. 2 dell'art. 14) potranno essere tratte informazioni ulteriori sulla presenza o meno di uno stato di insolvenza.

L'art. 18 prevede che, nel corso dell'audizione, il collegio raccolga dati ed informazioni atte a comprendere la sussistenza o meno della crisi e a individuare le possibili misure per porvi rimedio. Di quali informazioni si tratta? Rilevano certamente l'indebitamento e gli scaduti esistenti; sotto questo profilo di fondamentale rilevanza sarà comprendere quali scaduti rientrano nella fisiologia del settore (sono scaduti fisiologici quelli confinati entro termine contenuti che non suscitano alcuna reazione da parte dei fornitori) e quali invece costituiscono "ritardi nei pagamenti reiterati e significativi", anche sulla base di quanto previsto in materia di misure premiali dall'art. 24. La rappresentazione dell'indebitamento non dovrebbe limitarsi ad una visione statica, ma dovrebbe estendersi, ed è questo il fulcro delle misure di allerta, a una esposizione dinamica, che possa essere messa a confronto con i flussi che l'impresa è in grado di destinare al servizio del debito. Quanto meno nell' orizzonte temporale di breve termine (6 mesi) di cui all'art. 13 co. 1.

I dati acquisiti debbono essere a tal fine affidabili e fruibili. La presenza degli organi di controllo consente, al riguardo, un maggiore affidamento sulla qualità del dato; il collegio non potrebbe comunque esimersi, quanto meno, da verifiche di coerenza sulla base dei dati storici. In questa fase è palese l'importanza della presenza di competenze contabili e aziendalistiche all'interno del collegio.

Se, a valle della valutazione delle informazioni, il collegio ritiene che non sussista una situazione di crisi, dispone l'archiviazione delle segnalazioni ricevute, dandone comunicazione per il tramite del referente ai soggetti che le avevano effettuate.

Appare quindi fondamentale che nella convocazione del debitore venga già richiesto un set informativo minimo e sarebbe quanto mai opportuno che venissero definite best practice ad uso dei collegi. In difetto, appare arduo che il collegio sia in condizione di escludere la presenza di uno stato di crisi e ad archiviare la segnalazione, in particolare se proviene dai creditori pubblici qualificati.

La norma a questo punto prevede che "Quando il collegio rileva l'esistenza della crisi" esso debba individuare, con il debitore, le misure che appaiono idonee al suo superamento, fissando un termine entro il quale l'imprenditore deve riferire in merito alla relativa attuazione. Ci si deve domandare che cosa capiti in caso di informazioni carenti o chiaramente non affidabili. Il collegio non sarebbe in grado di individuare le misure idonee ma nemmeno di archiviare. L'art. 22 precisa che dovrebbe valutare se gli elementi raccolti "rendano evidente la sussistenza di uno stato di insolvenza del debitore" e, solo in tal caso, segnalarlo al referente con relazione motivata e darne notizia al pubblico ministero del tribunale competente. Non è invece chiaro come debba comportarsi il collegio laddove gli elementi raccolti siano insufficienti non solo per individuare le misure di composizione della crisi ma addirittura per verificare l'esistenza o meno di uno stato di crisi (ed a maggior ragione di insolvenza). Questa non sarà un'ipotesi remota ma, per le realtà più destrutturate, quali sono le piccole imprese, vi è il timore che possa essere la norma, tanto più se l'organo di controllo è fresco di nomina e, nel dubbio, in assenza di ulteriori informazioni, si limiti ad un esercizio meramente aritmetico di calcolo degli indici di cui al co. 2 dell'art. 13.

Purtroppo, e si anticipa qui il timore rappresentato nell'ultima parte del presente contributo, l'accesso delle piccole imprese al sistema dell'allerta non sarà indolore, in quanto in esse si coniugano le maggiori anomalie degli indicatori e, al contempo, situazioni di patente inadeguatezza del patrimonio informativo.

È, pertanto, opinione di chi scrive che, nella individuazione delle misure di allerta sia comunque opportuno, anche in assenza della prededuzione dei relativi crediti, negata dall'art. 6 co. 3, che il debitore si faccia assistere da propri advisor, quanto meno per la predisposizione dei flussi informativi occorrenti. Ne trarrebbero vantaggio l'impresa e l'OCRI, in termini sia di speditezza del processo che di efficacia dell'intervento.

In ogni caso, se le informative rassegnate risultano incomplete o necessitanti di approfondimenti, l'audizione potrà essere aggiornata a nuova data per consentire il recupero della documentazione mancante. O, quantomeno, dovrebbe essere aggiornata, ed è questo un auspicio per rendere l'OCRI un ente realmente facilitatore e non ostile. È pertanto opportuno che vengano emanate in tempo utile norme di comportamento al riguardo.

Alla scadenza del termine, se il debitore non ha assunto le iniziative necessarie, il collegio redige una breve relazione e la trasmette al referente, che ne dà notizia a coloro che hanno effettuato la segnalazione. Al referente dovrebbe essere anche data notizia della fissazione del termine, in considerazione del fatto che l'art. 16 gli richiede di vigilare sul rispetto dei termini da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Ma quali sono le iniziative che deve assumere il debitore? Egli deve porre in essere le azioni occorrenti per attuare le misure individuate insieme al collegio. Qualche esempio può aiutare a comprendere il contesto: se con il collegio si fosse convenuto che l'unica soluzione esperibile è quella di un concordato preventivo in continuità, l'iniziativa si concretizzerebbe nella predisposizione del ricorso completo di tutta la documentazione di cui all'art. 87, o, in alternativa, di un ricorso per la richiesta della fissazione del termine di cui all'art. 44; se, viceversa, il collegio avesse ritenuto percorribile la strada di una riorganizzazione aziendale, soluzione ritenuta in astratto praticabile dalla stessa relazione ministeriale, le iniziative consisterebbero nell'esecuzione degli atti conseguenti, quali l'avvio dell'iter per la dismissione di taluni surplus assets o delle operazioni societarie straordinarie individuate. Si tratta di operazioni che richiedono tempo per essere realizzate e l'assistenza dell'organismo non potrebbe limitarsi al mero avvio del processo ma dovrebbe estendersi al monitoraggio del suo avanzamento e alla valutazione in continuo della perdurante adeguatezza della soluzione convenuta sino alla sua conclusione. L'adozione di operazioni di riorganizzazione in presenza di una crisi richiede, infatti, particolare attenzione per evitare pregiudizi per i creditori. In presenza di un'entità dinamica quale è l'azienda, non ci si può limitare ad una valutazione ex ante ma ci si deve spingere al monitoraggio in continuo, quanto meno fino a quando sia possibile revocare l'operazione ed eventualmente adottare misure alternative.

È fin troppo evidente che il collegio, per condurre le proprie valutazioni, dovrà avere riguardo non solo alla situazione in essere ma anche a quella prospettica, tenendo in debito conto il quadro normativo di riferimento della par condicio creditorum. Occorre, pertanto, che il collegio disponga al proprio interno di marcate competenze specifiche che coniughino tematiche aziendalistiche, finanziarie, legali e, non ultimo, concorsualistiche.


3. idem nella composizione assistita.

Una delle misure di superamento della crisi potrebbe essere costituita dalla sua composizione con l'assistenza dell'OCRI, per accedere alla quale il debitore deve formulare richiesta al collegio. La norma, all'art. 19, è molto chiara nel prevedere che l'iniziativa per l'attivazione del procedimento di composizione assistita della crisi appartenga solo al debitore, il quale può rivolgere all'OCRI l'istanza di intervento all'esito dell'audizione, ma anche prima e a prescindere dalla stessa.

Con la composizione assistita vengono coinvolti i creditori, o, più ragionevolmente, una parte di essi quali banche e fornitori strategici, per pervenire ad un accordo all'esito di una trattativa favorita dall'intervento dell'OCRI, che si pone come una sorta di mediatore attivo tra le parti.

Se, per la durata della fase antecedente all'attivazione della composizione assistita la legge non fissa un termine lasciando al collegio la facoltà di ampliarla secondo le necessità, con il solo limite costituito dalla valutazione in continuo della perdurante percorribilità in concreto delle misure individuabili od individuate, dal momento dell'attivazione della composizione assistita i tempi vengono invece scanditi dal collegio entro i limiti massimi fissati dalla legge: in particolare è di tre mesi il termine massimo, fissato dal collegio, entro il quale deve essere ricercata una soluzione concordata con i creditori. In tale fase, il relatore del collegio viene incaricato di seguire le trattative, anche facendosi parte attiva, se ciò sia utile, per favorire l'accordo con l'autorevolezza che gli deriva dal ruolo. Solo se risultano positivi riscontri sull'avanzamento delle trattative il termine potrà essere prorogato fino ad un massimo di ulteriori tre mesi.

Per affrontare la composizione della crisi, il set informativo acquisito nella fase dell'audizione sarà probabilmente insufficiente. Mentre per l'individuazione delle misure ci si potrebbe limitare alla conoscenza di massima dell'indebitamento e dei flussi che possono essere posti al servizio dello stesso, nella trattativa con i creditori occorrerà dare evidenza della loro puntuale misurazione con una scansione temporale che solo un piano economico-finanziario è in grado di rendere. È inoltre estremamente opportuno che venga svolta una misurazione del rischio inerente, quale normalmente emerge ad esito delle analisi di sensitività all'esposizione ai rischi di natura endogena ed esogena. Sarebbe altresì opportuno che venisse declinato il processo di gestione del rischio. Esso, anche sulla scorta di quanto previsto dalla riforma in ordine al contenuto dei piani, si traduce nelle modalità di monitoraggio dell'esecuzione del piano, nella valutazione degli scostamenti e nella individuazione di misure correttive atte a mitigare i rischi nel momento in cui dovessero concretizzarsi.

In funzione di ciò, l'art. 19 molto opportunamente prevede che, nel tempo più breve possibile, il collegio provvede ad acquisire dal debitore una relazione aggiornata sulla situazione economica e finanziaria dell'impresa ed un elenco dei creditori e dei titolari di diritti reali e personali, con l'indicazione dell'ammontare dei crediti e delle eventuali cause di prelazione.

È probabile che nelle realtà meno strutturate, il debitore non sia in grado di produrre, nel termine fissato dal collegio, la documentazione richiesta e, in tal caso, avrà facoltà di richiedere al collegio stesso di predisporla. Quest'ultimo potrà suddividere i compiti tra i suoi componenti, conformemente alle diverse professionalità espresse. Ancorché la norma lo consenta, pare però preferibile che il debitore non si avvalga di tale facoltà e, per quanto possibile, ricorra ai propri professionisti "storici", che hanno una conoscenza della realtà aziendale più approfondita, tenuto altresì conto che una separazione tra chi redige la documentazione e chi la valuta costituisce un indubbio valore che si traduce in una più elevata probabilità di successo dell'operazione. Vi sono però anche motivazioni che possono fare propendere per il ricorso al collegio e ciò a prescindere da un eventuale ma non dimostrato risparmio dei costi: la predisposizione della documentazione da parte del collegio presenta l'indubbio vantaggio, qualora essa dovesse essere utilizzata per l'accesso ad una procedura concorsuale, di un maggiore riconoscimento di affidabilità da parte degli organi della procedura stessa, anche perché redatta da un soggetto non scelto dal debitore ma designato da terzi..

Nelle trattative con gli istituti di credito e nella formulazione delle proposte occorrerà che il collegio abbia consapevolezza della loro 'bancabilità'; ci si riferisce, in particolare, alla formulazione di richieste in termini di nuova finanza, forme tecniche, stralci e modalità di rimborso/estinzione del debito (quali clausole cash sweep, pactum de non petendo, debt/equity swap, impiego di strumenti finanziari partecipativi) per le quali rileva la percorribilità in concreto in relazione alla disciplina regolamentare esterna ed interna alla quale la banca soggiace.

L'art. 19 co. 3 impone al collegio, su richiesta del debitore che intenda presentare una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o di apertura di un concordato preventivo, di attestare la veridicità dei dati aziendali. Potrebbe apparire curioso il fatto che l'attestazione si limiti alla sola veridicità dei dati e non si estenda agli altri giudizi richiesti, quali quello della fattibilità, della funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori, o ai giudizi richiesti nei casi di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui all'art. 61. Invero, la limitazione dell'attestazione è coerente con il fatto che il piano delle procedure in questione potrebbe essere redatto con l'assistenza del collegio e potrebbe, in ogni caso, essere il frutto delle misure concordate con il creditore. Basterebbero, infatti, queste situazioni a pregiudicare l'indipendenza intellettuale del collegio occorrente per un effettivo vaglio critico.

Se, all'esito delle trattative, il debitore raggiunge un accordo con i creditori, questo dovrà essere formalizzato per iscritto e depositato presso l'OCRI. L'accordo resterà riservato e se ne potrà consentire la visione e l'estrazione di copie solo a coloro che l'hanno sottoscritto, salvo che il debitore, con il consenso dei creditori interessati, preferisca richiederne l'iscrizione nel registro delle imprese. Esso ha la stessa efficacia degli accordi che danno attuazione al piano attestato di risanamento; dal che deriva l'esenzione dalla revocatoria in caso di successiva liquidazione giudiziale.

La composizione assistita, rispetto ad un piano attestato di risanamento, presenta più di un vantaggio per il debitore. Al costo dell'OCRI corrisponde, quanto meno, un minore costo degli advisor ed il risparmio del costo dell'attestazione. Inoltre, la presenza dell'OCRI e la durata predefinita del processo dovrebbero assicurare una maggiore speditezza delle trattative con i creditori. Ancor più rilevante la possibilità di ottenere le misure protettive di cui all'art. 20, estese al differimento della adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 2446, 2447, 2482-bis e 2482-ter c.c.

Se la composizione assistita dovesse avere esito negativo o non dovesse concludersi nel temine fissato e permanesse una situazione di crisi, la palla tornerà nella metà campo del debitore, il quale, su invito del collegio, entro 30 giorni dovrà presentare domanda di accesso ad una procedura concorsuale (nel cui ambito, in linea con il recente orientamento della Cassazione[1], rientra anche l'accordo di ristrutturazione). Della conclusione negativa, l'OCRI dovrà dare notizia a coloro che hanno effettuato la segnalazione e che non vi hanno partecipato.

Della presentazione della domanda di accesso alle procedure concorsuali l'OCRI, e segnatamente il collegio, dovranno essere informati, in quanto, in difetto della presentazione, il collegio, se ritiene che, sulla base degli elementi acquisiti, sia evidente la sussistenza di uno stato di insolvenza, deve segnalarlo al referente e notiziare il pubblico ministero presso il tribunale competente.


4. Il concreto rischio di innescare un incendio che non si riuscirebbe a domare.

Chi scrive[2] ha già avuto modo di sottolineare come l'OCRI sia, ad un tempo, una opportunità ed una minaccia. Il momento di discrimine sta, non solo nella capacità delle imprese di realizzare l'auspicato cambio culturale sotteso all'implementazione delle misure di allerta, ma anche nella competenza e nell'effettiva "capacità produttiva" dei collegi che verranno nominati ad assistere il debitore nella ricerca e nell'attuazione dello strumento di composizione. Che si tratti di due elementi tra di loro correlati è fin troppo evidente. La presenza della competenza professionale non è sufficiente: occorre che i membri del collegio possano assicurare il tempo che il singolo dossier richiede. In particolare, il componente chiamato a coprire il ruolo di relatore, al quale spetta il compito di acquisire e riferire i dati e le informazioni rilevanti, nonché di seguire le trattative. Chi è uso ad affrontare le negoziazioni con i creditori è ben consapevole della loro complessità e dell'intensità dell'attività che richiedono.

La competenza dei componenti è affrontata dal Codice prevedendo al co. 4 all'art. 17 che il referente dell'OCRI debba accertarsi della presenza della complementarietà delle professionalità all'interno del collegio, sostituendo, se del caso, il componente dell'associazione di settore. Dalla disamina del ruolo e dell'attività del collegio svolta nei paragrafi precedenti emerge con nitidezza la complessità delle competenze che debbono possedere i suoi componenti. Sono competenze fortemente specialistiche: le richiede l'esigenza di valutare, già nella fase della sua impostazione, la prospettabilità in astratto di un percorso di risanamento; le richiede anche l'esigenza di individuare misure fattibili sotto i profili aziendalistici, finanziari e giuridici; le richiede infine l'esigenza di una tempestiva rilevazione dell'eventuale sopravvenuta impraticabilità, in corso d'opera, della misura adottata.

Sono tutte attività che richiedono esperienza maturata sul campo. La statura delle controparti bancarie nel processo di negoziazione e la complessità dei profili giuridici dei diversi strumenti non permettono improvvisazioni. Lo ha ben colto il legislatore, pretendendo una specializzazione ed una selezione dei professionisti chiamati a fare parte dei collegi. Il Codice della Crisi, nel testo all'esame delle Commissioni parlamentari, prevede all'art. 352 del decreto un regime transitorio per l'individuazione dei membri dell'OCRI in attesa della formazione dell'albo di cui all'art. 356, definendo i requisiti di professionalità. Possono far parte dei collegi solo i dottori commercialisti e gli avvocati che abbiano svolto funzioni di commissario giudiziale o attestatore ovvero abbiano assistito il debitore nella presentazione della domanda di accesso in almeno tre procedure di concordato preventivo ammessi o in tre accordi di ristrutturazione omologati.

Ma quanti sono i professionisti che possono vantare tali requisiti? Per comprendere la numerosità dell'universo interessato non si può che muovere dal numero delle procedure degli ultimi 10 anni: ca. 12 mila concordati preventivi ammessi e 2 mila accordi di ristrutturazione omologati. Si tratta di numeri in astratto elevati in relazione al numero complessivo delle imprese interessate. Considerando la pluralità dei ruoli interessati e volendo riconoscere le competenze anche a tutti i professionisti dei team legali, aziendalistici e contabili coinvolti si arriva a stimare in ca. 80.000 gli interventi di professionisti. La materia marcatamente specialistica restringe però significativamente la platea di professionisti interessati e si può concludere che essa non superi i 5-10 mila soggetti, cui corrisponderebbero al più 3 mila collegi. La domanda è se sono sufficienti ad affrontare l'onda di segnalazioni che ci si aspetta.

Banca d'Italia, nel documento esibito nell'audizione presso la Commissione Giustizia del Senato, ha individuato un numero di segnalazioni potenziali compreso tra gli 8 e i 47 mila casi su una popolazione di riferimento di 180 mila imprese, limitata solo alle sole società di capitali che sarebbero dotate di un organo di controllo sulla base della nuova disciplina[3]. Non sono diverse le conclusioni alle quali è pervenuta Cerved in un proprio recente elaborato[4] e quelle stimate da un altro operatore specializzato nella business information. Vi sono poi le segnalazioni da parte dei creditori pubblici qualificati che si stimano essere attorno alle 15 mila[5], per quanto si debba ritenere che, per lo più, si sovrappongano alle segnalazioni interne e costituiscano una base minima al di sotto della quale è improbabile scendere. Invero, considerato il livello elevato delle soglie delle segnalazioni esterne, se l'allerta deve essere efficace, dovrebbero essere intercettate situazioni di crisi ben prima che si siano accumulati scaduti così rilevanti. La conseguenza è solo una: i casi delle allerte attive non possono limitarsi a 15.000 ma devono crescere significativamente. Si rischia a questo punto di affidare a ciascun professionista un numero di incarichi nei collegi non inferiore a 10-15. Tutto questo nei primissimi mesi di entrata in vigore del decreto, quando, vista la novità dell'istituto, non sono ancora state maturate esperienze sul campo. Il rischio è quello concreto di rendere inefficaci le misure di allerta appena introdotte. Ma un rischio ancora maggiore è quello di innescare un incendio che, in considerazione delle ricadute presso il sistema bancario, non si riuscirebbe più a domare.

Per non sovraccaricare i professionisti coinvolti si potrebbe ampliare la platea degli stessi, rendendo meno selettivi i requisiti previsti; vi è però il rischio concreto di portare a bordo professionalità inadeguate rispetto alle concrete esigenze dianzi rappresentate. In alternativa si potrebbe ridurre il numero delle segnalazioni alzando l'asticella della soglia di rilevanza degli indici; il rischio in questo caso è quello di intercettare solo più situazioni di vera e propria insolvenza piuttosto che di mera allerta.

In entrambi i casi si rischia di cagionare l'insuccesso delle misure di allerta e la sfiducia nei confronti dell'OCRI, in un caso perché inadeguato ad affrontare la crisi, nell'altro perché di fronte all'insolvenza l'esito è spesso nefasto.


5. Una proposta per evitare il rischio di fallimento delle misure di allerta.

Vi sarebbe però una soluzione al problema che potrebbe contemperare le opposte esigenze di assicurare tempestività all'allerta e, al contempo, efficacia all'intervento dell'OCRI. Posto che solo la formazione professionale consentirà di elevare il numero dei soggetti dotati dei requisiti occorrenti per far parte dei collegi e che il numero dei casi affrontabili da ciascuno di essi deve essere contenuto, la soluzione deve essere ricercata nella limitazione, nella prima fase di applicazione della norma, del numero dei casi. Anziché, però, elevare l'asticella della soglia di allerta, con i rischi già rappresentati, sarebbe molto più opportuno limitare, in una prima fase applicativa, la platea delle imprese che vi ricadono. In tale ottica il CNDCEC aveva già richiesto di graduare la decorrenza dell'entrata in vigore della disciplina dell'OCRI, differendola per le piccole imprese.

Vi è più di una motivazione che giustifica la richiesta: i) la piccola impresa è la parte più rilevante della platea interessata dalle misure di allerta; ii) è anche quella che presenta una maggiore frequenza di situazioni di anomalia, come è emerso da una indagine recentemente svolta da CERVED che ha rilevato indici che presentano soglie di anomalia più elevate per le imprese con un fatturato inferiore a 5 milioni di euro (ad analoga conclusione è arrivato uno studio di un competitor di CERVED, ponendo il discrimine al limite UE di 10 milioni di euro); iii) è fin troppo prevedibile che le piccole imprese tarderanno maggiormente a percepire il cambio culturale richiesto dalle misure di allerta.

Sarebbe, quindi, sufficiente differire di ulteriori 12-18 mesi l'entrata in vigore della parte relativa all'OCRI per le piccole imprese in ragione del loro fatturato, per cogliere invece una molteplicità di vantaggi:

a. differirebbe l'onda più rilevante delle segnalazioni ad un momento successivo, quando l'istituto dell'OCRI sarà più rodato e saranno maturate best practice che ne assicurino speditezza di azione ed efficacia di intervento, limitando significativamente il numero dei casi, pur con soglie di rilevanza degli indici contenute ad un livello tale da permettere comunque la tempestività dell'allerta;

b. focalizzerebbe i primi interventi dell'OCRI su realtà che presentano, con maggiore frequenza, flussi informativi strutturati ed affidabili, mitigando il rischio di interventi con esito negativo;

c. permetterebbe così al mondo delle imprese di superare le comprensibili diffidenze nei confronti dell'istituto;

d. incentiverebbe di conseguenza la propagazione della cultura della pianificazione dei fabbisogni finanziari anche presso la piccola impresa.

Qualora di ponesse a 10 milioni di euro di fatturato il discrimine dimensionale delle piccole imprese per quali la disciplina dell'OCRI entra in vigore in via differita, si ridurrebbe da 180 mila a 30 mila[6] soggetti la platea delle società di capitali interessata (alla quale aggiungono comunque i soggetti, società di persone e imprese individuali, che non hanno obbligo di deposito dei bilanci), con una conseguente riduzione delle segnalazioni. Ponendo il discrimine alla soglia di 5 milioni di euro, il numero crescerebbe ma si fermerebbe a circa 55 mila società di capitali[7], un livello comunque significativamente inferiore rispetto a quello con gli attuali limiti.

Ne deriverebbe un ulteriore indubbio vantaggio. L'estensione alla piccola impresa delle misure di allerta è correlata all'introduzione, dal 30esimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto e pertanto in anticipo rispetto all'entrata in vigore del resto della riforma, dell'obbligo della nomina dell'organo di controllo nelle piccole srl con un fatturato superiore ai 2 milioni di euro. L'anticipazione dell'entrata in vigore è giustificata in quanto il rispetto degli obblighi organizzativi, che costituiscono, insieme agli obblighi segnaletici, gli strumenti di allerta, presuppone la presenza di un organo di controllo responsabilizzato dei doveri di segnalazione; in difetto, gli strumenti di allerta e gli obblighi segnaletici interni rischierebbero di restare lettera morta. L'introduzione dell'organo di controllo nelle realtà di minori dimensioni trova però rilevanti critiche da parte del mondo delle imprese, per i costi e per gli irrigidimenti che ne derivano. Il differimento di 12-18 mesi dell'intervento dell'OCRI nelle piccole imprese consentirebbe anche il differimento al 2020 dell'estensione dell'obbligo dell'organo di controllo nelle piccole srl, rendendo così possibile una maggiore gradualità nel rafforzamento dei controlli interni. D'altronde la piccola impresa costituisce la spina dorsale della nostra economia ed è convincimento comune che essa debba maturare un cambio culturale nel proprio governo finanziario, che verrà anche percepito dagli interessati in termini di opportunità prima ancora che un obbligo. È però un mondo tutto da costruire e una maggiore gradualità nel cambiamento è fondamentale per evitare che la riforma parta zoppa.








[1] Cass. Civile, sez. I, 18 gennaio 2018, n. 1182.
[2] R. RANALLI, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie ed opportunità in Il Fallimentarista, 31 ottobre 2017
[3] Banca d'Italia, Schema di decreto legislativo recante Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, 26 novembre 2018
[4] CERVED, Riforma legge fallimentare: quali soglie per il regime di allerta? in CervedKnow, ottobre 2018.
[5] Il numero è tratto dalla stessa relazione ministeriale nella quale si riferisce che, in seguito all'innalzamento delle soglie, rispetto a quelle riportate nello schema rilasciato dalla Commissione Rordorf, il numero dei soggetti da sottoporre alle segnalazioni è, in relazione allo scaduto INPS, di 12 mila unità circa, con riferimento all'IVA, di 300 unità, mentre per lo scaduto presso l'Agenzia della Riscossione, il numero sarebbe di 2 mila unità. Chi scrive ha il dubbio che, quanto meno il dato dell'INPS, possa essere errato per eccesso e porti in conto l'intero universo delle imprese (anche quelle con fatturato inferiore ai 2 milioni di euro) oppure non consideri le rateazioni già intervenute (circostanza questa che farebbe venire meno la segnalazione ma non l'anomalia finanziaria sottostante). Peraltro, i numeri potrebbero anche ridursi di qualche migliaio di unità ma le conclusioni sostanziali alle quali si perverrebbe seguendo il ragionamento in appresso svolto non cambierebbero.
[6] Fonte Innolva
[7] Fonte Innolva





















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