(c.c. art. 1337, D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58; REG. CONSOB, n. 11522/1998)
La tutela del cliente rispetto alla violazione degli obblighi informativi va ravvisata nell'azione risarcitoria, che trova fondamento nell'applicazione dell'art. 1337 c.c. e di cui l'art. 21 Tuf rappresenta, nell'ambito di questa tipologia di rapporti, una specificazione.
TRIBUNALE DI BRINDISI, 21 luglio 2006, n. 701 - Pres. Fedele - Rel. Giliberti, A. c/ Banca Monte Paschi di Siena
Intermediari finanziari - Obblighi di informazione - Nullità virtuale
(c.c. art. 1418; D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58; REG. CONSOB, n. 11522/1998)
La normativa dell'intermediazione finanziaria, essendo posta a tutela dell'ordine pubblico economico, consiste in norme imperative, alla cui violazione a norma dell'art. 1418 c.c., segue il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un'espressa previsione in tal senso da parte delle singole disposizioni violate.
TRIBUNALE DI LECCE, 12 giugno 2006,n. 1105 - Pres. Giardino - Rel. Zuppetta, A c/ Banca Popolare Pugliese
(C.c. art. 1176; D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58; REG. CONSOB, n. 11522/1998)
La mancata osservanza da parte dell'intermediario degli obblighi di informazione e di valutazione imposti dal T.U.F. è senz'altro espressione di inadempimento contrattuale e, come tale, foriera dell'obbligo di risarcimento dei danni che ne sono derivati.
Considerazioni preliminari
Le sentenze in commento manifestano - emblematicamente - il "subbuglio" giurisprudenziale in ordine alle conseguenze dell'inadempimento degli obblighi di informazione da parte dell'intermediario nei confronti del risparmiatore. Il caotico[1] quadro già esistente si "arricchisce" ulteriormente per il semplice fatto che in questo caso due delle decisioni, che manifestano differenti orientamenti, sono state emesse da tribunali - appartenenti alla medesima Corte d'Appello - cui si erano rivolti i risparmiatori che in seguito alla crisi patrimoniale del "Gruppo Cirio", sfociata poi nel c.d. cross default, hanno perduto l'intero capitale sottoscritto.
Più nel dettaglio, il Tribunale di Brindisi è chiamato a pronunciarsi in ordine alla nullità del contratto di collocamento delle obbligazioni "Del Monte" - emesse dalla società finanziaria Del Monte Finance Luxemburg S.A con sede in Lussemburgo, appartenente al Gruppo Cirio - per difetto dei requisiti essenziali ex art. 1325 nn. 1, 3 e 4 c.c. e 23 comma 1, d.lgs. 58/1998, in relazione all'art. 1418 c.c., nonché per violazione delle norme imperative ex artt. 94 e 100 Tuf e degli altri specifici obblighi sanciti dal d.lgs. n. 58/98 in relazione all'art. 1418 c.c. . In subordine ne veniva proposto l'annullamento ex artt. 1394 e 1395 c.c. o la risoluzione per grave inadempimento della banca.
Il caso all'esame del Tribunale di Lecce riguarda, invece, il collocamento da parte di una banca di obbligazioni Cirio denominate nell'ordine di acquisto "Cirio 01-04 6,25%", di cui si chiede la nullità per contrarietà a norme imperative e, in via gradata, l'annullamento per conflitto di interessi o la risoluzione per grave inadempimento.
I giudici del tribunale di Brindisi, nel decidere la controversia, aderiscono all'orientamento giurisprudenziale, in virtù del quale la normativa violata - ovvero la regolamentazione nel campo dell'intermediazione finanziaria - è posta a tutela dell'ordine pubblico economico e consiste, pertanto, in norme imperative alla cui violazione - a norma dell'art. 1418 c.c. - segue il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un'espressa previsione in tal senso da parte delle singole disposizioni violate. Per i giudici brindisini il quadro normativo in materia di intermediazione non si limita al rapporto obbligatorio con l'investitore ma, più in generale, si riferisce allo svolgimento dell'attività economica come canone di condotta volto a realizzare una leale competizione e a garantire l'integrità del mercato. Il tribunale, come già stabilito dai giudici fiorentini[2], osserva come tutto ciò renda evidente l'esistenza, nella materia dell'intermediazione finanziaria, di interessi anche di carattere generale che rendono inderogabili le regole di comportamento. Sicchè un "contratto concluso senza l'osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata deve essere dichiarato nullo, perché contrario all'esigenza di trasparenza dei servizi finanziari che è esigenza di ordine pubblico (...)".
A diverse conclusioni giunge il tribunale di Lecce che propende per la tesi dell'inadempimento contrattuale da parte dell'intermediario; in particolare, per i giudici leccesi la mancata osservanza di obblighi di informazione e di valutazione è espressione di inadempimento contrattuale e, come tale, "foriera dell'obbligo di risarcimento dei danni che ne sono derivati".
A ciò aggiungasi il più recente orientamento emergente dalla lettura della decisione della Corte d'Appello Milanese secondo la quale la tutela del cliente - rispetto alla violazione degli obblighi informativi - va ravvisata nell'azione risarcitoria, che trova fondamento nell'applicazione dell'art. 1337 c.c., di cui l'art. 21 Tuf rappresenta - nell'ambito della tipologia dei contratti dell'intermediazione finanziaria - una specificazione.
L'informazione precontrattuale nella disciplina dell'intermediazione finanziaria
Il primo dato che in questa sede merita approfondimento è quello legato ai profili dell'informazione nell'ambito della disciplina contenuta nel d.lgs. 24 febbraio 1998 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e nel Reg. Consob n. 11522 dell'1 luglio 1998.
In particolare, occorre analizzare quale sia il ruolo dell'informazione nel settore indagato per poi decidere dell'incidenza dell'omissione sulla sorte del contratto stipulato.
E' fuor di dubbio, così come ha evidenziato attenta dottrina[3], che la riflessione sull'obbligo di informazione debba essere contestualizzata e che, pertanto, si debba diffidare dalle generalizzazioni. In effetti, soprattutto nel settore dei contratti connotati da asimmetria informativa, la disciplina dell'informazione presenta una maggiore e più dettagliata articolazione rispetto a quanto previsto nella parte generale sul contratto, sia con riferimento alla fase precontrattuale che a quella post-contrattuale[4].
Mentre nel codice civile la teoria degli obblighi di informazione fa perno, fondamentalmente, sugli artt. 1337 e 1338 (riguardanti la fase delle trattative) e sull'art. 1375 c.c. (relativa all'esecuzione del contratto), nella disciplina indagata l'informazione acquisisce una distinta fisionomia ed un peso ben diverso, perché l'informazione è tramite per l'effettiva conoscenza e strumento di reale comprensione dell'operazione[5].
Di particolare interesse, al fine, è la motivazione del tribunale leccese, secondo il quale la banca avrebbe dovuto fornire precise indicazioni circa la pericolosità dello specifico investimento.
Il dato trova conferma nell'art. 28 del Reg. Consob 11522/1998. Trattasi di una norma che impone all'intermediario di valorizzare la specificità di ciascuna contrattazione al fine di mitigare gli effetti di una valutazione del rischio, svolta a monte su un campione di situazioni ampio e differenziato[6].
Coerentemente con il tenore letterale della disposizione appena richiamata il collegio leccese ha ritenuto insufficiente l'informazione rilasciata dall'intermediario mediante la dicitura prestampata "non adeguata" apposta su un modulo sottoposto all'investitore sull'atto dell'acquisto, poiché l'ampiezza dell'espressione utilizzata "induce a circoscrivere la portata stessa della dichiarazione apposta in calce all'ordine di acquisto sottoscritto dal cliente e sul rischio ad essa correlato"[7] ed a negarle il valore di esternazione di una reale consapevolezza sulla natura dell'operazione[8].
V'è da evidenziare, in aggiunta, come nella decisione si censuri la difesa della banca nella parte in cui afferma che "la risparmiatrice sarebbe comunque stata in grado di valutare la pericolosità dell'operazione alla luce delle indicazioni contenute nel documento sui rischi dell'investimento di cui all'art. 28, co. 1, reg. Consob n. 11522/1998, stante la natura generale e standardizzata di tali indicazioni, laddove la banca avrebbe dovuto fornire specifiche indicazioni circa la pericolosità di quello specifico investimento".
Tale orientamento va senz'altro condiviso, posto che la mera consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari non può ritenersi idonea a soddisfare l'esigenza dell'informazione. Si tratta, infatti, di informativa del tutto generica che non garantisce la conoscenza concreta ed effettiva del titolo specificamente negoziato: circostanza cui è subordinata l'assunzione consapevole da parte dell'investitore del rischio dell'investimento[9].
Analoghe considerazioni valgono anche per la decisione dei giudici brindisini, i quali rilevano come la banca abbia omesso di fornire informazioni che avrebbero consentito all'attore una piena consapevolezza degli strumenti finanziari che si accingeva ad acquistare:"informazioni che, nondimeno, sono state, nella specie, del tutto omesse, o comunque non vi è prova (...) che siano state effettivamente fornite".
Il dato trova conferma anche nella decisione della corte milanese secondo la quale l'art. 21 lett. a) e b), rappresenta una specificazione del principio di cui all'art. 1337 c.c., e risponde all'esigenza di elevare il livello di correttezza da parte dell'operatore qualificato il quale - avendo un accesso facilitato ai dati relativi alle caratteristiche dei titoli - è tenuto a conoscere prima di consigliarli o metterli in vendite. Ciò implica - pur nella consapevolezza che in ogni investimento è contenuta una componente di rischio difficile da azzerare - che l'investitore non può sopportare un difetto di conoscenza circa il contenuto del titolo e, comunque, degli elementi che incidono sulla sua consistenza e sicurezza.
Sulla scorta di tale premessa è agevole comprendere la valenza dell'informazione nella disciplina indagata. E' fuor di dubbio (e le decisioni in commento lo confermano) che il rafforzamento dell'obbligo informativo sia giustificato dalla forte asimmetria informativa, frutto anche del fatto che gli strumenti finanziari, data l'obiettiva complessità che li caratterizza, nella maggior parte dei casi sono difficilmente apprezzabili nella loro consistenza dall'investitore[10]. L'informazione, dunque, deve essere in grado di far assumere al cliente scelte consapevoli, consentendogli soprattutto una reale valutazione del rischio che si annida nell'operazione.
Di particolare rilevanza è il richiamo del legislatore all'adeguatezza dell'informazione (d.lgs. 58/1998, art. 21 lett. b) che implica la necessità che l'informazione sia connotata da una certa flessibilità in ragione della tipologia del prodotto finanziario offerto. La flessibilità, val la pena evidenziarlo, non riguarda esclusivamente l'informazione da rendere al cliente, ma anche quella che l'intermediario deve ricevere da questo.
Ciò posto, l'intermediario potrà collocare un determinato prodotto finanziario solo dopo aver acquisito le informazioni necessarie dal cliente.
Chiara conferma di ciò si trae dal Regolamento Consob n. 11522/1998 che, all'art. 28, specifica i criteri anzi citati relativamente allo svolgimento dell'attività di prestazione dei servizi di investimento. La formulazione della disposizione impone all'intermediario di valorizzare la specificità di ciascuna contrattazione "sì da mitigare gli effetti di una valutazione del rischio, svolta a monte su un campione di situazioni ampio e differenziato"[11].
Correttamente i giudici leccesi sottolineano la necessità che l'intermediario debba procedere alla valutazione dell'adeguatezza dell'informazione anche nelle ipotesi in cui il cliente rifiuti di fornire le informazioni ex art. 28, comma 1°, lett.a, Reg. 11522/Consob. Ciò implica che la modulazione dell'attività informativa deve essere effettuata sempre e comunque, al fine di evitare la standardizzazione delle informazioni e favorire la flessibilità del flusso informativo in relazione alla tipologia del cliente.
Del resto in questa direzione si è orientata anche la Consob che, pur non prevedendo alcuna specifica modalità di assolvimento dell'obbligo di raccogliere le informazioni dal cliente, ha espressamente stabilito, con comunicazione del 21 aprile 2000, n. 30396, che l'intermediario non può "sollecitare in alcun modo il rifiuto dell'investitore di fornire le informazioni richieste".
Reticenza informativa e tutela
Come già si è anticipato, i due tribunali pugliesi e la Corte d'Appello Milanese giungono a forme di tutela differenti per la violazione degli obblighi di informazione. Per Lecce si tratta di inadempimento contrattuale; per Brindisi trattasi di nullità del contratto per violazione di normativa posta a tutela dell'ordine pubblico economico. Per Milano si tratta di un risarcimento che trova fondamento nell'art. 1337 c.c.
V'è da evidenziare, immediatamente, come quest'ultima soluzione abbia dato avvio ad un ampio dibattito in ordine alla possibilità di configurare la nullità virtuale tutte le volte in cui sia individuabile - da parte dell'intermediario - la violazione della normativa posta a tutela del risparmio.
Trattasi, peraltro, di una soluzione che - in passato - aveva riscosso il favore della giurisprudenza di legittimità in relazione ad un contratto di swap, stipulato da un intermediario non iscritto all'albo della società di intermediazione[12]. Nello specifico i giudici - confermando la sentenza di appello - avevano concluso per la nullità del contratto, evidenziando: a) che le disposizioni dettate per le Sim hanno carattere inderogabile derivante dalla natura pubblica e generale degli interessi con esse garantiti; b) che le disposizioni concernono la tutela dei risparmiatori uti singuli e quelli del risparmio pubblico come elemento di valore dell'economia nazionale. Non è peraltro priva di rilevanza la circostanza che, da tempo, la giurisprudenza abbia sottolineato che la violazione di una norma imperativa che non preveda espressamente la nullità impone di controllare la natura della disposizione violata, lo scopo della legge e la natura della tutela apprestata, se cioè sia di interesse pubblico o privato[13].
Il dato - lo si è già detto - non è pacifico e le decisioni esaminate lo confermano. Parte della dottrina[14] ha negato utilità al criterio della pubblicità dell'interesse tutelato, reputandolo per nulla decisivo ai fini della soluzione della questione della nullità del contratto nel caso di sua inosservanza.
Recentemente la giurisprudenza della Corte di Cassazione[15] ha ritenuto che la nullità virtuale del contratto operi solo quando la contrarietà a norme imperative riguardi elementi intrinseci del contratto: cioè struttura o contenuto del medesimo. Essa va pertanto esclusa quando contrari a norme imperative siano comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto, salvo che il legislatore preveda espressamente la nullità. In altri termini - stando al recente orientamento dei giudici di legittimità - detti comportamenti rimangono estranei alla fattispecie negoziale e la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto a meno che non ci sia un'espressa previsione normativa.
Trova posto in questa decisione - che si pone in contrasto con quanto sostenuto dai giudici di Brindisi - la distinzione tra regole di validità e regole di responsabilità; si riafferma, in altre parole, che le regole di comportamento non possano avere alcuna ricaduta sulla validità del contratto[16]. Tale argomento è stato oggetto di approfondito dibattito in dottrina e si è già sottolineato in altra sede[17] come una rivisitazione di tale impostazione sia stata già auspicata sulla scorta di una attenta lettura delle norme codicistiche ed in particolare dell'art. 1337 c.c.[18].
Parte della dottrina[19] ha decisamente avversato questo indirizzo, perchè le regole di validità e di comportamento hanno statuti normativi e funzioni alquanto diversi, riferendosi le prime alla vincolatività dell'accordo e le seconde alla moralità delle contrattazioni. Proprio in ragione del fatto che la correttezza in contrahendo è il punto di riferimento finale della tutela che il legislatore accorda con i sistemi dei vizi del consenso, ove essa venisse resa tout court e indistintamente oggetto di protezione non si realizzerebbe tanto l'effetto di ampliare il novero delle ipotesi di invalidità, quanto piuttosto si introdurrebbe, sotto mentite spoglie, un principio antagonista che, togliendo qualsiasi significato alla loro disciplina, sarebbe in grado di scardinare l'intero sistema dei vizi del consenso. In questa prospettiva si è sottolineata - con estrema fermezza - l'autonomia delle regole di validità e di responsabilità proprio negando che il sistema delle invalidità negoziali possa essere integrato da ipotesi di invalidità desunte dalla violazione di regole comportamentali, rilevanti solo sul piano risarcitorio[20].
Non è certamente questa la sede per approfondire una questione così complessa. Tuttavia possiamo limitarci a segnalare che già all'interno del codice civile possono individuarsi delle ipotesi in cui problematiche di validità del contratto e di responsabilità si intrecciano. Si pensi all'area in cui le regole sui vizi del volere interferiscono con quelle sulla responsabilità contrattuale[21].
Oltretutto nel settore indagato sarebbe estremamente riduttivo immaginare che le regole comportamentali previste dal legislatore si limitino - sic et simpliciter - alla fase precontrattuale. Ad un più attento esame tali regole paiono incidere sul profilo contenutistico del contratto[22].
Si pensi all'art. 28 Re. Consob n. 11522/1998 che stabilisce l'impossibilità per l'intermediario di effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento. Per dirla in altri termini, l'informazione dovrà specificare la natura, i rischi e le implicazioni dell'investimento e laddove questa manchi l'operazione o il servizio non potrà essere prestato.
Così ragionando[23] non appare azzardato affermare che queste informazioni integrano il contenuto del contratto. L'obiettivo del legislatore è proteggere la corretta formazione della volontà di aderire all'operazione contro rappresentazioni incomplete ed inattendibili che non possono che mettere in crisi la vicenda contrattuale.
Per di più queste informazioni "non hanno solo una dimensione protettiva con specifico riferimento alla formazione della volontà e del convincimento ma assurgono ad un ruolo attivo di conformazione del rapporto, spostandosi così nella definizione di un modello ottimale ed efficiente di scambi di mercato"[24].
I giudici brindisini osservano che il principale scopo della regolamentazione nel campo dell'intermediazione finanziaria è assicurare l'affidabilità delle informazioni fornite al cliente, garantendo la sostanzialità e l'accuratezza dei consigli di investimento da questi ricevuti. I sistemi regolamentati si preoccupano di mitigare lo svantaggio informativo sopportato dagli investitori non sofisticati nella fruizione dei servizi prestati dagli intermediari finanziari. Un contratto di investimento, concluso senza l'osservanza delle regole di condotta dettate dalla normativa richiamata, deve essere dichiarato nullo, perché contrario all'esigenza di trasparenza dei servizi finanziari, che è esigenza di ordine pubblico.
Può quindi ritenersi, in assenza di un'alternativa alla nullità virtuale, che un contratto concluso in violazione di una norma imperativa che non preveda expressis verbis una specifica sanzione sia nullo.
Il Tribunale di Lecce, sia pur sinteticamente, aderisce alla tesi secondo cui la mancata osservanza degli obblighi di informazione e di valutazione (art. 21 t.u.l.f. e artt. 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998) è senz'altro espressione di inadempimento contrattuale. I giudici leccesi sembrano, così, voler aderire all'orientamento già manifestato in passato da un altro tribunale pugliese[25] (sempre appartenente alla medesima Corte d'Appello) in virtù del quale può fondatamente parlarsi di inadempimento dell'intermediario piuttosto che di conclusione di un contratto nullo; in quanto il vizio non è genetico, ma funzionale, nel senso che il vizio riguarda le prestazioni che dovevano essere rese sulla base del negozio concluso.
Nella stessa direzione si era già espresso qualche tempo addietro il tribunale capitolino[26],il quale aveva osservato che "nei contratti con prestazioni corrispettive i doveri di correttezza, di buona fede e diligenza, di cui agli artt. 1338, 1374, 1575 e 1175 c.c., si estendono anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di informazione, che presuppongono e richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità cooperativa e, quindi, nel tenere conto delle controparti dell'acquisto. Tali doveri ed obblighi impongono che l'imprenditore, anzitutto, si preoccupi dell'esatta specificazione delle caratteristiche del bene compravenduto al momento dell'acquisto".
Tale soluzione non convince appieno. Non emerge con nitidezza la valenza dell'obbligo di informazione. In altri termini non si riesce a comprendere se quelle informazioni rese nella fase precontrattuale subiscano una sorta di attrazione nel contratto concluso, sicchè la loro violazione giustifichi - in favore del risparmiatore - il risarcimento per inadempimento.
Ancora diversa è la soluzione accolta dalla Corte Milanese, che, nel ribadire la non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità del contratto, giunge a ritenere che si tratti di responsabilità contrattuale. In altre parole, osservano i giudici, il campo di applicazione della responsabilità contrattuale non è circoscritto alle ipotesi in cui il comportamento non conforme a buona fede abbia impedito la conclusione di un contratto o abbia determinato la conclusione di un contratto invalido ovvero (originariamente) inefficace. In questa prospettiva si afferma che il perimetro di applicazione dell'art. 1337 c.c. va oltre l'ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, assumendo il valore di una clausola generale che implica - nell'ambito dei contratti dell'intermediazione finanziaria - un dovere di trattare in modo leale, astenendosi non solo da comportamenti ingannatori ma anche solo reticenti. Così ragionando, la conclusione di un contratto valido ed efficace non è da ostacolo alla proposizione di un'azione risarcitoria fondata sulla violazione della regola posta dall'art. 1337 c.c. o di obblighi più specifici riconducibili a detta disposizione, qualora il danno trovi il suo fondamento nella violazione di obblighi relativi alla condotta delle parti nel corso delle trattative e prima della conclusione di un contratto. Il danno risarcibile sarà dunque quantificato avendo riguardo al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti.
V'è però da segnalare, sul punto, l'orientamento decisamente avverso di una parte della dottrina[27] che nega la possibilità di ottenere attraverso lo strumento risarcitorio la "correzione" dei risultati economici pregiudizievoli di un regolamento di interessi, pur validamente stipulato. In particolare si osserva che tale eventualità consentirebbe la "correzione" (attraverso la misura risarcitoria) del profilo economico-monetario del contratto, permettendo la modifica (ad opera del giudice) del regolamento di interessi stabilito dalle parti[28]. Per di più l'estensione del risarcimento anche ai danni "positivi" per aver concluso a condizioni peggiori di quelle che si sarebbe potuto conseguire in una trattativa corretta, traviserebbe la stessa nozione di culpa in contraendo e consentirebbe ai giudici - in molti casi - di fare il contratto tra le parti[29].
E si optasse per una soluzione alternativa?
Si sono diffusamente palesate talune perplessità della dottrina e della stessa giurisprudenza sulla possibilità di sanzionare la violazione degli obblighi di informazione e quindi la reticenza dell'intermediario con la nullità virtuale del contratto. Maggiori dubbi manifesta - per le ragioni già illustrate - la scelta di applicare alla violazione di queste regole la responsabilità contrattuale per inadempimento. Perplessità, poi, non mancano anche in ordine alle conclusioni cui giunge la Corte milanese.
Il "caos" giurisprudenziale - come è agevole intuirlo - è il frutto evidente di un quadro normativo assolutamente incompleto che, a nostro avviso, consente di individuare anche una terza via[30].
Come si è detto, non v'è dubbio che tutta legislazione più recente assecondi l'idea che l'informazione precontrattuale costituisca parte integrante dell'operazione economica, nel senso che l'informazione deve permettere al contraente "debole" di avere in dotazione un bagaglio di notizie connotate dai caratteri della chiarezza e della esaustività, al fine di superare pratiche contrattuali oscure ed opache e comportamenti fortemente penalizzanti per il cliente. L'obbligo di informazione è dunque finalizzato all'obiettivo di assicurare al contraente debole il massimo di conoscenze qualificate utili e rilevanti possibili, che valgano a porlo nella condizione ideale di effettuare consapevoli e ragionate scelte.
Sicchè appare assolutamente coerente il richiamo al dolo[31] ed eventualmente all'errore; ben può ritenersi che la reticenza dell'intermediario in ordine alle informazioni che la legge gli impone di fornire possa condurre - ricorrendone i presupposti -all'annullamento del contratto. Va ricordato in questa sede come il termine reticenza abbia acquisito con il tempo una valenza di mezzo fortemente rappresentativo ed evocativo di ogni vicenda di mancata comunicazione di dati rilevanti[32].
Del resto, etimologicamente reticenza e silenzio sono concetti diversi. Il primo è rappresentativo del contegno di chi non dice quel che potrebbe o dovrebbe dire. Il silenzio non necessariamente presuppone la conoscenza della circostanza non rivelata, mentre la reticenza implica sempre la cognizione di ciò che non si dice e, quindi, la coscienza e volontarietà dell'atto omissivo[33].
Va segnalato, peraltro, come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia affermato che il dolo quale vizio di annullamento del contratto non deve necessariamente consistere nell'inganno posto in essere con una condotta positiva di raggiro e/o mediante la comunicazione di notizie false, ma può anche ravvisarsi quando siano state taciute da uno dei contraenti all'altro, in violazione del principio di buona fede, fatti e circostanze decisivi che, se conosciute, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso[34].
Il superamento di comportamenti reticenti si giustifica - a maggior ragione - nel contesto della disciplina dei contratti connotati da asimmetria informativa, ove anche la dottrina più autorevole segnala il trascorrere dell'informazione "dalla mera rilevanza di comportamenti omissivi in termini di dolo o di inganno circa aspetti o qualità rilevanti della lex contractus - e cioè nella sede del processo formativo del volere - a (vero e proprio) set di obblighi e/o doveri a contenuto positivo quale rimedio, per definizione, contro il lack di conoscenze del contraente che non è stato in grado di procurarsele"[35].
In questa prospettiva può senz'altro sostenersi che l'omissione di comunicazioni che la legge impone di fornire può configurare la fattispecie del dolo come vizio del consenso.
Per concludere il contegno reticente dell'intermediario in presenza di un'espressa previsione di legge che gli impone di comunicare una serie di informazioni - determinanti per l'adesione consapevole del consumatore - è idoneo ad integrare la fattispecie del dolo contrattuale; il silenzio su determinate circostanza è più che sufficiente a creare l'inganno, posto che la specificità dell'informazione - giova ribadirlo - è posta a garanzia dell'adesione consapevole del risparmiatore.
*Commento destinato alla rivista "Danno e Responsabilità", Ipsoa, 5, 2007
[1] In questi termini si esprime ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l'ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contr. e impr., 2005, 896 ss.
[2] Trib. Firenze, 19 aprile 2005.
[3] Il riferimento è a GRISI, voce Informazione (Obblighi di), in Enc. Giur. Treccani (Vol. Aggiornamento), 2006, 5.
[4] Sul punto v. F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, Napoli, 2005, 40 ss.
[5] GRISI, op. cit., 7. Evidenzia l'A. come sembra superato l'approccio formalistico, quello "per intenderci, ispirante la disciplina delle condizioni generali di contratto (...)".
[6] Sul punto si rinivia a F. GRECO, Tutela dei risparmiatori e responsabilità del promotore finanziario, del soggetto abilitato e della Consob, Milano, in Resp. civ. prev., n. 4-5, 2005, 977.
[7] Così testualmente la motivazione della decisione.
[8] Nella stessa direzione v. anche Trib. Genova, 22 aprile 2005, in www.ilcaso.it [9] In questa direzione v., tra le altre, la decisione del Tribunale di Mantova del 12 novembre 2004, in Contratti, 6, 2005, 585 ss., con nota di M.M. GAETA.
[10] F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, op. cit., 8-9.
[11] DE POLI, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002, 175, nota 26.
[12] Il riferimento è a Cass. 7 marzo 2001, n. 2372.
[13] In tal senso v. Cass., Sez. Un. 2697/1972; Cass. 3794/1975; Cass. 5311/1979; Cass., 6601/1982.
[14] Il riferimento è a LUCCHINI GUASTALLA, Danno agli investitori e responsabilità delle autorità di vigilanza e degli intermediari finanziari, in Resp. civ. prev., 2005, 38. Evidenzia l'A. come possano "nutrirsi seri dubbi circa il fatto che l'interesse principale e prevalente tutelato dalla normativa in questione possieda quelle caratteristiche di interesse pubblico generale che la giurisprudenza solitamente considera come presupposto necessario per poter addivenire ad una pronuncia di nullità del contratto nell'ipotesi in cui vi sia stata la violazione del precetto imposto dalla norma imperativa; ciò in quanto le norme de quibus appaiono, ben diversamente, poste a tutela degli interessi degli invesitori che si trovino ad utilizzare i c.d. servizi di investimento e, dunque, solo indirettamente (o, al limite in via complementare) semberebbero assolvere alla funzione di garantire la trasparenza del mercato e la tutela del risparmio".
[15] Il riferimento è a Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno Resp., 1, 2006, 25 ss. con nota di ROPPO e AFFERNI (Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale) e in Resp. civ. prev., 4, 2006, 1080 ss., con nota di F. GRECO (Difetti di accordo e nullità nell'intermediazione finanziaria)
[16] In questa direzione v. ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l'ambaradan dei rimedi contrattuali, op. cit., 627; A. DI MAJO, Prodotti finanziari e tutela del risparmiatore, in Corr. giur., 2005, 1284. Per quest'ultimo A. non si fa buon governo delle categorie che riguardano il comportamento dei consociati e la cui violazione è fonte di responsabilità e regole che attengono invece ai requisiti di atti giuridici, posti nell'interesse generale, ove la conseguenza se inosservata è la invalidità degli stessi. In argomento v., anche, A. PERRONE, La responsabilità degli intermediari, in Banca borsa tit. cred., 2006, 372 ss.
[17] F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, op. cit., 1090.
[18] Per un approfondimento si rinvia a R. SACCO, Il consenso, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, I, t.1, in P. RESCIGNO (diretto da), Trattato dei contratti, 1999, 404 ss.
[19] D'AMICO, Le regole di validità e principio di correttezza nella formazione dei contratti, Napoli, 1996, 44 ss. Evidenzia GRISI, voce Informazione, op. cit. , 14 che se si guarda alla tutela, "resta ineludibile - nell'ambito del rapporto individualizzato, come pure in una più ampia prospettiva - il riferimento alla dialettica tra regole di responsabilità (e rimedio risarcitorio) e regole di validità (e tecniche di invalidazione e/o di inefficacia): la prima sembra, sovente, chiamata, in via suppletiva, a colmare i vuoti lasciati dalla seconda, ma un'unica lettura da tutti ben accetta non esiste dacchè - com'è logico - le soluzioni avanzate divergono a seconda che si acceda o meno ad una logica di interferenza tra le regole succitate".
[20] D'AMICO, op. cit., 68
[21] Come già si è affermato in altra sede (F. GRECO, Difetto di accordo e nullità nell'intermediazione finanziari, in Resp. civ. prev., 6, 2006, 1091) "il referente normativo fondamentale è l'art. 1338 c.c. che impone alla parte che conosce o dovrebbe conoscere l'esistenza di una causa di invalidità di darne notizia alla controparte, pena il risarcimento del danno da questa risentito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto. E' stato correttamente osservato, a tal proposito, che i criteri in base ai quali giudicare se la parte non errante conosceva o avrebbe potuto non conoscere l'errore essenziale del partner contrattuale sono gli stessi cui l'art. 1431 c.c. affida l'accertamento della riconoscibilità dell'errore invalidante. Quanto basta per sostenere, insomma, la combinazione tra regole di validità e regole di responsabilità."
[22] Osserva GRISI, voce Informazione, op. cit., 14 come gli scambi di mercato rinviino a meccanismi negoziali connotati dalla massificazione e dalla spersonalizzazione del rapporto; logico dunque che rispondano a logiche non assimilabili a quelle che governano la contrattazione individuale.
[23] F. GRECO, Difetto di accordo e nullità nell'intermediazione finanziaria, op. cit., 141.
[24] F. GRECO, Difetto di accordo e nullità nell'intermediazione finanziaria, op. cit., 141. Va segnalato che il Tribunale di Milano con decisione del 20 marzo 2006, in www.ilcaso.it ha operato un'ulteriore distinzione tra norme che contemplano la violazione di obblighi comportamentali che mai potrebbero produrre ex art. 1418 c.c. la nullità e regole che presiedono (a monte) la distribuzione di titoli sul mercato, relativamente alle quali, in considerazione dei più generali interessi sottesi, la sanzione della nullità , ex art. 1418 c.c. - per contrarietà all'ordine pubblico economico - appare più appropriata.
[25] Il riferimento è a Trib. Taranto, 27 ottobre 2004, in Giur. It., 2005, 754.
[26] Trib. Roma, 8 ottobre 2004, in www.ilcaso.it [27] D'AMICO, op. cit., 249
[28] D'AMICO, op. cit., 249 ss. Osserva l'A. che tutto ciò è incompatibile con i principi del nostro diritto dei contratti.
[29] D'AMICO, op. cit., 249 ss., nota 369.
[30] Qualche cenno verso una "terza" via è gia contenuto in F. GRECO, Tutela dei risparmiatori e responsabilità del promotore finanziario, del soggetto abilitato e della Consob, op. cit., 986. Ma qualche riferimento si trova anche in in F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, op. cit., 63.
[31] Di questo avviso è GRISI, voce Informazione, cit., 14.
[32] Per un approfondimento si rinvia a G. VISINTINI, La reticenza come causa di annullamento del contratto, in Riv. dir. civ., 1972, 170. Per l'A. il principio di correttezza dell'art. 1337 c.c., impone un generale obbligo di informazione, almeno relativamente all'oggetto della trattativa ed alle circostanze che condizionano gli scopi perseguiti, per cui la reticenza in tale ambito sarebbe sempre causa di annullamento. Id., La responsabilità della banca per false informazioni nel quadro dei servizi ai clienti, Relazione al convegno "Mercato finanziario e tutela del risparmio, Gardone Riviera, 10 e 11 giugno 2005. In giurisprudenza v.: Trib. Parma, 22 luglio 2005 che ha annullato la vendita di alcuni bond Parmalat Finance Corporation Bv di Rotterdam, finito in default con il crack di Collecchio.
[33] GRISI, L'obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, 282
[34] Cass. 7 agosto 2002, n. 11896, in Riv. dir. civ., 2004, II, 911 con nota di DE POLI (Servono i "raggiri" per annullare il contratto per dolo? Note critiche sul concetto di reticenza invalidante).
[35] A. DI MAJO, Libertà contrattuale e dintorni, in Riv. crit. Dir. priv., 1995, 17