Il nuovo articolo 140 bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva?
Pubblicato il 07/06/08 02:00 [Articolo 710]






1.-Premessa. 2.-Differenze tra azione di classe e azione collettiva. 3.-L'art.140 bis non introduce nuove posizioni di diritto sostanziale. 4.-La necessità sistematica di muovere dall'analisi dell'inibitoria generale disciplinata dall'art. 140 del codice del consumo. 5.- Una possibile evoluzione dall'azione inibitoria all'azione risarcitoria. 6.-L'art. 140 bis: frammenti di sicura sintonia con l'azione di classe all'americana. 7.-Le analogie discutibili: l'adesione come preteso strumento di aggregazione delle controversie individuali. 8.-L'art. 140 bis come evoluzione dell'inibitoria generale regolata dall'art. 140. 9.-Quasi una conclusione



1.- Nel "crescendo rossiniano"[1] che ha accompagnato il percorso dell'ultima legge finanziaria, l'atmosfera in cui fu approvata, come parte di essa, la c.d. azione collettiva risarcitoria evoca piuttosto una saga di paese. Con qualche risvolto ridicolo. Risolutivo fu infatti l'errore di bersaglio ad un tiro a segno. L'aberratio ictus consentì la conclusione dell'iter legislativo durante l'ultimo passaggio. Un senatore dell'opposizione determinò l'unico voto di maggioranza, sbagliando nel premere il pulsante del voto elettronico e abbandonandosi poi ad un "pianto irrefrenabile", come raccontano le cronache[2].
Ma vi è di peggio, al di là del folklore istituzionale.
Una serie di norme che interessano settori importanti come la trasparenza del mercato e la tutela dei consumatori sono state approvate grazie all'inserimento ad opera di due parlamentari di un emendamento nel contenitore rappresentato dalla finanziaria. Purtroppo da molto tempo si è presa l'abitudine di inserire nella legge di bilancio normative estranee, allo scopo di ottenerne l'approvazione senza meditate discussioni, speculando sulla fretta e sui voti di fiducia. Nel nostro caso la faccenda è particolarmente grave perché sull'introduzione dell'azione collettiva risarcitoria si aveva a disposizione un'ampia elaborazione fin dalla passata legislatura. E in quella appena conclusa giacevano presso la competente commissione parlamentare numerosi progetti di legge e la discussione era in pieno svolgimento su un c.d. testo base che ha costituito l'oggetto dell'emendamento alla finanziaria. Malgrado fosse ancora ben lontano dall'approvazione e, quindi, probabilmente con qualche sorpresa e rammarico da parte di chi più si era impegnato in commissione. Anche perché nel corso dell'andirivieni tra Camera e Senato il testo è stato ampiamente modificato su iniziativa del governo.
Ne è risultato qualcosa di peggio di un semilavorato con necessità di rifiniture ad opera della giurisprudenza, con la collaborazione della dottrina. Questa è una caratteristica generale della legislazione dei nostri tempi, la cui paternità "tecnica" è sovente ignota e in qualche caso inesistente.
Qui sembra a prima vista di essere di fronte allo scheletro di una struttura capace di servire sia per l'edificazione di una cattedrale, sia per l'ampliamento di una parrocchia.

2.-Fuor di metafora, occorre prima di tutto ricordare che in parlamento si fronteggiavano numerosi progetti di legge, agevolmente classificabili secondo una modellistica stipulativa a suo tempo anche da me adottata, che contrappone azioni di classe da un lato e azioni collettive dall'altro.[3] Alcuni progetti si ispiravano infatti alla c.d. class action nordamericana del terzo tipo, come regolata dall'art. 23 (b) 3 delle Federal Rules of Civil Procedure. Un'azione instaurabile anche da un singolo individuo che deduce in giudizio i diritti di una pluralità di soggetti (la classe) titolari di un credito al risarcimento dei danni originato da un illecito imputabile al convenuto (quasi sempre un'impresa)[4] e sottoposta ad un vaglio preventivo di ammissibilità (la c.d. certification), opportuno, anzi direi necessario perché in caso di ammissione il risultato finale vincola, a certe condizioni, tutti gli appartenenti alla classe che non abbiano dichiarato di volersene sottrarre (c.d. opt out). Tanto se si tratti di un provvedimento, sia di accoglimento sia di rigetto, quanto se si tratti di una frequentissima conciliazione. Tanto se si tratti di una sentenza di puro accertamento quanto se si tratti di una sentenza di condanna. Quest'ultima, alla pari della conciliazione, può portare alla creazione di un fondo in denaro destinato alla soddisfazione, sotto controllo di un "amministratore", dei crediti riconosciuti ai singoli membri della classe. Crediti comprensivi anche dei c.d. danni punitivi, sui quali avranno agio di soddisfarsi gli avvocati, i cui onorari sono qui di solito stabiliti in una percentuale delle somme recuperata. Senza contare che molto spesso accade che il denaro pagato dall'impresa convenuta vada tutto a compensare gli avvocati, mentre i membri della classe sono soddisfatti con il sistema dei coupons, valevoli per acquisti scontati o gratuiti di prodotti dell'impresa.
Altri progetti e in particolare quello governativo si inquadravano all'interno di un'evoluzione delle azioni di tutela dei consumatori già previste dall'ordinamento e recentemente consolidate nel c.d. codice del consumo. Azioni "collettive" instaurabili esclusivamente da associazioni nate e affermatesi come "centri di imputazione" di interessi che fanno capo ad un insieme di utenti e consumatori sovente più ampio rispetto agli associati e non legati tra loro da alcun rapporto giuridico. Esse tendono ad ottenere la tutela giurisdizionale degli interessi comuni attraverso provvedimenti che accertino l'illegittimità di comportamenti dell'impresa convenuta pregiudizievoli a quegli interessi, ne inibiscano la reiterazione e, eventualmente, adottino misure idonee ad eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate.
Ebbene, la pericolante struttura di cui si parlava contiene elementi che fanno pensare ad un legislatore orientato verso quest'ultima alternativa. Ma ne contiene altri che possono far pensare ad un orientamento nella direzione opposta. Assecondando una tendenza al compromesso tipica dell'attività del parlamento italiano, che produce sovente assemblaggi sbilenchi e probabilmente effimeri, con sovrana indifferenza verso il rischio dell'irrazionalità complessiva e delle difficoltà di applicazione.
Non ci si deve dunque stupire se i primi, autorevoli commentatori sono divisi nella loro opera ricostruttiva. Alcuni edificano la cattedrale dell'azione di classe. Altri sembrano preferire l'ampliamento della vecchia parrocchia dell'azione collettiva.
Con un'avvertenza però. Si tratta di differenze percepibili soprattutto nella prospettiva teorico concettuale, oltre che della terminologia adottata, dove i primi asseriscono che nell'azione risarcitoria sono dedotti i singoli crediti di aderenti e intervenuti, mentre a giudizio dei secondi l'oggetto del processo collettivo è costituito esclusivamente dalle questioni comuni ai danneggiati. Può, invece, capitare che le differenze per quanto riguarda le conseguenze operative siano estremamente modeste. Intendo, se ci mettiamo dal punto di vista della soddisfazione degli interessi in gioco. Non certo dal punto di vista dei problemi processuali, insorti a decine, dove si è detto tutto e il contrario di tutto[5].
Può capitare cioè che chi guarda all'azione di classe all'americana ammetta sì l'emanazione in sede collettiva di una sentenza di liquidazione del danno a favore dei singoli, quando vi siano i presupposti per determinare la "somma minima" ai sensi del quarto comma secondo periodo dell'art. 140 bis. Ma asserisca nello stesso tempo che si tratta di una sentenza con riserva delle eccezioni personali avanzabili dall'impresa condannata[6]. Mentre chi, guardando ad un'evoluzione delle azioni collettive già presenti nel nostro ordinamento, ritiene che i provvedimenti emanabili in sede collettiva non possano andare al di là dell'accertamento sulle questioni comuni, risolve con il ricorso ad un successivo decreto ingiuntivo o con la proposta di forme semplificate di cognizione il problema della "finalizzazione" del bisogno di tutela giurisdizionale dei singoli che della somma suddetta intendano accontentarsi (naturalmente qualora non si arrivi alla conciliazione a seguito della messa in moto dei meccanismi previsti dal sesto comma della medesima norma[7]. Differenza veramente da poco. Cambiano soltanto le posizioni processuali nel cd. giudizio di completamento. Il singolo danneggiato sarà l'attore nel secondo caso; il convenuto nel primo.

3.-Prima di addentrarmi nell'analisi devo compiere due operazioni preliminari.
Si tratta anzitutto di sgombrare il campo da una tesi che sta cominciando ad emergere nei convegni, in questo periodo numerosi, a sintomo del grande interesse destato dal nuovo istituto.
Taluno[8] sostiene che il nuovo articolo 140 bis del codice del consumo non si limita ad arricchire (piuttosto avaramente, come si vedrà) gli strumenti processuali indirizzati alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori. La norma avrebbe creato una nuova posizione di diritto sostanziale prima inesistente. Ubi (nova) actio, ibi (novum) ius, insomma.
Mi rendo conto che questa tesi conviene assai all'universo dei potenziali convenuti. In virtù del principio di irretroattività della legge sostanziale, qui non esplicitamente derogato, ne conseguirebbe l'inapplicabilità dell'art. 140 bis a comportamenti illeciti delle imprese verificatisi prima della sua entrata in vigore il 30 giugno prossimo. Ma a mio giudizio siamo in presenza di una tesi errata. E' vero che il numero 1 del comma 2 dell'art. della legge finanziaria piuttosto enfaticamente parla dell'azione collettiva risarcitoria come di un "nuovo strumento generale di tutela nel quadro delle misure nazionali volte alla disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti" - corsivi miei, dove generalità e novità assieme a disciplina dei diritti potrebbero far pensare in qualche modo ad una posizione di diritto sostanziale prima inesistente. Ma basta proseguire nella lettura del testo normativo per rendersi conto che così non è. A prescindere dalle più o meno trasparenti enunciazioni di principio, l'art. 140 bis del codice del consumo è chiarissimo nel dire che l'azione è indirizzata alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti: cioè di quelle medesime posizioni giuridiche a cui è indirizzata l'azione inibitoria generale già disciplinata dall'art. 140[9].

4.-Appunto, l'inibitoria generale. La seconda operazione preliminare riguarda questo istituto. Non lo posso ignorare per due buone ragioni. Mi tocca rispondere all'accusa diretta di eccesso di timidezza e indiretta di coltivare idee poco chiare[10] per avere a suo tempo manifestato contrarietà, per molti motivi, nei confronti dell'introduzione di un'azione di classe alla nordamericana nel nostro ordinamento, come volevano alcuni progetti di legge presentati nella legislatura appena terminata e per aver sostenuto che risultati importanti per la tutela degli interessi dei consumatori si potevano già ricavare, senza eccessi di audacia interpretativa, da una corretta utilizzazione dell'inibitoria. Ma, soprattutto, mi pare che non si possa prescindere da una ricognizione del complesso sistema normativo in cui la nuova azione si va ad inserire, quando ci si propone lo scopo di affrontare i problemi da essa presentati.
Ricordo brevemente i punti della mia ricostruzione[11]. L'accoglimento di una domanda inibitoria generale ai sensi dell'art. 140 del codice del consumo presuppone che si accertata la commissione di un illecito -contrattuale o extracontrattuale- da parte dell'impresa convenuta. Questo accertamento costituisce la "minima unità strutturale"[12] di una sentenza ed è pertanto suscettibile di acquistare l'autorità della cosa giudicata. Autorità che, se favorevole, può venir invocata dal singolo consumatore nella propria causa individuale[13], per una serie di buone ragioni che qui è superfluo ripetere e che sono da molti condivise[14]. Mi limito a ribadire che le preoccupazioni[15] circa una violazione nella causa individuale del diritto di difesa dell'impresa che ha perso la causa in sede collettiva non hanno ragione di sussistere. In ordine all'accertamento della responsabilità "in astratto" -ad esempio la dannosità del prodotto messo sul mercato- l'impresa ha già esercitato il diritto di difesa nella sua pienezza nel corso della causa collettiva. Se esistono peculiarità del rapporto individuale -ad esempio mancanza del nesso di causalità o addirittura dell'evento dannoso- l'impresa potrà esercitare il diritto di difesa, di nuovo nella sua pienezza, nella causa individuale. Quanto poi all'obiezione che si sottopone l'impresa alla grave incertezza derivante dalla proponibilità in sede individuale di una miriade di cause ad opera dei singoli consumatori per il caso inverso in cui essa abbia vinto si tratta a mio giudizio di un'obiezione che, quando non sia semplicemente strumentale, è frutto di scarsa sensibilità pratica. E' vero, il diritto di azione ex art. 24 Cost. esige la proponibilità suddetta, almeno dalla prospettiva di una giurisprudenza della Corte costituzionale storicamente legata non solo alla sostanza ma purtroppo anche al formalismo delle garanzie[16]. Tuttavia, è difficile che i singoli consumatori si avventurino in una controversia, dopo che la responsabilità del convenuto è stata negata nella causa collettiva. La forte probabilità di perderla costituisce un deterrente efficace. Se lo si ritiene insufficiente basterebbe introdurre forme ufficiose di responsabilità aggravata, in modo da contribuire ulteriormente alla limitazione della litigiosità individuale a quei casi, presumibilmente pochissimi, in cui la causa collettiva conclusa con il rigetto della domanda è stata, intenzionalmente o no, assai malamente gestita. Dobbiamo ora farci carico di un'altra obiezione, questa all'apparenza ancora più seria, nei confronti di un'azione collettiva che si limiti all'accertamento della responsabilità dell'impresa. Si dice che in confronto ad una vera e propria azione di classe all'americana questa limitazione determina un'insufficienza della tutela e una mancata razionalizzazione del contenzioso che vedrebbe sopravvivere un enorme numero di controversie individuali.
Non ne sarei così sicuro. Intanto va considerata la forza della spinta a conciliare operata da un accertamento definitivo di responsabilità. In secondo luogo bisogna considerare che in molti casi il singolo danneggiato potrà avvalersi del decreto ingiuntivo. E quando ne manchino i presupposti si può pensare di introdurre forme di concentrazione e semplificazione delle controversie individuali analoghe al giudizio di verifica dei crediti nelle procedure concorsuali[17] o, meglio ancora, di attuare una conversione verso il monitorio puro, almeno per questa materia.
Un'ultima obiezione lamenta il fatto che la mancanza di un'autentica azione di classe impedisce che si arrivi al risarcimento e soprattutto si ottenga l'effetto di deterrenza tipico della class action per i tort mass cases, quando l'ammontare dei danni sia così limitato, da non stimolare il singolo ad agire in giudizio per ottenerne il risarcimento.
Ma già l'inibitoria generale, (perfettamente simmetrica all'injunctive class action nordamericana) se utilizzata secondo le sue potenzialità ha ovviamente un ottimo effetto di deterrenza nei confronti della reiterazione dei comportamenti inibiti. Tanto più che a seguito dell'approvazione della legge comunitaria 2001, il settimo comma dell'art. 140 del codice del consumo ha introdotto una forte misura coercitiva a garanzia dell'obbedienza al comando inibitorio, assistito per di più dall'efficacia esecutiva nei casi previsti dallo stesso art. 140 comma 1° lettera b.
Quanto al rilievo che il singolo non agisce per il risarcimento di danni bagatellari il rilievo viene dagli Stati Uniti dove non si applica il principio della soccombenza. Non vale per l'Italia dove sono noti casi di decine di migliaia di cause seriali vinte per cifre irrisorie sia davanti al giudice di pace, sia quando vi sia la competenza per materia, davanti al tribunale[18]. Dovute al fatto che se irrisoria è la cifra richiesta, irrisori non sono gli onorari di avvocato a carico del soccombente. Fortemente stimolato quindi a scovare tanti clienti pronti a conferire la procura, senza esborsi, né prima né dopo. Con grave danno per l'efficienza dell'amministrazione della giustizia e contro lo stesso interesse delle imprese o degli enti pubblici coinvolti, che certamente preferirebbero l'azione collettiva per casi del genere.

5.-Insomma, non sarebbe né timida né rinunciataria né carente di chiarezza una disciplina composta da un'azione collettiva degli enti esponenziali in forma associativa, eventualmente riservando al giudice invece che alla pubblica amministrazione il riconoscimento dell'adeguata rappresentatività. Un'azione indirizzata al risarcimento dei singoli danneggiati per il tramite di un accertamento di responsabilità efficace a loro favore, e alla determinazione dei criteri per la liquidazione dei singoli crediti quando non siano necessari accertamenti di fatto relativi alle singole posizioni individuali (cioè quando i criteri di determinazione siano a tutti comuni o in altre parole abbiano sostanza collettiva), seguita da istanze conciliative opportunamente strutturate, nonché, per il caso di fallimento di queste ultime, da giudizi individuali veloci e semplificati. La si sarebbe potuta introdurre con un semplice perfezionamento della disciplina già oggi vigente, senza le complicazioni e ambiguità del nuovo art. 140 bis.
Devo tuttavia riconoscere che lo sviluppo dell"inibitoria generale in direzione risarcitoria come vero strumento di democrazia economica, esigerebbe un calcolo degli onorari degli avvocati, oggi che il patto di quota lite è venuto meno, indirizzato a individuare il valore della causa aggregando l'ammontare dei danni subiti dai singoli, secondo un calcolo di massima, quando non sia possibile una determinazione più precisa. Potremmo così più facilmente vedere all'opera quell' "individualismo altruistico" di cui con felice ossimoro parla Michele Taruffo[19]. Riferito però al professionista e non al singolo individuo legittimato alla class action.

6.-Si tratta ora di vedere come vanno sciolte le ambiguità e complicazioni appena ricordate. Prevalgono gli elementi indirizzati ad una ricostruzione dell'art. 140 bis nei termini di una copia, più o meno fedele, della class action oppure, come già appare chiaro essere per me preferibile, quelli indirizzati ad una ricostruzione nei termini di un'azione collettiva, nel solco delle scelte finora operate dal nostro legislatore?
Un primo elemento di somiglianza con l'istituto nordamericano troviamo nel secondo comma dell'art. 140 bis, che estende la legittimazione al di là delle associazioni di consumatori ed utenti rappresentative a livello nazionale anche ad "associazioni e comitati che sono rappresentativi degli interessi fatti valere". Dico questo, che potrebbe sembrare a prima vista strano, per una ragione assai semplice. E' noto che negli Stati Uniti la decisione di proporre l'azione di classe appartiene nella realtà allo studio legale, che allo scopo si mette alla ricerca dell'individuo legittimato. Questi assume la funzione di opportuno attaccapanni o uomo di paglia, a volte addirittura retribuito sotto banco[20]. Ebbene, se ora ci concentriamo sui comitati di cui al secondo comma del nostro art. 140 bis ci rendiamo conto che dal punto di vista della legittimazione la situazione non è così diversa, anche se malamente occultata da un velo di ipocrisia indirizzato a far vedere che non si abbandona la tradizione italiana che attribuisce ad enti esponenziali la legittimazione per la tutela degli interessi collettivi. Un comitato può essere formato da due persone appartenenti alla classe, con un accordo non bisognoso di formalità: eventualmente anche orale. Qualsiasi studio legale può dunque mettersi in caccia, senza neanche bisogno di un'organizzazione particolarmente complessa, se si tratta di azioni collettive semplici e territorialmente limitate. E' vero, non potrà accontentarsi di arruolare un membro della classe. Ne dovrà trovare due e farli accordare per la costituzione di un comitato. Questa non mi pare una grande differenza in confronto al sistema nordamericano[21]. Insomma, l'autentico significato dell'innovazione introdotta va visto principalmente nella rottura del monopolio professionale degli avvocati di fiducia delle associazioni nazionali dei consumatori iscritte nell'elenco ministeriale. L'azione risarcitoria potrà avere come rappresentante tecnico uno qualunque degli oltre 200.000 avvocati italiani che sia abbastanza intraprendente. Non sono in grado di esprimere una valutazione su questo fondamentale cambiamento. La legittimazione allargata produrrà probabilmente un numero maggiore di azioni risarcitorie in confronto alla legittimazione ristretta, tuttora conservata per l'inibitoria generale dell'art. 140. La cosa, i cui aspetti positivi sono stati giustamente messi in rilievo[22], nasconde anche due insidie: la fioritura di controversie in conflitto di interesse; l'affollarsi di azioni infondate, nella speranza di chiuderle con una conciliazione o una transazione, sia pure non molto onerosa per il convenuto, a causa dell'avversione al rischio di soccombenza, sia pure basso, dei rappresentanti organici delle imprese.
Il secondo aspetto di estrinseca somiglianza con la class action si trova nel giudizio preliminare di ammissibilità previsto nel terzo comma dell'art. 140 bis. Ha qualche analogia con la certification, compito attribuito al giudice nordamericano dall'art 23 (c) (1) delle FRCPR. Ma con ambito assai più ristretto. Il giudice in un'udienza di comparizione che deve precedere quella di trattazione prevista dall'art. 183 ai commi quarto e seguenti c.p.c., provvede, con ordinanza reclamabile alla Corte d'appello, "sentite le parti ed assunte quando occorre sommarie informazioni" sull'ammissibilità della domanda e la dichiara inammissibile "quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi, ovvero quando non ravvisa l'esistenza di un adeguato interesse collettivo suscettibile di tutela".
Dico subito che il giudizio di ammissibilità, malgrado le apparenze, non serve a sventare le due insidie di cui ho appena parlato. La probabile infondatezza di una domanda è cosa diversa dalla manifesta infondatezza. Può essere ben presente all'attore che agisce per una transazione o una conciliazione, senza che sia immediatamente rilevabile all'udienza, sia pure con l'ausilio delle sommarie informazioni[23]. Quanto al conflitto di interessi, si tratta di una situazione difficilmente percepibile dal giudice, specialmente nella fase preliminare. Non viene ovviamente sollevato dalle parti, ambedue intenzionate a tenerlo nascosto. Né si capisce da dove il giudice possa ricavare le sommarie informazioni per rilevarlo di ufficio, non potendosi immaginarlo dotato di particolari poteri inquisitori a questo scopo.
Le analogie incontestabili con il modello nordamericano finiscono qua e, come si vede, non sono gran cosa. Semplicemente, si è pagato il prezzo dell'allargamento della legittimazione ad agire fin quasi al singolo appartenente alla classe con l'introduzione del giudizio preliminare di ammissibilità. L'esperienza ci dirà se ne è valsa la pena, oppure se i giudizi collettivi risarcitori si incaglieranno nelle secche di una fase preliminare troppo dilatata oppure in eccessi di incontrollata severità da parte dei giudici di merito chiamati a valutare l'ammissibilità dell'azione.

7.-Esistono tuttavia altre caratteristiche della nuova azione risarcitoria strutturalmente così ambigue da aver indotto una parte della dottrina ad una ricostruzione, a dire il vero alquanto "visionaria", che la avvicina alla class action, come strumento capace di condurre a provvedimenti di completa tutela dei crediti individuali i cui titolari abbiano tenuto i due possibili comportamenti preveduti dalla norma: l'adesione e l'intervento.
Ai sensi del secondo comma dell'art. 140 bis "I consumatori o utenti che intendono avvalersi della nuova tutela prevista dal presente articolo devono comunicare per iscritto al proponente la propria adesione all'azione collettiva. L'adesione può essere comunicata, anche nel giudizio di appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni. Nel giudizio promosso ai sensi del comma 2 è sempre ammesso l'intervento dei singoli consumatori o utenti per proporre domande aventi il medesimo oggetto".
Gli scrittori più decisi e con più ampia messe di argomentazioni a favore di un'interpretazione della norma come se essa fosse indirizzata all'aggregazione di una serie di domande individuali gestite dal proponente sono Remo Caponi[24] Claudio Consolo[25] e Andrea Giussani[26]. Sia pure con molte rilevanti differenze nella individuazione delle conseguenze operative, dove il primo appare il più prudente e l'ultimo il più audace.
Vediamo come, prendendo a paradigma l'analisi operata da Claudio Consolo. Comincio dall'adesione[27], simulacro alquanto fasullo di opt in, assoluta novità per il processo italiano, totalmente estranea al sistema degli interventi. A parte le questioni più minute di ricostruzione della disciplina, certo è che questa comunicazione scritta al proponente prevista dal secondo comma dell'art. 140 bis, che non richiede l'intermediazione di un legale, si presenta, almeno al giurista ingenuo, come un atto unilaterale recettizio indirizzato ad ottenere l'estensione degli effetti della sentenza preveduti dal quinto comma[28] . Questo sembra esigere la connessione sistematica tra le due norme. Invece secondo Consolo si tratterebbe di un contratto atipico con il proponente, tra il mandato e il contratto d'opera: l'adesione si configurerebbe come l'accettazione della proposta al pubblico, contenuta nell'"idonea pubblicità dei contenuti dell'azione". La proposta, se abbiamo capito bene, di gestire i rapporti individuali nel corso dell'azione collettiva, deducendo prove, argomentando in diritto e così via (esclusi "i poteri processuali che presuppongano la titolarità o la piena disponibilità di quegli stessi diritti, quali rispondere agli interrogatori, specie formale, rendere confessione o deferire giuramento"[29] e prestarlo, aggiungerei).
Sottolineo subito che pubblicizzare l'instaurazione dell'azione collettiva, come ad esempio già avviene in Germania con la Kapitalanleger­Musterverfahrengesetz (KapMuG), non significa proporre alcunché, ma dare notizia agli interessati, per stimolare all'azione. Un offerta contrattuale all'insieme dei titolari dei diritti al risarcimento occorrerebbe che fosse esplicita nella sua articolazione grammaticale.
Ma, soprattutto, qui occorre intendersi: se si vuole sostenere, che il proponente è legittimato, a seguito dell'adesione, a gestire i diritti individuali esclusivamente per i profili di essi che hanno valenza collettiva[30], allora parlare di oggetto del processo come fosse formato dall'insieme delle relative controversie, introducendo il concetto di litisconsorzio aggregato, o qualsiasi altra bella figurazione dogmatica si voglia escogitare non mi sembra corretto. Introduce una superfetazione dannosa, fonte di fraintendimenti e di complicazioni inutili. Ad esempio, nella ricostruzione della sentenza che chiude il giudizio collettivo. Si arriva a parlare, in relazione ai diritti individuali, di una condanna del convenuto con riserva delle eccezioni, di cui non trova alcuna traccia nel testo legislativo[31].
Molto più banalmente e, bisogna aggiungere, nel solco della tradizione, è sufficiente vedere il proponente come ente esponenziale del fascio di questioni comuni ai danneggiati, oggetto esse, ed esse soltanto, del processo e del giudicato collettivo. Un giudicato purtroppo, a seguito di una scelta legislativa discutibile, ad esclusivo favore, nel caso di vittoria, degli autoinvitati di pietra che abbiano aderito. Soltanto essi infatti potranno avvalersi degli effetti della sentenza di accertamento positivo sull'insieme delle questioni comuni (variabile, come vedremo più avanti, a seconda della tipologia delle controversie).
Se invece si vuole sostenere, ho difficoltà a crederlo, ma così sembra, a leggere qualche passo di Consolo[32], che il diritto dell'aderente entra nel processo collettivo nella sua concretezza, con tutte le peculiarità rispetto ai diritti degli altri, allora la ricostruzione proposta va incontro a difficoltà insormontabili
Come si giustificherebbe, dal punto di vista della ragionevolezza costituzionale le limitazione del diritto alla prova spettante al convenuto? E poi: come si giustificherebbe la facoltà di inoltrare l'adesione fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, addirittura in appello? Se avviene a questo punto, sarebbe ragionevole sottrarre ad ambedue le parti un grado di giudizio per il solo fatto del ritardo nell'inoltrare l'adesione?
E' vero la facoltà in discorso viene severamente criticata sottolineando che il processo "per effetto dei "regressi" continui alla fase istruttoria rischierà di riavvitarsi infinite volte e non finire mai"[33].
Ma questi tre inconvenienti, gravissimi e inaccettabili, originano esclusivamente dalla ricostruzione proposta, che oltretutto non trova alcun conforto nella lettera e nello spirito della legge. Lo trova, tautologicamente, soltanto grazie ad un modo "visionario" di percepirla, che sembra frutto di pensiero desiderante.
Chi scrive è stato sempre convinto che le stanze degli studiosi non sono il luogo di esercizio della sovranità popolare. Si propone pertanto di prendere la norma esclusivamente per quello che dice nelle sue connessioni sistematiche. Cercando di schivare gli sforzi arcani nell'iperuranio della Begriffsjurisprudenz, per i quali si sente poco adatto.

8.-L'art. 140 bis, dalla prospettiva dell'oggetto del processo e del contenuto del provvedimento, oltre che guardando alla sua collocazione, rappresenta uno sviluppo delle azioni collettive già presenti nell'ordinamento e in particolare dell'inibitoria generale come più sopra ricostruita. Con notevoli passi in avanti, di cui mi occuperò tra poco. Ma anche con un deplorevole passo indietro del quale voglio occuparmi subito.
La ricostruzione dell'efficacia dell'azione collettiva inibitoria a favore dei singoli consumatori per quanto riguarda l'accertamento della responsabilità dell'impresa non può venir estesa all'azione collettiva risarcitoria. Qui il legislatore è stato chiarissimo nel restringere l'efficacia della sentenza collettiva, sia a favore che contro i singoli consumatori, a quelli di essi che abbiano aderito o siano intervenuti. Il comma quinto del nuovo art. 140 bis recita, questa volta con la massima chiarezza: "la sentenza che definisce il giudizio promosso ai sensi del comma 1 fa stato anche nei confronti dei consumatori o utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio"[34]. Dal che bisogna desumere, a contrario, che non fa stato nei confronti dei consumatori o utenti non intervenuti né aderenti. Conclusione confermata dalla previsione immediatamente successiva, secondo cui "è fatta salva l'azione individuale" di questi ultimi. La contraria opinione, pur autorevolmente espressa[35], secondo cui anche i consumatori estranei al giudizio possono avvalersi della sentenza favorevole purtroppo non può essere accolta. A parte l'argomento letterale va sottolineato che, se così davvero stessero le cose, non sarebbe fatta propria da alcuno la scelta di aderire all'azione risarcitoria. Si tratterebbe di una scelta suicida, visto che con l'adesione si corre il rischio di subire gli effetti della sentenza di rigetto, che il consumatore estraneo non subirebbe affatto.[36]
L'aver ristretto l'efficacia del giudicato ai soggetti a vario titolo partecipi del giudizio comporta anche un pericolo sul piano dell'interpretazione della normativa previgente. Diventa a questo punto assai probabile che perda definitivamente terreno la tesi circa l'efficacia ultra partes e secundum eventum dell'inibitoria. Per l'interprete diventa difficile spiegare come mai l'accertamento della responsabilità dell'impresa in sede di azione inibitoria giovi incondizionatamente ai singoli consumatori e invece lo stesso accertamento in sede di azione risarcitoria giovi solo ai consumatori aderenti o intervenuti. Anche perché, cosa ovvia, azione inibitoria e azione risarcitoria ben possono essere esercitate cumulativamente dalle associazioni legittimate ai sensi dell'art. 140.
I passi in avanti derivano da un campo più vasto di applicazione del nuovo strumento di tutela in confronto all'inibitoria.
Nell'azione risarcitoria possiamo avere l'accertamento del diritto al risarcimento del danno in casi, presumibilmente assai numerosi, nei quali l'inibitoria non sarebbe proponibile. Basti pensare ad un atto illecito che provochi danni ad una massa di consumatori ed utenti, ma che non sia conseguenza di un comportamento continuativo dell'impresa, idoneo a legittimare l'esercizio dell'inibitoria. Ad esempio, il disastro aereo dovuto a colpa del pilota, invece che alla cattiva manutenzione degli aerei.
Inoltre l'azione risarcitoria può condurre non solo all'accertamento dell'illecito contrattuale o extracontrattuale dell'impresa -accertamento a cui sempre si limita l'inibitoria. Può condurre anche alla determinazione dei "criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio". In più "se possibile allo stato degli atti, il giudice determina la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente" (scilicet, aderente o intervenuto).
Qui bisogna intendersi: siamo sempre di fronte a capi diversi di una sentenza di accertamento. Mai di condanna a favore di singoli. Tutte le possibili determinazioni successive sono determinazioni "in astratto" su questioni comuni, rese possibili da particolarità della fattispecie. Ce lo dice con chiarezza non solo il linguaggio adottato dal legislatore, ma soprattutto la circostanza dell'uso reiterato del termine "collettivo" per indicare il tipo di tutela giurisdizionale che ci troviamo di fronte.
Per meglio comprendere il dettato legislativo conviene riflettere sulla variegata tiplogia delle possibili azioni risarcitorie.
1) da un lato abbiamo ipotesi dove la liquidazione dei danni o il calcolo dell'importo delle restituzioni è frutto di calcoli elementari e di criteri uniformi da applicare a ciascun avente diritto e nello stesso tempo non residuano altre questioni da decidere. Si pensi al caso che venga dichiarato il diritto alla restituzione di somme pagate ad una società telefonica per consumi dovuti all'abilitazione di numerazioni fuori del controllo dell'utente; oppure al caso che venga dichiarato il diritto al risarcimento del danno a favore di sottoscrittori di azioni che hanno subito gravi perdite rispetto al prezzo di sottoscrizione, in presenza di omissioni o falsità nel prospetto informativo;
2) d'altro lato abbiamo ipotesi dove non solo è particolarmente complicata la determinazione del se e il quanto del danno subito dal singolo consumatore, e magari è possibile mettere in discussione il nesso di causalità, ma addirittura la singolarità della fattispecie esonera l'imprenditore dalla responsabilità (si pensi alle pretese di risarcimento dei danni per difettosità di un prodotto, quando il giudice accerti il mancato assolvimento dell'onere della prova circa il fondamento della domanda proposta dal singolo consumatore, oppure alla trattativa individuale che fa venir meno l'abusività di una clausola ai sensi dell'art. 34 quarto comma codice del consumo).
Orbene, nella seconda classe di ipotesi in sede collettiva il giudice non potrà che limitarsi all'accertamento della responsabilità dell'impresa per la messa in circolazione del prodotto difettoso Tutti gli altri elementi che integrano il diritto al risarcimento del danno del singolo e la relativa liquidazione dovranno essere oggetto della controversia individuale. Non possono formare oggetto di accertamento nel giudizio collettivo per la semplice ragione che non si tratta di elementi comuni a tutti, per chi ritiene di non poter costruire l'azione collettiva come un'aggregazione delle cause individuali di aderenti e intervenuti, volendo evitare gli inconvenienti più sopra analiticamente denunciati
Nella prima classe di ipotesi, invece, un maggior numero di elementi della fattispecie potranno già venir accertati in sede collettiva. Per fare un altro esempio, torniamo al disastro aereo, senza superstiti. Qui il singolo erede dovrà allegare e in caso di contestazione dimostrare la qualità e cioè la legitimatio ad causam nel successivo giudizio individuale. Ma, se ha aderito, la sentenza collettiva farà stato a suo favore non solo sulla responsabilità della compagnia, ma anche sul se del danno oltre che sul nesso di causalità. In più il giudice potrà determinare, oltre ai criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere, anche la somma minima dovuta, ai sensi del comma 4° dell'art. 140 bis.
Comunque, in base allo jus quo utimur -magari da opportunamente rivedere-si tratterà pur sempre di un capo di accertamento, non suscettibile di essere accompagnata da una provvisionale dello stesso ammontare predeterminato, né di costituire titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale[37]. Conclusione avvalorata dalla stessa disciplina della conciliazione successiva disciplinata dalla prima parte del sesto comma dell'art. 140 bis. Qui si ricava che l'esecutività della determinazione giudiziale risulta condizionata dalla successiva proposta conforme dell'impresa e dall'accettazione di aderenti e intervenuti.

9.- Una breve osservazione finale. E' difficile sfuggire alla sensazione che coloro i quali, con maggiore o minor coerenza costruiscono l'azione ex art. 140 bis come un'aggregazione di domande individuali gestite dal proponente non siano soltanto mossi dall'ammirazione per la class action. Sembra altresì che essi si sentano disturbati dalla novità di trovarsi dinanzi questioni comuni che integrano elementi delle singole fattispecie che danno origine al diritto al risarcimento dei singoli. Ma non bisogna farsi prigionieri dell'incrocio o meglio dalla sovrapposizione tra interesse collettivo di cui si fa portatore l'ente esponenziale e diritti dei singoli, così da pensare (a torto) che sia impossibile separarli concettualmente, ascrivendo a ciascuno la dovuta autonomia. Dal punto di vista dell'azione risarcitoria ciò che conta è esclusivamente la valenza collettiva delle questioni comuni. Molti parlano al riguardo di diritti "isomorfi" Può anche andar bene. A patto sia chiaro che l'attore dell'azione collettiva fa valere esclusivamente l'"isomorfia".









? questo saggio è destinato agli Studi in onore di Modestino Acone.
[1] Cfr. CONSOLO, E' legge una disposizione sull'azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dello "opt-in" anziché quella danese dello "opt out" e il filtro ("L'inutil precauzione"), in Corr. Giur. 2008, p. 5.
[2] Cfr. www. Corriere.it del 15 novembre 2007.
[3] A patto però di rovesciare specularmene la terminologia prescelta dai singoli parlamentari proponenti e dallo stesso governo. Come ho avuto occasione di sottolineare, in Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2007, p. 568 s.,la proposta di legge n. 1834, di iniziativa del deputato Pedica; la proposta n. 1443 di iniziativa dei deputati Poretti e Capezzone, la proposta n. 1330 di iniziativa del senatore Fabris sono tutte proposte chiaramente ispirate al modello nordamericano della azione di classe (azione a legittimazione individuale; giudizio preventivo di ammissibilità, nomina del c.d. curatore amministrativo). Ma le azioni ivi previste sono denominate, azione collettiva (proposta Fabris), oppure azione giudiziaria collettiva (proposte Poretti e Pedica).
Per converso, la proposta di legge di iniziative dei ministri Bersani e Mastella, la proposta n. 1662 di iniziativa del deputato Buemi e altri, la proposta n. 679 di iniziativa del senatore Benvenuto sono tutte proposte che si limitano a segnare un'evoluzione (neanche così marcata) dell'azione collettiva inibitoria già presente per il nostro ordinamento nel ricordato art. 140 del codice del consumo. Ma le azioni ivi previste sono denominate, in inglese, class action nella relazione della prima proposta e addirittura nella rubrica del primo articolo delle ultime due[3], con una non molto lodevole manifestazione di esagerato cosmopolitismo.
La ragione di questa singolare inversione terminologica è un mistero. Si potrebbe forse pensare che i proponenti di una semplice, piccola evoluzione di un meccanismo giurisdizionale da anni presente nel nostro ordinamento l'abbiano voluta verniciare con un riferimento di gran moda e che, per converso, i proponenti dell'importazione del modello nordamericano abbiano scelto l'understatement allo scopo di far passare più facilmente una vera e propria rivoluzione che ha trovato un certo numero di oppositori al tempo di analoghe iniziative della passata legislatura. Opportuno comunque sottolineare che la terminologia e la contrapposizione adottate nel testo sono sì stipulative, ma si adeguano alla discussione in corso nel nostro paese. Non rendono, invece, giustizia ai giuristi nordamericani che parlano indifferentemente di collective o di class action con riferimento al medesimo fenomeno processuale.
[4] Val la pena di notare che la legittimazione all'azione di classe non è limitata negli Usa all'universo dei consumatori, anche se la maggior parte delle azioni viene instaurata a loro tutela. Si danno anche azioni di classe risarcitorie a tutela dei diritti civili e della pubblica salute contro disastri ambientali. E si danno anche azioni di classe passive, come quella contro una diocesi cattolica in situazione di bankrupcy, che ha visto eleggere a membri della classe tutti i cattolici residenti nella sua circoscrizione, a difesa dei loro interessi minacciati dalla vendita dei beni, in particolare degli edifici adibiti a scuola.
[5] Si veda l'analisi di BRIGUGLIO, L'azione collettiva risarcitoria, Torino, 2008, passim.
[6] Cfr. CONSOLO, in CONSOLO-BONA-BUZZELLI, Obiettivo Class Action: l'azione collettiva risarcitoria, Milano 2008, p. 240.
[7] Cfr. COSTANTINO nel saggio a nota 17.
[8] Ad esempio VIETTI, in un recente convegno torinese.
[9] Alla stessa conclusione giunge GIUSSANI, Azioni collettive risarcitoria nel processo civile, Bologna, 2008, p. 226, in base al diverso argomento secondo cui "la situazione di vantaggio avente per oggetto la pronuncia di un provvedimento di portata superindividuale presenta un contenuto meramente processuale"; v. anche Carratta, L'azione collettiva risarcitoria e restitutoria: presupposti ed effetti, in Riv. dir. proc., 2008, § 13.
[10] Cfr. Consolo, È legge una disposizione sull'azione collettiva risarcitoria, cit., p. 5 ss.
[11] La si trova in Per la chiarezza di idee, cit., p.
[12] Rubo l'espressione a VERDE, Sulla" minima unità strutturale" azionabile nel processo (a proposito di giudicato e di emergenti dottrine), in Riv. dir. proc., 1989, p. 573 ss.
[13] se l'impresa non avrà attivato forme di conciliazione di massa, cosa per essa in molti casi assai conveniente.
[14] Cfr. per tutti e da ultimo un autorevole studioso del giudicato come MENCHINI, in La tutela giurisdizionale dei diritti individuali omogenei: aspetti critici e prospettive ricostruttive, in Le azioni seriali, Napoli, 2008, p. 83 ss.
[15] Manifestate da CARRATTA, Brevi osservazioni sull'inibitoria a tutela di consumatori e utenti, in Giusto processo civile e procedimenti decisori sommari, a cura di Lanfranchi, Torino, 2001, p. 132..
[16] CONSOLO, Obiettivo, cit., p. 177 ss.; GIUSSANI, L'azione collettiva risarcitoria, cit., p.; Carratta, Azione collettiva, cit., § 8; VIGORITI, Impossibile la class action in Italia?, in Resp. Civ. e prev., 2006, p. 38 sono favorevoli all'introduzione di un meccanismo di opt out nel nostro ordinamento (a differenza d'altri, v, ad esempio, da ultimo MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, in Il giusto processo civile, 2008, p. 43) e non pensano che vi siano ostacoli di ordine costituzionale. Lo penso anch'io. Ma dovremmo contare su una giurisprudenza della Corte costituzionale più attenta ai valori coinvolti e meno agli ostacoli che risulterebbero da un'interpretazione formalistica del combinato disposto degli art. 24 comma 1° Cost, 2909 c.c. e 101 c.p.c.
[17] Cfr., per questo suggerimento, COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela collettiva, in Riv. dir. proc., 2004, p. 1030 s.
[18] Basterà ricordare il caso delle migliaia di cause di lavoro contro le ferrovie di qualche anno fa (caso famigerato, che avrebbe dovuto interessare qualche procura della repubblica per la resistenza delle ferrovie di fronte all'evidenza del torto); l'enorme numero di cause previdenziali per pochi euro in certe regioni del paese; l'ancora più enorme numero di cause davanti al giudice di pace per il risarcimento di danni da black out elettrico o per il risarcimento di danni da accordi di cartello tra compagnie assicuratrici della responsabilità civile da incidente stradale.
[19] Cfr., Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in Aa.Vv., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino 2003, p. 65.
[20] Lo riconosce anche un convinto apologeta del modello nordamericano come GIUSSANI, in Controversie seriali e azione collettiva risarcitoria, in Riv. dir. proc.,2008, p. 467.
[21] Questa impostazione non è condivisa da MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., p. 45, a cui giudizio la soluzione intermedia accolta dall'art. 140 bis eviterebbe "gli abusi e le distorsioni che hanno caratterizzato, negli ultimi decenni, l'esperienza nordamericana, soprattutto sotto l'aspetto del ruolo assunto, in quegli ordinamenti, dagli studi legali, quali promotori delle domande risarcitoria di classe".
[22] RUFFINI, Legittimazione ad agire, adesione ed intervento nella nuova normativa sulle azioni collettive risarcitorie e restitutorie di cui all'art. 140 bis del codice del consumo, in Studi in onore di Punzi, Torino 2008, Vol. I, p. 456 approva l'estensione della legittimazione, osservando che mantenere al restrizione "si sarebbe posto in conflitto con gli obiettivi perseguiti dal legislatore, individuabili principalmente nella emersione di esigenze di giustizia altrimenti destinate a rimanere insoddisfatte, nella prevenzione degli illeciti plurioffensivi e nell'economia processuale". L'innovazione è valutata positivamente anche da Menchini, Op. loc. cit. e da Carratta, Azione collettiva, cit., § 5.
[23] Senza contare poi che, come è stato giustamente sottolineato da CONSOLO, in Obiettivo class action, cit., p156, la manifesta infondatezza deve "riguardare più che altro una prognosi in jure, visto che la fase preliminare del giudizio di ammissibilità non si presta ad una penetrante verifica dei fatti". Nello stesso senso Carratta, Azione collettiva, cit., § 7.
[24] Cfr. Litisconsorzio «aggregato». L'azione risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, in corso di pubblicazione in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008.
[25] CONSOLO, in Obiettivo Class Action, cit., p. 143 ss.
[26] In L'azione collettiva risarcitoria nell'art. 140 bis cod. cons., in corso di pubblicazione in Riv. dir. proc., 2008.
[27] Non intendo occuparmi a fondo dell'intervento, che sarebbe stato meglio omettere di prevedere. Mi limito ad osservare che non sembra opportuno interpretarlo come se si trattasse dell'esercizio dell'azione individuale entro la controversia collettiva, con tutte le complicazioni che ne potrebbero derivare in termini di economia del giudizio. Anche se è vero che questa è per ora la tesi più diffusa: cfr. per tutti COSTANTINO La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell'art. 140 bis cod. consumo, in Foro it., 2008, V, c 24; Carratta, Azione collettiva, cit., § 8. Osservo in contrario: il legislatore ha chiaramente stabilito che l'intervento è ammesso "per proporre domande aventi il medesimo oggetto". Ovviamente, il medesimo dell'azione collettiva. D'altra parte, se si tiene conto che gli intervenuti hanno tutti i poteri processuali (dei quali sono invece totalmente privi gli aderenti) non occorre molta fantasia casistica per immaginare quando l'intervento del singolo può essere molto utile per l'accoglimento della domanda collettiva, specialmente sul piano istruttorio.
[28] Oltre che provocare gli effetti interruttivi della prescrizione previsti al secondo comma. Dal che si desume l'insufficienza della comunicazione al proponente. Malgrado il silenzio del legislatore occorrerà esigere anche che le adesioni siano rese note al convenuto, almeno con la produzione in giudizio.
[29] Op. cit., p. 188.
[30] Questa sembra essere l'ultima evoluzione del pensiero di CAPONI in Oggetto del processo e del giudicato ad assetto variabile (note in margine alla polemica sull'azione collettiva risarcitoria), in corso di pubblicazione in Foro it., 2008 numero di giugno. Trovo qui una bella metafora per concettualizzare quanto esposto più avanti nel testo a proposito della differente possibile tipologia delle azioni risarcitoria dovuta al più o meno ampio ambito delle questioni comuni a tutti i danneggiati e che avevo gia avuto occasione di anticipare nell'intervento, per mia inettitudine non pubblicato, in Le azioni seriali, Atti del convegno tenutosi presso l'Università di Pisa a cura di Menchini il 4 e 5 maggio 2007, Napoli, 2008, ma ricordato in Una breve replica di PELLEGRINI GRINOVER, ivi, p. 235.
[31] Cfr. CONSOLO, Obiettivo, cit., nel luogo già citato alla nota 6.
[32] Difficile una conclusione diversa, quando leggo in CONSOLO, Obiettivo Class Action, cit., p. 189 "Dire che le adesioni ricevute e accolte possono venire introdotte lungo tutto il corso processuale significa chiaramente dover offrire al convenuto, ogniqualvolta arrivi un nuovo credito (corsivo mio), una possibilità rinnovata di "difendersi provando", ben dopo le "canoniche" scadenze del rinnovato art. 183 c.p.c. Ma il dubbio sul punto di vista di questo autore ritorna, quando in altro luogo leggo in Op. cit., 240, che, secondo un'opzione interpretativa, si dovrà riconoscere all'impresa convenuta nel giudizio individuale dal singolo consumatore "una certa lata facoltà di opporre allo stesso ancora contestazioni specifiche e personali...per esempio l'intervenuta prescrizione". In sostanza, come dire che si ha una condanna con riserva delle eccezioni di merito individuali. Per poi però subito dopo non rifiutare l'opzione ricostruttiva che vuole il convenuto sollevare già nel giudizio collettivo le contestazioni individuali contro il singolo aderente, "con conseguente definitivo accertamento implicito o comunque preclusione del potere di sollevare poi l'eccezione nel giudizio individuale", e sostenere altrove, p. 204, che la sentenza si spinge "ben oltre lo schema della mera azione collettiva sulle questioni comuni.
[33] Conviene qui sottolineare che ricostruire l'azione collettiva come un aggregato di domande individuali comporta una durata irragionevole del processo anche se la disciplina non prevedesse questi pretesi "regressi". STIER B.G., Resolving the Class Action Crisis: Mass Tort Litigation as Network, in Utah Law Review, 2005, p. 865, nota 12, ricorda che in Arch v. Am. Tobacco Co., 175 F.R.D. 469, 488 n.19 (E.D. Pa. 1997) il giudice osserva : "tobacco class-action trial would take approximately 250 years even if only one hour were used for individual issues per class member").
[34] cioè, oltre che nei confronti degli intervenuti. Non mi pare che l'avverbio sia interpretabile nel senso che la sentenza fa comunque stato nei confronti delle associazioni che non hanno proposto l'azione, come suggerisce CONSOLO, Obbiettivo Class Action, cit., p. 207 ss.
[35] MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., p. 53.
[36] Così, molto giustamente, CONSOLO, Obiettivo, cit., p. 210.
[37] Così anche COSTANTINO, La tutela collettiva cit., c. 23.


















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