Per offerta fuori sede, secondo l’art. 30, primo comma, del d.lgs 24 febbraio 1998 n. 58, testo unico finanza “si intendono la promozione e il collocamento presso il pubblico: a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell'emittente, del proponente l'investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento; b) di servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l'attività.”
Per tale attività, ai sensi dell’art. 31 del testo unico finanza, le Sim, le banche italiane, le imprese di investimento e le banche UE, le imprese di paesi terzi, le Sgr, le società di gestione UE, le Sicav, le Sicaf, i GEFIA UE e non UE, gli intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del testo unico bancario si devono avvalere di “consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede”, precedentemente ad una modifica del 2015 denominati “promotori finanziari”, iscritti in un apposito albo tenuto dall’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari (OCF).
L'attività di consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede è svolta esclusivamente nell'interesse di un solo soggetto, il che però non significa, salvo le incompatibilità previste dall’art. 157 del Regolamento Consob 22430/2022[1], che il consulente non possa esercitare anche altre attività, come ad esempio quella di agente di commercio per prodotti non rientranti nell’ambito finanziario.
Il consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede promuove e colloca i servizi d'investimento e/o i servizi accessori presso clienti o potenziali clienti, riceve e trasmette le istruzioni o gli ordini dei clienti riguardanti servizi d'investimento o prodotti finanziari, promuove e colloca prodotti finanziari, presta consulenza in materia di investimenti ai clienti o potenziali clienti rispetto a detti prodotti o servizi finanziari. Può promuovere e collocare contratti relativi alla concessione di finanziamenti o alla prestazione di servizi di pagamento per conto del soggetto nell'interesse del quale esercita l'attività di offerta fuori sede.
L’art. 31, terzo comma, del testo unico finanza, prevede che “il soggetto che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”.
Tale particolare responsabilità oggettiva indiretta, cioè senza colpa propria e per fatto altrui, è stata introdotta nel nostro ordinamento[2] dal quarto comma dell’art. 5 della l. 2 gennaio 1991 n. 1 che prevedeva che “la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguiti a responsabilità accertate in sede penale”.
In precedenza era invece previsto un limitato impegno fideiussorio di carattere convenzionale degli intermediari la cui assunzione condizionava il rilascio dell’autorizzazione amministrativa ex art. 18 ter della l. 7 giugno 1974 n. 216.
La norma generale codicistica sulla responsabilità dei padroni e dei committenti di cui all’art. 2049 c.c.[3] non era infatti ritenuta pienamente idonea allo scopo, non tanto perché mancante dell’inciso “anche se tali danni siano conseguiti a responsabilità accertate in sede penale” che come sarà chiaro dal proseguo è abbastanza pleonastico, ma in quanto, potendo il rapporto giuridico intercorrente tra intermediario e consulente essere di lavoro dipendente, di agenzia o di mandato, nella pratica la tipologia contrattuale più usata è quella del contratto di agenzia (art. 1742 c.c.), in genere senza rappresentanza, neanche quella più limitata di cui all’art. 1744 c.c., vale a dire la facoltà di riscuotere.
Ed il consulente agente è un imprenditore commerciale in proprio ai sensi del n. 5 dell’art. 2195 c.c. nei cui confronti, stante la sfera di autonomia imprenditoriale, non può essere esercitato un controllo penetrante come quello relativo ai dipendenti e commessi, sia pur in senso lato, tanto che in questo caso l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. potrebbe essere messa in discussione.
Tra l’altro i consulenti finanziari non possono detenere denaro e/o strumenti finanziari dei clienti o potenziali clienti del soggetto per cui operano[4]. Inoltre possono ricevere dal cliente o dal potenziale cliente, per la conseguente immediata trasmissione, esclusivamente: a) assegni bancari o postali, assegni circolari o vaglia postali intestati o girati al soggetto abilitato per conto del quale operano ovvero al soggetto i cui servizi e attività di investimento, strumenti finanziari o prodotti sono offerti, muniti di clausola di non trasferibilità; b) ordini di bonifico e documenti similari che abbiano quale beneficiario uno dei soggetti indicati nella lettera precedente; c) strumenti finanziari nominativi o all’ordine, intestati o girati a favore del soggetto che presta il servizio e attività di investimento oggetto di offerta. Nè possono ricevere dal cliente o dal potenziale cliente alcuna forma di compenso ovvero di finanziamento, né possono accettare o concorrere nella determinazione in loro favore di benefici monetari o non monetari, attuali o futuri, sotto qualsiasi forma elargiti dal cliente o dal potenziale cliente[5].
Chiaramente se l’intermediario si avvale del consulente anche come ausiliario per l’adempimento di una propria obbligazione verso il cliente può venire in discussione l’applicabilità dell’art. 1228 c.c. che prevede che il debitore risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei terzi di cui si avvale, salva però la diversa volontà delle parti. In tal caso, quindi, assumerà rilevanza la concreta strutturazione del rapporto contrattuale, fermo restando la prevalenza della norma speciale del testo unico finanza quando applicabile. Né può essere escluso che in alcuni casi il consulente possa agire per conto o come nuncius del cliente: si pensi ad esempio alla mera trasmissione di ordini di bonifico bancario od altre disposizioni esulanti dall’attività finanziaria quando una tale attività non rientri nei compiti affidati direttamente dall’intermediario. In tale caso, tra l’altro, si tratta di un surrogato della consegna allo sportello bancario o della trasmissione a mezzo del servizio postale o equivalente.
Il quadro normativo è completato dalla previsione che “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”[6]. Ciò però concerne solo l'onere della prova della diligenza adoperata dall'intermediario nel fornire la propria prestazione, ma non incide sugli altri elementi costitutivi della pretesa risarcitoria, come ad esempio la prova del nesso causale o del danno[7].
Va innanzitutto evidenziato che quella dell’art. 31 testo unico finanza è una responsabilità indiretta per fatto altrui che prescinde totalmente dall’esistenza di colpe dell’intermediario, che altrimenti risponderebbe in proprio e non indirettamente[8].
Un conto quindi è la ricerca di giustificazioni di coerenza e razionalità ordinamentale della norma, anche in ordine all’art. 3 Cost, che possono essere individuate nell’esigenza di tutelare la parte debole del rapporto e nel principio “cuius commoda, eius et incommoda”, vale a dire “di chi i vantaggi, suoi anche gli svantaggi”, un altro quello di riferirsi a colpe presunte che in realtà non ci sono come la culpa in eligendo o in vigilando[9].
Sarebbe infatti ora, rispetto ad ipotesi di responsabilità oggettiva, che dottrina e giurisprudenza abbandonino definitivamente tali fuorvianti espressioni. Fuorvianti in quanto la responsabilità oggettiva prescinde totalmente nella sua fattispecie dall’elemento soggettivo e quindi da qualsiasi colpa del soggetto a cui è normativamente imputata.
Se quindi in concreto ci fosse veramente una colpa nell’aver scelto un consulente palesemente ed obiettivamente inaffidabile o nel non avere, per quanto però possibile ed esigibile, vigilato diligentemente sul suo operato, ci sarebbe una responsabilità diretta sussistendo anche il necessario elemento soggettivo e non si ricadrebbe nella diversa ipotesi della responsabilità oggettiva indiretta di cui ci stiamo occupando.
Tale responsabilità non può poi consistere nel far rispondere in maniera piena ed oggettiva l’intermediario per qualsiasi fatto dannoso illecito commesso dal consulente, anche perché ragionando diversamente si dovrebbe del tutto assurdamente ritenere responsabile l’intermediario di danni causati dal consulente che abbia ad esempio provocato un incidente stradale durante lo svolgimento della propria attività o causato lesioni personali ad un cliente.
Né la norma speciale può essere invocata in quei casi in cui, pur essendo coinvolto un soggetto che abbia la qualifica formale di consulente finanziario, il fatto dannoso sia collegato ad operazioni non sussumibili nella nozione di servizi di investimento ed accessori definita dal testo unico sull’intermediazione finanziaria come ad esempio operazioni prettamente bancarie quali versamenti in conto corrente, richiesta e ritiro di carnet di assegni, etc. o operazioni immobiliari, compreso l’acquisto di multiproprietà nelle sue varie forme, o contratti di partnership ed altro.
Ai fini della sussistenza di una particolare responsabilità indiretta come quella di cui ci stiamo occupando deve quindi essere necessario: 1) che un illecito sia stato effettivamente commesso dal consulente e che sussista un adeguato nesso causale ed elemento soggettivo riferito al consulente; 2) che detto illecito sia stato commesso nell'esercizio delle incombenze anche apparentemente affidate dall’intermediario al consulente in occasione della sollecitazione del pubblico risparmio ed all’espletamento degli altri servizi di investimento ed accessori, con l’ulteriore corollario che nessun addebito può essere fatto al preponente quando il preteso danneggiato sapeva o doveva sapere con l’ordinaria diligenza che il consulente agiva al di fuori delle incombenze a cui poteva essere adibito; 3) che il danneggiato non avesse potuto evitare il danno con l'uso dell'ordinaria diligenza (ex ultimo comma art. 1227 c.c.), comportando invece un concorso di colpa minore la riduzione, in proporzione, dell'entità del danno risarcibile ex primo comma 1227 c.c.).
I casi che giungono all’attenzione della magistratura devono quindi essere necessariamente valutati attentamente in fatto, prima che in diritto, e mentre molti giudici dimostrano una estrema attenzione a tali aspetti del caso concreto, non manca purtroppo chi, anche spinto da pregiudizi che tendono a favorire l”ingenuo” investitore rispetto al “furbo” intermediario (ma spesso non è così), si limita a motivazioni in diritto su di una pretesa responsabilità oggettivizzata al massimo che stravolgono nella sostanza anche le pronunce della Cassazione a cui si pensa, errando, di fare ossequio.
La Cassazione è oggi infatti giunta, dopo un percorso non proprio lineare e non privo di incertezze, ad enucleare una interpretazione dell’istituto conforme a quanto sopra esposto.
Appartengono quindi ormai alla storia pronunce come Cass. 7 aprile 2006 n. 8229 che solo apparentemente sembra porre il principio dell’irrilevanza del fatto che il danneggiato abbia consegnato al consulente finanziario mezzi di pagamento non ammessi dalla normativa e dal contratto sottoscritto ma in realtà, leggendo attentamente tale sentenza (la cui motivazione non è comunque completamente condivisibile), si evince che ciò che sarebbe ostativo alla rilevanza di tale circostanza per attenuare o escludere la responsabilità dell’intermediario è in realtà la mera allegazione del fatto dell’utilizzo di mezzi di pagamento difformi senza ulteriori allegazioni sull’effettiva incidenza di tale utilizzo nell’effettiva fattispecie: è evidente ad esempio che un conto è la possibile sorpresa incolpevole, ma dipende anche dall’entità della somma, dell’investitore nella sollecitazione di un contratto isolato, un altro la circostanza che avendo in passato diligentemente approntato i mezzi di pagamento previsti dalla normativa e dai contratti, di punto in bianco passi alla consegna di assegni intestati al promotore o contanti.
La stessa pronuncia citata è costretta ad ammettere che “non s'intende con ciò negare, in assoluto, che possa trovare spazio l'applicazione dell'art. 1227 c.c. (comma 1 o 2, a seconda dei casi), qualora l'intermediario provi che vi sia stata, se non addirittura collusione, quanto meno una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, di regole di condotta su quest'ultimo gravanti. Al dovere di tutela reciproca dei contraenti, insito nel principio generale di buona fede, anche il cliente dell'intermediario è certamente tenuto. Per le ragioni dianzi chiarite, deve però escludersi che la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest'ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle valga, in caso d'indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività del promotore finanziario medesimo e la consumazione dell'illecito, e quindi precluda la possibilità d'invocare la responsabilità solidale dell'intermediario preponente; e deve parimenti escludersi che un tal fatto possa essere addotto dall'intermediario come concausa del danno subito dall'investitore in conseguenza dell'illecito consumato dal promotore al fine di ridurre l'ammontare del risarcimento dovuto.”
Ed “una consapevole e fattiva acquiescenza del cliente alla violazione, da parte del promotore, di regole di condotta su quest'ultimo gravanti”, per usare le stesse parole della Cassazione, sussiste proprio in molti casi in cui siano stati consegnati mezzi di pagamento difformi da quelli previsti, ad esempio ingenti somme in contanti (qualche volta decine o centinaia di migliaia di euro, in alcuni casi sottratti al fisco) o, inspiegabilmente, considerato anche il precedente e reiterato comportamento corretto dell’investitore, assegni senza indicazione del beneficiario o addirittura intestati al consulente (in qualche caso anche prodromici della effettiva volontà del preteso investitore di volere scientemente operazioni personali con il consulente il cui esito infausto si cerca di mettere a carico dell’intermediario persino molti anni dopo i fatti).
Non a caso la stessa Cassazione in pronunce coeve a quella citata, pur ribadendo il principio dell’occasionalità necessaria, ha fatto leva sull’effettiva esistenza di un affidamento incolpevole[10] (Cass. 22 ottobre 2004 n. 20588) o, accogliendo anche il ricorso dell’intermediario, cassato la sentenza impugnata che aveva immotivatamente ammesso solo un irrisorio concorso di colpa del danneggiato (Cass. 29 settembre 2005 n. 19166).
Tra l’altro “se la responsabilità indiretta di cui all'art. 2049 c.c. per il fatto dannoso commesso da un dipendente postula l'esistenza di un nesso di “occasionalità necessaria” tra l'illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo (Cass., Sez. III, 22/09/2017, n. 22058; Cass., Sez. VI-III, 15/10/2015, n. 20924; Cass., Sez. III, 12/03/2008, n. 6632), nondimeno l'accertamento di detto nesso di causalità” va svolto, specie quando riguardi una banca, con particolare rigore[11].
La casistica infatti è la più varia: accanto ad investitori effettivamente in buona fede e privi di colpa ci sono investitori colposamente negligenti per arrivare poi agli estremi di chi impone la sua volontà al consulente spingendolo a violare le norme o di chi è perfettamente consapevole che l’operazione effettuata non è e non poteva essere di pertinenza dell’intermediario per cui operava il consulente[12] e ci sono state addirittura cause intentate dalla madre e della moglie, che non potevano non sapere, di un consulente contro la preponente, moduli del preponente dati “in garanzia” da consulenti ad usurai, moduli riempiti ad hoc dopo illeciti estranei all’attività del consulente per consentire di sporgere reclamo verso la preponente !
Tra l’altro anche una eventuale assurda deresponsabilizzazione dell’investitore opererebbe in definitiva contro gli obiettivi di correttezza ed efficienza del mercato finanziario che il legislatore vuol premiare.
Ad esempio la richiesta di conferma e formale verifica dell’investimento, anche con il controllo degli estratti conto e rendiconti ufficiali ed altro, risponde non solo ad un generico contegno di prudenza e media diligenza ma anche ad un comportamento contrattualmente previsto, posto certamente a tutela dell’investitore ma nell’ambito di un rapporto ispirato a canoni di buna fede e cooperazione anche a tutela dell’intermediario e della effettività delle condizioni di esercizio del controllo da parte di questo.
E lo stesso discorso vale per la consegna al consulente di contanti o titoli di credito in bianco o intestati allo stesso che non trova giustificazione in un comportamento minimamente accorto.
In casi del genere la prima valutazione del giudice deve vertere sulla prova dell’illecito lamentato, da ritenersi inesistente quando sorretta solo su affermazioni dei pretesi danneggiati o pseudo confessioni del promotore finanziario (in genere interessato a far ricadere le sue colpe vere e presunte sull’intermediario) e quando, nei casi di pretese appropriazioni, manchino le prove dell’effettivo passaggio di denaro che non possono essere sostituite da moduli di investimento non solo spesso incompleti ma anche in qualche caso formati a posteriori.
Merita ricordare a tale proposito Cass. 31 maggio 2006 n. 12990 che, con orientamento ormai consolidato, ha ritenuto irrilevante la confessione del consulente sulla posizione della preponente anche per il disposto degli artt. 1306, 1309 e soprattutto 2733 c.c., per cui la confessione di uno dei litisconsorti non fa piena prova nei confronti degli altri.
Non a caso ci sono numerose pronunce in cui viene condannato il consulente ma non l’intermediario per una diversa valutazione degli elementi probatori riguardo alla posizione di quest’ultimo.
Inoltre Cass. 20 marzo 2006 n. 6091 ha ritenuto incensurabile la motivazione del giudice di appello che aveva negato la prova dell’illecito del consulente nonostante tra le carte di quest’ultimo fossero stati ritrovati un modulo di investimento incompleto intestato al preteso danneggiato e la copia di un certificato di deposito al portatore che il preteso danneggiato asseriva di aver dato in pagamento allo stesso consulente.
Per l’evoluzione giurisprudenziale è stata poi importante Cass. 23 giugno 2008 n. 17018, che, esaminando una fattispecie analoga a quella di Cass. S. U. 26 giugno 2007 n. 14712 che riguardava il caso di un promotore che si era appropriato di importi relativi ad assegni non trasferibili intestati ai clienti e di cui era entrato in possesso o perché gli erano stati trasmessi a seguito di ordini di disinvestimento o perché consegnatigli dai clienti stessi come provvista per ulteriori investimenti, ha ritenuto che l’appropriazione era stata resa possibile esclusivamente in quanto un’altra banca aveva, in violazione dell’art. 43 l. assegno, negoziato tali assegni al promotore che si spacciava per mandatario dei beneficiari sottoscrivendo altresì la cd. clausola per conoscenza e garanzia (in pratica una obbligazione extracartolare nei confronti della banca negoziatrice sulla bontà dell’operazione).
E’ stata quindi esclusa ogni rilevanza causale del comportamento, oltre che dei clienti che nella specie non avevano alcuna colpa, dell’intermediario e finanche del promotore (che semmai rispondeva per l’obbligazione di garanzia espressamente assunta nei confronti della banca negoziatrice, comunque responsabile, verso quest’ultima e per l’effettiva appropriazione verso il danneggiato) in ordine alla determinazione dell’evento dannoso che non si sarebbe verificato se nella concatenazione causale non si fosse inserito il comportamento illecito della banca negoziatrice che, in spregio al disposto dell’art. 43 R.D. 1736/1933 aveva pagato gli assegni non trasferibili a persona diversa dal prenditore precisando che rispetto a tale comportamento, avente efficienza causale esclusiva per essere da solo sufficiente a produrre l’evento, le cause preesistenti si ponevano come meri antefatti privi di rilevanza giuridica riguardo alla produzione dell’evento.
La violazione della legge sull’assegno è quindi stata ritenuta una causa tale da interrompere il nesso causale con l’appropriazione compiuta dal promotore che senza tale violazione non sarebbe mai potuta avvenire, nonostante la disponibilità materiale degli assegni.
Prendendo lo spunto da tale caso si può anche affermare che, qualora non si ritenesse per le peculiarità della fattispecie interrotto il nesso di occasionalità necessaria, il comportamento del terzo che infrangendo norme imperative, ad esempio a tutela dei mercati finanziari e degli investitori, abbia in concreto reso possibile l’illecito del consulente assume rilevanza non solo verso il danneggiato, ma anche verso l’intermediario incolpevole che sia stato ritenuto oggettivamente responsabile. L’assenza di colpa di quest’ultimo giustifica quindi che esso possa essere tenuto indenne integralmente da tale terzo[13] , in solido con il consulente.
Così oggi la Cassazione, da ultimo Cass. 8 settembre 2023, n. 26195, pur ritenendo che presupposto della responsabilità dell'intermediario è la sussistenza di una connessione tra l'esercizio delle mansioni affidate al consulente e il danno da questi arrecato all'investitore, che la giurisprudenza inquadra nell'ampio significato del nesso di “occasionalità necessaria” afferma che il predetto nesso può essere escluso dal contegno del danneggiato, allorché la sua condotta sia caratterizzata da "anomalie" tali da evidenziare, se non la collusione, quanto meno la consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore. In questo caso, viene meno il rapporto di necessaria occasionalità tra il fatto dannoso commesso dal preposto e l'esercizio delle incombenze a lui affidate, che giustifica la responsabilità della società preponente per il fatto dell'agente[14].
Inoltre il contegno "anomalo" dell'investitore può, inoltre, essere valutato quale fatto colposo concorrente con l'illecito dell'agente, in funzione della diminuzione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1[15].
Elementi presuntivi sintomatici[16] di un contegno significativamente "anomalo" dell'investitore possono ricavarsi dal numero o dalla ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, dal valore complessivo delle stesse, dall'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, dalla conoscenza, da parte dell'investitore, del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e dalle sue complessive condizioni culturali e socio-economiche[17].
Così sempre Cass. 8 settembre 2023, n. 26195 ha ritenuto che “tra questi elementi si colloca la consegna all'agente di somme di danaro in contanti (Cass. 20/01/2022, n. 1786). Questa circostanza assume particolare rilevanza in funzione del giudizio circa l'anomalia della condotta del danneggiato, in quanto la consegna di denaro in contanti da parte dell'investitore nelle mani del promotore è oggetto di specifico ed espresso divieto normativo (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2 bis; art. 108 del regolamento Consob adottato con Delib. n. 16190 del 2007). Pur dovendosi escludere l'operatività di qualsiasi automatismo (giacché la valutazione relativa agli elementi sintomatici della condotta anomala dell'investitore - e l'apprezzamento se essi siano tali da rivelare collusione o consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore - costituisce oggetto di un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, da compiersi caso per caso, il quale sfugge al sindacato di legittimità: cfr., ad es., Cass. 18/05/2022, n. 15917, in motiv.), tuttavia, quando tale condotta si traduca nella violazione di norme giuridiche, contenenti specifici obblighi (quale, nella fattispecie, quello di consegnare all'agente unicamente assegni bancari o circolari, non trasferibili, intestati all'intermediario per cui opera ovvero alla società i cui servizi, strumenti finanziari o prodotti finanziari sono offerti, o comunque di avvalersi di altri strumenti - ordini di bonifico e documenti similari, nonché strumenti finanziari nominativi o all'ordine che abbiano come beneficiari o che siano stati intestati o girati ai predetti soggetti - dotati di tracciabilità, in funzione di impedire elusioni del controllo antiriciclaggio: cfr., in tal senso, Cass. 28/07/2021, n. 21643; Cass. 25/10/2022, n. 31453), il giudice del merito è tenuto ad apprezzare specificamente queste circostanze e, eventualmente, a dar conto, in motivazione, delle ragioni per le quali ritenga che tale condotta, lungi dal concretare una cooperazione colposa con l'illecito del promotore, sia stata perfettamente rispondente al principio di autoresponsabilità che deve governare i rapporti tra consociati e che si pone alla base della tutela dell'affidamento incolpevole, e non abbia pertanto integrato quei connotati di anomalia idonei ad elidere il nesso di occasionalità necessaria tra il danno subito dall'investitore e le incombenze affidate al promotore, che giustifica la solidale responsabilità dell'intermediario”.[18]
Ancora Cass. 5 aprile 2023 n. 9405 ha ribadito che “la condotta dell'investitore che, ancorché con esperienza nel settore, abbia - come nella specie - consegnato in contanti al promotore finanziario, che agiva per conto di una SIM, una rilevante somma di denaro, a fini d'investimento, non rispettando i divieti di legge, ed abbia subito un danno patrimoniale a causa della condotta dolosa del promotore, condannato per truffa ed appropriazione indebita, integra il concorso colposo del danneggiato nella condotta dolosa accertata penalmente, per aver agevolato quanto meno con consapevole acquiescenza, la produzione del danno, potendo trovare applicazione anche in questa ipotesi l'art. 1227 c.c. (Cass. 21643/2021).”[19]
In tema di rendiconti alterati dal consulente è stato ritenuto che “l'accertamento compiuto dal giudice in ordine alle condotte da quest'ultimo dolosamente poste in essere al fine di dissimulare il reale negativo andamento delle gestioni patrimoniali a lui affidate - autonomamente valutando in sede civile la sentenza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p., per il reato di truffa - fa presumere il nesso di causalità tra detto illecito del promotore finanziario ed il danno subito dall'investitore, consistito nella perdita, parziale o totale, del capitale investito; è fatta salva la prova contraria, spettante al promotore finanziario od alla banca preponente, che il profilo di rischio del cliente è stato rispettato ovvero che le perdite si sarebbero ugualmente verificate, in pari o diversa misura, anche se il profilo di rischio del cliente fosse stato rispettato o se l'illecito del promotore finanziario non vi fosse stato, ovvero che il cliente non avrebbe disinvestito pure se fosse stato reso edotto del reale negativo andamento della gestione patrimoniale”[20].
Questo però sempre che detti rendiconti abbiano oggettivamente una reale efficacia decettizia cioè ingannatoria con l’uso dell’ordinaria diligenza: ad esempio è stata esclusa in sede di merito ogni rilevanza a report elaborati dal consulente nei quali non si esponevano inesistenti rendimenti di investimenti, ma venivano menzionate attività presso altri intermediari del tutto inventate che tra l’altro avrebbero contrattualmente dovuto essere dichiarate dal cliente a fini consulenziali[21].
Per di più è evidente che se il cliente ha contemporaneamente ricevuto i rendiconti ufficiali con i dati reali, l’affidamento in quelli alterati è tutt’altro che incolpevole con la conseguente esclusione della responsabilità dell’intermediario.
Inoltre “la situazione patrimoniale falsamente rappresentata dal promotore finanziario non” può “essere presa, di per sé, quale punto di riferimento per una quantificazione di un danno di carattere patrimoniale. In effetti - detto quanto sopra in merito alla quantificazione del danno emergente - la sussistenza di ogni altra voce di danno patrimoniale va allegata e provata dai danneggiati, in particolare quanto al mancato realizzo dei guadagni che si sarebbero conseguiti o si sarebbero potuti conseguire se l'operato del promotore finanziario fosse stato corretto. Si tratta all'evidenza di un danno apprezzabile in proiezione futura e, di regola, probabilistica, sia come danno da perdita di chance (perdita della possibilità di investimenti alternativi) sia - ma con prova più difficile, pur non impossibile ex post - come danno da lucro cessante (perdita di guadagni altamente probabili, se si fossero effettuati determinati investimenti, che si dimostri essere stati richiesti dai clienti ed aver avuto, in concreto, risultati positivi per altri investitori). Tale voce di danno può essere dimostrata soltanto sulla base di ipotesi controfattuali e liquidata necessariamente in via equitativa. Spetta ai danneggiati, non solo specificamente allegare la tipologia di danno patrimoniale del quale chiedono il risarcimento, in particolare sotto il profilo da ultimo evidenziato, ma anche dedurre e fornire in giudizio gli elementi di fatto, da cui desumerne l'esistenza, sia pure in termini di elevata probabilità, ed a cui fare riferimento per la relativa liquidazione equitativa”[22]
Ed in tal caso non sono certo ammissibili ragionamenti fatti con il senno di poi, considerata l’imprevedibilità dei mercati, cosicché non si può fare riferimento ad indici generali di mercato, ma va individuata la specifica operazione che con altissima probabilità (e non meramente possibilità o semplice probabilità) il preteso danneggiato avrebbe fatto. Qualora poi il profilo personale di rischio fosse stato alto, non è detto che avrebbe individuato quei titoli o strumenti finanziari che abbiano ottenuto più elevati rendimenti piuttosto che elevate perdite, non essendo possibile, se non a posteriori, discernere a meno di avere in precedenza informazioni riservate il cui eventuale uso costituisce un grave illecito, vale a dire insider trading.
Né chiaramente con profili di rischio alti o medi sarebbe possibile ritenere che avrebbe dirottato il proprio capitale verso meno rischiosi titoli di stato o equivalenti.
Ancora sono stata “confermate, in sede di legittimità, pronunce di merito che avevano escluso, ad esempio, la corresponsabilità della banca in presenza dell'attività illecita svolta da un consulente finanziario che aveva operato in borsa per conto dei propri clienti senza alcun vincolo di mandato, utilizzando un conto corrente cointestato ovvero servendosi dei codici di accesso ai servizi di banca on line consegnatigli dagli stessi clienti (Cass. 13 dicembre 2013, n. 27925 cit[23]. e, sempre con riferimento alla consegna dei codici di accesso, Cass. 4 marzo 2014, n. 5020[24]), oppure in considerazione del fatto che gli investitori avevano consegnato al promotore rilevanti somme senza chiedere copia del contratto di gestione sottoscritto dall'intermediario e senza verificare personalmente, presso la sede di quest'ultimo, l'esistenza di un conto di gestione e delle specifiche operazioni finanziarie all'origine dei profitti riportati nei prospetti contabili ricevuti direttamente dal promotore e da questi falsificati (Cass. 12 ottobre 2018, n. 25374 cit.), o, ancora, in ragione dell'accertata esistenza di un mandato conferito dall'investitore al promotore, che aveva consentito a quest'ultimo di operare per conto del primo con amplissima autonomia (Cass. 10 novembre 2015, n. 22956)”[25]
Rilevanti ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’intermediario anche “le pratiche consistenti nel sottoscrivere in bianco le distinte per le richieste di assegni circolari, poi consegnate al dipendente, e nel consentire allo stesso M. di apporre sottoscrizioni apocrife sui moduli predisposti per le operazioni di versamento di contante e di assegni” ritenute condotte “palesemente abnormi, al di fuori non solamente di qualsiasi prassi bancaria, ma non conformi alle elementari regole di condotta che qualsiasi cliente non solo di media, ma anche di minima diligenza e prudenza dovrebbe osservare”.[26]
In caso di apposizione di sottoscrizioni falsificate da parte del consulente occorrerà quindi indagare se tale comportamento è stato comunque consentito dal cliente che in tale ipotesi non potrà venire contro il fatto proprio, anche in base al principio di autoresponsabilità.
Per tali fattispecie l’aspetto legato alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, si può sovrapporre, ricorrendone i presupposti, a quello di una eventuale nullità di protezione per vizio di forma.
Innanzitutto “in termini generali, l'art. 23 t.u.f., laddove impone la forma scritta, a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all'intermediario, la cui validità non è invece soggetta a requisiti formali, salva diversa previsione dello stesso contratto quadro (per tutte: Cass. 9 agosto 2017, n. 19759; Cass. 2 agosto 2016, n. 16053; Cass. 29 febbraio 2016, n. 3950)”.[27]
Di conseguenza è stata riconosciuta[28] l’irrilevanza della falsificazione delle sottoscrizioni di ordini quando era evidente un comportamento acquiescente dei clienti alle operazioni eseguite che implicava che il consulente avesse ricevuto una specie di mandato in bianco ad operare per loro conto.
Ma anche quando la falsificazione attenga al contratto quadro o a contratti bancari, come ad esempio la pattuizione scritta delle commissioni e delle altre condizioni economiche, il fatto che essa sia stata autorizzata o tollerata dal cliente non è irrilevante.
Si pone infatti il problema se, in contrasto con il principio di autoresponsabilità ed in un contesto dove la forma scritta apparente è rispettata, si possa far valere la nullità dell’applicazione di spese e commissioni pattuite da un soggetto evidentemente delegato alla firma solo per non essere state tali firme materialmente apposte dal cliente e se sì se tale eventuale nullità possa trovare mitigazione nell’applicazione di norme come l’art. 1338 c.c. che sanzionano i soggetti che erano a conoscenza della causa di nullità perché sostanzialmente da essi procurata e taciuta alla controparte.
A nostro giudizio tenuto anche conto del fatto che la giurisprudenza[29] ha posto in rilievo l’obbligo solidaristico, di matrice costituzionale, di buona fede, gravante anche sull’investitore, che impone che l’esercizio del diritto, potestativamente riconosciutogli, di far valere la nullità di protezione, non possa travalicare in abuso, traducendosi in ingiustificato pregiudizio in danno dell’altra parte, in casi simili dovrebbe essere precluso ricorrere a tale nullità e comunque essa va sterilizzata riconoscendo alla controparte un giusto corrispettivo economico.
E non a caso una recente sentenza di merito[30] ha riconosciuto, in una fattispecie in cui la sottoscrizione del contratto era stata falsificata dal consulente, che “nel caso di specie, in cui a fronte di un rapporto durato anni (e di commissioni addebitate trimestralmente sul conto corrente bancario intestato a parte attrice senza che la stessa abbia mai contestato l’addebito avvenuto) e di una gestione di intermediazione che ha assicurato ai clienti utili netti per euro 90.085,38 la domanda volta ad escludere la debenza delle commissioni contrattuali è palesemente contraria a buona fede, posto che è volta a mantenere il vantaggio economico derivante dal rapporto senza sostenere alcun onere economico”.
[1]“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 146, comma 5, l’attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede è incompatibile:
a) con la qualità di sindaco o suo collaboratore ai sensi dell’articolo 2403-bis del codice civile, responsabile o addetto al controllo interno, presso soggetti abilitati o società di consulenza finanziaria;
b) con la qualità di amministratore, dipendente o collaboratore di una società di consulenza finanziaria o di un soggetto abilitato non appartenente al gruppo al quale appartiene quello per conto del quale opera il consulente finanziario stesso;
c) con la qualità di socio di una società di consulenza finanziaria;
d) con la qualità di socio, amministratore, sindaco o dipendente del soggetto incaricato della revisione legale dei conti del soggetto abilitato per conto del quale opera il consulente stesso;
e) con l’iscrizione nel ruolo unico degli agenti di cambio;
f) con ogni ulteriore incarico o attività che si ponga in grave contrasto con il suo ordinato svolgimento.” Inoltre è incompatibile con l’attività di mediazione creditizia ai sensi comma 4-quinquies dell'art. 17 del D.Lgs. n. 141/2010.
[2] Per le prime ricostruzioni in dottrina si vedano Bochicchio, Gestione impropria da parte dei promotori finanziari: la regolamentazione delle attività di investimento tra valutazioni di merito e lo statuto degli operatori economici professionali, in Giur. comm., 1999, I, 336; Santosuosso, La buona fede del consumatore e dell’intermediario nel sistema della responsabilità oggettiva (a proposito della responsabilità della sim per illecito del promotore), in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 32; Poltronieri, I limiti alla responsabilità della società di intermediazione mobiliare per l’operato dei promotori di servizi finanziari, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 32; Eroli, La responsabilità dell’intermediario per il fatto del promotore finanziario tra onere della prova, nesso di causalità e concorso di colpa, in Diritto & diritti, on line www.diritto.it, 2008. Da ultimo Soldati, Responsabilità del promotore e onere della prova, in Società, 2018, 3, 328; Garreffa, La responsabilità dell’intermediario finanziario per il fatto illecito del promotore, in Corriere Giur., 2016, 11, 1369; Iudica, La responsabilità degli intermediari finanziari, Milano, 2011, 111 ss..
[3] Su cui cfr. da ultimo Guffanti Pesanti, La responsabilità dei padroni e dei committenti e l’invenzione dell’occasionalità necessaria, in Europa e diritto privato, 2023, 3, 531.
[4] Comma 2 bis art. 31 testo unico finanza.
[5] Commi 5 e 6 art. 159 Reg. Consob 22430/2022.
[6] Comma 6 art. 23 testo unico finanza.
[7] Cfr. Cass. 3 febbraio 2017 n. 2949.
[8] Cfr. anche per ulteriori riferimenti di dottrina D’Auria, Ancora sul nesso di causalità necessaria negli illeciti dei promotori finanziari: profili problematici, in Giur. It., 2011, 12, 2575. In generale cfr. da ultimo Finco, La responsabilità dell'intermediario finanziario: l'applicabilità dell'art. 1227 c.c., in Giur. comm, 2023, 280; Giovenzana, Sul concorso di colpa dell’investitore col promotore finanziario, in Riv. dir. risparmio, 2020, 3, 189; Zurlo, Responsabilità della banca per fatto del promotore finanziario ed eventuale concorso colposo dell'investitore in Riv. dir. risparmio, 2020, 1, 161.
[9] E non a caso la diversa responsabilità di cui all’art. 2048 c.c. non è una responsabilità oggettiva, ma una responsabilità aggravata dall’onere probatorio di non aver potuto impedire il fatto, che incide appunto sull’elemento soggettivo.
[10] Affidamento incolpevole che rileva anche, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto, quando l’intermediario abbia colposamente ingenerato nel cliente il legittimo affidamento nel cliente in buona fede che l’agente operasse per suo conto. In tale caso rileverà ai fini dell’esimente “la mancanza della diligenza media esigibile, avuto riguardo al contesto sociale e culturale di riferimento, nel discernere l'inesistenza di alcun collegamento tra l'apparente preposto e l'ente” (Cass. 17 gennaio 2020, n. 857).
[11] Così Cass. 5 aprile 2023 n. 9405
[12] Cfr. in proposito la fattispecie di Cass. 4 ottobre 2018 n. 24158, dove i clienti erano consapevoli che il promotore avesse organizzato una attività parallela per altro intermediario. Cfr. anche Trib. Pescara 23 agosto 2021 n. 1096.
[13] In tal senso App. L’Aquila 12 ottobre 2023 n. 1461 e 1463, in un caso di sottoscrizione non consentita in Italia di un Sif lussemburghese in cui il sottoscrittore non aveva rivolto domande contro una fiduciaria italiana che aveva colposamente se non dolosamente reso possibile l’operazione, per cui detta fiduciaria è stata condannata a risarcire integralmente l’intermediario incolpevole per cui prestava la propria opera il consulente che aveva consigliato l’operazione e che era stato ritenuto parimenti responsabile.
[14] Tra le altre Cass. 13 dicembre 2013, n. 27925; Cass. 31 luglio 2017, n. 18928; Cass. 27 agosto 2020, n. 17947.
[15] Cass. 1 marzo 2016, n. 4037; Cass. 13 maggio 2016, n. 9892; Cass. 26 luglio 2017, n. 18383; Cass. 28 luglio 2021, n. 21643.
[16] Interessante, ad esempio, la fattispecie di Cass. 15 febbraio 2018, n. 3708 dove erano stati valorizzati elementi come: l'essere il cliente. dottore commercialista, iscritto nel libro dei revisori contabili, sindaco di due società; la pregressa conoscenza e il rapporto di amicizia con il promotore; la conoscenza delle modalità di sottoscrizione dei piani di investimento; l'entità della somma investita; l'anomala consegna delle somme investite con assegni bancari intestati alla società unipersonale del promotore, a fronte peraltro dell'intestazione diretta del prodotto allo stesso risparmiatore; la consapevolezza della anomalia delle forme di pagamento; il richiesto e ottenuto rimborso, a scadenza, di quanto investito in tal modo in precedenza attraverso il promotore; il riconoscimento di interessi molto superiori alla media; l'assenza di regolari conferme e rendicontazioni da parte dell’intermediario; l'assenza di prelievo fiscale alla fonte sul guadagno obbligazionario.
[17]Cass. 13 dicembre 2013, n. 27925; Cass. 22 novembre 2018, n. 30161; Cass. 17 gennaio 2020, n. 857; Cass. 25 ottobre 2022 n. 31453 con nota di Marino, Condotta anomala dell'investitore quale causa di riduzione della responsabilità solidale dell'intermediario per condotta infedele del promotore finanziario, in Giur. comm., 2023, 784.
[18] Cfr. nello stesso senso anche Cass. 22 giugno 2020 n. 12110.
[19] Nello stesso senso anche Cass. 25 ottobre 2022 n. 31453 che mette anche in rilievo come non rileva l’entità della somma, nella specie € 50.000, “quanto piuttosto alle modalità di versamento. che, in violazione di specifiche norme giuridiche, era stato posto in essere in contanti ed in assenza di alcun rapporto con la banca, in mancanza di ogni tracciabilità, anche in ragione dell'omessa o incompleta compilazione dei moduli di investimento, senza riferimenti all'intermediaria e senza descrizione del prodotto finanziario da acquistare”.
[20] Cass. 14 dicembre 2022, n. 36554 e Cass. 21 giugno 2022 n. 19982.
[21] Cfr. Trib. Parma (ord.) 25 giugno 2020; Trib. Parma 22 febbraio 2023, n. 221; Trib. Parma 14 luglio 2023, n. 987.
[22] Cass. 26 luglio 2017 n. 18363 con nota di Soldati, Responsabilità del promotore finanziario e onere della prova, in Società, 2018, 2, 328.
[23] Dove era stato riconosciuto che con la comunicazione dei codici i clienti hanno conferito personalmente ed esclusivamente al promotore l'equivalente di un incondizionato mandato ad operare il che significa che essi hanno trasferito al promotore il loro personale ed esclusivo potere di disporre del proprio denaro.
[24] Contro ogni elementare regola di prudenza e di contratto.
[25] Cass. 15 dicembre 2020 n. 28634.
[26] Cass. 15 dicembre 2020 n. 28634.
[27] Cass. 27 ottobre 2020 n. 23566.
[28] App. Roma 11 aprile 2017, n. 2388.
[29] Cass. S.U, 4 novembre 2019 n. 28314.
[30] Trib. Parma, 3 novembre 2023, n. 1483