Sommario: 1. Introduzione: la disciplina della pubblicità ingannevole nel Codice del Consumo. - 2. Il caso “Pandoro Pink Christmas”: la pratica commerciale oggetto del procedimento dinanzi all’AGCM - 3. Le argomentazioni dell’AGCM. - 4. La tutela della libertà economica del consumatore alla base della decisione dell’AGCM. - 5. Brevi cenni conclusivi: la necessità di una specifica disciplina europea a tutela del consumatore per le pubblicità poste in essere dagli influencer e le proposte del Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema “la pubblicità attraverso gli influencer e il suo impatto sui consumatori”.
1. Introduzione: la disciplina della pubblicità ingannevole nel Codice del Consumo.
La disciplina sulla pubblicità ingannevole nei confronti dei consumatori oggi è contenuta nel Codice del Consumo il cui art. 20, dopo aver sancito il generale divieto delle pratiche commerciali scorrette, ne prevede due tipologie a carattere generale. Afferma, innanzitutto, che una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. Costituiscono, altresì, pratiche commerciali scorrette quelle che, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere e sono valutate nell’ottica del membro medio di tale gruppo fatta salva la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o non destinate ad essere prese alla lettera. Al comma quarto della suindicata norma il legislatore esplicita che sono scorrette in ogni caso le pratiche commerciali ingannevoli rinviando per la specificazione di quest’ultime alle disposizioni successive; dunque, il legislatore in caso di pratiche commerciali che siano ingannevoli non lascia alcuna discrezionalità valutativa all’interprete il quale le deve sempre considerare scorrette e il Codice del Consumo le suddivide in a) azioni ingannevoli, b) omissioni ingannevoli, c) pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli.
Le prime consistono nella condotta di fornire informazioni essenziali sul prodotto non rispondenti al vero o, seppure di fatto corrette, la stessa induce o è idonea ad indurre in qualsiasi modo in errore il consumatore medio sugli elementi fondamentali della pratica commerciale e del prodotto ovvero a fargli assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso; le seconde consistono nell’occultare o presentare in modo incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni summenzionate e tale pratica commerciale induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso; le ultime consistono in pratiche commerciali determinate che sono da considerarsi sempre e in ogni caso ingannevoli, quali, a mero titolo esemplificativo, 1) l’esibizione di un marchio di fiducia, di qualità o equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione o 2) la descrizione di un prodotto come gratuito e senza alcun onere se è previsto l’obbligo per il consumatore di pagare un supplemento di prezzo rispetto al normale costo necessario per rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare il prodotto.
La dottrina, con riferimento alle azioni ed omissioni ingannevoli, ha affermato che trattasi di illeciti a forma libera e con i seguenti elementi costitutivi: relativamente alle prime la falsità dell’informazione e la sua idoneità a trarre in inganno il consumatore di media diligenza (c.d. capacità decettiva), mentre con riferimento alle seconde l’omissione delle informazioni rilevanti e l’idoneità dell’omissione ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. In entrambe le ipotesi gli elementi devono coesistere e la valutazione dell’ingannevolezza della pratica commerciale deve essere globale. Infine, considera la norma che indica le pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli quale ipotesi che assume carattere residuale che non richiede la prova né della negligenza né dell’idoneità della condotta del professionista a falsare la scelta economica del consumatore in relazione all’acquisto del prodotto o del servizio e preclude, altresì, al professionista la facoltà di fornire la prova liberatoria contraria.[1]
Sulla materia si è espressa anche la giurisprudenza sia amministrativa sia di legittimità e, in particolare, due casi hanno assunto grande rilevanza.
Il Consiglio di Stato era stato investito dell’appello di una sentenza del TAR del Lazio, la quale si era pronunciata su una delibera dell’AGCM (d’ora in avanti anche l’“Autorità”) nella quale quest’ultima aveva ritenuto scorretta la pratica commerciale di un’impresa consistente nella pubblicizzazione di un prodotto a base di biogenina tramite spot televisivi, internet e stampa. I messaggi erano stati ritenuti dall’Autorità ingannevoli in quanto idonei per le loro concrete modalità grafiche e di rappresentazione ad indurre nei consumatori la convinzione, non rispondente a verità, che il prodotto fosse efficace per la risoluzione di qualsiasi patologia connessa con la caduta definitiva dei capelli, tra cui la calvizie, laddove il prodotto avrebbe avuto efficacia circoscritta a soggetti affetti da perdita temporanea ed eccessiva dei capelli. A prescindere dall’esito dell’appello, la sentenza presenta particolare interesse in quanto il Consiglio di Stato ha fornito una definizione di carattere ingannevole di una pratica commerciale a prescindere dalla distinzione tra azioni ed omissioni. Infatti, si legge nel provvedimento che il carattere ingannevole di una pratica commerciale dipende dalla circostanza che essa non sia veritiera in quanto contenente informazioni false o che, in linea di principio, inganni o possa ingannare il consumatore medio, in particolare, quanto alla natura o alle caratteristiche principali di un prodotto o un servizio e che, in tal modo, sia idonea ad indurre detto consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe adottato in assenza di tale pratica. Quando tali caratteristiche ricorrono cumulativamente la pratica è considerata ingannevole e, pertanto, deve essere vietata[2].
Il secondo caso di particolare interesse è relativo ad una pratica commerciale scorretta consistente in un’azione ingannevole giunta al vaglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte. Il Giudice di Pace di Napoli aveva condannato un’importante società che aveva prodotto, commercializzato e pubblicizzato confezioni di sigarette con l’utilizzo della dicitura “LIGHT”, la quale era atta ad indurre in errore il consumatore medio che le sigarette in questione fossero meno nocive e pericolose per la salute rispetto alle sigarette “ordinarie”. Secondo il giudice di pace a causa di tale errore l’attore aveva subito sia il danno da perdita di chance di scegliere liberamente una soluzione alternativa con riferimento al problema del fumo sia il danno esistenziale dovuto al peggioramento della qualità della vita conseguente allo stress ed al turbamento per il rischio del verificarsi di danni gravi all’apparato cardiovascolare o respiratorio. La Suprema Corte a Sezioni Unite aveva affermato i seguenti due principi: 1) l’apposizione sulla confezione di un prodotto di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno; 2) il consumatore che lamenti di aver subìto un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate conseguenze dannose[3]. In questo caso, ed è questo il profilo che suscita interesse, la Suprema Corte non si esprime sul carattere di ingannevolezza delle pratiche quanto piuttosto sugli effetti che le stesse comportano sulla volontà dei consumatori e sulla conseguente risarcibilità.
Fatte queste brevi premesse si viene ora a commentare il caso “Pandoro Pink Christmas” che ha avuto grande risonanza mediatica in queste festività natalizie.
2. Il caso “Pandoro Pink Christmas”: la pratica commerciale oggetto del procedimento dinanzi all’AGCM.
Il caso “Pandoro Pink Christmas” è stato oggetto di un procedimento che si è svolto dinanzi all’AGCM[4] e riguardante una pratica commerciale concernente l’ingannevolezza delle modalità di diffusione delle informazioni in merito ad un’iniziativa denominata “Pandoro Pink Christmas” posta in essere da una nota industria dolciaria e due società, di cui, rispettivamente, una è titolare del marchio di una nota influencer (d’ora in avanti anche “creatrice di contenuti”), e gestore dei relativi diritti di proprietà intellettuale, mentre l’altra ne dispone dei diritti relativi alla personalità e all’identità personale. La creatrice di contenuti in questione rivestiva al momento del procedimento dinanzi all’Autorità la carica di amministratore delegato della prima e di Presidente del Consiglio di amministrazione della seconda.
Tale iniziativa era consistita nella realizzazione di un pandoro creato su licenza del brand dell’influencer nell’ambito di una collaborazione tra quest’ultima e l’industria dolciaria. Tale rapporto di collaborazione prevedeva la messa in commercio di un pandoro ad edizione limitata caratterizzato da un packaging contenente del zucchero a velo di colore rosa e con gli indicativi del marchio della creatrice di contenuti e il sostegno ad un progetto di ricerca a favore di un ospedale della città di Torino (d’ora in avanti anche l’“Ospedale” o l’“Ospedale Torinese”) ed in particolare la corresponsione di un importo a quest’ultimo quale contributo all’acquisto di un macchinario utile alla ricerca di nuove cure terapeutiche per i bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing.
L’AGCM poneva ad oggetto del procedimento a) il comunicato stampa che l’impresa dolciaria aveva diffuso nel novembre 2022 in merito all’iniziativa, b) le informazioni diffuse attraverso il packaging del pandoro al quale era allegato un cartiglio che indicava che l’influencer e l’impresa sostenevano l’Ospedale finanziando l’acquisto di un nuovo macchinario che avrebbe permesso di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing, c) le indicazioni contenute in post, repost e stories pubblicate dall’influencer sui propri canali social, che lasciavano intendere ai consumatori, contrariamente al vero, che acquistando il prodotto “Pandoro Pink Christmas” avrebbero contribuito al reperimento dei fondi utili al finanziamento destinato all’Ospedale Torinese per l’acquisto di un nuovo macchinario che avrebbe permesso di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e da Sarcoma di Ewing.
All’esito del procedimento l’Autorità statuiva che i messaggi diffusi al pubblico risultavano idonei a fornire una rappresentazione scorretta e contraria all’obbligo di diligenza professionale dell’iniziativa benefica relativa al reperimento dei fondi per finanziare l’acquisto di un nuovo macchinario che avrebbe permesso di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing da parte dell’Ospedale, lasciando intendere, contrariamente al vero, che acquistando il pandoro griffato il consumatore avrebbe potuto contribuire all’iniziativa, e che anche la nota creatrice di contenuti vi avrebbe contribuito direttamente. Quindi, deliberava di irrogare all’impresa dolciaria una sanzione amministrativa pecuniaria di € 420.000,00 e alle altre due società le sanzioni, rispettivamente, di € 400.000,00 ed € 675.000,00.
3. Le argomentazioni dell’AGCM.
L’AGCM ha fondato il proprio provvedimento sulla base delle seguenti argomentazioni: 1) dalle risultanze istruttorie era emerso che l’operazione di messa in commercio dei pandori griffati dalla creatrice di contenuti fosse stata essenzialmente un’operazione di marketing attraverso la quale l’industria dolciaria aveva tentato di svecchiare il proprio marchio e riposizionare il proprio pandoro sul mercato dandone un’immagine diversa; 2) l’iniziativa benefica era nata all’interno dell’impresa dolciaria, da questa era stata condivisa con l’influencer e la donazione all’Ospedale era stata effettuata mesi prima dall’inizio della campagna di comunicazione e delle vendite del “Pandoro Pink Christmas” esclusivamente dall’industria dolciaria ed erano tutti consapevoli di tale circostanza; 3) il comunicato stampa del novembre 2022 dell’industria dolciaria affermava in modo esplicito che le vendite del pandoro griffato avrebbero contribuito all’acquisto del macchinario utile alla ricerca per i bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing. L’indicazione relativa al legame diretto tra le vendite di tale prodotto e la donazione all’Ospedale Torinese era la prima informazione del comunicato ed era stata voluta da una delle altre due società sanzionate; 4) il contenuto del cartiglio apposto sui pandori griffati riportava che la creatrice di contenuti e l’industria dolciaria sostenessero l’Ospedale Torinese, finanziando l’acquisto di un nuovo macchinario che avrebbe permesso di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing e in nessuna parte del messaggio era dato rinvenire che il finanziamento si riferisse ad una donazione fatta in cifra fissa e mesi prima dall’iniziativa; la formulazione del messaggio su tale cartiglio lasciava intendere che il reperimento dei fondi per la donazione fosse legato alle vendite del “Pandoro Pink Christmas”; 5) la sussistenza del rafforzamento del convincimento nel consumatore che nel prezzo del pandoro griffato fosse incluso un contributo alla donazione poiché il prezzo di vendita al pubblico del prodotto era poco più di due volte e mezzo superiore il prezzo del pandoro tradizionale prodotto dall’impresa dolciaria e la differenza di prezzo non era giustificata da una maggiore qualità degli ingredienti; 6) l’influencer aveva svolto un’attività di tipo commerciale sulla base di un accordo tra l’industria dolciaria e le altre due società sanzionate e i contenuti di post e stories realizzati per pubblicizzare il “Pandoro Pink Christmas” nel loro complesso erano idonei ingenerare nei destinatari dei messaggi l’idea che con l’acquisto del pandoro in questione si poteva contribuire alla predetta donazione e che la stessa influencer partecipasse direttamente alla stessa. In particolare, i messaggi erano stati costruiti enfatizzando la circostanza che in quelle festività natalizie la creatrice di contenuti e l’impresa dolciaria avevano pensato ad un progetto benefico a favore dell’Ospedale Torinese, con il brand dell’influencer avevano creato un pandoro ad edizione limitata e che avrebbero sostenuto insieme un progetto di ricerca per nuove cure terapeutiche per i bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing.
Secondo l’Autorità i messaggi diffusi al pubblico sono risultati idonei a fornire una rappresentazione scorretta e contraria all’obbligo di diligenza professionale dell’iniziativa benefica citata lasciando intendere, contrariamente al vero, che con l’acquisto del “Pandoro Pink Christmas” il consumatore avrebbe potuto contribuire all’iniziativa, e che anche la creatrice di contenuti vi avrebbe contribuito direttamente.
4. La tutela della libertà economica del consumatore alla base della decisione dell’AGCM.
E’ arcinoto il clamore mediatico, addirittura mondiale, che ha suscitato la vicenda, vista anche l’enorme notorietà di cui gode l’influencer in questione. Testate giornalistiche, blog di vario genere, quotidiani, tabloid hanno riportato la notizia della sanzione irrogata dall’Autorità. Fermo restando che la vicenda non può dirsi definitivamente conclusa dal momento che contro il provvedimento dell’AGCM le parti, se lo riterranno, potranno fare ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria competente, non si può fare a meno di osservare, però, come l’attenzione dei mass media e della maggior parte di coloro che hanno voluto esprimere la propria opinione su questa vicenda si sia concentrata sulla questione della donazione e non sia stata prestata la giusta attenzione al fatto che alla base del provvedimento dell’Autorità vi sia la tutela della libertà economica del consumatore.
Infatti, l’Autorità nella sua decisione, nella parte relativa alla quantificazione della sanzione amministrativa, ha affermato che le modalità di diffusione dei messaggi sul sito dell’industria dolciaria e attraverso i canali social dell’influencer, si fossero rivelate idonee ad incidere sensibilmente sulle scelte economiche dei consumatori. In altri termini, l’AGCM ha irrogato la sanzione non per le modalità con cui si è svolta l’attività di beneficenza ex se ma perché con la condotta tenuta il consumatore non ha potuto scegliere in modo effettivamente libero e consapevole di acquistare un pandoro ad un prezzo poco più di due volte e mezzo superiore rispetto a quello del pandoro tradizionale prodotto dall’industria dolciaria nonostante avessero la stessa qualità.
5. Brevi cenni conclusivi: la necessità di una specifica disciplina europea a tutela del consumatore per le pubblicità poste in essere dagli influencer e le proposte del Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema “la pubblicità attraverso gli influencer e il suo impatto sui consumatori”.
Dopo aver ripercorso la disciplina delle pratiche commerciali ingannevoli, il caso “Pandoro Pink Christmas” e le argomentazioni poste a base della decisione dell’Autorità e aver circoscritto l’ambito di tutela dello stesso alla libertà economica del consumatore, lo scrivente in questa parte conclusiva ritiene utile una breve riflessione sull’attuale mondo dei c.d. “social” e sull’attuale stato di vulnerabilità dei consumatori rispetto a questo universo.
Il consumatore già a partire dalla metà degli anni 70 del secolo scorso in ambito comunitario e nazionale è sempre stato considerato come un soggetto debole posto in una situazione di squilibrio e asimmetria nei confronti del professionista e a favore del quale è necessaria l’attuazione di una politica di protezione affinché le sue scelte economiche possano avvenire nella maggiore libertà possibile[5]. Di qui discende l’emanazione della disciplina normativa a tutela dei suoi rapporti con il mondo dell’impresa e dei professionisti. Tuttavia, la disciplina normativa attuale è stata concepita in un’epoca in cui la problematica era quella della tutela della libertà economica del consumatore nella scelta tra più prodotti, mentre ad oggi, nel mondo dei “social” e degli influencer si pone l’ulteriore problematica per cui ad essere influenzato, appunto, è il comportamento sociale ed economico in senso lato; non si tratta più della scelta dell’uno o dell’altro prodotto ma del voler imitare il vestiario, gli accessori, il comportamento mostrato da una persona, l’influencer. Il consumatore è ancora più vulnerabile in quanto, mentre prima era consapevole di essere di fronte ad un’impresa o ad un professionista, nel mondo dei social e dei creatori di contenuti è portato a credere che quello mostrato da questi è uno stile di vita quando in realtà è di fronte ad una vera e propria attività commerciale.
Ad oggi non esiste una regolamentazione specifica a livello europeo per tali attività e gli ordinamenti nazionali si stanno muovendo in ordine sparso ma, vista l’ampiezza della portata e l’importanza di tali attività e i loro effetti sul piano sociale ed economico, una regolamentazione in ambito comunitario è assolutamente necessaria. E qualcosa, effettivamente, si sta muovendo: in data 29 settembre 2023 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Parere esplorativo del Comitato economico e sociale europeo sul tema la “Pubblicità attraverso gli influencer e il suo impatto sui consumatori” che ha adottato delle proposte al fine della regolamentazione delle attività di queste figure quali: a) l’assunzione da parte di piattaforme e social network della responsabilità in solido dei contenuti illeciti pubblicati dagli influencer; b) la garanzia da parte di quest’ultimi e dagli amministratori delle piattaforme e dei social network nei propri messaggi delle avvertenze quali “pubblicità”, “comunicazione commerciale” o “sponsorizzato da”; c) l’inserimento della dicitura per le immagini ritoccate o modificate “immagine ritoccata” e la dicitura “immagine virtuale” per le produzioni create con l’intelligenza artificiale.
[1] Cfr. G. Cassano, A. Catricalà, C. Rentato, Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori, UTET, Torino, 2018; G. De Cristofaro, Pratiche commerciali scorrette, in A. Falzea, E. Cheli, F. Gallo, P. Grossi, R. Costi, U. Breccia, Enciclopedia del diritto. Annali, Giuffrè, Milano, 2012, 1097 – 1099; A. Ferrario, P. Mariotti, la tutela dell’acquirente di beni immobili, mobili e di consumo, questioni processuali, Giuffrè, Milano, 2009, 114-116.
[2] Cfr. Cons. Stato 19/09/2017, n. 4378.
[3] Cfr. Cass. Civ. S.U. 15.12.2009, n. 794. Cfr. anche L. Fiandaca, il danno non patrimoniale: percorsi giurisprudenziali, Giuffrè, Milano, 2009.
[4] https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/PS12506%20chiusura.pdf
[5] Cfr. sul punto G. Capilli, I contratti del consumatore, Giappichelli, Torino, 2021, pag. 70 ss.