L'incursione del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 in tema di obbligazioni non adempiute e responsabilità del debitore
Pubblicato il 20/04/20 02:00 [Articolo 908]






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"Il diritto dell'emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali"

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Sommario: 1. Contestualizzazione dell'art. 91 D.l. 17 marzo 2020, n. 18. - 2. La forza maggiore nella legislazione (cenni). - 3. Ratio dell'intervento legislativo. - 3.1. Problemi formali. - 3.2. Problemi esegetici. - 3.3. Limiti applicativi: per i richiami operati - 3.4. (segue) … e per quelli omessi - 3.5. Problemi processuali. - 4. Soluzioni alternative.


1. Contestualizzazione dell'art. 91 D.l. 17 marzo 2020 n. 18

La situazione emergenziale reca con sé problemi giuridici vecchi e nuovi; solo col tempo potranno apprezzarsi pienamente le implicazioni sistematiche di certi interventi del legislatore.

Il dato di partenza - comune, si può dire, a tutta la normativa, primaria e secondaria, succedutasi ed affastellatasi in un paio di mesi scarsi (dall'ultima decade di febbraio alla prima di aprile 2020) - è palese: l'inaspettata ed improvvisa pandemia che ha rapidamente messo in ginocchio il mondo intero, tanto da prospettare concretamente scenari apocalittici non solo di carattere medico ma anche di tipo economico, ha reso e rende necessari interventi urgenti e strutturali insieme. Fra le varie questioni, la paralisi di molte attività produttive, la grave crisi finanziaria, la necessità di massicci interventi pubblici, per sopperire al repentino venir meno del lavoro e del guadagno per molti attori del mercato, hanno moltiplicato i casi in cui una parte, giuridicamente obbligata ad adempiere la prestazione, si trovi in condizione di non poterlo fare[1].

La situazione emergenziale, come si diceva, ha indotto il governo italiano a prevedere norme eccezionali e temporanee deroghe al diritto comune. Fra esse, solo per ricordarne alcune che più direttamente interessano il diritto civile e commerciale, introdotte dal D.l. 8 aprile 2020, n. 23, la sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito (art. 11), la disapplicazione di alcune regole sulla perdita del capitale sociale (art. 6), l'improcedibilità dei ricorsi per dichiarazione di fallimento (art. 11). Ognuna di queste norme, e molte altre, meriterebbero un ampio autonomo commento.

Ragioni evidenti impongono però di circoscrivere l'ambito della riflessione. Intendo perciò concentrarmi sulla norma posta dall'art. 91 D.l. 17 marzo 2020, n. 18, recante Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (c.d. "decreto Cura Italia")[2], con cui, introducendosi un nuovo comma (6 bis) nell'art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, recante Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19[3], convertito con modificazioni in l. 5 marzo 2020, n. 13[4], si è prescritto testualmente che "Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti".



2. La forza maggiore nella legislazione (cenni)

Conviene premettere, prima di tentare una minima esegesi, qualche brevissima considerazione di carattere sistematico. La disposizione in esame, infatti, si inserisce tra quelle con cui l'ordinamento, in deroga al generale principio della vincolatività dell'obbligazione validamente contratta (quale ne sia la fonte), sussistendo determinati presupposti ammette che il debitore possa legittimamente non adempiervi, temporaneamente o definitivamente.

Senza alcuna pretesa di completezza, ci si limita qui a richiamare, tra le norme domestiche, l'art. 1256 c.c., che disciplina l'estinzione dell'obbligazione per sopraggiunta impossibilità della prestazione (in stretto collegamento con l'art. 1218 relativamente alla responsabilità risarcitoria e con l'art. 1463 relativamente alla risolvibilità del contratto)[5], e l'art. 1467 c.c., per il quale nei contratti non aleatori non ancora interamente eseguiti la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione può legittimare il rimedio della risoluzione[6]. Tutte le disposizioni richiamate usano locuzioni generali ("causa non imputabile al debitore" le prime, "avvenimenti straordinari e imprevedibili" l'ultima), che rinviano a concetti tanto noti quanto non codificati: il caso fortuito, la forza maggiore, il fatto illecito del terzo, il factum principis[7]. Di tali nozioni, è bene sottolinearlo, il codice civile non contiene alcuna definizione, e la forza maggiore è anzi menzionata (senza precisazioni) esclusivamente nell'art. 1785, quale situazione che esclude la responsabilità dell'albergatore per deterioramento, sottrazione o distruzione delle cose consegnategli dal cliente.

Un più significativo sforzo sistematico è stato compiuto dalla legislazione francese (cui è in effetti riconducibile anche la prima disciplina della forza maggiore[8]). In particolare l'art. 1218 del Code civil definisce la "force majeur en matière contractuelle" come quell'accadimento che impedisce l'adempimento che si configura come "échappant au contrôle du débiteur … qui ne pouvait être raisonnablement prévu lors de la conclusion du contrat et dont les effets ne peuvent être évités par des mesures appropriées". In Germania, viceversa, di forza maggiore parla talvolta la legge, ma ne manca una positiva definizione, sicché è la giurisprudenza ad averne ricostruito il significato alla stregua di un incidente causato da un evento esterno senza collegamento operativo, impossibile da prevedere anche applicando tutte le misure di sicurezza ragionevolmente richieste. Anche nella common law la ricostruzione della fattispecie è di fatto rimessa alla giurisprudenza ed al principio del precedente.

Interessanti sono le prese di posizione di taluni ordinamenti civilistici dell'Europa orientale e dell'Asia: nel diritto lituano l'evento che esonera l'obbligato da responsabilità per inadempimento è individuato quale "fatto estraneo alla sfera di controllo del debitore"; in quello bulgaro quale "accadimento di straordinaria portata imprevedibile o inevitabile"; in quello russo quale "circostanza straordinaria, impossibile da prevedere". Il diritto cinese introduce la situazione "imprevedibile, inevitabile e insormontabile", che però consente solo di aprire spazi per una valutazione giudiziale del caso concreto. Il codice civile filippino esclude responsabilità non solo se l'evento impeditivo dell'adempimento sia imprevedibile ma anche se esso sia prevedibile ma inevitabile[9].

La Convenzione di Vienna del 1980 (recepita in Italia con l. 11 dicembre 1985, n. 765, Ratifica ed esecuzione della convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita internazionale di merci, adottata a Vienna l'11 aprile 1980)[10], nei confini oggettivi della propria applicazione, dispone poi (art. 79, comma 1) che il contraente non è responsabile se prova che l'inadempimento è dovuto ad un "impedimento indipendente dalla sua volontà" e che non ci si poteva ragionevolmente attendere fosse da lui preso in considerazione al momento della conclusione del contratto: ipotesi per vero non lontana dall'"avvenimento straordinario e imprevedibile" di cui all'art. 1467 c.c.[11] Va qui osservato che, per la verità, nelle vendite internazionali di merci, specialmente se di rilevanza economica, raramente difetta una clausola contrattuale che, in modo analitico, disciplini le fattispecie riconducibili ad eventi imprevedibili ed inevitabili che alterino il sinallagma contrattuale. Sicché l'operatività della Convenzione, non essendo inderogabile, non può dirsi generalizzata.


3. Ratio dell'intervento legislativo

L'art. 91 D.l. 18/20 ambisce a regolare le conseguenze della crisi epidemiologica e delle misure adottate per il suo contenimento sul diritto privato delle obbligazioni e dei contratti. La disciplina generale, già facente parte del sistema, non è stata ritenuta sufficientemente duttile da poterla ritenere adeguata alle circostanze straordinarie.

La questione della giustificazione dell'inadempimento del debitore riveste particolare interesse, nell'ottica con cui mi prefiggo una veloce e necessariamente incompleta analisi, per almeno tre ordini di motivi. È problema generale dalla cui soluzione discendono conseguenze giuridiche ed economiche di estrema importanza, perché da un lato incide sulla tutela del credito e dall'altro suscita istanze e tensioni equitative. È tema trasversale, che interessa tanto il diritto civile quanto, soprattutto per le applicazioni a proposito dei contratti d'impresa, il diritto commerciale. Infine coniuga tradizione e novità, affondando le radici nella terra degli istituti privatistici più antichi e slanciandosi tuttavia sino a permeare di sé l'esecuzione dei negozi che, su mercati nazionali ed internazionali, caratterizzano le forme più moderne degli scambi.

La norma in esame, a prima lettura, pare voler introdurre una disciplina di favore per il debitore inadempiente, rendendone meno gravosa la posizione contrattuale. La Relazione illustrativa al testo normativo[12] è pressoché tautologica (così come anche la Relazione tecnica[13]), rimandando semplicisticamente all'esigenza di integrare l'art. 3 D.l. 6/20 "chiarendo" che il rispetto delle misure di contenimento è valutato "nei singoli casi" ai fini della responsabilità del debitore "ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1218 c.c.".

Tuttavia, se lo scopo della decretazione d'urgenza era quello di offrire chiarimenti, esso non pare proprio sia stato raggiunto.


3.1. Problemi formali

Già la tecnica con cui la norma è redatta appare invero discutibile.

Non è infatti anzitutto chiaro se l'articolo sia diviso in due commi oppur no, posto che dopo le prime righe, concretanti il comma 1, con l'inserzione del comma 6 bis nell'art. 3 D.l. 6/20, si legge a capo una nuova prescrizione che non è caratterizzata dall'attribuzione di un numero di comma, ma soltanto da un trattino non meglio definito. Si tratta di un evidente refuso che potrà essere emendato in sede di conversione.

Del pari, la mancanza della preposizione articolata "al" tra le parole "di cui" e "presente decreto", che sarebbe stata agevolmente sopperibile con una maggiore attenzione in sede di rilettura (e probabilmente sarebbe stata evitata se vi fosse stata meno angosciante urgenza di emanare il decreto), potrà essere superata con un tratto di penna in occasione della conversione in legge.

Altra perplessità è data dall'accostamento tra quanto prescritto nel primo e nel secondo periodo. La prima disposizione modificata (art. 3 D.l. 6/20), infatti, è parte della legislazione emergenziale, mentre l'altra appartiene ad uno dei maggiori interventi di sistema che siano stati prodotti negli ultimi anni (art. 35, comma 18, D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Codice degli appalti pubblici). Né pare che vi siano interazioni tra le due norme, le quali appaiono dunque solo casualmente accomunate dalla sede per esse prescelta.

Una quarta osservazione formale, che denota qualche confusione da parte di chi ha scritto o revisionato la norma, è imposta dalla decisione di inserire nell'art. 3 D.l. 6/20 un comma 6 bis: posto che l'art. 3 era infatti composto da soli sei commi, sarebbe stato più coerente aggiungere buon ultimo, dopo il comma 6, un comma 7, senza abusare dell'ordinale "bis".

Più seri dubbi induce il raffronto con l'art. 3 D.l. 6/20, rubricato "Attuazione delle misure di contenimento", il quale in effetti demanda all'autorità amministrativa l'adozione per il futuro delle prescrizioni utili a far fronte all'epidemia, ne stabilisce principi forme e limiti, impartisce compiti ai Prefetti per la loro esecuzione, prescrive la sanzione per le violazioni che chiunque ne abbia a fare. Ci si chiede, molto semplicemente, che senso abbia avuto inserire la nuova regola in tale articolo, tutto dedicato a questioni pubblicistiche (forme e modi di legiferare in materia di libertà delle persone, essenzialmente), mentre l'art. 91 D.l. 18/20 ha contenuto squisitamente civilistico.


3.2. Problemi esegetici

Il comma 6 bis di nuova fattura impone di valutare, volta per volta, se sia a causa del "rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto" che il debitore sia rimasto inadempiente.

Un primo dubbio interpretativo si pone con riguardo alla nozione stessa di misure di contenimento, e quindi all'ambito di operatività della norma. È infatti chiaro il riferimento alle misure individuate dagli artt. 1 e 2 D.l. 6/20 (il primo ne contiene un elenco non esaustivo, il secondo ne prevede l'ampliamento ad opera delle autorità governative nazionali e locali). Meno chiaro è perché si sia limitato l'impatto alle misure di contenimento dell'epidemia e, segnatamente, a quelle contemplate dal D.l. 6/20. Per essere più chiari, esulerebbero dalla disposizione considerazioni circa il nesso causale tanto tra inadempimento e rispetto di prescrizioni che non siano strettamente "misure di contenimento" dell'epidemia a sensi degli artt. 1 e 2 D.l. 6/20, quanto tra inadempimento e rispetto di misure adottate in virtù di altro testo normativo. Per fare un esempio, se l'impossibilità di adempiere del debitore fosse determinata da una sopravvenuta requisizione (art. 6 D.l. 18/20), il comma 6 bis non sarebbe applicabile.

Il "rispetto delle misure di contenimento" è certamente un atteggiamento virtuoso che può caratterizzare il debitore: se egli non ha potuto adempiere perché impeditone dalla normativa, è doveroso che egli non ne paghi le conseguenze. Ma esso potrebbe anche attenere a comportamenti di terzi che, attuando le misure, abbiano reso impossibile al debitore adempiere. Nel primo caso l'impedimento è riconducibile al factum principis (la legge preclude di fare ciò che sarebbe dovuto, e prevale sul contratto); nel secondo alla forza maggiore per fatto del terzo, il quale abbia preferito lodevolmente rispettare le misure piuttosto che far ciò che avrebbe indirettamente consentito l'adempimento da parte del debitore. Sembra invero che la norma sia così ampia da permettere di considerare sia l'una che l'altra ipotesi, quali esimenti da responsabilità.

Una terza osservazione è ispirata dal verbo "valutare". La norma impone sì al giudice di "considerare" le ragioni dell'inadempimento e, se questo risulta effettivamente esser conseguito causalmente, ad esempio, alle limitazioni alla libertà di circolazione o di riunione disposte per far fronte alla crisi sanitaria, di "valutarlo" in funzione dell'esclusione di responsabilità. Ma la norma non impone affatto al giudice di "approvare" l'inadempimento se ed in quanto esso sia dovuto al rispetto delle misure di contenimento.

Il che è comprensibile: se ad esempio un imprenditore debba effettuare una consegna ma, per le misure restrittive in essere, non disponga presso la propria sede dalla quale era stata programmata la partenza della merce per essere consegnata, di personale ed automezzi ed autorizzazioni per caricare e trasportare i beni, e tuttavia possa rivolgersi ad altra impresa per l'effettuazione del trasporto e delle operazioni accessorie, con un ragionevole incremento di costo, l'esonero da responsabilità può rivelarsi eccessivo. Il giudice dunque dovrà "valutare" ma non accettare di considerare il debitore esentato dai propri obblighi.

Se però è così, l'unica novità introdotta dall'art. 91 D.l. 18/20 sta nell'obbligo per il giudice di prendere in esame "sempre" la circostanza, senza doverla però ritenere decisiva. Ragionando all'opposto, potrebbe reputarsi che l'espressione usata, quantunque un po' timida, abbia un significato ben più pregnante: che, cioè, se un inadempimento sia stato determinato anche dal rispetto delle misure di contenimento, allora il debitore che vi si sia conformato o che abbia subito l'altrui adeguamento ad esse è sempre esonerato da responsabilità[14].


3.3. Limiti applicativi: per i richiami operati

La norma di cui all'art. 91 D.l. 18/20, quale il giudizio che se ne dia, è certamente imperativa: la circostanza è sempre, e quindi deve sempre essere, valutata; deve esserlo ai fini e per gli effetti di cui agli artt. 1218 e 1223 c.c.; deve esserlo "anche" relativamente a decadenze o penali. Le ultime parole, lungi dall'essere pleonastiche, sono forse quelle più dense di implicazioni pratiche. Se infatti si parla di clausole penali o di decadenze, si presuppone l'esistenza di precise previsioni contrattuali che contemplino conseguenze patrimoniali dell'inadempimento.

Il comma 6 bis, dunque, prevarrà su qualsiasi clausola contrattuale di tal tipo, determinandone nullità ex art. 1419 c.c.: e sarei propenso ad un'interpretazione estensiva, così da ritenere operativa la prescrizione anche ad esempio con riguardo a clausole limitative della proponibilità di eccezioni assimilabili a decadenze consequenziali al ritardo nell'adempimento.

Nondimeno la previsione normativa appare incerta. Se ad esempio la mancanza di regolarità nelle forniture rendesse applicabile contrattualmente un diritto di recesso, o rendesse inoperante un diritto di esclusiva, od attribuisse all'altro contraente la facoltà di sospendere l'esecuzione del contratto, sarebbe probabilmente difficile sostenere che l'art. 91 D.l. 18/20 basti a scongiurare la possibilità che ciò legittimamente avvenga. Ed ancora, mi pare evidente che, pur con la salvaguardia del giudizio di conformità a buona fede, sia sempre operante la tutela del creditore della prestazione inadempiuta di cui all'art. 1460 c.c.


3.4. (segue) … e per quelli omessi

Il fine principale del comma 6 bis è quello di istituire un necessario giudizio sulla rilevanza del rispetto delle misure di contenimento con riguardo - suggerisce la norma - a quanto disposto dagli artt. 1218 e 1223 c.c.; e qui subentrano i problemi più gravi.

L'art. 1218 c.c. sanziona con l'obbligo risarcitorio il debitore che non adempia esattamente la prestazione "se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" (per tradizione, caso fortuito o forza maggiore). L'art. 1223 c.c. stabilisce il criterio generale per la quantificazione del danno.

Vengono subito alla mente due interrogativi.

La prima domanda che ci si pone è perché sia stato richiamato l'art. 1223 c.c. Forse si è inteso alleggerire la posizione di quel debitore il quale abbia invocato l'esimente ma senza fortuna: il giudice dovrebbe valutare, stimando danno emergente e lucro cessante, le ragioni dell'inadempimento.

Ma tale considerazione non è sostenibile. Il danno di cui all'art. 1223 c.c. è quello subito dal creditore per effetto dell'inadempimento imputabile al debitore; e l'inadempimento o è imputabile al debitore (anche solo in termini di concorso causale) o non lo è. Altra, e precisamente quella di cui all'art. 1227 c.c., è la norma che esime il debitore, in tutto od in parte, dall'obbligo di risarcire il danno patito dal creditore, se questi abbia col proprio fatto colposo, od anche solo con la propria negligente inerzia, concorso alla determinazione del danno stesso. Sennonché l'art. 1227 c.c. non è richiamato dalla disposizione in commento.

"Ai fini e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c." non può dunque voler dire altro che "in funzione della responsabilità del debitore per l'inadempimento, quale contemplata dalla norma generale di cui all'art. 1218 c.c.", della quale l'art. 1223 c.c. si presenta come un semplice corollario, applicabile ogni qual volta la responsabilità non sia esclusa.

La seconda domanda attiene alla ragione per la quale non siano state richiamate altre norme del capo III del titolo I del libro IV del codice civile. Ad esempio gli artt. 1219, comma 2, n. 3, 1221, 1224, 1226 oltre che, naturalmente, l'art. 1227. Ed ancora le norme sulla mora del creditore di cui agli artt. 1206 e segg. (si pensi a colui che, per effetto delle misure di contenimento, non è in grado di ricevere una consegna).

È difficile individuare una ratio della scelta, se di opzione consapevole si è trattato. Se non vi fosse stato lo specifico richiamo all'art. 1223 c.c., si sarebbe probabilmente potuto sostenere che l'esclusione della responsabilità del debitore valesse a tutti gli effetti di cui agli artt. 1218 e segg.; ma la formulazione adottata, a mio avviso, invece, obbligherà l'interprete ad equilibrismi molto pericolosi e verosimilmente condurrà a risultati insoddisfacenti.


3.5. Problemi processuali

Come noto, l'art. 1218 c.c. - che non è derogato, ma solo per così dire arricchito dalla norma in commento - presume l'imputabilità al debitore dell'inadempimento o dell'inesatto adempimento. Questi può superare la presunzione solo dimostrando la impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da causa non a sé ascrivibile[15].

Il rischio del giudizio è integralmente a carico del debitore. Sta a lui allegare e comprovare, a fronte del dato oggettivo del mancato adempimento, la ragione che lo giustifichi. Il comma 6 bis, sotto tale profilo, aiuta poco: il principio dell'art. 1218 c.c. non è scardinato, ma semmai me esce confermato, e quindi rafforzato; e la prevedibile e facile allegazione delle misure di contenimento non può essere ritenuta sufficiente ad escludere la responsabilità, posto che occorre dimostrare l'assoluta impossibilità (non la anche molto maggiore onerosità)[16] della prestazione che da esse sia derivata.

A tutto voler concedere, si potrebbe - forse - ammettere che il legislatore abbia persino imposto al giudice di valutare ex officio se le misure di contenimento abbiano interferito con l'esecuzione della prestazione, pur in assenza di specifica allegazione ("sempre"). Personalmente non credo che questa fosse l'intenzione, né che tale interpretazione sia corretta, ma se anche la si recepisse, il problema non sarebbe risolto.

In altre parole, se anche si volesse ammettere che, di là dall'infelice formulazione, la norma abbia inteso proteggere a priori chi si sia reso inadempiente per rispettare le misure di contenimento o perché altri le abbia rispettate, resterebbe comunque ferma la necessità di soppesare le ragioni allegate dal debitore e, comunque, di esprimere un giudizio circa l'ineluttabilità dell'inadempimento in conseguenza delle misure di contenimento: valutazione, questa, che richiede per definizione l'offerta da parte del debitore della prova che l'inadempimento fosse non già ostacolato, ma reso impossibile da quanto connesso alla lotta al COVID-19.

Sembra, in definitiva, che la norma non abbia colto nel segno e che la sua efficacia sia molto limitata. Essa impone al giudice di considerare, fra le altre ragioni, la difficoltà di adempiere che il debitore abbia incontrato per effetto di limitazioni imposte dall'emergenza; se esse, alla luce delle prove offerte dallo stesso debitore, siano tali da escludere la possibilità che egli adempisse ugualmente, gli consente quindi di assolverlo. Il che pare essere conseguenza che poteva ben desumersi con buon agio da un'applicazione intelligente delle norme già da decenni immanenti al sistema.


4. Soluzioni alternative

L'insoddisfazione che trapela dall'esame della norma posta ad hoc dal legislatore trova parziale compensazione nella convinzione che altri strumenti già esistenti permettano all'interprete di ovviare a situazioni delicate.

Con riferimento alle obbligazioni, infatti, lo stesso art. 1218 c.c., prevedendo che l'impossibilità della prestazione non riferibile a fatto del debitore sia causa di esclusione di responsabilità, consente di includere tra le esimenti quella forza maggiore che fa riferimento senza dubbio all'evento imprevedibile ed inevitabile che abbia inciso con portata dirompente sul programma del rapporto obbligatorio. E ben difficilmente potrebbe negarsi che non solo le misure restrittive adottate da un governo, ma tutto quanto consegua naturalmente alla pandemia, abbia natura di forza maggiore. Per fare un esempio, se un focolaio improvviso e violento manifestasse una situazione di conclamato gravissimo pericolo in una città, e le autorità tardassero a definire una "zona rossa", l'autotrasportatore che si astenesse dall'effettuare una consegna in quella sede potrebbe ugualmente ritenersi giustificato.

L'art. 1256, comma 1, c.c., poi, riconduce all'impossibilità sopravvenuta della prestazione una conseguenza ulteriore ed ancora più radicale: l'estinzione dell'obbligazione, che ovviamente implica esonero da responsabilità per il debitore che non vi abbia dato causa e, secondo l'art. 1463 c.c., risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive che ne sia la fonte. Qui, per la verità, si impone una precisazione: se infatti venissero a cessare le misure restrittive che determinarono l'impossibilità di esecuzione degli obblighi del debitore, verrebbe meno anche l'impossibilità della prestazione, e quindi, per un verso, il debitore sarebbe ancora obbligato (art. 1256, comma 2) e dovrebbe adempiere senza ritardo, mentre per altro verso l'eventuale esclusione da responsabilità non varrebbe in relazione al ritardo successivamente maturato.

Ma la norma più feconda di conseguenze sembra essere, almeno per le obbligazioni di fonte negoziale, quella di cui all'art. 1467, comma 1, c.c.: se la pandemia costituisce, rispetto al contratto a prestazioni corrispettive, un evento straordinario e imprevedibile (il che non sarebbe, ad esempio, se il contratto fosse stato stipulato allorché già l'epidemia si stava visibilmente diffondendo) che ne abbia reso non già impossibile, ma eccessivamente onerosa la prestazione, si prospetta la configurabilità della risoluzione a tutela del maggiormente onerato, a meno che l'altro contraente si offra di riportare le condizioni negoziali ad equità.

È questa, a mio avviso, la norma che, in presenza di situazioni frequentissime in cui l'adempimento non sia divenuto impossibile, bensì notevolmente più oneroso per l'obbligato, può consentire il miglior contemperamento degli interessi[17], soprattutto se l'eventuale controversia sia saggiamente gestita da un giudice il quale faccia buon uso degli strumenti processuali che l'ordinamento gli attribuisce (penso ad esempio all'art. 185 bis c.p.c.)[18].

NOTE
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*Ricercatore di Diritto Commerciale, Università degli Studi del Piemonte Orientale.

[1] Sull'inadempimento delle obbligazioni la letteratura è sterminata. Fra le molte opere dedicate al tema, v. Visintini, Inadempimento e mora del debitore - Artt. 1218-1222, in Il Codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2006; Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010; Ambrosoli, Inadempimento del contratto e risarcimento del danno; Mazzamuto, La responsabilità contrattuale, Torino, 2015.

[2] Il D.l. 18/20 è stato pubblicato in Gazz. Uff., 17.3.2020, n. 70.

[3] In G. Uff., 23.2.2020, n. 45.

[4] In G. Uff., 9.3.2020, n. 61.

[5] Bianca, Diritto civile, 4. L'obbligazione, Milano, 1990, 528 ss.; Clarizia, Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli, 2012; De Mauro, Dell'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore - Artt. 1256-1259, in Il Codice civile. Commentario, cit., Milano, 2011; Delfini, Dell'impossibilità sopravvenuta - Artt. 1463-1466, ivi, Milano, 2003; Ungari Trasatti, La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ed il requisito dell'imputabilità, in Riv. notar., 2004, 753.

[6] Bianca, Diritto civile, 3. Il contratto, Milano, 1987, 642 ss.; Sacco - De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Torino, 1989, 541; Gabrielli, L'eccessiva onerosità sopravvenuta, Torino, 2012; Riccio, Eccessiva onerosità, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2010; Abas, Errore di previsione e sopravvenienza contrattuale: un'indagine comparatistica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 787.

[7] Si tratta di eventi imprevedibili ed eccezionali, tutti caratterizzati dall'impossibilità di farvi fronte per un soggetto dotato della diligenza richiesta dalla legge per l'adempimento di un determinato tipo di obbligazione. Il caso fortuito riporta prevalentemente ad un fatto naturale; la forza maggiore ed il fatto illecito del terzo che ne abbia ad un evento, naturale od umano, cui humana infirmitate resisti non potest; il factum principis si riferisce ad un intervento autoritativo che ha precluso il legittimo adempimento dell'obbligazione. La distinzione tra le figure richiamate non è di evidenza cristallina.

[8] L'origine della disciplina francese risale al Code Napoléon del 1804. Cfr. Brunner, Force Majeure and Hardship under General Contract Principles, Alphen aan den Rijn, 2009, 16.

[9] Cfr. per un sommario esame Gardenal, Il principio di forza maggiore: la disciplina nazionale e internazionale a confronto, in www.mglobale.it.

[10] In G. Uff., 27.12.1985, n. 303.

[11] Sacco - De Nova, op. cit., 548 s.

[12] Sub art. 91, a pag. 11. La si può leggere nel testo ufficiale anche in www.repubblica.it.

[13] Sub art. 91, a pag. 60, in www.regioni.it.



[14] Come si accennerà infra, sub 3.5, non credo che questa conclusione sia convincente.

[15] Dottrina e giurisprudenza sul punto sono assolutamente pacifiche; del resto il tenore della norma è inequivocabile.

[16] Sui caratteri dell'impossibilità che esime da responsabilità, v. per tutti Torrente - Schlesinger, Manuale di diritto privato, a cura di Anelli e Granelli, Milano, 2015, 443 ss.

[17] La tutela del debitore è infatti limitata dalla possibilità del creditore di esigere comunque l'esecuzione del contratto, ma a condizioni equamente modificate.

[18] In virtù di tale articolo, di non frequente applicazione, il giudice può sottoporre alle parti una "proposta transattiva o conciliativa", nella quale ovviamente ampio spazio potrà avere proprio l'equità.





















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