Gli effetti restitutori dell'accoglimento della domanda di nullità
Pubblicato il 14/03/09 02:00 [Articolo 644]






1. Una premessa circa l'ambito di operatività della ripetizione dell'indebito.
In materia di intermediazione finanziaria il tema della restituzione delle prestazioni indebitamente eseguite dalle parti ex art. 2033 c.c. si connette a quello della nullità dei contratti posti in essere in tale ambito ed assume una rilevanza particolare in conseguenza della discussa ampiezza dell'ambito di operatività della categoria della nullità contrattuale.
È evidente che dalla maggiore o minore ampiezza che siamo disposti a riconoscere alla categoria della nullità contrattuale dipende la maggiore o minore ampiezza del diritto alla restituzione delle prestazioni già eseguite in forza del contratto nullo.
Nel testo unico che disciplina l'intermediazione finanziaria - il D.l.vo n. 58/98 - è infatti anzitutto contenuta la previsione di un'importante ipotesi di nullità testuale relativa al difetto di forma scritta del contratto.
Recita a tale proposito il primo comma dell'art. 23 D.l.vo n. 58/98: "I contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato al cliente. La CONSOB, sentita la Banca d'Italia, può prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contatto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo."
Non possiamo dunque dubitare della nullità del contratto in tale ipotesi.
Ma parte della dottrina e della giurisprudenza1 ha anche ipotizzato l'esistenza di nullità virtuali ex art. 1418/1 c.c. in relazione alla violazione dei doveri posti a carico dell'intermediario finanziario dall'art. 21 del citato decreto.
Recita a tale proposito tale norma: "Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono:
a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati;
b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti;
d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attività.
1-bis. Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, le Sim, le imprese di investimento extracomunitarie, le Sgr, le societa' di gestione armonizzate, gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario, le banche italiane e quelle extracomunitarie:
a) adottano ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero insorgere con il cliente o fra clienti, e li gestiscono, anche adottando idonee misure organizzative, in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti;
b) informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse quando le misure adottate ai sensi della lettera a) non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato;
c) svolgono una gestione indipendente, sana e prudente e adottano misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.
2. Nello svolgimento dei servizi le imprese di investimento, le banche e le società di gestione del risparmio possono, previo consenso scritto, agire in nome proprio e per conto del cliente".
Secondo la citata opinione anche la violazione di tale norma dà luogo ad altrettante ipotesi di nullità.
E solo riconoscendo l'esistenza di tali nullità virtuali possiamo fare conseguente applicazione dell'art. 2033 c.c., quando i contratti risultino cioè affetti da tale nullità. Tale prospettazione amplia sensibilmente l'ambito di applicazione della disciplina restitutoria in oggetto rendendo centrale l'argomento.

2. Ancora due premesse: la ripetizione come conseguenza della nullità contrattuale; la prestazione avente ad oggetto un dare.
Ciò detto, devono essere compiute alcune specifiche osservazioni sulla ripetizione dell'indebito.
Che il rimedio delle restituzioni ex art. 2033 c.c. e seguenti sia applicabile - con riferimento alle prestazioni eseguite - alle ipotesi di contratto nullo non mi pare che sia dubitabile.
Recita infatti l'art. 1422 c.c.: "L'azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell'usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione."
Anche a prescindere dal dibattito dottrinale sull'ampiezza del diritto alla ripetizione dell'indebito nelle diverse ipotesi di inefficacia del contratto2, nel caso della nullità contrattuale ne fa espressa fede il citato art. 1422 c.c.
Tale norma, nel sancire l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, fa salva la prescrizione decennale di quella di ripetizione, con ciò intendendo connettere alla suddetta invalidità contrattuale la ripetizione ex art. 2033 c.c. delle prestazioni eventualmente eseguite.
Possiamo dunque affermare che dalla nullità del contratto deriva il diritto per ciascuna parte di ripetere la prestazione eseguita.
Ancora, con riferimento alla disciplina dell'indebito, non mi pare che vi siano dubbi sul fatto che oggetto della ripetizione possano essere prestazioni aventi ad oggetto un dare. In tal senso è sicuramente interpretato il termine pagamento di cui all'art. 2033 c.c., essendo il dibattito incentrato sull'applicabilità della norma alle prestazioni aventi ad oggetto un facere3 e sui conseguenti rapporti con l'istituto dell'arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.
E dunque possiamo ragionevolmente sostenere che possano esserne oggetto somme di denaro, da un lato, e strumenti finanziari, dall'altro.

3. I contratti le cui prestazioni costituiscono l'oggetto della restituzione.
Occorre a questo punto delineare qual è l'oggetto della restituzione ex art. 2033 e seguenti c.c.
Andiamo con ordine.
Nella materia dell'intermediazione finanziaria, com'è noto, l'attività contrattuale, o comunque avente natura negoziale, si esplica su un duplice livello.
Anzitutto l'art. 23 D.l.vo n. 58/98, nel riferirsi ai contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, prevede la conclusione di un contratto cosiddetto quadro, di intermediazione finanziaria, con cui le parti si accordano sul contenuto della futura attività di negoziazione - diciamo così, in generale - degli strumenti finanziari, che il Legislatore ha voluto essere condotta necessariamente per il tramite di intermediari autorizzati.
Alla conclusione di tale contratto quadro seguono poi i singoli ordini di acquisto, con i quali il cliente investitore, già legato contrattualmente all'intermediario dal contratto quadro, impartisce gli ordini di acquisto o di vendita dei singoli strumenti finanziari.
Ordini che non possono che essere preceduti da un'adeguata informazione prevista dall'art. 21 D.l.vo n. 58/98, così come dettagliatamente specificata dagli artt. 28, 29 e 30 reg. CONSOB n. 12588/98 ora dagli artt. 39 e 40 reg. CONSOB n. 16190/07, affinché l'acquisto degli strumenti finanziari da parte del cliente investitore avvenga in modo consapevole, in relazione a natura, caratteristiche, rischiosità di tali strumenti e più in generale a tutti i profili che lo stesso Legislatore rende oggetto dell'informazione.
Ed è qui che nasce la controversia.
Secondo alcuni autori e giudici di merito le norme comportamentali poste dall'art. 21 D.l.vo n. 58/98 agli intermediari sarebbero norme imperative la cui violazione integrerebbe altrettante ipotesi di nullità del contratto di negoziazione.
Esse tutelerebbero infatti non solo e non tanto la parte debole del contratto, e cioè il cliente investitore, quanto l'integrità e la trasparenza del mercato e solo di riflesso i singoli investitori. Costituirebbero in buona sostanza l'articolazione ed il dipanarsi di una nuova accezione di ordine pubblico economico che si sostanzierebbe nella regolazione della circolazione della ricchezza secondo modalità inderogabili dalle parti e che il Legislatore avrebbe tutelato attraverso la nullità dei singoli contratti in ipotesi di loro violazione, così al tempo stesso tutelando anche gli interessi dei singoli investitori.
Da qui si imporrebbe la scelta della sanzione più grave, la nullità appunto, a presidio di nome imperative inderogabili, poste a tutela di interessi necessariamente generali.
Secondo altri autori e giudici di merito, ma recentemente anche di legittimità4, la nullità sarebbe invece da riservare alle sole ipotesi espressamente previste dal Legislatore - ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit - fra cui il difetto di forma del cosiddetto contratto quadro ex art. 23/1 e 3 D.l.vo n. 58/98, configurando la violazione degli obblighi comportamentali di cui all'art. 21 D.l.vo n. 58/98 da parte dell'intermediario altrettante ipotesi di inadempimento da parte sua del contratto quadro, essendo quella la fonte degli obblighi di comportamento, con i conseguenti effetti risolutori, restitutori e risarcitori secondo le regole generali, riferiti peraltro al contratto quadro.
Non devo prendere posizione sull'una o sull'altra ipotesi, mi basta solo osservare che è fin troppo evidente che l'adesione all'una o all'altra opzione ermeneutica determina una diversa ampiezza della categoria della nullità e della disciplina delle restituzioni.
Affermare che la violazione degli obblighi informativi da parte dell'intermediario finanziario, essendo imperative le norme che li prevedono, dà luogo alla nullità dei singoli ordini di acquisto cui tali obblighi si riferiscono significa far operare la disciplina degli artt. 2033 c.c. e seguenti non solo nel caso in cui il contratto quadro sia nullo per difetto di forma scritta, ma anche in cui lo siano i singoli ordini perché non preceduti da un'adeguata informazione a favore del cliente investitore.
In entrambi i casi la sanzione sarà quella della nullità ed il rimedio quello della ripetizione delle prestazioni indebitamente ricevute.
A tale proposito però si impongono ancora alcune precisazioni.
Gli strumenti finanziari oggetto dei singoli ordini possono appartenere allo stesso intermediario o ad un terzo, normalmente un collocatore istituzionale di essi, da cui l'intermediario li acquista.
L'intermediario può cioè averli nel proprio portafoglio o doverseli procurare da un terzo.
Una volta che il cliente investitore ha impartito l'ordine, nel primo caso la proprietà dei titoli oggetto di esso si trasferisce dall'intermediario - che li ha già nel proprio portafoglio - al cliente investitore, nel secondo dal terzo collocatore al cliente investitore.
Se si considerano i singoli ordini come altrettanti contratti conclusi fra l'intermediario ed il cliente - ed in tal senso è orientata la maggioranza della giurisprudenza di merito5 - nel primo caso si è in presenza di una compravendita in cui l'intermediario è il venditore e il cliente il compratore, nel secondo un mandato in cui l'intermediario è il mandatario ed il cliente il mandante, o - più esattamente - una commissione ex art. 1731 c.c., che è appunto un mandato a comprare.
Nel primo caso il cliente acquirente acquista i titoli direttamente dall'intermediario che glieli vende, nel secondo gli conferisce l'incarico di acquistarli presso un terzo. L'intermediario, quale mandatario del cliente, li acquista dal terzo ed in forza del contratto di mandato gli effetti di quell'acquisto, trattandosi di beni mobili non registrati, si verificano direttamente in capo al mandante che ex art. 1706 c.c. ne acquista la proprietà, senza che sia necessario alcun ritrasferimento dall'intermediario/mandatario al mandante cliente, benché il primo non abbia speso il nome del secondo nella compravendita, benché cioè sia un mandatario senza rappresentanza.
Recita infatti l'art. 1706/1 c.c.: "Il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede".
Ciò avviene in espressa deroga alla regola di cui all'art. 1388 c.c. che esige potere rappresentativo e spendita del nome perché gli effetti del contratto posto in essere dal rappresentante si verifichino direttamente in capo al rappresentato.
Nel caso di cui ci occupiamo invece ciò non è necessario poiché l'art. 1706 c.c. consente l'acquisto direttamente in capo al mandante, anche senza che il mandatario ne spenda il nome: in tal senso deve essere intesa la sua facoltà di rivendicare i beni acquistati dal mandatario.
Inoltre, è bene precisarlo, la nullità colpisce il solo contratto di mandato fra il cliente e l'intermediario, non anche quello di compravendita fra l'intermediario ed il terzo collocatore da cui l'intermediario acquista, e dunque gli effetti che vengono meno sono solo quelli del primo contratto - e cioè l'acquisto direttamente in capo al mandante, anziché al mandatario acquirente ex art. 1706 c.c. citato - e le restituzioni conseguenti attengono solo ad esso, non anche alla compravendita.
Il contratto fra intermediario e terzo collocatore non è mai colpito da nullità: esso è valido ed efficace.
D'altra parte la violazione degli obblighi informativi attiene al primo contratto e - se sussistente - travolge con la sua nullità solo quel contratto.
Gli effetti della compravendita fra intermediario e terzo collocatore restano fermi, cosicché l'intermediario diviene proprietario dei titoli acquistati dal terzo, venendo meno solo gli effetti del mandato fra cliente ed intermediario al quale - non a caso - i titoli devono essere restituiti: la nullità del mandato fa venir meno l'effetto di cui all'art. 1706 c.c. e consolida l'acquisto in capo all'intermediario acquirente.
Ma a conclusioni analoghe si giunge a mio parere anche se si qualificano gli ordini di acquisto come istruzioni che il mandante/cliente dà all'intermediario/mandatario in forza del contratto quadro, e dunque come negozi di attuazione di quel contratto di mandato6: la loro nullità e/o inefficacia dà luogo ai medesimi effetti restitutori secondo il meccanismo che ho appena delineato.

4. L'oggetto della ripetizione: il denaro ed i titoli.
Occorre dunque valutare quale sia l'oggetto della ripetizione ex art. 2033 c.c., in relazione alla prestazione eseguita.
Recita l'art. 2033 c.c.: "Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti ed agli interessi dal giorno del pagamento se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda."
La norma dispone quindi la restituzione della prestazione eseguita, insieme ai frutti ed agli interessi, questi ultimi dal giorno del pagamento se l'accipiens è in mala fede e da quello della domanda se in buona fede.
Ciò significa che essa in base allo stato soggettivo dell'accipiens non distingue con riferimento alla restituzione della prestazione indebita, ma solo alla restituzione di frutti ed interessi che da essa siano derivati, prevedendo una diversa decorrenza.
Nel nostro caso, con riferimento alla prestazione eseguita l'intermediario finanziario restituirà il quanto pagato dal cliente investitore per l'acquisto degli strumenti finanziari, comprensivo delle eventuali commissioni applicate.
Se il contratto concluso è una compravendita, perché - è bene ricordarlo - l'intermediario vende direttamente al cliente strumenti che ha già nel proprio portafoglio, l'oggetto di quella restituzione sarà il prezzo pagato al venditore, se invece il contratto concluso è un mandato, perché l'intermediario acquista gli strumenti da un terzo, l'oggetto di quella restituzione sarà la provvista fornita al mandatario per il compimento dell'affare, id est l'acquisto dal terzo, oltre al corrispettivo per il mandato.
Viceversa il cliente restituirà i titoli oggetto dell'ordine nullo e - se li ha alienati o comunque se ne è spogliato - sarà tenuto a restituire il tantundem, trattandosi di beni fungibili, e dunque non facendosi applicazione - almeno di regola - della disciplina di cui agli artt. 2037 e seguenti c.c. che viceversa presuppongono che oggetto dell'indebito sia una cosa specifica, infungibile e che quindi - una volta perita o alienata - non possa più essere restituita nella sua individualità7.
A tale proposito deve infatti precisarsi che l'art. 2033 c.c. pone la regola: oggetto dell'obbligo restitutorio è quanto ricevuto - bene fungibile o infungibile che sia - o almeno il tantundem, se ciò è possibile (se cioè si tratta di un bene fungibile).
E questo è il caso degli strumenti finanziari.
Gli artt. 2037 e seguenti c.c. disciplinano - viceversa - l'eccezione, stabiliscono cioè quale sia l'oggetto della restituzione quando non possa più essere restituito quanto ricevuto, e cioè quando non si tratti di un bene fungibile e lo stesso sia perito o si sia deteriorato (art. 2037 c.c.) o sia stato alienato (art. 2038 c.c.).
E questo, almeno di regola, non è il caso degli strumenti finanziari.

5. L'oggetto della ripetizione: l'eventuale applicabilità dell'art. 2038 c.c. Si impongono però alcune precisazioni.
La fungibilità, come categoria descrittiva delle cose, attiene al fatto che tali cose sono identiche fra loro nella comune valutazione sociale, nel senso che tutte quelle appartenenti al medesimo genere sono sostituibili, surrogabili, ed il creditore non ha interesse ad avere una cosa o un'altra all'interno del medesimo genere poiché, essendo identiche fra loro, sono sostituibili le une alle altre8.
Sotto questo profilo gli strumenti finanziari oggetto di negoziazione sono beni fungibili.
E tuttavia essi sono pur sempre appartenenti ad un genere non illimitato, poiché la loro identità rispetto ad altri beni dello stesso genere, e dunque la loro sostituibilità nell'indifferenza dell'interesse creditorio del solvens che ne chiede la restituzione è comunque legata alle caratteristiche specifiche che li accomunano all'interno del medesimo genere, ad esempio al fatto che siano obbligazioni che appartengono tutte ad una medesima emissione, caratterizzate da una certa durata, un certo rendimento, una certa periodicità nel percepimento delle cedole e così via, tutte caratteristiche che distinguono le obbligazioni di quell'emissione da quelle di altre emissioni.
Poiché il genere è limitato, può porsi in concreto un problema di perimento del genere, se il cliente che ha alienato gli strumenti finanziari acquistati si trova nell'impossibilità di procurarsi il tantundem, poiché sul mercato non se ne trovano più appartenenti a quel genere.
In tal caso a mio parere trova applicazione l'art. 2038 c.c., in via analogica, proprio perché - ancorché i beni da restituire siano fungibili - sono stati alienati e non è più possibile procurarsi il tantundem, come accade per i beni infungibili.
È vero che gli artt. 2037 e seguenti c.c. fanno espresso riferimento alle cose determinate, con ciò intendendo quelle infungibili, poiché è questa l'evenienza più comune, e non anche espressamente a quelle fungibili, come nel caso di cui stiamo parlando.
Se però la ratio di tali norme è quella appena delineata, di esse può farsi applicazione anche nell'ipotesi in cui il bene, ancorché fungibile, non possa più essere restituito, vista l'analogia delle due fattispecie9 .
Occorre dunque stabilire che cosa debba essere restituito dal cliente in questo particolare caso.
Recita l'art. 2038 c.c.: "Chi avendo ricevuto la cosa in buona fede, l'ha alienata prima di conoscere l'obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l'indebito subentra nel diritto dell'alienante. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito.
Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l'obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l'indebito può però esigere il corrispettivo dell'alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l'alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l'acquirente, qualora l'alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell'arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito".
Il cliente è dunque tenuto alla restituzione del corrispettivo dell'alienazione se in buona fede al momento in cui l'ha posta in essere oppure a tale corrispettivo o al valore degli strumenti finanziari, a scelta dell'intermediario finanziario creditore, se in mala fede, secondo la regola posta dalla norma.
Si tratta in questo caso di un'obbligazione alternativa, sia pure sui generis poiché la scelta è rimessa al creditore, volta ad impedire che l'accipiens, alienante di mala fede, si arricchisca dall'alienazione o comunque pregiudichi l'interesse del solvens nel caso in cui abbia venduto ad un prezzo inferiore al valore dei beni.
Egli infatti è consapevole dell'esistenza del suo obbligo restitutorio a favore di costui, ma nonostante questo aliena quanto indebitamente ricevuto. In tal caso è tenuto a restituire la maggior somma fra il valore del bene ed il corrispettivo dell'alienazione, o meglio la scelta fra le due somme è rimessa allo stesso solvens.
Devo infine ricordare che - secondo l'unica pronuncia giurisprudenziale che mi consta sull'argomento - l'impossibilità della restituzione del bene indebitamente ricevuto non è fatto costitutivo del diritto a ripetere del solvens, ma fatto modificativo di esso e come tale deve essere eccepito e provato dall'accipiens, cosicché nel caso in cui il primo chieda la restituzione non di quanto indebitamente pagato ma del suo valore o del suo corrispettivo, poiché nel frattempo è stato alienato, e l'accipiens nulla deduca sull'oggetto del suo obbligo restitutorio (se cioè debba essere quanto richiesto o, viceversa, quanto originariamente ricevuto) deve ritenersi incontroversa l'impossibilità da parte sua di restituire l'indebito - presupposto implicito della domanda del solvens non contestato dall'accipiens - con conseguente applicazione della disciplina degli artt. 2037 e seguenti c.c.10.

6. L'oggetto della ripetizione: la nullità del contratto quadro.
Tutte le considerazioni svolte finora relative alle nullità contrattuali ed al conseguente oggetto della restituzioni possono poi essere ripetute anche nel caso in cui la nullità colpisca non i singoli ordini ma il contratto quadro, in virtù del collegamento negoziale che lo lega a tutti gli ordini posti in essere sulla base di esso - e che non possono che essere posti in essere sulla base di esso - e dunque in virtù della conseguente nullità (o comunque inefficacia) dei diversi ordini.
In tal caso gli effetti restitutori riguarderanno - almeno potenzialmente - tutte le prestazioni eseguite in esecuzione degli ordini travolti dalla nullità del contatto quadro cui si riferiscono.
D'altra parte la negoziazione degli strumenti finanziari, pur disciplinata in linea generale dal contratto quadro, avviene poi in forza dei singoli ordini, e dunque sempre ad essi occorre far riferimento per valutare le restituzioni ex art. 2033 c.c. potendo il contratto quadro, al limite, non essere seguito da alcun ordine e restare, sotto questo profilo, ineseguito.

5. L'oggetto della ripetizione: interessi e frutti.
Secondo il disposto dell'art. 2033 c.c., per l'intermediario finanziario deriva anche l'obbligo di restituzione degli interessi sulle somme indebitamente pagate dal cliente che devono ritenersi moratori non compensativi, così almeno secondo il pacifico (attualmente) orientamento della Suprema Corte (fra le tante Cass. civ., n. 6074/97), che non dubita dell'applicabilità in tale materia dell'art. 1224 c.c. e non dell'art. 1282 c.c., salva la specialità della previsione circa la loro decorrenza (in questo senso l'art. 2033 c.c. deroga ad entrambe le norme).
Dunque l'accipiens dal momento in cui deve restituire l'indebito è considerato in mora: il credito del solvens è liquido ed esibibile, ma il ritardo dell'accipiens è colpevole.
Ovviamente l'applicabilità dell'art. 1224 c.c. fa salva la prova da parte del solvens del maggior danno ai sensi del secondo comma della norma, secondo le regole generali; e anche di questo non mi pare che dubiti la giurisprudenza di merito, salvo poi in concreto negarlo quasi sempre perché non provato.
In modo corrispondente per il cliente deriva l'obbligo di restituzione dei frutti degli strumenti finanziari, frutti civili ovviamente, e tali possono essere considerate tutte le somme percepite dai titoli come, ad esempio, le cedole periodiche dei titoli obbligazionari.
Poiché i frutti sono normalmente percepiti nel periodo intercorrente fra l'acquisto degli strumenti finanziari e la domanda giudiziale, e non più dopo di essa, diviene essenziale stabilire lo stato soggettivo dell'accipiens, e cioè il cliente acquirente/mandante: solo se ritenuto in mala fede sarà tenuto alla loro restituzione.
Secondo un'isolata sentenza della Suprema Corte - peraltro non riferita alla materia in oggetto - nulla osta a che gli stessi frutti siano a loro volta produttivi di interessi11.

7. Lo stato soggettivo dell'accipiens.
Come accennato, la restituzione degli interessi e dei frutti dipende dallo stato soggettivo dell'accipiens, se cioè di buona o mala fede, a seconda che fosse consapevole o meno di ledere il diritto altrui - trattandosi di buona fede soggettiva - e dunque in buona sostanza se fosse a conoscenza o meno della nullità contrattuale: se in buona fede frutti ed interessi devono essere restituiti dal giorno del pagamento, se in mala fede da quello della domanda.
A tale proposito occorre distinguere fra intermediario e cliente investitore.
Quanto all'intermediario, a mio parere può affermarsi la sua mala fede. Provo a spiegare perché.
Recita l'art. 1338 c.c.: "La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altra parte, è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto".
Per tale norma la parte che stipula un contratto invalido e che era a conoscenza o doveva essere a conoscenza della causa di invalidità di esso è tenuta al risarcimento nei confronti della parte che abbia incolpevolmente fatto affidamento sulla validità del contratto.
La norma si applica sì espressamente ai casi in cui una delle due parti ha confidato senza colpa nella validità del contratto prevedendo a suo favore il risarcimento del danno ma - anche a prescindere, per ora, dallo stato soggettivo del cliente investitore, e senza entrare nella questione del danno da responsabilità precontrattuale - per come è interpretata dalla giurisprudenza e dalla grande maggioranza della dottrina essa pone pur sempre il principio in forza del quale le cause di invalidità, e segnatamente quelle di nullità, devono essere conosciute dalle parti contraenti, essendo direttamente comminate dalla legge12.
Ciò a mio parere non può essere revocato in dubbio nei confronti dell'intermediario finanziario, che non può non conoscere il regime di validità del contratto quadro, e dunque - anzitutto - la necessità della sua forma scritta: in ipotesi di restituzioni in conseguenza della nullità del contratto quadro per difetto di forma, l'intermediario deve essere considerato in mala fede.
Se questo è il principio, mi pare che la mala fede dell'intermediario possa ragionevolmente essere affermata anche nel caso in cui la nullità dipenda dalla violazione degli obblighi informativi posti dall'art. 21 D.l.vo n. 58/98.
In tal caso, in modo ancora più netto, l'intermediario - unico destinatario di tali obblighi - violandoli dà causa alla nullità del contratto e per tale motivo non può giovarsi dell'alleggerimento della posizione garantita dall'art. 2033 c.c. al percettore di buona fede: così d'altra parte è orientata la prevalente giurisprudenza di merito13.
Più complesso, forse, il discorso sullo stato soggettivo del cliente investitore.
Se il principio è quello affermato più sopra e se ne fa un'applicazione rigorosa deve giungersi alla medesima conclusione: la causa di nullità è comminata direttamente dalla legge, e dunque anche il cliente investitore non può non conoscerla, non scusando in alcun modo l'ignorantia legis.
In tal caso dovrà restituire i frutti dal momento del pagamento indebito, e cioè dal momento in cui ha ricevuto gli strumenti finanziari.
Ma forse l'orientamento tradizionale merita di essere rimeditato.
Anzitutto con riferimento alla nullità derivante dalla violazione degli obblighi informativi, da un lato tali obblighi gravano solo sull'intermediario finanziario, e dunque la loro violazione non può essere in alcun modo imputata al cliente investitore, dall'altro attengono proprio alla conoscenza degli strumenti finanziari oggetto dell'ordine di acquisto e sono finalizzati a colmare quel divario conoscitivo fra intermediario e cliente, tipico di una contrattazione fra soggetti diseguali, che il Legislatore fa preciso obbligo all'intermediario di riempire attraverso le suddette informazioni.
L'intermediario è per definizione più consapevole ed informato del cliente ed attraverso i suddetti obblighi il Legislatore gli fa carico di salvaguardare gli interessi dell'investitore che si affida, che anzi è obbligato ad affidarsi, alla sua competenza e dunque alla sua conoscenza delle norme che presidiano la regolazione della contrattazione e quindi del traffico giuridico.
E tale ultima osservazione consente di rimeditare l'orientamento tradizionale anche con riferimento alla nullità derivante dall'inosservanza dell'obbligo di forma scritta del contratto quadro.
Proprio il fatto che il cliente investitore sia obbligato a contrattare non direttamente ma a mezzo dell'intermediario finanziario, poiché le sue conoscenze della materia dell'intermediazione non sono tali da consentirgli di contrattare da solo, può far ritenere che l'obbligo da parte sua di conoscere la legge si esaurisca in quello di dovere affidarsi all'intermediario finanziario per la contrattazione, ma non si estenda anche a quello conoscere le modalità specifiche della contrattazione che - viceversa - devono essere conosciute dall'intermediario al quale, proprio per le sue specifiche conoscenze il cliente si affida o, meglio, deve affidarsi.
Ma di tali modalità fa parte anche la forma che devono avere i contratti, non solo le informazioni che l'intermediario è tenuto a dargli sul loro oggetto.
D'altra parte la natura relativa della nullità, che non può essere fatta valere dall'intermediario ma solo dal cliente, testimonia che è un obbligo di forma posto a tutela di quest'ultimo, e che l'eventuale azione di nullità solo a costui può giovare, fatto senz'altro più coerente con la disciplina dell'obbligo restitutorio di un accipiens in buona fede.
Se così è, il cliente può essere considerato in buona fede, potendo ritenersi che non conosca la causa di nullità da cui il contratto è colpito e che dunque riceva la prestazione senza conoscerne la natura indebita.
In tal caso dovrà restituire i frutti dal momento della domanda.
E nel caso in cui l'accipiens sia in buona fede la domanda cui l'art. 2033 c.c. fa riferimento è quella giudiziale, anche di questo la Suprema Corte non dubita14, non anche quella stragiudiziale come pure proposto da parte della dottrina15.
Infine, il momento in cui valutare lo stato soggettivo di chi ha ricevuto la prestazione indebita dell'accipiens deve essere quello in cui essa è stata ricevuta poiché non può rilevare la malafede sopravvenuta, in applicazione del principio espresso dall'art. 1147/3 c.c.
È vero che vi è un caso in cui la disciplina dell'indebito fa rilevare la mala fides superveniens, quello cioè dell'art. 2038/1 c.c. in cui l'accipiens in mala fede aliena la cosa indebitamente ricevuta16.
Ma in quel caso il Legislatore lo fa allo specifico scopo di disciplinare l'oggetto della restituzione nel caso in cui l'accipiens se ne sia spogliato.
Poiché l'art. 2038 c.c. tratta con maggior rigore colui che se ne spoglia in mala fede - cioè sapendo di ledere il diritto altrui nel privarsi addirittura della possibilità di restituire l'indebito - rispetto a quello che se ne spoglia in buona fede - ignorando viceversa tale lesione - mi pare coerente con la disciplina complessiva dare rilievo allo stato soggettivo al momento dell'alienazione, necessariamente successivo a quello del pagamento, senza peraltro che viceversa debba esservi dato rilievo nel caso di inerzia dell'accipiens, che del bene non si spoglia; in tal caso resta rilevante il momento del pagamento per qualificare la sua buona o mala fede.17
D'altra parte la valutazione dello stato soggettivo del possessore al momento in cui acquista il possesso della cosa è giustificato proprio dal fatto che l'art. 1147 c.c. pone regole a tutela del possesso, disciplinando tale fattispecie, e dunque si riferisce al momento del suo acquisto, restando irrilevante il successivo mutamento dello stato soggettivo, poiché la tutela della relazione di fatto con la cosa è valutata nel momento in cui tale relazione si instaura e non giustifica il venir meno di tale tutela al mutamento dello stato soggettivo del possessore.
Gli artt. 2037 e 2038 c.c. disciplinano viceversa l'obbligo restitutorio del possessore che ha ricevuto indebitamente la cosa e dunque non il suo possesso in sé, ma il suo dovere di restituire, e dunque derogano alla disciplina generale di cui all'art. 1147 c.c. poiché - venendo in rilievo l'obbligo di restituire dell'accipiens - valutano il suo stato soggettivo nel momento in cui si sono verificate le condizioni che lo rendono impossibile (perimento, deterioramento, alienazione).
Insomma, in ogni caso, mi sembra che l'art. 2038 c.c. possa essere interpretato come un'eccezione alla regola dell'art. 1147/3 c.c., applicabile per il resto alla disciplina generale dell'indebito.
E così lo stato soggettivo rilevante è quello esistente al momento dell'acquisto/vendita degli strumenti finanziari, quello cioè in cui l'ordine è impartito dal cliente.
Rilevo infine, a chiusura del discorso, che se con riferimento all'ipotesi della violazione degli obblighi informativi ipotizziamo invece la sussistenza della diversa fattispecie dell'inadempimento contrattuale del contratto quadro e la sua eventuale risoluzione ex art. 1453 c.c. con i conseguenti obblighi restitutori18 viene meno la rilevanza del problema dello stato soggettivo del cliente investitore.
Secondo questa diversa ricostruzione gli obblighi informativi scaturiscono dal contratto quadro poiché è con tale contratto che l'intermediario si obbliga ad informare compiutamente il cliente sull'oggetto dei diversi e successivi ordini di acquisto, in relazione alla natura degli strumenti finanziari, alla loro pericolosità, all'esistenza di eventuali conflitti di interesse.
La violazione di tali obblighi comporta che esso sia inadempiente rispetto al contratto quadro.
Da tale inadempimento - sempre secondo tale ipotesi ricostruttiva - scaturiscono poi effetti risolutori, restitutori e risarcitori secondo le regole generali.
In particolare le restituzioni derivano dall'eventuale pronuncia della risoluzione del contratto quadro ex art. 1453 c.c., nel caso in cui la violazione dei suddetti obblighi sia ritenuta di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c., e dunque di una gravità tale da giustificare lo scioglimento del vincolo contrattuale e la sua conseguente perdita di efficacia fra le parti.
In tal caso, risolto il contratto quadro, restano travolti anche i singoli ordini, divenuti inefficaci in conseguenza del collegamento negoziale che li lega al primo, in virtù del fatto che - come ho già ricordato - essi non possono essere compiuti senza che prima le parti abbiano concluso il contratto quadro.
D'altra parte a tale contratto è data esecuzione proprio attraverso il compimento e l'esecuzione dei singoli ordini di acquisto, poiché esso disciplina l'attività di contrattazione degli strumenti finanziari a mezzi di quegli ordini.
Dunque le restituzioni che conseguono alla risoluzione del contratto quadro hanno ad oggetto le prestazioni eseguite sulla base dei singoli ordini compiuti in forza di esso, e dunque - ancora una volta - gli strumenti finanziari ed i relativi frutti, da un lato, il corrispettivo o la provvista fornita al mandatario per il loro acquisto ed i relativi interessi, dall'altro.
Anche nel caso della risoluzione per inadempimento - come ho già accennato - secondo la giurisprudenza della Suprema Corte le restituzioni sono regolate dalle norme sull'indebito ex art. 2033 c.c., pur se l'inefficacia originaria del contratto non deriva dalla sua nullità.
E con riferimento allo stato soggettivo dell'accipiens, in buona fede è ritenuto il contraente non inadempiente, discutendosi al più della mala fede di quello inadempiente 19.
Cosicché, trattandosi dell'inadempimento dell'intermediario finanziario che non ha assolto agli obblighi informativi, è l'intermediario ad essere eventualmente in mala fede, mentre il cliente - non inadempiente - deve ritenersi in buona fede.










1) Per la giurisprudenza di merito che si è pronunciata in tal senso, ex multis, Tribunale Venezia 27 marzo 2008, Tribunale Modena 10 gennaio 2008, Tribunale Brindisi, 18 luglio 2008, Tribunale Trento 1 febbraio 2007, Tribunale Firenze 4 dicembre 2006, Tribunale Brindisi 18 agosto 2006, Tribunale Firenze 21 giugno 2006, Tribunale Trani 30 maggio 2006, Tribunale Teramo, 18 maggio 2006, Tribunale Foggia 15 maggio 2006, Tribunale Trani 31 gennaio 2006, Tribunale Cagliari 2 gennaio 2006, Tribunale Catania 25 novembre 2005, Tribunale Torino 7 novembre 2005, Tribunale Treviso 10 gennaio 2005, Tribunale Marsala 12 luglio 2005, Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 1 marzo 2005, Tribunale Palermo 17 gennaio 2005, capostipite Mantova 18 marzo 2004.
2) La dottrina si è chiesta se la disciplina di cui all'art. 2033 e seguenti c.c. sia applicabile solo in conseguenza della nullità e della risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione, come espressamente previsto dal codice rispettivamente ex artt. 1422 e 1458 c.c., o anche in conseguenza dell'annullamento, della rescissione e delle altre ipotesi di risoluzione, come a vario titolo afferma la dottrina e come non dubita la giurisprudenza della Suprema Corte (per tutte, Cass. civ., SS. UU, n. 12492/92 e, da ultimo, Cass. civ., n. 10498/01).
3) In senso affermativo in giurisprudenza Cass. civ., 1252/00, Cass. civ., n. 10498/01.
4) Così Cass. civ., I, n. 19024/05 e Cass. civ., SS. UU., n. 26724/07 e Cass. civ., SS. UU., n. 26725/07.
5) Ancora nel merito ex multis Tribunale Parma 3/4/08, Tribunale Venezia 30 maggio 2007.
6) Così, ad esempio, Tribunale Parma 21 marzo 2007, Tribunale Firenze 29 maggio 2006, Tribunale Catania 21 ottobre 2005 e così, mi pare, Cass. civ., SS. UU., n. 26724/07 e Cass. civ., SS. UU., n. 26725/07, che pure non parlano esplicitamente di istruzioni.
7) L'art. 2033 c.c. da un lato e gli artt. 2037 e seguenti c.c. dall'altro si riferiscono ad un diverso oggetto del comune obbligo restitutorio: nel primo caso tale oggetto è quanto indebitamente ricevuto o, se si tratta di beni fungibili, quantomeno il tantundem, poiché l'accipiens è nella condizione di restituire la prestazione indebita; nel secondo caso, invece, tale oggetto è il valore dell'arricchimento dell'accipiens, il corrispettivo dell'alienazione o il valore del bene alienato - a seconda delle diverse regole poste dagli artt. 2037 e 2038 c.c. - poiché invece lo stesso accipiens non è più in quella condizione.
8) Così B. Biondi, Novissimo Digesto, III, voce Cose, pagg. 1020 e 1021 sulla fungibilità delle cose e sulla sua differenza con la genericità.
9) Non dubita dell'applicabilità della disciplina degli artt. 2037 e seguenti c.c. alle ipotesi di perimento del genere Moscati, Commentario Scialoja Branca, pag. 230, nota n. 22.
10) Così Cass. civ., n. 5512/96.
11) Così Cass. civ., n. 12362/92.
12) Così la interpretano, ad esempio, Cass. civ., I, n. 5114/01 e Cass. civ., II, n. 1987/85.
13) Ex multis Tribunale Venezia 27 marzo 2008, Tribunale Parma 21 ottobre 2005 e 3 aprile 2008, Tribunale Trento 1 febbraio 2007, Tribunale Firenze 18 gennaio 2007, Tribunale Cagliari 2 gennaio 2006, Tribunale Catania 25 novembre 2005, Tribunale Treviso, 10 ottobre 2005, Tribunale Torino 7 novembre 2005, che sottrae le cedole e dunque ritiene in mala fede anche il cliente, contra Tribunale Brindisi 18 marzo 2006 e 21 dicembre 2006, Tribunale Firenze 18 febbraio 2005, sul presupposto che la buona fede si presume e che - nelle fattispecie esaminate - nessun elemento induceva a ritenerlo in mala fede, Tribunale Trani 30 maggio 2006, senza motivazione.
14) Da ultimo Cass. civ., n. 11259/02.
15) Moscati, Commentario Scialoja Branca, pag. 226 nota n. 11.
16) In tale ipotesi la norma fa rilevare lo stato soggettivo al momento dell'alienazione e non anche a quello del pagamento indebito, e da tale inciso parte della dottrina (ad esempio Moscati, Mala fides superveniens non nocet? Per la rilettura di un dogma, in Riv. dir. civ., 1990, I, pag. 333) deriva la rilevanza della malafede sopravvenuta, anche argomentando dal mancato richiamo all'art. 1147/3 c.c.
17) È proprio questa la spiegazione di altra parte della dottrina (Nicolussi, Appunti sulla buona fede soggettiva con particolare riferimento all'indebito, Rivista critica di diritto privato, 1995, pag. 265 e seguenti) che esclude l'applicabilità del principio mala fides superveniens non nocet in forza del fatto che mentre l'art. 1147 c.c. presuppone la restituzione della cosa posseduta integra, e dunque considera irrilevante il mutamento dello stato soggettivo in chi la possiede, successivo al momento in cui l'ha ricevuta, l'art. 2038 c.c. presuppone al contrario che chi l'ha ricevuta ne alteri l'integrità alienandola (o anche il distruggendola o deteriorandola ex art. 2037 c.c., benché la norma non lo dica espressamente), rispetto al quale la sopravvenuta altruità della cosa assume ben altra rilevanza, con ciò giustificando la diversa di disciplina di possesso ed indebito.
18) È questa la soluzione di Cass. civ., SS. UU., n. 26724/07 e Cass. civ., SS. UU., n. 26725/07.
19) Per tale costante orientamento da ultimo Cass. civ. n. 738/07






















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