La transazione fiscale - e previdenziale - alla luce delle recenti sentenze della Cassazione: burocrazia, giurisprudenza e attività normativa
Pubblicato il 27/02/12 02:00 [Articolo 610]






Premessa.
L'esigenza di scrivere questo contributo, tornando nuovamente su argomenti già oggetto di nostre precedenti riflessioni1, è stata indotta da due recenti provvedimenti della Suprema Corte2 che per la prima volta ha affrontato la questione della obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale, e la connessa (pseudo) possibilità di falcidiare il debito Iva.
Nell'esporre le nostre idee, come è consuetudine, ma ancor più in questo ragionamento, la scelta è di uno stile semantico estremamente semplice e diretto così da comunicare, speriamo efficacemente, il senso del nostro pensare, dato che questi argomenti, che da qualche anno tormentano la mente degli studiosi, sono alquanto complessi. A nostro avviso, tuttavia, tale complessità non sarebbe tanto una complessità ontologica, ossia propria delle questioni esaminate, quanto piuttosto una complessità derivata dalla natura interdisciplinare delle stesse: natura interdisciplinare che non può che richiedere un approccio esegetico di tipo sistematico che vada al di là del singolo dato normativo, involgendo princìpi di altre branche del diritto positivo, quali il diritto tributario, il diritto del lavoro e il diritto patrimoniale, oltre che, ma questo con riferimento al più ampio tema della patologia di impresa, involgendo profili propri delle discipline economiche, finanziarie ed economico-aziendali che si occupano del fenomeno della crisi di impresa3.
I termini delle questioni di questo scritto, che formano oggetto di attento vaglio dei tribunali ogni qual volta si presenta una domanda di concordato preventivo, o si deposita un ricorso per omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, l.f., riguardano: (i) l'ammissibilità di un concordato preventivo avente ad oggetto - anche - i debiti fiscali e previdenziali al di fuori dell'istituto della transazione fiscale e previdenziale; (ii) se, patrocinando la tesi della negoziabilità con il Fisco e con gli Enti previdenziali nell'alveo del concordato preventivo con esclusione della transazione fiscale, sia ancora ammissibile - alla luce della novella normativa e dei recenti provvedimenti giurisdizionali di legittimità - una domanda di concordato preventivo che preveda una remissione del debito Iva.

Sulla facoltativita' o obbligatorieta' della transazione fiscale e previdenziale.
Qualora l'imprenditore in stato di crisi voglia risanare la propria azienda ristrutturando anche i debiti verso il creditore Fisco e gli Enti previdenziali, attraverso lo strumento concordatario, ovvero attraverso il rimedio degli accordi ex art. 182 bis, l.f., è tenuto o meno ad osservare le disposizioni di cui all'art. 182 ter, l.f.?
Sul punto sono intervenute le prime due pronunce della Suprema Corte4 la quale, dopo aver precisato5 che la questione ... è stata oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di merito e della dottrina6, in maggioranza schierate per la facoltatività della transazione fiscale, contestata invece dall'Amministrazione... ha concluso per la non obbligatorietà della transazione fiscale, affermando che sia ammissibile la proposta di concordato preventivo che preveda la remissione dei debiti tributari, anche in assenza della transazione fiscale, alla quale l'imprenditore possa facoltativamente ricorrere ove intenda perseguire le finalità/i benefici del consolidamento del debito fiscale e della cessazione della materia del contendere.
Sicché ai fini dell'omologazione della proposta concordataria non sarebbe necessario l'assenso dell'Erario, essendo sufficiente il raggiungimento delle maggioranze prescritte per il princìpio per cui la maggioranza consenziente vincola la minoranza dissenziente.
Guardando alle argomentazioni utilizzate a sostegno di questa conclusione, a nostro parere, si rileva un intento concreto nobile, fortemente deficitario tuttavia sul piano giuridico e foriero di uno stravolgimento dell'impianto normativo appena riformato.
L'intento concreto nobile è favorire il superamento della crisi di impresa attraverso il concordato preventivo sterilizzando/neutralizzando la situazione ostativa di inerzia della Amministrazione finanziaria che si viene a creare ogni qual volta sarebbe coinvolto il creditore Fisco: mancata partecipazione del Fisco alle sorti risanatorie dell'impresa attraverso la puntuale inosservanza del termine dei trenta giorni, la mancata risposta alla richiesta di transazione, ovvero la mancata motivazione del rigetto.
L'interpretazione prospettata dalla Corte, fortemente ispirata allo spirito del legislatore della riforma sulla crisi di impresa di favorire le operazioni di risanamento in luogo delle mere attività liquidatorie, e indotta dalla difficoltà oggettiva del veto posto dalla burocrazia ai tentativi di risanamento, nell'offrire una apparente soluzione alla questione, in realtà, rimuove gli effetti della inerzia della Amministrazione, ma non le sue cause, con ripercussioni sull'intero tessuto normativo.
Tale interpretazione giurisprudenziale di legittimità, che si ripete lodevole nel suo intento di superare la non curanza degli Uffici, tuttavia, offre una soluzione carente sotto il profilo della sua giustificazione giuridica su di un piano sistematico, e sarebbe foriera di creare una tendenza ermeneutica che, se pur mossa da uno spirito applicativo della volontà del legislatore della riforma, nei fatti, potrebbe invece andare nella direzione opposta di conculcare e svilire la stessa voluntas legis.
In estrema sintesi, guardando al risultato del lavoro dei riformatori del nuovo diritto sulla crisi d'impresa, le novità di diritto sostanziale di maggiore rilevanza riguardano: (i) l'introduzione della locuzione "stato di crisi" che va ad aggiungersi alla risalente espressione "stato di insolvenza"; (ii) il trattamento parziale anche dei creditori privilegiati; (iii) l'introduzione degli accordi ex art. 182 bis, l.f.; (iv) e l'introduzione delle transazioni sia con il Fisco, sia con gli Enti previdenziali.
L'intento che il legislatore della riforma abbia voluto perseguire con la creazione di queste nuove regole è chiaro e pacifico: favorire il risanamento dell'imprenditore in stato di crisi.
Se questo è l'intento, se precise e ben declinate sono le regole, una tale interpretazione rischia di cancellare i due nuovi istituti espressione massima della volontà riformatrice della funzione legislativa.
In altri termini, una tale interpretazione, se reiterata, rischierebbe di cancellare un intera impostazione teleologica stravolgendo, a colpi di decisioni giurispudenziali, e cestinando l'essenza dell'opera creatrice del legislatore.
Affermare che la transazione fiscale non sia obbligatoria, così da non subordinare le operazioni di risanamento della crisi al placet dell'Amministrazione, la quale, ancorché dissenziente, sarà comunque vincolata agli effetti di un concordato omologato a seguito dell'approvazione delle maggioranze, equivale ad abrograre nei fatti gli artt. 182 bis e 182 ter, l.f.: nessuno presenterà una proposta di accordo di ristrutturazione, dato che negli accordi 182 bis l'accordo viene perfezionato con il 60% delle passività, e il creditore estraneo deve essere regolarmente pagato, diversamente dal concordato preventivo ove vige invece la regola della minoranza dissenziente vincolata dalle decisioni della maggioranza consenziente; così come nessuno ricorrerà alla transazione fiscale, oggi anche previdenziale.
Se si vuole un tale stravolgimento, allora dovrà essere lo stesso legislatore che, così come li ha introdotti, dovrà abrogare gli artt. 182 bis e ter, l.f., prendendo atto di un mancato adeguamento - anche organizzativo - della burocrazia alle novità del riformatore. Certo che, una tale scelta, postulerebbe una prevalenza della funzione amministrativa sulla funzione legislativa. Non crediamo che sia ciò che si voglia!
Un altro elemento utilizzato dalla pronuncia in esame è il recepimento della Corte di quanto già sostenuto da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito per cui il ricorso alla transazione fiscale comporterebbe i benefici del consolidamento del debito fiscale e della cessazione della materia del contendere, con ciò essendo quasi portati ad intendere la transazione fiscale come una sorta di condono fiscale che, se ottenuto, produrrebbe determinati effetti virtuosi per l'imprenditore.
Sul punto ci sia consentito questo iter logico ricostruttivo.
L'art. 182 ter, l.f., è una norma giuridica che ha in sé regole proprie di diritto sostanziale e regole proprie di diritto procedurale.
Iniziamo con le norme di diritto sostanziale.
Il contenuto precettivo sostanziale si ha allorché la norma statuisce proposizioni normative che incidono sui rapporti giuridici: nel caso di specie, il rapporto giuridico obbligatorio fiscale e il rapporto giuridico obbligatorio previdenziale.
E' regola di diritto sostanziale quella che prescrive la possibilità di offrire pagamenti parziali e/o dilazionati dei debiti fiscali e previdenziali.
E' regola di diritto sostanziale quella che prescrive la possibilità di offrire soltanto pagamenti dilazionati dei debiti per Iva e di quelli per ritenute fiscali.
E' regola di diritto sostanziale quella che contempla la esclusione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea.
Sono regole di diritto sostanziale quelle che disciplinano il trattamento tra il credito fiscale e contributivo privilegiato e chirografario con gli altri crediti, non fiscali né previdenziali, privilegiati e chirografari.
E' regola sostanziale quella che statuisce la cessazione della materia del contendere nelle liti fiscali. In tal caso non si tratterebbe, come invece indicato in sentenza, di un beneficio concesso all'imprenditore che ricorre alla transazione fiscale. I benefici attengono a istituti più o meno vari che realizzano, nei fatti, talune forme di condono fiscale; per cui per incentivare l'utilizzo di particolari strumenti per la riscossione dei tributi si prevedono alcune forme di protezione, tra cui la cessazione della materia del contendere.
Ma la cessazione della materia del contendere nell'ambito della transazione fiscale risponde ad un ben altro fine: il superamento dello stato di crisi.
La transazione fiscale, come già rilevammo7, non è uno di quegli strumenti contemplati per comporre le liti sorte con l'Amministrazione, o per prevenirne l'insorgere, né tantomento è una di quelle forme di riscossione di tributi a saggi scontati qualificati come "regimi di condono": si tratta di procedure che offrono al contribuente l'opportunità di sanare le irregolarità passate, dietro la corresponsione di somme per ottenere il beneficio della protezione da sanzioni amministrative, sanzioni penali e accertamenti tributari.
Ne la transazione fiscale è il concordato della legislazione prerepubblicana, secondo cui per la Cassazione a sezione unite8 l'Ufficio ed il contribuente definiscono bonariamente l'accertamento: sostanziandosi il concordato, dunque, in un accertamento consensuale definitivo del debito di imposta, con la conseguente rinunzia ai relativi mezzi di impugnazione.
La transazione fiscale di cui all'art. 182 ter è ben altra cosa. E' stata concepita come uno strumento innovatore rispetto al passato, come uno strumento per potenziare la forza dell'imprenditore nel suo tentativo di superare il momento patologico della crisi. La regola sostanziale che prevede la cessazione della materia del contendere non è altro che la conseguenza sul piano normativo di questa impostazione teleologica: favorire un fresh restart dell'imprenditore dando certezza e definitività al superamento di una situazione debitoria pregressa.
Tutte queste norme precettive enumerate dall'art. 182 ter, l.f., sono regole che disciplinano un rapporto tra un operatore pubblico e un operatore privato.
Quando si verte in materia di obbligazioni tributarie e previdenziali, si verte in tema di obbligazioni che ab origine nascono come obbligazioni indisponibili, ma che, successivamente, vedono affievolire questa indisponibilità attraverso un affievolimento relativo della vincolatezza, tipica di un tempo oramai sempre più remoto, in favore di una maggiore discrezionalità amministrativa relativa da estrinsecare nei limiti, nelle forme, nei modi e nei termini - talvolta anche quantitativi - prescritti dal legislatore primario impositivo.
Quest'ultimo inciso, "prescritti dal legislatore impositivo", rende conto del significato dell'aggettivo "relativo" appena usato.
In altri termini, affievolimento relativo non significa negazione assoluta del princìpio di indisponibilità, ma significa che lo stesso, relativamente ad ipotesi tassativamente previste dalla norma tributaria istitutiva, può subire una caducazione, senza tuttavia che da tale circostanza si possa inferire l'invalidità in toto del princìpio, estendendo la deroga anche ad ipotesi non previste. Diversamente ammettendo, in materia di indisponibilità si aprirebbe una falla tale da stravolgere l'intero sistema tributario9.
Tutto quanto precede ci porta a concludere sul carattere eccezionale delle regole sostanziali appena esaminate, che, in quanto tali, non sono suscettibili di essere applicate in via analogica e che, dunque, possono trovare attuazione soltanto nell'alveo dell'art. 182 ter, l.f., l'unica opportunità obbligatoria offerta dal legislatore primario all'imprenditore in crisi per addivenire ad una soluzione concertata della crisi con il Fisco e con gli Enti previdenziali.
Non sarebbero pertanto ammissibili remissioni e/o dilazioni di pagamento di debiti fiscali e previdenziali al di fuori di quanto sancito dall'art. 182 ter, l.f..
Passando alle norme di diritto procedurale, si tratta di tutte quelle regole che disciplinano i comportamenti che debbono essere osservati per interloquire con l'Amministrazione fiscale e previdenziale, così da realizzare quel modello consensuale/partecipativo degli Enti alle sorti dell'imprenditore in crisi.
Tra queste regole procedurali c'è quella, aprioristica, per cui, quando si vuole transigere con il Fisco si presenta agli uffici competenti la domanda con le dichiarazioni fiscali, al fine di ottenere il consolidamento del debito fiscale, o meglio, al fine di ottenere che il Fisco rilasci la certificazione attestante l'entità del debito.
Non è questo un beneficio concesso all'imprenditore che attiva il rimedio della transazione fiscale, ma una mera regola procedurale essenziale e aprioristica: essenziale e aprioristica giacché occorre in primo luogo liquidare/determinare il quantum debeatur così da avere chiarezza e certezza sull'ammontare della pretesa sulla quale giungere ad un accordo estintivo.
Questa regola di condotta, precipuamente contemplata quando si tratta di rapporti fiscali, non è invece espressamente prevista per l'imprenditore in crisi nei suoi rapporti obbligatori non fiscali, sebbene sia nella diligenza dell'uomo medio che intende perfezionare un accordo con i propri creditori svolgere, dapprima, una attività ricognitiva, anche e non solo, per trovare conferma nella controparte circa l'ammontare esatto della propria esposizione debitoria: ammontare sul quale poi formulare la proposta di pagamento.
In altri termini, non è cristallizzato in alcuna formula giuridica, ma il comportamento di chiedere (con le c.d. lettere di circolarizzazione) ai creditori l'entità dei propri debiti rientra tra princìpi non scritti di corretta gestione, anche in una fase patologica di vita dell'impresa e nel tentativo di risanamento della stessa.
Accolto e fatto proprio il ragionamento che precede, si ripete che, se pur lodevole sia stato lo sforzo della suprema Corte di superare la difficoltà oggettiva della inerzia del Fisco, riteniamo tuttavia non soddisfacente la soluzione di patrocinare la facoltatività della transazione fiscale, date le conseguenze inevitabili che dall'accoglimento generalizzato di questa interpretazione potrebbero derivare: la abrogazione, nei fatti, dell'opera del legislatore.
Si assisterebbe così ad uno stravolgimento delle funzioni statuali per cui la burocrazia, per il tramite di una giurisprudenza assorbita dalla sua funzione di applicazione della norma al caso concreto, arriverebbe a svolgere la funzione di distruzione di norme giuridiche, attraverso, da un lato, l'interpretazione giurisprudenziale per cui la transazione è facoltativa, e, dall'altro lato, attraverso l'indifferenza degli Uffici alle proposte transattive.
Ipotesi questa che deve essere fermamente ricusata, dato che il salto in avanti del nostro legislatore non può, ne deve essere svilito da una Amministrazione inerte, indifferente e noncurante delle sorti di una impresa
in crisi, ovvero, se proiettiamo questo discorso a livello macro, noncurante delle sorti del sistema economico del Paese.
E allora occorre un nuovo intervento del normatore che, per dare certezza ai rapporti, potrebbe anche allungare il termine dei trenta gg. ad uno maggiormente compatibile con l'organizzazione dell'Amministrazione, dando tuttavia valore normativo perentorio ed inderogabile al termine di risposta, e prescrivendo l'obbligo di una congrua motivazione sia per le ipotesi di accoglimento che di rigetto delle proposte transattive.
Ora, mentre il creditore privato può decidere in maniera del tutto arbitraria se aderire o meno ad una operazione di ristrutturazione, poiché sta disponendo di qualcosa che gli appartiene, e del suo danaro può far quel che vuole, il creditore Fisco gestisce un credito che appartiene alla collettività, ossia gestisce danaro pubblico; ne segue che tra l'alternativa del fallimento e l'alternativa della ristrutturazione gli Uffici dovrebbero congruamente motivare le ragioni del rigetto, partecipando attivamente alle fasi che precedono l'omologazione, al pari di qualsiasi altro creditore.
Non si vuole un Fisco completamente appiattito che per paura di incorrere in ipotesi di responsabilità aderisca a qualsiasi proposta di transazione fiscale, ma si vuole un Fisco ragionevolmente informato che sia posto nelle migliori condizioni oggettive per decidere e motivare il rigetto.
Certo che questo processo, se autoindotto, postula un mutamento nell'atteggiamento culturale tale da richiedere decenni. Ragione per cui diviene indefettibile e non più procrastinabile un intervento del normatore che introduca modalità persuasive e inderogabili che favoriscano una maggiore partecipazione del Fisco, e naturalmente degli Enti previdenziali (ove il disorso è speculare), affinché sia dato un completamento disciplinare ai due istituti degli accordi 182 bis e della transazione 182 ter, l.f..

Ancora, sull'ammissibilita' o meno di una falcidia dell'iva.
Alla questione della obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale si riconnette il discorso dell'Iva, o forse, e meglio, al tema dell'Iva si ricollega la questione della obbligatorietà o meno della transazione fiscale.
Prima del recente intervento della Suprema Corte, avevamo registrato la tendenza della giurisprudenza di merito che sosteneva la facoltatività della transazione fiscale a ritenere ammissibili concordati preventivi che, privi di transazione fiscale, avessero contemplato pagamenti parziali del debito Iva,
dato che l'art. 182 ter l.f. non sarebbe applicabile al di fuori della transazione fiscale.
Sul punto, dopo aver più volte sostenuto la inderogabilità della prescrizione primaria che prevede il divieto di rimettere il debito Iva, anche e soprattutto per la sua natura di tributo comunitario (nozione ben diversa da quella di risorsa propria dell'Unione Europea), avevamo evidenziato10 che la applicazione o la non applicazione della norma che vieta la remissione dell'Iva ad opera dei Tribunali, di volta in volta chiamati ad esprimersi in materia di ammissibilità dinanzi ad una domanda giudiziale di apertura della procedura di Concordato preventivo, avrebbe condotto alla circostanza che su casi non simili, ma identici nell'oggetto, quali sono appunto le proposte di Concordato preventivo con falcidia dell'Iva, vi sarabbero state decisioni giurisprudenziali differenti.
La preoccupazione che avevamo sollevato era il rischio che, sul piano operativo, si andasse diffondendo una pratica che, con espressione eufemistica, definimmo come mercato delle Corti giudiziarie ovvero il c.d. forum shopping.
Ora la Corte di Cassazione, con le prime due pronunce sull'argomento, nel chiarire che la disposizione dell'art. 182 ter che impone l'integrale pagamento dell'Iva trova applicazione a prescindere dall'attivazione o meno della transazione fiscale, ha attenuato, ma forse non ha eliminato del tutto il rischio di cui sopra.
Se si torna un po' al recente passato, tutta la disputa dottrinale sulla facoltatività o obbligatorietà della transazione fiscale nacque, principalmente, proprio allorché il legislatore intervenne11 novellando l'art. 182 ter con la regola del pagamento integrale dell'Iva.
Fu in quel momento che, stante, talvolta, la significativa incidenza del debito Iva sulla esposizione debitoria dell'imprenditore in crisi, parte della dottrina e parte della giurisprudenza di merito cominciarono a patrocinare la facoltatività della transazione fiscale così da consentire la falcidia dell'Iva attraverso concordati preventivi senza transazioni fiscali.
In altri termini, l'esigenza concreta avvertita era la ristrutturazione del debito Iva all'indomani della nuova disposizione dell'art. 182 ter, a cui seguì la costruzione dottrinale per elaborare la modalità attraverso la quale continuare a soddisfare l'esigenza concreta: ritenere non obbligatoria l'attivazione della transazione fiscale e, dunque, l'applicazione della norma sulla transazione fiscale, così da continuare a soddisfare l'esigenza concreta delle falcidia del debito Iva.
In conclusione, la Corte di Cassazione con queste due pronunce, da un lato, nel ribadire l'inderogabilità dell'art. 182 ter che impone il pagamento integrale dell'Iva ha/avrebbe rimosso l'esigenza concreta della falcidia dell'Iva avvertita dal mondo degli affari, (forse) scongiurando il rischio del proliferare di diversi orientamenti giurisprudenziali di merito sull'argomento, e, dall'altro lato, nel patrocinare la tesi della facoltatività della transazione fiscale (e, implicitamente, anche di quella previdenziale) per ovviare ad una situazione di stallo indotta da un comportamento inerte dell'Amministrazione, avrebbe sacrificato sull'altare i due istituti veri elemento di forza innovativa di tutta la riforma del nuovo diritto sulla crisi d'impresa.









1) LA MALFA - MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Santarcangelo di Romagna, 2010.
2) CASS. Civile, sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931 e 22932.
3) Si veda MARENGO, Accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2008, p. 1-48.
4) CASS. Civile, sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931 e 22932.
5) CASS. Civile, cit., n. 22931.
6) Per una rassegna della giurisprudenza di merito si veda MARENGO, Giurisprudenza civile di merito in tema di remissione dell'Iva nell'ambito del concordato preventivo con o senza transazione fiscale, in www.ilcaso.it, sez. II, doc. 192/2010, 13 marzo 2010.
7) MARENGO, Effettività delle norme impositive tributarie, in LA MALFA - MARENGO, op. cit, p. 59-63.
8) CASS. Sez. unite, 17 gennaio 1934, n. 58758; 16 gennaio 1936.
9) Sul tema si rinvia a MARENGO, Coercizione delle norme impositive tributarie, in LA MALFA - MARENGO, Transazione fiscale e previdenziale, Santarcangelo di Romagna, 2010, p. 21-57.
10) MARENGO, Oggetto della transazione, in LA MALFA - MARENGO, op. cit., p. 99- 130.
11) Art. 32, d.l. 29 novembre 2008, n. 185.


















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