Criticità computistiche nell'utilizzo delle rimesse solutorie e ripristinatorie nelle c.t.u. sui conti correnti bancari
Pubblicato il 22/12/14 02:00 [Articolo 538]






Il presente intervento promana dall'istanza di applicazione del disposto della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nr. 24418 del 2 dicembre 2010 che stabilisce la prescrizione per l'azione di ripetizione delle somme pagate dal correntista.
Da tale pronuncia derivano una serie di argomentazioni dottrinarie e di quesiti formulati dai Giudici ai C.T.U., sovente su richiesta dei legali di parte, secondo i quali il pagamento deve intendersi riferito solo alla rimessa di carattere solutorio, ovvero extrafido, mentre la rimessa di carattere ripristinatorio sarebbe da considerare assoggettabile al ricalcolo ai sensi dell'art. 117 TUB.
Dal punto di vista operativo esistono, però, problematiche e divergenze applicative che inficiano la struttura metodologica che prassi e dottrina intendono presidiare.
Si elencano le più significative criticità sul punto, rammentando che il problema è contenuto per quanto riguarda la determinazione delle rimesse discriminando quelle solutorie rispetto alla ripristinatorie ma è macroscopico considerando l'utilizzo che si deve fare di tali rimesse ai fini di rideterminazione dei calcoli.
Innanzitutto, ai fini della discriminazione della rimessa solutoria rispetto a quella ripristinatoria, si configurano due distinte concezioni della rimessa: 1) la prima scindendo la quota parte delle rimesse pro-quota tra solutoria e ripristinatoria in caso di rimessa a cavallo sul saldo extrafido; 2) la seconda considerando interamente solutoria la rimessa effettuata in presenza di saldo extrafido. Ovviamente in entrambi i casi sarà considerata congelata, comunque, la rimessa solutoria conformemente a quanto previsto dalla Cassazione con sentenza del 2010 nr. 24418. Gli effetti delle diversa applicazione della considerazione della rimessa, qualora effettuata "a cavallo" sono considerevoli. Ad esempio, in presenza di un fido concesso per 100, nel caso il saldo passivo sia 130 (quindi 30 sono extrafido), se arriva una rimessa di 50, sovente secondo il legale o il consulente della banca, l'intera rimessa di 50 deve essere considerata solutoria, invece, di prassi secondo il legale o il consulente del correntista, dovrà essere considerata solutoria la quota di 30 mentre i restanti 20 sono qualificati come ripristinatori.

Non possono essere considerate le rimesse sic et simpliciter ma solamente ed esclusivamente quelle afferenti il pagamento di interessi non potendo essere considerate le rimesse che travalicano l'entità degli interessi liquidati ma, sul punto, sorgono serie problematiche di ordine computistico: a) gli interessi possono essere considerati con riferimento all'intero periodo preso in esame o, diversamente, con riferimento al singolo trimestre di capitalizzazione degli stessi. La diversa scelta comporta esiti notevolmente diversi; b) con il necessario riposizionamento delle operazioni per saldi valuta si addiviene ad uno scardinamento della configurazione del conto, ordinato per data operazione, che all'epoca in cui era effettuata poteva figurare entro fido mentre, a seguito del riordinamento per valuta, si qualifica come extrafido, o viceversa; c) ai fini del calcolo non rileva la rimessa in quanto tale ma, ai sensi dell'art. 1194 c.c., solamente la sua essenza funzionale al pagamento di interessi extrafido o interessi entro fido che, sovente ma non sempre, la banca indica indiscriminatamente negli estratti conto senza distinzione alcuna per cui potrebbe risultare arbitrario scindere gli interessi passivi extrafido da quelli entro fido e solo per questi ultimi applicare il ricalcolo ai sensi dell'art. 117 TUB; d) l'imputazione della rimessa dovrebbe essere effettuata solo con riferimento agli interessi ma, nella quasi totalità dei casi, lo scoperto sul conto è determinato prevalentemente da addebiti di altra natura (bonifici in uscita, pagamenti assegni, giroconti passivi, ecc.) piuttosto che dall'addebito di interessi passivi. Questo significa che la natura della rimessa può non affatto essere, solutoria o ripristinatoria che sia, a copertura degli interessi a debito. In teoria, per applicare in maniera asettica il metodo in questione occorrerebbe uno sdoppiamento del conto, in cui la prima parte attiene i soli pagamenti per sorte capitale e, la seconda ed autonoma parte concerne i soli interessi su cui il correntista può effettuare rimesse per sanare o diminuire l'esposizione passiva derivante dall'applicazione dei tassi; e) una volta effettuato il ricalcolo per le rimesse ripristinatorie cambierebbe anche l'entità delle rimesse solutorie che, fondatamente, rientrerebbero esse stesse per buona parte nell'ambito della funzione ripristinatoria creando, paradossalmente, un potenziale circuito destinato a qualificare tutte le rimesse come ripristinatorie.
Chi scrive ritiene che sussistano seri elementi ostativi ad un'applicazione concreta di quanto derivi dal disposto della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nr. 24418 del 2 dicembre 2010, senza demandare al totale arbitrio dell'operatore la scelta di modalità di calcolo che, in mancanza di precisi elementi computistici forniti dalla banca, rischia di addivenire ad un responso che potrebbe basarsi su un impianto del conto corrente ormai inficiato.
Si osserva, inoltre, che lo stesso concetto di rimessa può non sempre coincidere con il pagamento che, nella sentenza delle SS.UU. la Cassazione intende in questo preciso modo "il pagamento, per dar vita ad un'eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l'accipiens)". I C.T.U. possono agevolmente riscontrare che, in molti casi, la rimessa non derivi da un operazione disposta dal debitore né, tantomeno, dalla "esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens)". Si tratta, frequentemente e semplicemente, di pagamenti effettuati da terzi in favore di colui che, nel rapporto commerciale o finanziario con il disponente (ad esempio, l'ordinante il bonifico), assume la veste di accipiens. Di più, nel rapporto predetto, il correntista è il creditore, percipiente la somma disposta in suo favore da un terzo che, avvalendosi dell'intermediazione dei canali finanziari propri degli istituti di credito, dispone la "rimessa" in favore del soggetto che, per un rapporto nel quale il disponente è totalmente estraneo, assume incidentalmente la veste di solvens quando, nel rapporto primario da cui scaturisce l'operazione, colui che figura come solvens per la banca è, in realtà l'accipiens.
In altri termini, l'esecutore del pagamento non è il correntista ma un terzo estraneo al rapporto intercorrente tra la banca ed il correntista per cui, chi scrive, ritiene difficile pensare che possa trattarsi di "esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto" in quanto, il pagamento è stato effettuato semplicemente da un terzo.
Di più. Se trattasi di conto corrente appoggiato ad un conto anticipo fatture, il concetto espresso nel punto che precede è ancor più estremo in quanto, paradossalmente, è la banca ad effettuare le rimesse sul conto a seguito della presentazione delle fatture da parte del correntista sul conto anticipi per cui parlare di rimesse solutorie sul conto è quantomeno improprio.
Il concetto di solvens ed accipiens nei termini indicati dalla Cassazione sembrerebbe funzionare solamente nel contratto di mutuo dove vige la biunivocità del rapporto tra le parti senza l'interferenza di soggetti esogeni e, inoltre, si conosce, mediante il piano di ammortamento del mutuo, la distinzione precisa tra quota capitale e quota interessi da attribuire alla singola rata.
Poste le criticità di cui sopra ed attenendosi alla volontà di dare un responso numerico alle richieste formulate dalle parti in causa, nel legittimo interesse dei propri clienti, per il C.T.U., l'unica fonte che soccorre può essere costituita dagli stessi estratti conto qualora questi contengano elementi che permettono di superare le barriere di ordine computistico sopra analiticamente esposte che, altrimenti, renderebbero l'esito del lavoro aleatorio se non fantasioso.
Oltre alle perplessità sopra espresse in ordine al concetto stesso di rimessa, si ritiene che questa assuma solo una veste strumentale in quanto accessoria a conoscere l'entità degli interessi debitori applicati sullo scoperto in base al pagamento effettuato, diversamente se la banca produce già, nei suoi estratti conto, l'entità dei conteggi discriminando tra entro fido ed extrafido, è possibile procedere al ricalcolo dei primi, ai sensi dell'art. 117 TUB, schivando la problematica di ordine computistico basata sulle entità di rimessa.
Il percorso che si suggerisce di adottare, di fatto, supererebbe tutte le varie problematiche di ordine computistico e concettuale, pervenendo ad un risultato scevro da interpretazioni soggettive sulle modalità di determinazione dei risultati.
Prendendo, come esempio, le competenze dell'estratto sotto riportato, occorrerà sostituire i tassi relativi agli interessi passivi per gli scoperti entro fido con quelli previsti dall'art. 117 TUB.
Nel caso in questione abbiamo il seguente prospetto prodotto dalla banca:

E', infatti, la stessa banca ad indicare chiaramente quali sono i limiti di fido e gli interessi calcolati e poi coperti dalle rimesse solutorie. Pertanto, con riferimento al prospetto sopra riportato, occorrerà sostituire i tassi di cui agli addendi a titolo di interessi debitori qui di seguito elencati:
Interessi debitori Tassi
151.089 7,125
4.152.386 7,125
4.085.055 7,735
Per inciso il C.T.U. rileva, nel caso di specie ma generalmente non raro, lievi errori di calcolo da parte della banca nell'elaborazione degli interessi, tendenzialmente in favore del correntista. Ad esempio, sempre con riferimento all'estratto conto del primo trimestre 2000, la banca scrive:
Decorrenza Tasso Numeri debitori Interessi debitori
01.01.2000 10,125 1.033.297 285.850
In realtà gli interessi debitori sarebbero pari a 286.634 e non 285.850. L'errore è poco rilevante, ed a vantaggio del correntista, comunque il C.T.U. ritiene di conservare immutato il valore degli interessi debitori indicato dalla banca per quanto concerne le entità ripristinatorie.

Riprendendo il percorso interrotto dalla necessaria puntualizzazione sull'errore di calcolo negli e/c bancari, il C.T.U. ritiene che i tassi in da cui scaturiscono tali interessi debitori devono, quindi, essere sostituiti con i tassi dei BOT a 12 mesi dell'anno precedente, ai sensi dell'art. 117 TUB considerando, ad esempio, la mancata produzione dei contratti di c/c iniziali. Al contrario, gli interessi imputabili alle rimesse oltre fido, dovranno essere mantenute intatte perché prescritte come stabilito dalle SS.UU. della Cassazione.
Tecnicamente, sempre con riferimento all'esempio scelto, le competenze a debito per 12.343.189 che saranno addebitate nel trimestre successivo, anche se con valuta alla chiusura del trimestre di cui trattasi, saranno rideterminate tenendo conto che il tasso dei BOT annuale minimo è pari al 3,16% fino al 31.12.1999 e dal 01.01.2000 è pari al 2,67%.

Il ricalcolo è quindi il seguente:
Decorrenza Tasso Numeri debitori Interessi debitori
23.11.1999 10,125 545 151
02.12.1999 3,16 773.999 67.009
02.12.1999 10,125 99.234 27.527
01.01.2000 2,67 21.330.156 1.560.315
01.01.2000 10,125 1.033.297 285.850
16.02.2000 2,67 20.272.954 1.482.980
16.02.2000 10,375 3.107.806 880.969
TOTALI 46.617.991 4.304.801

Rimangono immutati gli altri valori del conteggio delle competenze:
c.m.s. 2.602.171
spese 158.000
Il totale delle competenze del trimestre sarà pertanto il seguente:
Interessi a debito 4.304.801
c.m.s. 2.602.171
spese 158.000
Sbilancio competenze 7.064.972

In definitiva, il valore originario delle competenze individuato dalla banca ed addebitato nel trimestre successivo per 12.343.198 dovrà essere sostituito con il valore parzialmente ricalcolato di 7.064.972.
La soluzione prospettata rappresenta una possibile chiave risolutiva della problematica concernente l'utilizzo delle rimesse solutorie e ripristinatorie nelle c.t.u. sui c/c ai fini della determinazione della quota parte di quanto esula dalla prescrizione decennale, addivenendo ad un risultato in cui la componente soggettiva dell'operatore, a meno di errori computistici, è sostanzialmente nulla.


















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