Le sezioni unite della corte di cassazione (sentenza n. 1521/2013) erano chiamate a decidere su tre profili di rilevante importanza individuati a) nella rilevanza dell'indicazione della misura percentuale del soddisfacimento dei creditori, anche sotto il profilo della sua incidenza sul tema della fattibilità del piano; b) nella necessità di stabilire in quale misura la non fattibilità del piano possa determinare un'impossibilità dell'oggetto del concordato e quindi di definire i limiti entro i quali il requisito della fattibilità possa essere suscettibile di sindacato da parte del giudice; c) nell'esigenza di chiarire le conseguenze di un giudizio negativo di fattibilità del piano, ove ravvisato un difetto di informazione del ceto creditorio, dovendosi segnatamente valutare se, e in caso di risposta positiva entro quali limiti, possa essere disposta una nuova convocazione dell'adunanza dei creditori per la rinnovazione delle operazioni di voto.
a) L'indicazione della percentuale.
Il profilo sub a) attiene ad una problematica sorta con particolare riferimento al concordato per cessione dei beni.
Vi era chi riteneva, infatti, che nel caso di concordato per cessione di beni che non comportasse l'immediato trasferimento della proprietà ai creditori, la proposta dovesse prevedere necessariamente l'indicazione specifica del "trattamento" che veniva promesso a ciascun credito o a ciascuna classe di creditori, la previsione della percentuale di soddisfacimento del credito (da intendersi come assunzione da parte del debitore del
relativo obbligo) che tale attribuzione patrimoniale avrebbe potuto garantire1.
In tale prospettiva si riteneva inammissibile una proposta che non prevedesse alcun soddisfacimento determinato per i creditori ma, soltanto, la messa a disposizione dei creditori medesimi di tutti i beni del debitore.
La preventiva indeterminatezza della percentuale da attribuire ai crediti chirografari costituirebbe quindi un ineliminabile elemento della proposta di concordato preventivo per cessione dei beni.
Secondo tale prospettiva la proposta dovrebbe sempre indicare una "misura", percentuale che i creditori assumeranno come "misura" delle proprie possibilità di recupero.
Interpretazione che aveva trovato conferma in un obiter di una pronuncia della suprema corte secondo cui la proposta di concordato per cessione di beni non potrebbe essere disancorata "dalla promessa di un risultato utile conseguibile precisato o implicito in una percentuale di soddisfacimento, senza il quale la proposta del debitore diverrebbe aleatoria in senso giuridico, pur a fronte dell'effetto esdebitatorio certo della falcidia concordataria"2.
Secondo una diversa interpretazione ove la proposta preveda la cessione dei beni in funzione del soddisfacimento monetario dei creditori, il debitore ha la facoltà, ma non l'obbligo, di indicare la percentuale di soddisfacimento degli stessi3.
Il debitore può indicare quale sia la probabile percentuale di soddisfazione ricavabile dalla liquidazione dei beni, ma non deve obbligarsi ad assicurare ai creditori un minimo grado di soddisfazione4.
La suprema corte sposa correttamente questa seconda interpretazione affermando espressamente che "quando si tratti di proposta concordatizia con cessione di beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente "l'impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell'imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore", salva l'assunzione di una specifica obbligazione in tal senso (Cass. 11/13817).
L'indicazione della percentuale di soddisfacimento attiene quindi al profilo economico della proposta, ed è rimessa, come tale al sindacato dei creditori e viene quindi, conseguentemente, escluso che "l'indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori da parte del debitore possa in qualche modo incidere sull'ammissione del concordato (pagina 53)".
Affermazione che va correttamente interpretata, la cui assolutezza va naturalmente ricondotta nell'alveo dello specifico oggetto della decisione: il contenuto necessario della proposta di concordato per cessione dei beni.
E ciò in quanto in tutti gli altri tipi di concordato, che non prevedano l'attribuzione ai creditori della proprietà o della disponibilità di beni in luogo della dazione di denaro, appare, al contrario, necessaria l'indicazione della percentuale offerta, a pena di inammissibilità per assoluta indeterminatezza e/o indeterminabilità dell'oggetto della proposta.
Il che trova un preciso riscontro in un altro passo nella decisione delle sezioni unite in commento dove, parlando della regolazione della crisi, quale oggetto necessario della proposta, si dice che tale regolazione "può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento)" (pagina 46).
b)Il controllo di fattibilità.
Il profilo sub b) investe una delle problematiche più significative dell'intera disciplina del concordato preventivo: la definizione dei limiti del potere di indagine del tribunale in relazione alla sussistenza del requisito di fattibilità del piano.
La suprema corte è intervenuta una prima volta sulla questione dopo il decreto correttivo, negando che il tribunale possa, nella verifica dei presupposti di ammissibilità, accertare la veridicità dei dati aziendali e/o la fattibilità del piano se non attraverso un controllo ed una puntuale verifica dell'iter logico attraverso il quale il professionista è giunto a rilasciare la sua attestazione.
Secondo i giudici di legittimità in tema di concordato preventivo, nel regime conseguente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 169 dei 2007, che è caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e dal decisivo rilievo della volontà dei creditori e del loro consenso informato, il controllo del tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi degli artt. 162 e 163 l.fall., ha per oggetto solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, senza che possa essere svolta una valutazione relativa all'adeguatezza sotto il profilo del merito; ne consegue che, quanto all'attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione - inquadrabile nel tipo effettivo richiesto dal legislatore, dunque aggiornata e con la motivazione delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti - possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori, dovendo il giudice astenersi da un'indagine di merito, in quanto riservata,
da un lato, alla fase successiva ed ai compiti del commissario giudiziale e, dall'altro, ai poteri di cui è investito lo stesso tribunale, nella fase dell'omologazione, in presenza di un'opposizione, alle condizioni di cui all'art. 180 l.fall.5.
In sintesi il potere di controllo del tribunale sul piano si sostanzierebbe, in sede di ammissione, in un controllo indiretto, senza che l'organo giurisdizionale possa sovrapporsi, nell'effettuare il controllo dei presupposti di ammissibilità, alla valutazione di fattibilità contenuta nella relazione del professionista allegata alla proposta.
Tale interpretazione è stata poi confermata da successive decisioni6.
La diversa contraria interpretazione, seguita da molti tribunali di merito, fa leva sul fatto che 'art. 162 l.fall. dopo il decreto correttivo non contiene alcuna limitazione al sindacato del giudice, con la conseguenza che, dovendo il tribunale esaminare ai fini dell'ammissione la sussistenza dei presupposti indicati dallo stesso art. 162 l. fall., ed essendo ricompreso tra i presupposti della norma il deposito di una relazione che attesti la veridicità e la fattibilità del piano, pare naturale ritenere che il tribunale possa e debba esaminare nel merito la fattibilità del piano.
Conclusione suffragata dalla considerazione che l'art. 162 l.fall. attribuisce al tribunale la facoltà di concedere al debitore un termine per apportare integrazioni al piano, norma che non si spiegherebbe ove non fosse consentita una valutazione diretta del piano medesimo7.
In definitiva in assenza di norme che ne impediscano l'esame o lo riservino a particolari ipotesi, come nel caso della convenienza, è parsa a molti discutibile l'interpretazione dei giudici di legittimità, interpretazione che comportava concrete conseguenze sul contenuto della decisione resa sulla domanda, escludendo qualsiasi sindacato giurisdizionale diretto sulla fattibilità del piano.
Una decisione della corte (fondante il contrasto risolto dalle sezioni unite) è sembrata aprire diversi orizzonti interpretativi in quanto veniva riconosciuta al tribunale la possibilità di rilevare "l'impossibilità dell'oggetto, riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla luce della relazione del commissario giudiziale, alcuna probabilità di essere adempiuta"8.
Secondo questa pronuncia resta estranea alla sfera dell'autonomia soggettiva di giudizio "l'ipotesi-limite....di vero e proprio vizio genetico, accertabile in via preventiva alla luce della radicale e manifesta inadeguatezza del piano-per sopravvalutazione di cespiti patrimoniali o indebita pretermissione, o svalutazione, di voci di passivo- non rilevata ab initio nella relazione del professionista. In tal caso il difetto di veridicità dei dati non può essere sanato dal consenso dei creditori, che sarebbe inquinato da errore-vizio"9.
In applicazione di tali principi la corte aveva confermato la decisione dei giudici di merito che avevano negato l'omologazione a causa dell'omessa considerazione nella proposta di concordato di un credito privilegiato concordatario che "alterava, in radice, l'ipotesi prospettata di soddisfacimento delle obbligazioni sociali su cui riposava l'affidamento del ceto creditorio"10.
Decisione che legittimava l'intervento autoritativo del tribunale in presenza di un vizio genetico della causa, della proposta, vizio evidenziato dalla "radicale e manifesta inadeguatezza del piano".
Sindacato del tribunale che troverebbe spazio, secondo tale arresto, nel caso in cui la manifesta inadeguatezza del piano determini una vera e propria impossibilità dell'oggetto del concordato.
La decisione in commento sembra inizialmente richiamare i capisaldi dell'interpretazione favorevole ad un sindacato di merito del tribunale sulla fattibilità del piano.
Viene infatti sostenuto, in maniera tranciante e senza alcuna espressa motivazione sul punto, che tra i presupposti di ammissibilità del concordato sono compresi, ai sensi dell'art. 161 l.fall., anche "quelli concernenti la veridicità dei dati indicati e la fattibilità del piano" (pagina 40).
Viene quindi affermato che presupposto di ammissibilità del concordato è la fattibilità del piano e non il deposito di una relazione che tale fattibilità attesti.
Definito quindi il concetto di fattibilità come "prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati" concetto che va nettamente scisso da quello di convenienza, la corte conclude correttamente che "il controllo del giudice non è di secondo grado, destinato cioè a realizzarsi soltanto nella completezza e congruità logica dell'attestato del professionista" (pagina 43).
Professionista, la cui figura è assimilata a quella di un"ausiliare del giudice", la cui funzione attestatrice vede come destinatario naturale anche il tribunale, il quale potrebbe quindi "discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario" (pagina 44).
Su tali premesse, che parrebbero aprire ad un controllo pieno di merito sulla fattibilità del piano, la corte precisa che il controllo del giudice, sulla fattibilità è limitato alla fattibilità "giuridica" con esclusione di quella "economica", il cui sindacato è riservato in via esclusiva ai creditori.
Fattibilità giuridica che si estrinseca nel potere/dovere di dichiarare l'inammissibilità della proposta "quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili" (pagina 44).
Il riferimento alle norme inderogabili coincide con l'area dell'indisponibilità che deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.
Reazione che si determinerebbe, ad esempio, ove il debitore programmi di adempiere la proposta attraverso contratti nulli per contrarietà a norme imperative.
La corte offre quale esempio di controllo di fattibilità giuridica la proprietà e disponibilità dei beni nel concordato per cessione di beni ("la programmata cessione di beni di proprietà altrui" pagina 51).
La questione più delicata è se il controllo di fattibilità giuridica sia limitato alla violazione di norme inderogabili ovvero possa riguardare tutti i profili strettamente giuridici collegati alle azioni programmate per la realizzazione della proposta.
Questa seconda interpretazione appare preferibile, posto che appare naturale rimettere al controllo del tribunale la risoluzione di ogni questione di fattibilità dipendente dalla corretta o quanto meno non manifestamente errata applicazione di norme di diritto.
Con la conseguenza che il tribunale dovrebbe emettere un giudizio di inammissibilità oltre che nell'ipotesi in cui siano programmate azioni illecite o contrarie ai principi generali dell'ordinamento, anche qualora il piano si fondi su prospettazioni giuridiche manifestamente errate.
Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui la fattibilità del piano sia basata sull'erronea qualificazione giuridica dei crediti o sul mancato computo degli interessi dei crediti privilegiati, ovvero sul mancato inserimento di creditori nell'elenco nominativo di cui all'art. 161 comma 2, lettera b) l.fall in forza di eccezioni (prescrizione, compensazione.....etc.) manifestamente infondate.
Tutti i profili legati alla valutazione della fattibilità economica del concordato sono rimessi, al contrario, all'esclusiva valutazione dei creditori in sede di approvazione del concordato.
Creditori a cui è demandata ogni decisione sui profili economici della proposta, sotto il duplice profilo della verosimiglianza dell'esito e della sua convenienza..
Sindacato di fattibilità economica che riguarda in primo luogo la valutazione sull'effettivo raggiungimento della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta.
La corte sottolinea come tale giudizio possa ritenersi correttamente e legittimamente formulato solo ove "i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni" (pagina 47).
Incombenti a cui sono deputati dapprima il professionista attestatore in funzione dell'ammissibilità al concordato e dopo il commissario giudiziale prima dell'adunanza per il voto (pagina 47).
Una volta affermato il controllo di "primo grado"del tribunale sulla fattibilità, poiché nell'impianto dell'art. 161 l.fall. la
fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali sono posti sullo stesso piano, tra i presupposti di ammissibilità del concordato (cfr. pagina 40), deve naturalmente ritenersi che il tribunale possa direttamente valutare anche la veridicità dei dati aziendali, sia in sede di ammissibilità che successivamente alla luce delle eventuali osservazioni del commissario giudiziale.
Sindacato che non ammette alcuna limitazione poiché nell'ambito della veridicità non pare rinvenibile una distinzione tra veridicità giuridica ed economica, in quanto o vi è o non vi è rispondenza al vero dei dati aziendali.
Dal che ne deriva che ove il tribunale riscontri una non rispondenza al vero dei dati aziendali di una qualche rilevanza dovrebbe dichiarare l'inammissibilità della proposta, revocare l'ammissione o negare l'omologa a prescindere da ogni valutazione in ordine alla fattibilità economica della proposta.
Il profilo della veridicità dei dati aziendali rileva di per se stesso, a prescindere dalla fraudolenza della condotta del debitore o dall'incidenza che la non rispondenza al vero dei dati aziendali ha sulla fattibilità del concordato.
Rilevanza autonoma che deriva dalla chiara distinzione letterale che il legislatore ha operato nell'art. 161 l.fal. tra i due presupposti, autonomia ora accentuata dall'impossibilità per il tribunale di operare una valutazione complessiva dei due fattori alla luce della reciproca incidenza sulle sorti del concordato, essendo il profilo economico della fattibilità rimesso all'esclusivo sindacato dei creditori.
Fattibilità giuridica che non esaurisce però l'ambito del controllo di fattibilità del tribunale, dato che la corte si interroga se sia consentito un intervento del tribunale, anche contrastante con le indicazioni ed il giudizio del professionista attestatore una volta verificata "l'assoluta impossibilità di realizzazione" del piano (pagina 45).
Impossibilità di realizzazione evidentemente non dipendente da profili prettamente giuridici collegati alle azioni programmate per la realizzazione della proposta, dato che altrimenti tale controllo andrebbe a coincidere con quello sulla fattibilità giuridica.
Secondo il collegio la risposta a tale quesito presuppone l'individuazione della causa concreta del concordato ovverosia "l'accertamento delle modalità attraverso le quali, per effetto
ed in attuazione della proposta del debitore, le parti dovrebbero in via ipotetica realizzare la composizione dei rispettivi interessi" (pagina 45).
Modalità che la corte individua in primo luogo "nel superamento dello stato di crisi dell'imprenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell'interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali" (pagina 46).
Modalità che sarebbe forse corretto individuare più che nel superamento, nella regolazione della crisi, dato che ancora oggi il concordato preventivo può assumere legittimamente le forme di un concordato meramente liquidatorio che preveda la vendita atomistica dei componenti aziendali.
Il secondo fondamento causale del concordato preventivo viene rinvenuto "nel riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti" (pagina 49).
Riconoscimento che giustifica una così significativa limitazione e compressione dei diritti del creditore a seguito del procedimento di concordato preventivo.
Affermazione che va letta in primo luogo come attribuzione di una valenza inderogabile all'indicazione di una misura minima di soddisfacimento di tutti i creditori.
Affermazione che trova un preciso appiglio testuale nella disciplina del concordato preventivo nell'inciso contenuto nell'art. 160, comma 1, lettera a) l.fall. la dove riguardo al contenuto del piano si fa riferimento alla soddisfazione dei crediti.
La proposta deve prevedere, ed il piano concretamente assicurare a tutti i crediti, una generica soddisfazione, soddisfazione che, per alcune categorie giuridiche di crediti, è sottoposta a vincoli sia qualitativi che quantitativi.
Se si ritiene, come pare corretto, che il legislatore non abbia posto limiti al debitore nel poter proporre a determinate categorie di crediti qualsiasi soddisfazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, la proposta sarà inammissibile solo ove si dubiti della stessa esistenza di un pagamento o di un'attribuzione patrimoniale.
La valutazione di ammissibilità della proposta, avuto riguardo alla validità della causa, può condurre ad un esito negativo solo ove non sia prevista alcuna soddisfazione per i crediti, nella sola ipotesi cioè in cui una sola parte (il debitore) riceve e l'altra, sola (i creditori), sopporta un sacrificio, unica essendo l'attribuzione patrimoniale.
Se causa del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare11, la causa del concordato è soddisfatta qualora la proposta preveda una qualche soddisfazione dei crediti.
Il difetto di causa è rilevabile dal tribunale solo qualora non sia prevista o prevedibile alcuna soddisfazione per i crediti.
E ciò in quanto, altrimenti, il controllo sulla prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore esula dalla causa del concordato (pagina 58).
Il concetto di soddisfazione dei crediti e quindi di necessaria non gratuità della prestazione offerta dal debitore deve essere assunto nel suo significato economico proprio di attribuzione patrimoniale, per la quale deve tenersi conto dell'interesse economico che si intende realizzare e soddisfare, anche in via mediata, attraverso la complessa operazione economica sintetizzata nel piano.
Il grado di possibile soddisfazione dei crediti si colloca quindi in una ideale "forchetta" che va dalla necessaria offerta di una qualche attribuzione patrimoniale all'integrale pagamento.
Proposta di integrale pagamento che parrebbe ammissibile solo ove essa comporti una dilazione nel pagamento dei crediti chirografari, dato che altrimenti verrebbe meno il necessario requisito della ristrutturazione dei debiti.
Previsione di pagamento immediato di tutti i crediti che porrebbe seri dubbi sulla sussistenza di un altro presupposto d'ammissibilità della proposta: quello oggettivo, ovverosia l'esistenza di uno stato di crisi o di insolvenza.
Il diritto dei creditori ad ottenere "una sia pur minimale consistenza del credito" vantato "in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti" rimanda sia al rispetto da parte del tribunale del disposto di cui all'art. 181 l.fall. (disposizione e?
spressamente richiamata dalla corte), sia al termine per l'esecuzione del concordato.
Con riferimento al primo profilo il rispetto del termine di sei mesi per la chiusura della procedura (termine prorogabile una sola volta) appare ancor più dovuto dopo l'introduzione della domanda di concordato anticipato ai sensi dell'art. 161 comma 6 l.fall.
E ciò in quanto la previsione della concessione di un termine per il deposito della proposta e del piano sino a 180 giorni dal deposito del ricorso rende evidente come tale riforma abbia determinato un fisiologico allungamento dei tempi, dato che secondo le previsioni del legislatore, possono trascorrere sino ad un massimo di 18 mesi dal momento del deposito del ricorso a quello dell'omologa, in caso di proroga del termine per la chiusura del procedimento di cui all'art. 181 l.fall.
Con riferimento al secondo profilo la riforma del 2012 ha espressamente previsto che il piano debba prevedere i "tempi di adempimento della proposta.
Termine per l'adempimento del concordato, il cui inutile decorso renderà esigibili tutti i crediti, a prescindere dall'iniziativa dei singoli creditori.
Determinazione del momento di esigibilità dei crediti che ha immediati riflessi anche sull'inadempimento e quindi sulla risoluzione del concordato, posto che, come appare evidente, anteriormente alla scadenza di tale termine l'inadempimento non è configurabile, e che esigibilità del credito e inadempimento del debitore debbono necessariamente coincidere.
Il creditore insoddisfatto potrà depositare il ricorso per la risoluzione del concordato solo nel caso in cui l'inadempimento non abbia scarsa importanza, altrimenti egli potrà agire esclusivamente per ottenere l'esatto adempimento della promessa concordataria.
La corte afferma espressamente la rilevanza del profilo relativo ai tempi di adempimento per la valutazione della proposta nei suoi termini complessivi e quindi anche sul giudizio di fattibilità del concordato (pagina 52).
Il che lascia in sospeso la questione se tale giudizio di fattibilità sia di competenza del tribunale o sia rimesso all'esclusiva valutazione dei creditori.
Se è pur vero che il tempo dell'adempimento è fisiologicamente collegato alla convenienza della proposta e quindi tale profilo rientra naturalmente nell'ambito di valutazione esclusiva dei creditori (cfr. pagine 46 e 47), è altrettanto vero che tale affermazione trova un limite ove l'irragionevolezza del termine vada a minare la causa in concreto della proposta.
E ciò in quanto i tempi"ragionevolmente contenuti" di realizzazione della proposta integrano,come detto, dunque uno dei requisiti della causa concreta del concordato.
Il che lascia desumere che detto termine non sia sempre e comunque nella disponibilità della maggioranza dei creditori, dato che un termine per l'esecuzione del concordato manifestamente irragionevole non assicurerebbe il soddisfacimento della causa del concordato e giustificherebbe quindi il sindacato del tribunale.
La questione più problematica attiene all'individuazione di un modello procedimentale da assumere a parametro del giudizio sulla ragionevolezza del termine previsto per l'adempimento del concordato.
Come è noto con il decreto sviluppo del 2012 importanti novità sono state introdotte alla c.d. Legge Pinto, essendo stabilito che nel caso di procedura concorsuale, la durata non deve eccedere i 6 anni.
Termine, sia pur non direttamente applicabile al caso di specie, dato che l'esecuzione del concordato si realizza dopo la chiusura della procedura12, che può comunque fornire un appiglio logico-sistematico per quantificare la ragionevolezza del tempo dell'adempimento.
In definitiva il diritto dei creditori ad essere compiutamente informati e soddisfatti in misura sia pur minimale in tempi ragionevoli, ponendosi in rapporto di corrispettività con quello dell'imprenditore a regolare la propria crisi d'impresa, integra
la causa concreta del concordato la cui manifesta irrealizzabilità è sottoposa al controllo di legittimità/fattibilità del tribunale.
La corte, tirando le fila di tale ragionamento, pur nella dichiarata impossibilità di stabilire "con una previsione generale ed astratta i margini di intervento del giudice in ordine alla fattibilità del concordato dovendosi a tal fine tener con delle concrete modalità proposte dal debitore" (pagina 50), dà delle precise indicazioni con riferimento al concordato per cessione di beni.
In questo tipo di concordato il controllo di fattibilità del tribunale si estrinseca su tre livelli:
a)nella verifica dell'idoneità della documentazione prodotta a corrispondere alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai creditori;
b)nell'accertare la fattibilità giuridica della proposta;
c)nel valutare l'effettiva idoneità della proposta ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura come sopra delineata.
La proposta di concordato per cessione di beni deve quindi prevedere la soddisfazione di tutti i crediti in tempi ragionevoli, obbligazione che si aggiunge a quella della cessione di tutti i beni del patrimonio del debitore (sia con riferimento alla disponibilità materiale dei beni, che alla loro disponibilità giuridica).
La mancata previsione della soddisfazione o pagamento di tutti i creditori, ivi compresi i chirografari (questi ultimi in qualsiasi misura o modalità), in tempi ragionevoli non soddisfa la causa della procedura e determina l'inammissibilità della proposta13.
Secondo la corte rientra quindi nell'ambito del controllo del tribunale la "rilevazione del dato, se emergente "prima facie", da cui poter desumere l'inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti" (pagine 51 e 52).
Affermazione che, pur nella diversità delle proposte, ha una valenza sicuramente generale, applicabile com'è, mutatis mutandis a tutti i tipi di concordato.
Il riferimento all'emersione "prima facie" del dato sembra riecheggiare l'ultimo comma dell'art. 186 bis l.fall. in tema di concordato con continuità aziendale, là dove si prevede che il tribunale provveda ai sensi dell'art. 173 l.fall. ove l'esercizio dell'attività d'impresa risulti "manifestamente dannoso per i creditori".
Come il potere di controllo residuale, di etero tutela del tribunale ai sensi dell'art. 186 bis l.fall. può giustificarsi non in un'ottica di mera incertezza sulla convenienza della continuazione dell'attività d'impresa rispetto alle ragioni dei creditori, ma di manifesta sconvenienza, così il tribunale dovrà negare l'ammissibilità del concordato ove sia a tutti evidente l'inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei ragionevoli termini di adempimento previsti.
Questione assai delicata e complessa è quella relativa alla possibilità del tribunale di effettuare tale controllo non soltanto in fase di ammissione della proposta ma anche nel corso della procedura e nel giudizio di omologa.
La corte, assai correttamente, nel definire l'ambito dei poteri del giudice nei tre diversi momenti di ammissibilità, revoca ed omologazione del concordato, afferma un'identità di posizione da parte del giudice e pertanto l'utilizzabilità di un medesimo parametro valutativo nelle differenti fasi in quanto "la specifica determinazione dei poteri del giudice va effettuata in considerazione del ruolo a lui attribuito in funzione dell'effettivo perseguimento della causa del procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti ora considerati" (pagina 61).
Nell'analisi del rapporto tra controllo giurisdizionale in fase di ammissibilità, nel corso della procedura ed in sede di omologa, non si rinviene alcun effetto preclusivo, alcun limite al riesame di questioni già decise nella fase introduttiva, che possono essere liberamente riesaminate dal tribunale14.
Con la conseguenza che sia nel corso della procedura che in sede di omologa il tribunale potrà riesaminare tutte le questioni già affrontate in sede di ammissibilità.
Riesame che potrà e dovrà riguardare anche l'effettiva idoneità della proposta ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura anche alla luce di nuovi elementi eventualmente apportati dal commissario giudiziale o dai creditori, elementi sopravvenuti, successivi al deposito della proposta, purché, essi rendano evidente l'irrealizzabilità della causa concreta della procedura.
c)L'informazione dei creditori.
Con riferimento, infine, al profilo sub c), la questione, secondo la corte va risolta alla luce del nuovo art. 179 l.fall.
Se è pur vero, infatti, che al difetto di informazioni circa la fattibilità del piano consegue il rigetto della domanda, tuttavia, ove i creditori abbiano espresso un giudizio positivo in sede di adunanza approvando il concordato, mutate le condizioni per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni dl debitore, soccorre l'intervenuta modifica dell'art. 179 l.fall. che "impone al commissario giudiziale la comunicazione del relativo avviso ai creditori, ai fini di una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa per l'eventuale modifica del voto precedentemente espresso" (pagine 68 e 69).
In un altro passaggio argomentativo la Corte, sempre con riferimento all'art. 179 l.fall., afferma altresì che il dettato normativo "nel caso di specie chiarissimo sul punto, esclude dunque incontestabilmente che il tribunale debba avere notizia dell'eventuale mutamento registrato in ordine alle condizioni di fattibilità, il che lascia implicitamente intendere che l'organo giudiziario non dovesse essersene occupato prima" (pagina 65).
Affermazione che sembra in evidente contraddizione con quanto sostenuto dalla corte in relazione alla sussistenza di un controllo diretto del tribunale sulla fattibilità del piano.
Affermazione che va contestualizzata e letta sistematicamente in combinato disposto con l'art. 173 l.fall. alla luce dei principi affermati dalla corte sull'ambito del controllo del tribunale.
Ove il commissario giudiziale rilevi il mutamento delle condizioni di fattibilità giuridica o la sopravvenuta manifesta irrealizzabilità della causa concreta del concordato dovrà attivare il procedimento ex art. 173 l.fall.
Ove al contrario, le mutate condizioni incidano sulla fattibilità economica del concordato, il commissario giudiziale dovrà effettuare la comunicazione ai soli creditori ai sensi dell'art. 179 l.fall.
La pronuncia evidenzia il tentativo (riuscito) della corte di individuare un corretto bilanciamento dei diversi e contrapposti interessi in gioco, ricerca assai difficoltosa nell'ambito di una disciplina del concordato "caratterizzata, da connotati di indiscussa natura negoziale", in cui sono però "individuabili evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici, suggeriti dall'avvertita esigenza di tener conto di interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione" (pagina 41).
Un'ultima annotazione va riservata agli effetti della decisione delle sezioni unite della corte, intervenuta, com'è ben noto, in un panorama giurisprudenziale caratterizzato da significative divergenze interpretative sull'ambito di controllo del tribunale sulla fattibilità del piano.
Sarebbe davvero auspicabile che i principi enunciati dalla corte possano fondare una prassi giurisprudenziale più omogenea e condivisa che dia agli operatori la necessaria garanzia di prevedibilità ed uniformità nell'applicazione delle norme.
1) Trib. Milano, 28 ottobre 2011, in Fall., 2012, 78; Trib. Piacenza 23 giugno 2009, in www.ilcaso.it, secondo cui l'indicazione di una specifica percentuale è anche necessaria ai fini del giudizio di comparazione in caso di cram down, ex art. 180 l.fall., Trib. Varese 28 aprile 2006, in Riv. dott. comm., 2007, 303; in dottrina P. Pajardi-A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 824 ss.; M. Ferro, Commento sub art. 160 l.fall., Condizioni per l'ammissione alla procedura, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2011, 1724-1726.
2) Cass. 15 settembre 2011, n. 18864 in Fall. 2012, 39. Contra Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, in Fall. 2011, 933.
3) In questi termini Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, cit.
4) Per l'ammissibilità di una proposta di concordato per cessione dei beni che ometta di indicare, in termini vincolanti per il debitore, la percentuale di soddisfazione riservata ai creditori Trib. Venezia 30 ottobre 2008, in Fall., 2009, 742; Trib. Bologna 17 novembre 2005, in Giur. mer., 2006, 658; Trib. Ancona 13 ottobre 2005, in Fall., 2005, 1404, secondo cui se il debitore non intende garantire un preciso soddisfo ai creditori chirografari «è altrimenti tenuto... a proporre ai creditori la cessione dei beni, sic et simpliciter, espressamente indicando e rendendoli edotti che sono chiamati ad esprimersi su una proposta che prevede la loro soddisfazione solo nei limiti del valore di realizzo all'esito della liquidazione»; in dottrina M. Fabiani, La programmazione della liquidazione del concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fall. 2012, 906; A Maffei Alberti , Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 921; G. Lo Cascio, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall., 2008, 997; P. Bosticco, La resurrezione giurisprudenziale dell'art. 173 l.fall. e la difficile distinzione tra atti in frode e sopravvenienze inattese, in Fall., 2007, 1450; S. Bonfatti-P.F. Censoni, La riforma della disciplina dell'azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006; 256; S. Ambrosini-P.G. Demarchi, Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2005, 174.
5) Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860, in Fall. 2011, 167, con note di M. Fabiani e G. Bozza.
6) Cass. 14 febbraio 2011, n. 3585, in Fall., 2011, 805 e, sia pure in un obiter dictum Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, in Fall., 2011, 403.
7) Si vedano sul punto le considerazioni di G. Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo", in Fall. 2011, 193-194.
8) In questi termini Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.
9) In questi termini Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.
10) In questi termini Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.
11) In questi termini Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, in Giust. civ., 2007, 1985.
12) A tal proposito va infatti ricordato che secondo la suprema corte in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, deve escludersi la responsabilità dello Stato ai sensi della l. 24 marzo 2001 n. 89, con riferimento alla protrazione nel tempo dell'attività dei liquidatori nominati con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, poiché, chiudendosi questo con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, ed essendo i liquidatori non organi della procedura pubblica, bensì mandatari dei creditori per il compimento di tutti gli atti necessari alla liquidazione dei beni ceduti, detta attività non rientra nell'organizzazione del servizio pubblico della giustizia (Cass. 8.5.2012, n. 7021).
13) Secondo Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, cit., è da escludere che la proposta "non prevedesse alcun pagamento in favore dei chirografi, in quanto se così fosse l'inammissibilità sarebbe stata rilevata e pronunciata immediatamente in sede di esame della proposta stessa in quanto difforme dal modello legale".
14) Cfr. Corte cost. 12 marzo 2010, n. 98, in Fall., 2010, 775.