Il tema relativo al controllo giudiziale sul concordato preventivo è stato ed è certamente uno dei più dibattuti in dottrina e in giurisprudenza, tanto con riferimento alla legge fallimentare (soprattutto dopo le riforme successive al 2005), quanto ora con riferimento al Codice della crisi, in relazione al quale occorre dare risposta ad un interrogativo ricorrente1: se cioè l’intensità del controllo giudiziale nella nuova disciplina costituisca, rispetto al passato, un incremento o un decremento; ciò che potrebbe tradursi in un altro interrogativo: se l’attuale disciplina del controllo giudiziale finisca per ostacolare o, al contrario, per agevolare l’utilizzazione in concreto dello strumento concordatario; non prima però di aver ricordato che il punto di partenza di qualsiasi conclusione è costituito dall’art. 10 della Direttiva Insolvency del 2019 sulle condizioni per l’omologazione di un piano di ristrutturazione; e, in particolare (per quanto qui interessa), dai punti 2 e 3, secondo i quali quel piano deve superare la verifica del “migliore soddisfacimento dei creditori”, ma solo se vi sono creditori dissenzienti che l’abbiano contestato “per tale motivo” (art. 10.2, 1° comma, lett. d e 2° comma); o solo se il piano “risulti privo della prospettiva ragionevole di impedire l’insolvenza del debitore o di garantire la sostenibilità economica dell’impresa” (art. 10.3), restando quindi da verificare se il Codice della crisi si sia conformato o meno a tale dettato.