Sommario: 1. Il “nuovo” art. 567 c.p.c.; 2. L’interpretazione letterale della norma; 3. L’intento della riforma Cartabia e l’interpretazione logica della norma; 4. L’interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Conclusioni.
1. Il “nuovo” art. 567 c.p.c.
Tra le disposizioni interessate dalla recente L. 26 novembre 2021, n. 206, meglio conosciuta come “riforma Cartabia”, figura anche l’art. 567 c.p.c. che disciplina il deposito dei certificati ipocatastali da allegare all’istanza di vendita nel processo di espropriazione immobiliare.
Come noto, l’art. 567, co. 2°, c.p.c., prevede che il creditore «che richiede la vendita»[1] sia tenuto a depositare, oltre all’istanza di vendita, anche una serie di documenti occorrenti per l’identificazione del bene e per l’accertamento della proprietà e della presenza di eventuali creditori iscritti, ossia titolari di ipoteche o che abbiano trascritto sequestri conservativi[2]; nello specifico, «l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei vent’anni anteriori alla trascrizione del pignoramento». Tale documentazione ha la funzione di identificare il bene da vendere[3]. In particolare, il controllo della titolarità dell’immobile pignorato è effettuato sulla base del certificato delle trascrizioni; sia verificando che non esistono trascrizioni «a carico» dell’esecutato, relative ad atti traslativi della proprietà o costitutivi di diritti reali limitati sul bene medesimo, sia verificando che esista, «a favore» dello stesso esecutato, la trascrizione del relativo titolo di acquisto.
Mentre l’art. 567 c.p.c. previgente disponeva che tale documentazione dovesse essere allegata all’istanza di vendita «entro sessanta giorni dal deposito del ricorso», termine prorogabile «una sola volta, su istanza dei creditori o dell’esecutato, per giusti motivi e per una durata non superiore ad ulteriori sessanta giorni», il testo riformato prevede che il deposito della documentazione ipocatastale debba avvenire «entro il termine previsto dall’art. 497[4]». Pertanto, nel determinare il termine per il deposito dei certificati ipocatastali, il “nuovo” art. 567, co. 2, c.p.c. rinvia all’art. 497 c.p.c., ai sensi del quale «il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi quarantacinque giorni senza che sia stata richiesta l’assegnazione o la vendita».
Tale modifica legislativa si è rivelata piuttosto problematica, sia in sede di interpretazione sia all’atto pratico. Come evidenziato dai primi commenti alla l. n. 206 del 2021[5], nonché dalle prime pronunce di merito successive alla novella legislativa, la determinazione del termine per il deposito dei certificati ipocatastali tramite richiamo alla norma sulla cessazione dell’efficacia del pignoramento non appare univoca nel suo significato, ma dà luogo a due possibili letture.
A mente dello spirito della riforma Cartabia, si ritiene che, nel riformare l’art. 567 c.p.c., il legislatore abbia voluto riferirsi all’art. 497 c.p.c. solo per quanto concerne la durata del termine ivi indicato (quarantacinque giorni), ma non anche il dies a quo, che quindi è e deve rimanere quello della previgente formulazione dell’art. 567 c.p.c. Di conseguenza, il “nuovo” art. 567 c.p.c. dovrebbe essere inteso nel senso che il creditore che richiede la vendita deve depositare la documentazione ipocatastale entro quarantacinque giorni (e non più sessanta) dal deposito del ricorso.
Il Tribunale di Pordenone[6] – ad oggi prima Corte di merito ad essersi confrontata con la novella – sposa invece una diversa interpretazione della norma. Il Tribunale ritiene, infatti, che, nel richiamare l’art. 497 c.p.c., il legislatore abbia voluto riferirsi non solo alla durata del termine, ma anche al dies a quo ivi indicato. Ne consegue che il creditore che richiede la vendita deve depositare la documentazione ipocatastale entro quarantacinque giorni decorrenti non dal deposito del ricorso, bensì dal «compimento del pignoramento». Ciò comporta che, se il creditore deposita la documentazione ipocatastale oltre tale termine, il pignoramento perde efficacia ai sensi dell’art. 497 c.p.c.; di tal che il Giudice dell’esecuzione deve dichiarare estinta la procedura[7].
Benché sembri che la giurisprudenza si stia orientando in questo senso[8], si ritiene che la lettura più corretta dell’art. 567 c.p.c. riformato sia la prima e non la seconda, per due motivi.
Il primo: perché, a ben vedere, in tal senso depongono i criteri di interpretazione letterale, logica e costituzionalmente orientata della norma.
Il secondo: perché la seconda lettura conduce a conseguenze pratiche del tutto contrastanti non solo con la ratio specifica dell’art. 567 c.p.c., ma anche, paradossalmente, con lo stesso intento della legge di riforma.
Nelle pagine che seguiranno si illustreranno, quindi, le ragioni di ordine letterale, sistematico e pratico che conducono plausibilmente ad interpretare la novella nel senso che il termine previsto dal secondo comma dell’art. 567 c.p.c. per il deposito della documentazione ipocatastale non può che decorrere dalla data in cui il creditore pignorante (nonché ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo) ha richiesto la vendita.
2. L’interpretazione letterale della norma
Ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi, «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore». In base a detto criterio ermeneutico, il richiamo al «termine previsto dall’art. 497 c.p.c.» deve interpretarsi tenendo conto, in primo luogo, della littera legis, ossia del significato delle parole usate dal legislatore, secondo la loro connessione, e, in secondo luogo, della ratio sottesa alla norma in oggetto, nonché dell’intento perseguito con la legge di riforma. Occorre quindi, per prima cosa, procedere all’interpretazione letterale della norma.
Sotto questo profilo, si può osservare che l’art. 567 c.p.c. si riferisce anzitutto ad un soggetto qualificato: «il creditore che richiede la vendita» (rectius: deposita l’istanza di vendita). Tale qualificazione non è affatto casuale, ma è anzi indicativa del fatto che il legislatore, nel dettare la disciplina del deposito della documentazione ipocatastale o della certificazione notarile, si riferisce alla fase successiva all’istanza di vendita. Del resto, il momento del processo esecutivo in cui si colloca l’adempimento in parola non può che essere questo, dal momento che, come si è detto, la documentazione che il creditore deve depositare serve a identificare il bene da vendere[9]. Poiché, dunque, vi è una stretta correlazione o, come si preferisce, un nesso funzionale tra il deposito dell’istanza di vendita e il deposito dei certificati ipocatastali, pare corretto e razionale ritenere che il termine di cui al secondo comma dell’art. 567 c.p.c. decorra dalla data del deposito dell’istanza di vendita.
Quanto detto è confermato dal fatto che l’art. 567 c.p.c. è collocato nella III Sezione «Della vendita e dell’assegnazione» del Capo IV del Libro III del Codice di procedura civile dedicato all’espropriazione immobiliare.
Pertanto, la collocazione della norma, unitamente al significato che si evince dalle parole utilizzate, conduce ad interpretare la novella nel senso che il termine previsto nel secondo comma dell’art. 567 c.p.c. per il deposito della documentazione ipocatastale o della certificazione notarile non può che decorrere dalla data in cui il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo hanno richiesto la vendita e non dalla data del «compimento del pignoramento».
3. L’intento della riforma Cartabia e l’interpretazione logica della norma
Peraltro, l’interpretazione letterale del novellato art. 567 c.p.c. ben si concilia anche con la sua interpretazione logica, ovvero con i motivi per cui il Legislatore ha modificato la norma.
Il disegno di legge predisposto dall’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», approdato alla Camera dopo l’approvazione del Senato, si propone ambiziosamente, come tutte le precedenti riforme, di risolvere la crisi della giustizia civile, mettendo al centro, in attuazione del PNRR, il “fattore tempo”[10]. Intento della Riforma Cartabia è quindi quello di abbreviare i tempi del processo di espropriazione forzata[11].
Di conseguenza, la ratio dell’art. 567 c.p.c. riformato risponde ad un’esigenza acceleratoria che pervade l’intera disciplina del processo esecutivo.
Se questo è lo spirito della riforma, ragione vuole che il Legislatore non abbia voluto alterare le scansioni già stabilite per i vari incombenti, ma solo ridurre i tempi previsti per il loro espletamento. Il rinvio all’art. 497 c.p.c. deve quindi essere letto nell’ottica di una mera riduzione della durata dei termini previsti per il deposito della documentazione o della certificazione ipocatastale nonché per l’eventuale proroga – da sessanta a quarantacinque giorni – e non anche in quello della modifica del dies a quo di decorrenza rispetto alla previgente formulazione della norma.
Alla luce di quanto finora detto, l’interpretazione offerta dal Tribunale di Pordenone non può ritenersi condivisibile, perché, oltre a porsi in contrasto con il tenore letterale delle norme evocate, determina effetti del tutto ultronei rispetto a quanto auspicato dal Legislatore. Da una parte, la previsione di una nuova ipotesi di inefficacia del pignoramento a danno del solo creditore: esito certamente non voluto dalla riforma Cartabia, dal momento che la L. n. 206 del 2021 non ha affatto toccato la norma di cui all’art. 497 c.p.c. Dall’altra, il moltiplicarsi di procedure esecutive – con buona pace dell’intento acceleratorio sotteso alla riforma – per l’impossibilità, nei fatti, di avere un termine di effettivi 45 giorni per il deposito della documentazione ipocatastale. Ma andiamo con ordine.
L’art. 497 c.p.c., richiamato dal novellato art. 567 c.p.c., prevede come ipotesi di cessazione dell’efficacia del pignoramento il decorso del termine di 45 giorni dal suo compimento senza che sia stata chiesta l’istanza di assegnazione e di vendita[12]. E non potrebbe essere altrimenti. Funzione dell’art. 497 c.p.c. è, infatti, quella di garantire il contemperamento tra l’interesse del debitore a non veder sottoposti a dannose trascrizioni i propri immobili sine die e quello del creditore a recuperare il proprio credito nel minor tempo possibile. Ed invero, la previsione di un termine per la presentazione dell’istanza di vendita o di assegnazione a pena di inefficacia del pignoramento assicura, per un verso, che l’esecuzione forzata sia stata radicata avanti al Tribunale e, per altro verso, che il pignoramento e la sua trascrizione non restino vincoli pregiudizievoli senza un seguito certo. In altri termini, tale adempimento impedisce la quiescenza dell’esecuzione, assecondando un interesse acceleratorio comune tanto al debitore quanto al creditore.
Ciò premesso, è pacifico che il creditore che, nei termini prescritti, ha trascritto il pignoramento, iscritto a ruolo la procedura e depositato l’istanza di vendita ha senz’altro dimostrato l’interesse al proseguimento dell’esecuzione forzata; pertanto, non può essere corretta una lettura del “nuovo” art. 567 c.p.c. che fa discendere dall’intempestivo deposito dei certificati ipocatastali l’inefficacia del pignoramento ai sensi dell’art. 497 c.p.c.
Ciò si afferma con ancor più forza a fronte del fatto che il significato della norma non sembra mutato in seguito alla riforma Cartabia, dal momento che il Legislatore non ha modificato le ipotesi espresse di decadenza dall’efficacia del pignoramento. Ubi lex voluit dixit: se il creditore dovesse depositare anche la documentazione ipocatastale nei 45 giorni dal compimento del pignoramento a pena di inefficacia dello stesso, il Legislatore avrebbe certamente aggiunto tale ipotesi a quella già indicata nell’art. 497 c.p.c.
Né vale a smentire la tesi la previsione in base alla quale il creditore che ha richiesto la vendita possa depositare istanza di proroga del termine per il deposito dei certificati nel caso in cui fosse impossibile rispettarlo (ipotesi tutt’altro che remota, come si illustrerà infra). Anzi, proprio la previsione di una possibile proroga[13] rende evidente che il termine per il deposito della documentazione è considerato dal Legislatore meno incisivo per l’accelerazione del processo esecutivo rispetto a quello di efficacia del pignoramento; diversamente, la medesima possibilità sarebbe prevista anche per il termine di cui all’art. 497 c.p.c.
Inoltre, ritenere che il termine previsto per il deposito della documentazione ipocatastale decorra dalla data del «compimento» del pignoramento non permette al creditore pignorante, per prima cosa, di conoscere con certezza la decorrenza del termine assegnatogli dal legislatore, e, in ogni caso, di avere effettivamente a disposizione 45 giorni per il deposito della documentazione prevista dall’art. 567 c.p.c.[14]; il che, come si vedrà, ha inevitabili ricadute sui tempi della procedura, frustrando gli obiettivi perseguiti dalla legge di riforma.
Anzitutto, non è chiaro cosa debba intendersi per «compimento» del pignoramento: tale espressione può infatti indicare, alternativamente, la data di consegna dell’atto di pignoramento agli Ufficiali Giudiziari, la data di notifica dell’atto al debitore o se più debitori all’ultimo debitore, la data di consegna da parte degli Ufficiali Giudiziari dell’atto di pignoramento notificato al creditore pignorante, la data della trascrizione del pignoramento ed, infine, la data di consegna da parte della competente Conservatoria della copia della nota attestante l’eseguita trascrizione.
Ad ogni modo, qualunque sia l’ipotesi preferita, il termine di quarantacinque giorni previsto dal novellato art. 567 c.p.c. non sarebbe mai pieno ed effettivo.
Nel caso in cui per «compimento» si intenda la data di consegna dell’atto agli Ufficiali Giudiziari, il termine di 45 giorni per il deposito della documentazione ipocatastale verrebbe di fatto azzerato o ridotto ad effettivi pochi giorni, in quanto, spesso e volentieri, gli Ufficiali Giudiziari consegnano al creditore procedente l’atto di pignoramento anche mesi dopo la richiesta (soprattutto nel caso di notifiche effettuate a seguito di compiuta giacenza).
Lo stesso dicasi ove per «compimento» si voglia intendere la data di notifica dell’atto al debitore o, se vi sono più debitori, all’ultimo debitore, poiché, come poc’anzi detto, gli Ufficiali Giudiziari consegnano al creditore procedente l’atto di pignoramento notificato anche mesi dopo la richiesta.
Si ritiene che le uniche interpretazioni che, in qualche modo, appaiono tutelare (anche) i diritti del creditore sono quelle che, come espressamente previsto dall’art. 555 c.p.c., intendono eseguito (rectius compiuto) il pignoramento «mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale si indicano esattamente con gli estremi richiesti dal codice civile per l’individuazione dell’immobile ipotecato, i beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre a pignoramento». Ciò anche in considerazione del fatto che l’avvenuta trascrizione del pignoramento è elemento determinante per procedere alla richiesta della documentazione ipocatastale ovvero per la redazione della certificazione notarile sostitutiva ai sensi dell’art. 567 c.p.c. In tal caso la decorrenza del termine di 45 giorni per il deposito della documentazione decorrerebbe dal momento in cui la parte può effettivamente esercitare il suo diritto/onere.
Infine, ritenere che il termine di 45 giorni per il deposito della documentazione ipocatastale decorra dalla data del «compimento» del pignoramento di cui all’art. 497 c.p.c., renderebbe di fatto inapplicabile o comunque difficilmente applicabile la norma nei confronti del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo, il quale, secondo quanto disposto dall’art. 567 c.p.c., «può chiedere la vendita dell'immobile pignorato» ed è quindi tenuto a depositare la documentazione ipocatastale nello stesso termine previsto per il creditore procedente.
Il creditore può intervenire nella procedura esecutiva solo dopo l’iscrizione a ruolo della stessa, iscrizione che avviene nei quindici giorni successivi dalla consegna al creditore pignorante dell’atto di pignoramento da parte degli Ufficiali Giudiziari e dopo la formazione da parte del Cancelliere del fascicolo dell’esecuzione.
Se però – come appena evidenziato – la consegna al creditore dell’atto di pignoramento notificato può avvenire anche mesi dopo la richiesta, ne consegue che, per il creditore intervenuto, il termine di 45 giorni previsto per il deposito della documentazione ipocatastale dovrebbe inevitabilmente intendersi di default ridotto, se non quasi azzerato.
Egli, dunque, per non incorrere nella decadenza stabilita dall’art. 497 c.p.c., dovrebbe depositare l’istanza di vendita di un pignoramento non trascritto e soprattutto non iscritto a ruolo (ci si chiede, allora, come ne possa venire a conoscenza) e nello stesso termine dovrebbe anche depositare la documentazione ipocatastale.
Le incongruenze evidenziate sono tutt’altro che trascurabili: anche in considerazione della grave sanzione che, in base a questa lettura, conseguirebbe nel caso di inosservanza del termine ex art. 567, comma 2, c.p.c. (appunto, l’inefficacia del pignoramento), non può non ritenersi essenziale la certa e univoca indicazione della sua decorrenza, nonché l’effettività del termine ivi concesso.
Inoltre, l’interpretazione criticata trascura il fatto che il deposito della documentazione ipocatastale da parte del creditore pignorante (o del creditore intervenuto munito di titolo esecutivo) presuppone a monte un insieme di attività di soggetti terzi (Ufficiali Giudiziari, Servizio Postale, Notaio, Conservatoria dei Registri Immobiliari) che difficilmente vengono compiute in tempi tali da consentire di rispettare un termine così stringente come quello di 45 giorni dal «compimento» del pignoramento.
Pertanto, come ben evidenziato dal CSM nel parere del 15 settembre 2021[15], nonché dalla dottrina[16], è prevedibile che i creditori ricorreranno spesso all’istanza di proroga del termine per giusti motivi ai sensi dell’art. 567 c.p.c. al fine di non incorrere nella paventata decadenza di cui all’art. 497 c.p.c.
Va da sé che ciò si traduce in un inutile e antieconomico dispendio di attività processuale, palesemente contrario allo spirito della riforma[17], nonché, più in generale, al diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo[18].
Quanto detto depone a favore della suggerita interpretazione dell’art. 567 c.p.c.: ritenere che il termine per il deposito della documentazione ipocatastale decorra non dal compimento del pignoramento, ma dal deposito dell’istanza di vendita, consente al creditore di avere effettivi 45 giorni per l’espletamento delle dovute formalità e riduce al minimo l’esigenza di ricorrere alla proroga ai sensi del terzo comma. In alternativa, come suggerito dal richiamato parere del CSM, sarebbe opportuno quantomeno far decorrere detto termine dalla ricezione, da parte del creditore, dell’atto di pignoramento notificato[19].
4. L’interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Conclusioni
Infine, l’interpretazione secondo cui il termine di cui all’art. 567 c.p.c. previsto per il deposito della documentazione ipo-catastale decorra dalla data del «compimento» del pignoramento non può essere costituzionalmente corretta, poiché, di fatto, privilegia solo l’interesse del debitore a non vedere i propri immobili sottoposti sine die a vincoli pregiudizievoli e non anche quello del creditore al recupero del proprio credito nel minor tempo possibile, del pari costituzionalmente garantito.
Come appena osservato, detta lettura non tiene, infatti, in debito conto che la realizzazione dell’interesse del creditore implica una serie di oneri che il debitore non ha e che, oltretutto, dipendono da attività di una molteplicità di soggetti del tutto estranei al rapporto debitore - creditore - Giudice.
Invero, far discendere una sanzione così grave come la dichiarazione di inefficacia del pignoramento dal mancato deposito dei certificati ipocatastali nei primi 45 giorni dal compimento del pignoramento costituirebbe una sanzione per un fatto del terzo (Ufficiali Giudiziari, Servizio Postale, Notaio, Conservatoria dei Registri Immobiliari), senza un vero vantaggio in termini di celerità del processo esecutivo, perché il creditore, anche incolpevole, si vedrebbe costretto a porre in essere nuovamente gli atti esecutivi, con conseguente sovraccarico delle attività degli Ufficiali Giudiziari, delle Conservatorie e delle Cancellerie e del Giudice, oltre ad un aggravio di spese.
È preferibile, quindi, l’interpretazione che considera la sanzione della estinzione anticipata della procedura solo ogni qual volta si verifichi non un mero stallo della procedura stessa bensì una situazione di quiescenza[20], dipesa da una evidente inattività e/o disinteresse dei creditori titolati a coltivare il processo esecutivo.
In conclusione, volendo – e, per quanto qui si ritiene, dovendo – fornire un’interpretazione letterale, logica e costituzionalmente orientata del novellato art. 567 c.p.c., non può che ritenersi che il termine di 45 giorni per il deposito della documentazione ipocatastale decorra dal deposto dell’istanza di vendita. In questo modo si individua un dies a quo certo ed effettivo, nel rispetto della littera legis, della ratio dell’art. 567, dello spirito della riforma Cartabia, nonché, infine, dei fondamentali diritti di difesa (art. 24 Cost.) e del giusto processo (art. 111 Cost.).
[1] Poiché l’istanza di vendita può essere richiesta sia dal creditore procedente sia dai creditori intervenuti tempestivamente muniti di titolo esecutivo, il soggetto tenuto al deposito dei certificati ipocatastali è non solo il creditore pignorante che ha depositato l’istanza di vendita, ma anche il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo: così Cass., 28 novembre 1992, n. 12711, in Giust. civ. Mass., 1992.
[2] Si veda G. Sensale, L'espropriazione immobiliare e la delega ai notai degli incanti, in Riv. Esec. Forzata, 2003, 346. Si precisa che il deposito dei certificati ipocatastali ha questa sola finalità: lo si argomenta dal fatto che il decorso del termine di efficacia del pignoramento è validamente impedito, ex art. 497 c.p.c., dalla presentazione dell’istanza di vendita anche se non corredata dalla prescritta documentazione ipocatastale.
[3] Cfr. G. Campese, L’espropriazione forzata immobiliare, Milano, 2005, 210.
[4] Ai sensi dell’art. 497 c.p.c., «il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi quarantacinque giorni senza che sia stata richiesta l’assegnazione o la vendita».
[5] E. Fabiani, L. Piccolo, Le modifiche in tema di esecuzione forzata di cui alla legge di riforma (n. 206/2021) della giustizia civile. Note a prima lettura, in www.giustiziainsieme.it, 4 febbraio 2022; G. Miccolis, L’esecuzione forzata nella riforma che ci attende, in Questione Giustizia, www.questionegiustizia.it.
[6] Trib. Pordenone, ord. 11 settembre 2023.
[7] Invero, nel caso di specie, il Tribunale di Pordenone, rilevato che il creditore esecutante aveva depositato la documentazione di cui all’art. 567 oltre i termini di legge, ha fissato udienza di comparizione delle parti al fine di far dichiarare l’estinzione della procedura.
[8] Così Trib. Brescia, ord. 17 novembre 2023.
[9] Cfr. G. Campese, op. loc. ult. cit.
[10] G. Miccolis, L'esecuzione forzata nella riforma che ci attende, cit.
[11] Cfr. parere CSM del 15 settembre 2021 «Disegno di legge governativo di riforma del processo civile: parere sulle ricadute in materia di amministrazione della giustizia».
[12] L’art. 497 c.p.c. prevede infatti che «il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi quarantacinque giorni senza che sia stata chiesta l’assegnazione o la vendita».
[13] Il novellato art. 567 c.p.c. prevede infatti che «il termine di cui al secondo comma può essere prorogato una sola volta su istanza dei creditori o dell'esecutato, per giusti motivi e per una durata non superiore ad ulteriori quarantacinque giorni».
[14] Così E. Fabiani, L. Piccolo, Le modifiche in tema di esecuzione forzata di cui alla legge di riforma (n. 206/2021) della giustizia civile, cit. «La lett. c) del comma 12 richiede al legislatore delegato di attuare una riduzione del termine per depositare la documentazione ipocatastale e catastale di cui al comma secondo dell’art. 567 c.p.c., riduzione che viene quantificata in quindici giorni, decorrenti dal deposito dell’istanza di vendita. Per l’effetto si allineerebbe detto termine a quelli previsti dagli artt. 497 c.p.c., in tema di cessazione di efficacia del pignoramento, e 501 c.p.c., in tema di termine dilatorio del pignoramento».
[15] Cfr. parere CSM 15 settembre 2021, cit.
[16] Così E. Fabiani, L. Piccolo, Le modifiche in tema di esecuzione forzata di cui alla legge di riforma (n. 206/2021) della giustizia civile, cit., ad avviso dei quali «Peraltro, secondo il richiamato parere del CSM, la norma rischia di imporre al creditore un termine difficile da rispettare per gli adempimenti previsti dall’art. 567, co. 2, c.p.c., ed è prevedibile che i creditori ricorreranno spesso all’istanza di proroga del termine per giusti motivi ai sensi dell’art. 567 c.p.c.».
[17] Cfr. G. Miccolis, L’esecuzione forzata nella riforma che ci attende, cit., il quale, a mente della finalità acceleratoria che informa la novella, evidenzia che «Del resto, le regole giuridiche devono garantire che il processo, anche quello esecutivo, non torni indietro per evitare che l’attività del giudice sia duplicata e comunque risulti inutile», ed ancora, che «è assai probabile che questa ulteriore riduzione dei termini rischi di creare disagi al creditore procedente in caso di espropriazione immobiliare complessa con innumerevoli particelle catastali […] da ricostruire nel tempo, senza ridurre significativamente i tempi del processo».
[18] Cfr., da ultimo, Cass., ord., 17 marzo 2022, n. 8811, in DeJure, ove si afferma che «il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato a produrre i suoi effetti»
[19] Cfr. parere CSM 15 settembre 2021, cit.
[20] Così A.M. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2017, 2380.