Sommario: 1. Introduzione. - 2. La composizione negoziata della crisi e il sovraindebitamento delle imprese. - 2.1 I presupposti soggettivo e oggettivo della composizione negoziata. - 2.2 Gli aspetti di semplificazione della composizione negoziata delle imprese sotto soglia. - 2.3. Gli esiti della composizione negoziata. - 2.4. I vantaggi della composizione negoziata per le imprese assoggettabili alla disciplina del sovraindebitamento. - 2.4.1. In particolare: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. - 3. Il piano attestato di risanamento e il problema dell'applicabilità dello strumento all' imprenditore sovraindebitato. - 3.1. Il presupposto soggettivo del piano attestato di risanamento. - 3.2. Ricadute attuative in caso di applicazione dello strumento alle imprese non commerciali e minori. - 4. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e la loro applicabilità anche all'imprenditore "non commerciale e diverso dall'imprenditore minore". - 4.1. Il presupposto soggettivo degli accordi di ristrutturazione dei debiti. - 4.2. I vantaggi dell'applicazione dell'istituto all'imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore. - 4.3. Le condizioni necessarie per l’omologazione degli accordi. - 5. Un istituto di applicazione generale per l'impresa: la convenzione di moratoria. - 6. L'inapplicabilità del concordato di liquidazione. - 7. I rapporti tra la disciplina dell'insolvenza di gruppo e le procedure di sovraindebitamento delle imprese. - 7.1. Un recente arresto giurisprudenziale. - 7.2. Le critiche della dottrina. - 8. Conclusioni.
Le presenti riflessioni affrontano il tema del sovraindebitamento (più precisamente, del sovraindebitamento delle imprese di cui all'art. 2, lett. c): imprese minori, imprese agricole, start up innovative) da un angolo visuale particolare, diverso da quello tradizionale della risoluzione della crisi mediante gli strumenti "sacramentali" del concordato minore e della liquidazione controllata (con la sua appendice dell'esdebitazione) ([1]).
Ispirata alla prospettiva anzidetta, questa nota si propone infatti di verificare se, in alternativa alle due procedure canoniche, l'imprenditore sovraindebitato possa accedere ad altri modelli regolatori previsti dal Codice della crisi e, nell'affermativa, a quali di essi e con che effettiva utilità pratica.
A questi fini, operando una ricognizione che segue la topografia del Codice, verranno presi specificamente in esame, in rapida successione, il percorso della composizione negoziata e il possibile approdo nel concordato semplificato; gli strumenti del piano attestato di risanamento, degli accordi di ristrutturazione dei debiti, della convenzione di moratoria e del concordato di liquidazione; infine, sulla scia di recenti sollecitazioni giurisprudenziali, i rapporti tra la disciplina dell'insolvenza di gruppo e le procedure di sovraindebitamento ([2]).
Nella disciplina della composizione negoziata ([3]) non sono previsti requisiti di accesso dimensionali o riguardanti la natura dell'attività esercitata, essendo l'istituto stato concepito come un percorso utilizzabile da tutti gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese (cfr. artt. 12 e 25-quater).
Il profilo dimensionale rileva, infatti, soltanto ai fini dell’assoggettabilità alla procedura ordinaria oppure a quella semplificata, ma il presupposto soggettivo classico di applicazione della disciplina del sovraindebitamento (v. supra, 1), nella composizione negoziata subisce una sorta di "destrutturazione" sotto due diverse profili..
In primo luogo, per quanto concerne l'aspetto dimensionale, le imprese di minori dimensioni, alle quali è consentito il ricorso alla composizione negoziata semplificata, nella relativa regolamentazione recata dall’art. 25-quater assumono la diversa denominazione di imprese “sotto soglia”.
Con questa locuzione la norma, come dalla stessa specificato, intende fare riferimento all’“imprenditore commerciale e agricolo che possiede congiuntamente i requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. d”, vale a dire i requisiti contenuti nella definizione di “impresa minore” elaborata dalla citata disposizione ([4]).
Va sottolineato che l’espressione “imprese sotto soglia” utilizzata dall’art. 25-quater (la stessa già usata dal d.l. n. 118 del 2021, che ha introdotto nel sistema la composizione negoziata della crisi e, come possibile esito di questa, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio) ([5]) compare per la prima volta nel lessico del legislatore, il quale, per designare le imprese rientranti nella definizione di “impresa minore”, ha in questo caso preferito adottare la terminologia in uso nel linguaggio dei pratici.
La spiegazione della scelta lessicale è offerta dalla relazione illustrativa del decreto Insolvency, sulla scorta del rilievo che “la norma si riferisce alle imprese minori ma anche alle imprese agricole di dimensioni ridotte (mentre le imprese agricole in possesso dei requisiti dimensionali per la sottoposizione a liquidazione giudiziale accedono alla composizione secondo la disciplina generale)”, per cui, posto che “le imprese minori definite dal Codice sono solo le imprese commerciali di dimensioni ridotte”, “le parole ‘sotto soglia’ rendono immediatamente comprensibile il fatto che i destinatari della norma della norma sono tutti gli imprenditori di dimensioni ridotte”.
Questa impostazione rende, peraltro, evidentissimo il secondo profilo di novità, costituito dell’introduzione, ai fini in discorso, della distinzione dimensionale anche nell’ambito dell’impresa agricola ([6]).
Rammentiamo, a tale proposito, che, fino al d.l. cit., il sistema concorsuale non aveva valorizzato il profilo della dimensione dell’imprenditore agricolo, la disciplina della crisi e dell’insolvenza del quale è sempre stata assimilata a quella degli altri soggetti “non fallibili”, se si eccettua l’estensione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti anche all’imprenditore agricolo, strumento che, tuttavia, nella legge fallimentare prescindeva da criteri di tipo quantitativo-dimensionale (per la apparentemente diversa impostazione del Codice v. infra). Per questo specifico aspetto il d.l. cit., prima, e il Codice che ne ha sostanzialmente recepito i contenuti, poi, sembrano aver recuperato lo spunto offerto dal criterio di delega di cui all’art. 2, 1° comma, lett. e) l. n. 155 del 2017, dove si prevedeva che, “in particolare”, “il trattamento dell’imprenditore che dimostri di rivestire un profilo dimensionale inferiore a parametri predeterminati”, ai sensi dell’art. 1 l. fall., fosse assimilato “a quello riservato a debitori civili, professionisti e consumatori, di cui all’art. 9” della legge delega, con ciò potendosi anche intendere che a rilevare ai fini dell’assoggettamento alle procedure di regolazione del sovraindebitamento fossero soltanto la qualità non imprenditoriale del debitore o, se imprenditore, il profilo dimensionale della sua impresa, non il tipo di attività esercitata. Del resto, questa dell’assoggettamento dell’imprenditore agricolo non minore alle procedure concorsuali “maggiori” era stata la soluzione accolta nello schema di decreto legislativo elaborato dalla seconda Commissione Rordorf, soluzione poi abbandonata in quello successivo, da cui è scaturito l’odierno Codice, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 8 novembre 2018 e trasmesso alle Camere e al Consiglio di Stato per il necessario parere.
Analoga distinzione dimensionale, con conseguente assoggettabilità, secondo i casi, alla procedura di composizione negoziale ordinaria o a quella semplificata, sembra potersi prospettare anche per le start – up innovative di cui al d.l. n. 179 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 221 del 2012.
Rilevanti novità si registrano anche per quanto riguarda il presupposto oggettivo di accesso alla composizione negoziata delle imprese sopra soglia (per quanto qui interessa, le imprese agricole e le start up innovative che rientrano nella categoria) e delle imprese sotto soglia alla composizione negoziata, rispetto alle quali viene abbandonato il riferimento al "sovraindebitamento" (art. 2, 1° comma, lett. c) e fissato, di contro, il presupposto (cfr. artt. 12, 1° comma, per le imprese sopra soglia e, rispettivamente, 25-quater, 1° comma, per le imprese sotto soglia) che l’impresa deve trovarsi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza (o, secondo l'impostazione ormai generalmente prevalente nell'applicazione pratica dell'istituto, anche in situazione di insolvenza, purchè reversibile) e risulta ragionevolmente perseguibile il suo risanamento (anche per il tramite della continuità indiretta). A questo proposito si deve, peraltro, rilevare che, nella concreta operatività, specie per le imprese di minori dimensioni queste condizioni potranno essere di difficile realizzabilità ([7]).
Il legislatore ha scelto di dettare la disciplina della composizione negoziata (e del concordato semplificato) applicabile alle imprese sotto soglia, per quanto non previsto dalla disciplina specifica di cui subito diremo, tramite il rinvio “nei limiti della compatibilità” alle disposizioni dettate per la composizione negoziata ordinaria (art. 25-quater, 5° comma).
Gli articoli richiamati sono i seguenti: 12; 13 (1°, 2°, 3°, 4°, 5° e 9° comma); 14; 15; 16; 17 (1°, 2°, 4°, 5°, 6°, 7°, 8°, 9° e 10° comma); 18; 19; 20; 21; 22; 24 (3° e 4° comma); 25; 25-bis; 25-ter; 25-quinquies; nonché, con riguardo al concordato semplificato, 25-sexies e 25-septies; con riguardo agli obblighi di segnalazione, 25-octies (segnalazione dell'organo di controllo, non invece dei creditori pubblici qualificati e obblighi di comunicazione delle banche e intermediari finanziari). Non è, invece, richiamato - illogicamente - l'art. 25 -undecies (istituzione di programma informatico di verifica della sostenibilità del debito e per l'elaborazione di piani di rateizzazione automatica), da ritenere invece applicabile anche alle imprese sotto soglia.
Venendo alla disciplina specifica della composizione negoziata delle imprese sotto soglia dettata dall'art. art. 25-quater, questa si traduce in vari aspetti di semplificazione del relativo percorso rispetto a quello ordinario, che viene dato qui per noto (potremmo parlare, al riguardo, di “composizione negoziata semplificata” o, se vogliamo, “minore”).
La semplificazione riguarda innanzi tutto il meccanismo di nomina dell’esperto.
Anche nel caso della composizione negoziata semplificata il sistema di accesso passa per le camere di commercio (il doppio binario di accesso consentito dal d.l. n. 118 del 2021 cit., che prevedeva la possibilità di rivolgersi anche agli Organismi di composizione della crisi, è stato inopportunamente eliminato a causa di asseriti problemi interpretativi e applicativi), dovendo l’istanza essere presentata al segretario generale della camera di commercio nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa, seguendo il percorso della piattaforma telematica nazionale previsto dall’art. 17, 1° e 2° comma, ma la nomina dell’esperto avviene ad opera del segretario generale al quale è presentata l’istanza (art. 25-quater, 2° comma, ultimo periodo), che provvede altresì a liquidare il suo compenso ai sensi dell’art. 25-ter (cfr. art. 25-quater, ultimo comma, dove peraltro compare l’evidente refuso del riferimento anche al responsabile dell’organismo di composizione della crisi, non più attuale stante la ricordata eliminazione del doppio binario di accesso).
La semplificazione riguarda inoltre la previsione di obblighi documentali semplificati rispetto a quelli stabiliti nella composizione negoziata ordinaria dall’art. 17, 3° comma, essendo l’imprenditore minore sgravato dall’onere di depositare il piano di risanamento e la relazione sull’attività in concreto esercitata con il piano finanziario per i successivi sei mesi (cfr. art. 25-quater, 2° comma, primo periodo). Con riguardo all’elencazione dei documenti da produrre, il secondo periodo del 2° comma specifica che, nella composizione negoziata semplificata, l’autodichiarazione sulla non pendenza dei procedimenti di cui all’art. 17, 3° comma, lett. d) riguarda la procedura di liquidazione controllata e deve contenere l’attestazione di non aver depositato ricorso per concordato minore ai sensi dell’art. 74 e, per le imprese agricole, anche per accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57.
La composizione negoziata - prescindendo qui dal considerare l'ipotesi di decorso del termine di durata di centottanta giorni, eventualmente prorogato, senza che le parti abbiano individuato una soluzione adeguata al superamento della situazione di crisi (v. art. 17, commi da 7 a 9) - può sfociare in esiti negoziali stragiudiziali ed esiti con ricorso agli strumenti di regolazione disciplinati dal Codice ([8]).
In particolare, per le imprese "sopra soglia" - e dunque anche per le imprese agricole e le start up innovative che rientrano in questa categoria - gli esiti della composizione negoziata sono regolati dall'art. 23.
In particolare, le soluzioni negoziali stragiudiziali sono disciplinate dal 1° comma, il quale prevede che, quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione, le parti possono, alternativamente:
a)?concludere un contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all’art. 25-bis, 1° comma (in tema di misure premiali: v. infra, paragrafo che segue), se, secondo la relazione dell’esperto, è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni;
b)?concludere una convenzione di moratoria ai sensi dell’art. 62;
c)?concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori (tutti o anche solo alcuni) e dall’esperto, che produce gli effetti di cui agli artt. 166, 3° comma, lett. d) (in tema di esenzione dall’azione revocatoria, la quale, per le imprese agricole e le start up innovative che rientrano nella categoria, riguarderà soltanto la revocatoria ordinaria, essendo queste non assoggettabili alla revocatoria concorsuale) e 324 (in tema di esenzioni dal reato di bancarotta. che peraltro non interessa la disciplina del sovraindebitamento), vale a dire quelli del piano attestato di risanamento di cui all’art. 56 .A tal fine, si noti, non è richiesta l’attestazione prevista da quest’ultimo articolo, poiché, con la sottoscrizione dell’accordo, l’esperto dà atto della coerenza del piano ai fini della regolazione della crisi o dell’insolvenza dell’impresa.
Gli esiti con ricorso agli strumenti di regolazione previsti dal Codice sono invece disciplinati dal 2° comma, il quale stabilisce che se, in seguito alle trattative non è individuata una soluzione tra quelle sopra elencate, l’imprenditore può, in alternativa:
a)?predisporre il piano attestato di risanamento di cui all’art. 56;
b)?domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57 (accordo “normale”), 60 (accordo agevolato) e 61 (accordo ad efficacia estesa, con la precisazione che, se il raggiungimento dell’accordo risulta dalla relazione finale dell’esperto, la percentuale di cui al secondo comma, lett. c del predetto articolo è ridotta al sessanta per cento);
c)?proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 25-sexies;
d)?accedere ad uno degli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal Codice, dal d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza) o dal d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. dalla l. 18 febbraio 2004, n. 39 (ristrutturazione delle grandi imprese);
e)?l’imprenditore agricolo può accedere agli strumenti di cui all’art. 25-quater, 4° comma, vale a dire agli accordi di ristrutturazione dei debiti e alle procedure di regolazione della crisi da sovraindebitamento.
Per le imprese sotto soglia, gli esiti della composizione negoziata sono regolati dall'art. 25-quater, 3° e 4° comma.
Nello specifico, le soluzioni negoziali stragiudiziali sono disciplinate dal 3° comma, il quale prevede che, quando è individuata una soluzione idonea al superamento della situazione, le parti possono, alternativamente:
a)?concludere un contratto privo di effetti nei confronti dei terzi e idoneo ad assicurare la continuità aziendale;
b)?concludere un accordo avente il contenuto dell’art. 62 (che riguarda la convenzione di moratoria);
c)?concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori (tutti o anche solo alcuni) e dall’esperto (il quale, con la sua sottoscrizione, dà atto della coerenza del piano di ristrutturazione ai fini della regolazione della crisi o dell’insolvenza dell’impresa) che produce gli effetti premiali fiscali di cui all’art. 25-bis, 5° comma (v. infra, paragrafo che segue).
Se, invece, all’esito delle trattative non è possibile raggiungere un accordo, il 4° comma stabilisce che l’imprenditore può, in alternativa:
a)?proporre la domanda di concordato minore di cui all’art. 74;
b)?chiedere la liquidazione controllata dei beni ai sensi dell’art. 68;
c)?proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 25-sexies;
d)?per la sola impresa agricola, domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 57 (accordo “normale”), 60 (accordo agevolato) e 61 (accordo ad efficacia estesa) ([9]).
Alla luce della complessiva disciplina sopra riepilogata, pertanto, anche le imprese assoggettabili alla disciplina del sovraindebitamento, nel caso di accesso alla composizione negoziata, beneficiano dei vantaggi e delle misure premiali previsti dalla disciplina di questo percorso.
Quanto ai vantaggi propri di questo istituto, questi essenzialmente si concretano: nella messa a disposizione dell'impresa risanabile di un percorso accessibile e poco costoso, stragiudiziale e riservato, per consentirle di verificare la propria situazione patrimoniale e finanziaria (test pratico di perseguibiltà del risanamento e incontro con l'esperto indipendente prodromico alla negoziazione); nella possibilità di aprire le trattative con i creditori con l'ausilio dell'esperto; di cercare soluzioni negoziate della crisi; nell'esclusione degli effetti normalmente collegati alle procedure concorsuali (non si apre il concorso dei creditori; non si determina alcun spossessamento del debitore, che conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa e può eseguire pagamenti, fatti salvi gli obblighi informativi nei confronti dell'esperto e il dissenso di questo rispetto agli atti pregiudizievoli per i creditori, per le trattative e per le prospettive di risanamento: art. 21, commi da 3 a 5); nella possibilità di beneficiare anticipatamente di misure protettive e cautelari con l'intervento del tribunale (art. 18); nella possibilità di contrarre finanziamenti prededucibili e di trasferire l'azienda o uno più suoi rami in deroga all'art. 2560 cod. civ. (art. 22).
In ordine alle misure premiali vengono in rilievo, ad esempio le norme che sospendono gli obblighi di ricapitalizzazione e le cause di scioglimento previste in caso di riduzione o perdita del capitale sociale (art. 20, anche se per gli imprenditori sovraindebitati la loro applicazione sarà presumibilmente ridotta, dato che la struttura societaria capitalistica non è particolarmente diffusa in questa tipologia di soggetti); evitano l’attestazione del professionista in caso di accordo sottoscritto anche dall’esperto ex art. 23, 1° comma, lett. c) (profilo di rilievo anche per gli imprenditori agricoli e le start up innovative sopra soglia); riducono la percentuale di ammissibilità degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 23, 2° comma, lett. b: beneficio che rileva anche per gli imprenditori agricoli sopra soglia).
Hanno parimenti funzione incentivante le disposizioni dell’art. 24, intitolato alla “Conservazione degli effetti” degli atti compiuti durante la composizione negoziata (i cui commi 3° e 4° sono applicabili anche alle imprese "sotto soglia" in virtù del richiamo operato dall' art. 25-quater, 5° comma).
In particolare, il 1° comma assicura, per le imprese sopra soglia, la conservazione degli effetti degli atti autorizzati dal tribunale ex art. 22 nel caso in cui successivamente intervengano un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato preventivo omologato, un piano di ristrutturazione proposto ai sensi dell’art. 64-bis omologato, l’apertura della liquidazione giudiziale, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 25-sexies omologato.
Per le imprese sotto soglia il 6° comma dell'art. 25- quater contiene, invece, una specifica previsione sul mantenimento degli effetti degli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell’art. 22, in quanto è stabilito che questi conservano i propri effetti se successivamente intervengono un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato minore omologato, l’apertura della liquidazione controllata o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 25-sexies omologato. La norma ha tuttavia trascurato di considerare che al novero delle imprese sopra soglia devono ascriversi anche le imprese agricole e le start up innovative che superano i requisiti dimensionali di cui all'art. 2, 1° comma, lett. d) (v. supra, 2.1), ma la lacuna può essere colmata sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata che estenda l'applicazione della regola della stabilità degli atti anche ai casi di concordato minore omologato e di liquidazione controllata.
Il 2° comma esonera dall’azione revocatoria ex art. 166, 2° comma gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere dall’imprenditore nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico dell’esperto, purché coerenti con l’andamento e lo stato le trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono compiuti (la norma, peraltro, non è applicabile agli imprenditori "sovraindebitati", per i quali non opera comunque la revocatoria concorsuale)
Il successivo 3° comma (applicabile anche alle imprese sotto soglia in virtù del rinvio operato dall' art. 25-quater, 5° comma) dispone tuttavia che gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti effettuati nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto sono in ogni caso soggetti alle azioni di cui agli artt. 165 e 166 (dunque anche alla revocatoria ordinaria, operante altresì per gli imprenditori "sovraindebitati") se, in relazione ad essi, l’esperto ha iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 21, 4° comma, o se il tribunale ha rigettato la richiesta di autorizzazione presentata ai sensi dell’art. 22.
Il 4° comma (applicabile anche alle imprese sotto soglia in virtù del rinvio operato dall' art. 25-quater, 5° comma) chiarisce che, nelle ipotesi disciplinate dai precedenti commi, resta ferma la responsabilità dell’imprenditore per gli atti compiuti. Questa disposizione è coerente con la permanenza dei poteri di gestione in capo all’imprenditore prevista dall’art. 21 e costituisce applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2086 cod. civ.
Infine, il 5° comma (la norma, peraltro, non rileva per gli imprenditori "sovraindebitati", per i quali non opera la relativa responsabilità penale) esenta l’imprenditore dai reati di cui agli artt. 322, 3° comma e 323 per i pagamenti e le operazioni compiuti nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico dell’esperto, purché coerenti con l’andamento delle trattative e con la prospettiva di risanamento dell’impresa valutata dall’esperto ai sensi dell’art. 17, 5° comma.
Condizione di non applicabilità delle disposizioni penali appena citate è, peraltro, l’assenza delle iscrizioni ex art. 21, 4° comma, primo e secondo periodo del dissenso dell’esperto sugli atti di gestione compiuti in pendenza delle trattative.
Le disposizioni penali in questione non si applicano, inoltre, ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale ex art. 22.
Agli incentivi dianzi elencati si affianca poi, nella stessa prospettiva di incentivazione dell’utilizzo dello strumento, l’art. 25-bis, che prevede misure di favore di natura fiscale (“Misure premiali”) rispetto alle soluzioni negoziali scaturite dalle trattative (norma applicabile anche alle imprese "sotto soglia" in virtù del richiamo operato dall'art. 25-quater, 5° comma.
Al pari delle imprese sopra soglia, anche quelle sotto soglia hanno la possibilità di accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (artt. 25- sexies, sulla procedura in senso stretto, e 25- septies, sull'esecuzione del concordato omologato) ([10]), in virtù del richiamo operato dall' art. 25-quater, 5° comma.
A tale riguardo ricordiamo che l'art. 25-sexies, 1° comma, stabilisce che per accedere a questa procedura è necessario che, nella sua relazione finale ex art. 17, 8° comma, l'esperto abbia dichiarato che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che non sono praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell'art. 23, 1° e 2° comma, lett. b: per un difetto di coordinamento la norma non richiama le soluzioni previste dall'art. 25-quater per le imprese sotto soglia, ma il vuoto è colmabile per via interpretativa.
Il concordato in questione è un procedimento "semplificato" sotto molteplici profili.
E' omessa, innanzi tutto, la fase di ammissione alla procedura, essendo la domanda dell'imprenditore diretta immediatamente all'omologazione del concordato.
Il procedimento non prevede la nomina di un commissario giudiziale (l'art. 25- sexies, 3° comma, stabilisce che il tribunale nomina un ausiliario ex art. 68 c.p.c. chiamato a rendere un parere a supporto delle valutazioni del giudice in sede di omologazione).
E' omessa altresì la fase del voto ai creditori, i quali possono soltanto proporre opposizione all'omologazione del concordato (4° comma) ([11])
Aspetti di semplificazione riguardano poi le modalità e il contenuto del sindacato che il tribunale deve effettuare ai fini dell'omologa (5° comma), la quale è pronunciata con decreto motivato e non con sentenza, come invece nel concordato minore (art. 80) e nel concordato preventivo (art. 113). Nello specifico, il 5° comma dispone che il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale([12]) e comunque assicura un’utilità a ciascun creditore.
La semplificazione riguarda, infine, anche la fase di liquidazione del patrimonio, strutturata in modo deformalizzato e meno procedimentalizzato di quello previsto per il concordato preventivo (art. 25- septies).
Il 1° comma dell’articolo 56 stabilisce, con riguardo al presupposto soggettivo, che il piano attestato di risanamento ([13]) può essere presentato dall’“imprenditore”, senza ulteriori specificazioni.
A tale riguardo merita essere ricordato che, nella prima bozza del Codice, si precisava che la norma era applicabile anche all'imprenditore "non commerciale", ma il riferimento è stato espunto a seguito dei rilievi del Consiglio di Stato, poiché a fronte dell'ambito di applicabilità del codice espressamente esteso a qualunque imprenditore che eserciti "attività commerciale, artigiana o agricola (art. 1), la specificazione "non commerciale" poteva essere foriera di interpretazioni restrittive dell'utilizzo del solo lemma "imprenditore" dove non connotata dall' indicata specificazione ([14]).
La relazione illustrativa del Codice – alla cui tesi aderisce una parte della dottrina – precisa che la legittimazione è attribuita all’imprenditore “solo se commerciale” ([15]), e ciò sul rilievo che “poiché il beneficio arrecato dal piano è l’esenzione dall’azione revocatoria (...), si tratta di istituto riservato ai soli imprenditori assoggettabili alla liquidazione giudiziale” ([16]).
Una diversa lettura della norma, fondata sulla comparazione col disposto degli artt. 57 (il quale, per gli accordi di ristrutturazione, specifica che sono accessibili all' "imprenditore, anche non commerciale, diverso dall'imprenditore minore": sul punto comunque torneremo infra, 4.1) e 84 (che identifica il presupposto soggettivo del concordato preventivo nella qualità di ""imprenditore di cui all'art. 121", cioè di imprenditore assoggettabile alla liquidazione giudiziale) estende invece la legittimazione anche all’imprenditore agricolo, a quello minore e alle start up innovative, sottratti, come sappiamo, alla liquidazione giudiziale e assoggettabili alla liquidazione controllata prevista nella disciplina del sovraindebitamento. Viene infatti osservato che anche questi imprenditori possono avere interesse al piano, atteso che l’art. 166, 3° comma, lett. d) precisa che l’esenzione vale non solo per la revocatoria concorsuale, ma altresì per la revocatoria ordinaria, quest’ultima esperibile anche nella procedura di sovraindebitamento, con attribuzione al liquidatore della legittimazione al suo esercizio (cfr. art. 274, 2° comma): questa conclusione postula, ovviamente, l'applicabilità dell'esenzione, non espressamente prevista dalla norma, anche alla liquidazione controllata, e ciò sulla base di un'interpretazione sistematica unitaria.
La tesi estensiva, che ci appare condivisibile, sembra tuttavia contraddetta dalla disciplina della composizione negoziata, dove, per le imprese sotto soglia, non è prevista (a differenza di quanto avviene per le imprese sopra soglia: v. art. 23, 2° comma, lett. a), tra i possibili sbocchi del percorso, la possibilità di predisporre il piano attestato di risanamento di cui all’art. 56 (v. art. 25-quater: supra, 2.3). Ciò che, peraltro, rovesciando l’argomento, non può invece dirsi – attesa la distinzione dimensionale introdotta, nell’ambito dell’impresa agricola, ai fini dell’accesso alla composizione negoziata (v. art. 25-quater, 1° comma: supra, 2.1) – per l’imprenditore agricolo sopra soglia, espressamente legittimato ai sensi dell’art. 23, 2° comma, lett. a) cit. alla predisposizione del piano (supra, 2.3).
In realtà l'estensione applicativa dell'istituto anche agli imprenditori non commerciali e minori è destinata, a tornare in campo ove si considerino le finalità dello strumento, rese esplicite sempre dal 1° comma cit., dove, nell’ultima parte della disposizione, è stabilito che il piano deve apparire “idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione economico – finanziaria”(da questa formulazione si è infatti ricavata la conclusione che il piano è necessariamente riservato alle sole ipotesi di continuità aziendale e non è invece utilizzabile a fini meramente liquidatori). In questa prospettiva, infatti, l'interpretazione estensiva appare più conforme alla stessa ratio del Codice della crisi, che è appunto quella di incentivare il risanamento delle imprese con ricollocazione sul mercato dell'impresa in continuità ([17]).
Ove si riconosca l'applicabilità del piano attestato di risanamento anche alle imprese non commerciali e minori, dovranno necessariamente trarsi alcune importanti conseguenze applicative.
Occorrerà, in primo luogo, un necessario adattamento contenutistico del piano alle ridotte dimensioni e/o alla natura non commerciale dell'impresa.
L''attestazione che deve obbligatoriamente accompagnare il piano di risanamento sarà rilasciata da un professionista indipendente (designato dal debitore ed avente i requisiti richiesti dall'art. 2, 1° comma, lett. o) e non dall'OCC.
Inoltre, gli effetti che si riconnettono allo strumento interesserebbero solo parzialmente le imprese "sovraindebitate".
Invero, l’effetto certamente più rilevante che si riconnette al piano attestato di risanamento riguarda – sul piano civilistico – l’ipotesi di insuccesso del piano e di successiva apertura della liquidazione giudiziale, dove l’art. 166, 3° comma, lett. d) prevede – a determinate condizioni – l’esonero dall’azione revocatoria concorsuale e da quella ordinaria degli atti, pagamenti effettuati e garanzie concesse su beni del debitore in esecuzione del piano attestato (il che, ovviamente, presuppone che dette operazioni siano state specificamente indicate nel piano stesso). La norma, peraltro, risulterebbe applicabile agli imprenditori "sovraindebitati" solo limitatamente all'esenzione dall'azione revocatoria ordinaria, non operando per essi la revocatoria concorsuale.
Un altro effetto assai importante attiene ai profili penalistici ed è stabilito dall’art. 324, che, riproducendo le analoghe disposizioni della legge fallimentare ricordate supra 1, esclude l’applicazione degli artt. 322, 3° comma, relativo alla bancarotta preferenziale, e 323, relativo alla bancarotta semplice, “ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione” “degli accordi in esecuzione del piano attestato”. Effetto, questo, destinato a rimanere estraneo all'area del sovraindebitamento, dove non viene in considerazione la responsabilità penale in questione.
Resta infine il rilievo più generale che i benefici arrecati dal piano di risanamento a qualsiasi tipologia di impresa sono comunque ridotti rispetto agli altri strumenti di regolazione apprestati dal Codice.
A questo proposito si consideri, ad esempio, che i crediti professionali sorti per prestazioni rese in funzione del piano attestato ovvero quelli derivanti da finanziamenti eventualmente concessi in funzione o in esecuzione del medesimo non sono prededucibili nell’ambito di successive procedure esecutive o concorsuali.
Inoltre, la disciplina dello strumento non prevede alcuna protezione interinale (misure cautelari e protettive ex artt. 54 e 55).
Ancora, a differenza di quanto previsto per il concordato preventivo dall'art. 89 e per gli accordi di ristrutturazione dei debiti dall'art. 64, 1° comma, non vi è alcuna sospensione delle norme societarie relative agli obblighi degli amministratori in presenza di perdite o riduzione del capitale sociale.
4. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e la loro applicabilità anche all'imprenditore "non commerciale e diverso dall'imprenditore minore"
4.1. Il presupposto soggettivo degli accordi di ristrutturazione dei debiti
Il 1° comma dell’articolo 57 stabilisce, con riguardo al presupposto soggettivo, che gli accordi di ristrutturazione dei debiti ([18]) possono essere conclusi dall’“imprenditore, anche non commerciale e diverso dall’imprenditore minore”.
Ne deriva che – a differenza del concordato preventivo – l'istituto può certamente essere utilizzato anche dall’imprenditore agricolo ([19]).
Va soggiunto però che, stando alla lettera della disposizione in esame, il medesimo imprenditore agricolo, se minore, non potrebbe invece accedere allo strumento. Soluzione, questa, che tuttavia confligge con l’espresso riconoscimento della relativa possibilità all’esito della composizione negoziata della crisi ex art. 25-quater, 4° comma, lett. d) (v. supra, 2.3). L’aporia, dovuta probabilmente ad un difetto di coordinamento nel passaggio dalla versione di quest’ultima norma dal d. l. n. 155 del 2021 a quella codicistica, appare superabile solo interpretando la disposizione della lett. d) in chiave di misura premiale, riservata al solo imprenditore agricolo sotto soglia che abbia seguito il percorso della composizione negoziata; oppure, in alternativa, riferendo la limitazione stabilita dall’art. 57, 1° comma al solo imprenditore commerciale minore e non anche all’imprenditore agricolo "sotto soglia" (posto che, come sottolinea la relazione illustrativa del Decreto Insolvency a proposito dell'utilizzo del lemma "imprese sotto soglia" nella disciplina della composizione negoziata, “le imprese minori definite dal Codice sono solo le imprese commerciali di dimensioni ridotte”)
In entrambi i casi, comunque, rimangono difficilmente spiegabili, anche in relazione all’art. 3 Cost., le ragioni del diseguale trattamento riservato alle due categorie di imprenditori - agricoli e commerciali - minori.
Si reputa, inoltre, ammissibile il ricorso all'istituto per le start up innovative non minori ([20]).
4.2. I vantaggi dell'applicazione dell'istituto all'imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore
Certamente l'utilizzo degli accordi di ristrutturazione (anche) da parte dell'imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore presenta dei vantaggi.
In ordine alle finalità dello strumento, ad esempio, con gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a differenza di quanto abbiamo appena visto a proposito dei piani attestati di risanamento (necessariamente riservati alle ipotesi di continuità aziendale e non utilizzabili, invece, a fini meramente liquidatori: supra, 3.1), l’imprenditore può perseguire tanto l’obiettivo del recupero delle normali condizioni di funzionamento dell’impresa, con continuazione dell’attività (c.d. accordi in continuità aziendale o di salvataggio), quanto quello della sua liquidazione, fermo restando che lo strumento ha, in ogni caso, funzione satisfattiva dei creditori.
Gli accordi, inoltre, hanno una duttilità estrema dal punto di vista del loro possibile contenuto, modulabile in funzione delle specificità che caratterizzano ciascuna crisi da regolare.
Nella stessa prospettiva occorre inoltre sottolineare che la natura propria degli accordi di ristrutturazione dei debiti (intesa stragiudiziale con i creditori aderenti, poi portata all’omologa) comporta che i medesimi possono essere raggiunti, anche per quanto riguarda i creditori aventi la stessa posizione giuridica ed interessi economici omogenei, a divergenti condizioni, senza necessità di rispettare la regola della par condicio creditorum e di procedere ad una formale suddivisione in classi.
Lo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti può essere intersecato anche dall’eventuale procedimento per la concessione delle misure cautelari e protettive.
In questa sede basti rammentare, con specifico riguardo agli accordi di ristrutturazione, che l’art. 54, 3° comma (come modificato dal decreto correttivo del 2020 e ritoccato dal decreto Insolvency) prevede che le misure protettive possono essere richieste dall’imprenditore non solo in itinere del procedimento di omologazione, ma anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione ([21]).
Attengono specificamente al tema delle misure protettive riguardanti gli accordi di ristrutturazione dei debiti anche le disposizioni dell’art. 64, 3° e 4° comma, introdotte dal decreto Insolvency per uniformare, adattandola alle sue peculiarità, la disciplina dello strumento a quella che lo stesso decreto ha previsto nell’art. 94-bis per il concordato preventivo con continuità aziendale.
In particolare, il 3° comma cit. stabilisce (sancendo altresì l’inefficacia di eventuali patti contrari) che, in caso di domanda proposta ai sensi dell’art. 54, 3° comma dianzi menzionato o di domanda di concessione delle misure protettive in funzione della omologazione degli accordi di ristrutturazione, i creditori non possono unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del deposito delle medesime domande.
Il 4° comma dispone inoltre che i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti essenziali (per tali dovendosi intendere i contratti necessari per la continuazione della gestione corrente dell’impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisce la prosecuzione dell’attività del debitore) in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto di non essere stati pagati dal debitore.
Viene anche in rilievo la previsione del c.d. cram down fiscale e contributivo di cui all’art. 63, comma 2-bis (dove il decreto Insolvency ha trasposto la disposizione, in quella sede comune anche al concordato preventivo, originariamente contenuta nell’art. 48, 5° comma), in base alla quale il tribunale omologa gli accordi anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57, 1° comma per gli accordi di ristrutturazione “comuni” (sessanta per cento dei creditori: v. infra) e 60, 1° comma per gli accordi di ristrutturazione agevolati (trenta per cento dei creditori: v. infra), quando, anche sulla base della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione o degli enti gestori predetti è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Quanto agli effetti (più precisamente, gli effetti che scaturiscono dall’omologazione degli accordi) vengono in rilievo l’esenzione dalla revocatoria concorsuale - profilo questo che tuttavia non interessa l'imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore, al quale l'istituto è estraneo - e ordinaria (art. 166, 3° comma, lett. e) e l’esenzione da responsabilità penale (art. 324, che peraltro riguarda il solo imprenditore commerciale non minore).
Effetti che interessano la figura, e possono riguardare anche l'imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore, sono poi previsti negli artt. 6, comma 1, lett. b) (sulla prededucibilità dei crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi); 99 (sulla prededucibilità dei finanziamenti autorizzati prima della domanda di omologazione o erogati in funzione della domanda di omologazione); 101 (sulla prededucibilità dei finanziamenti concessi in esecuzione degli accordi omologati); 102 (sulla prededucibilità dei finanziamenti di cui agli artt. 99 e 101 erogati dai soci); 64 (sulla sospensione delle norme societarie relative agli obblighi degli amministratori in presenza di perdite o riduzione del capitale sociale).
Ulteriore effetto è che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l’art. 1239 cod. civ. (per il quale la remissione accordata dai creditori consenzienti al debitore principale libera anche i fideiussori) (art. 59, 1° comma), mentre in caso di concordato minore l’art. 79, 5° comma, stabilisce che i diritti dei creditori nei confronti dei fideiussori del debitore (oltre che dei coobbligati diversi dai soci illimitatamente responsabili e degli obbligati in via di regresso) restano impregiudicati (salvo che sia diversamente previsto, clausola questa che differenzia il concordato minore dal concordato preventivo, dove la regola della salvezza è inderogabile: art. 117, 1° comma).
I "vantaggi" schematicamente riepilogati nel paragrafo che precede sono peraltro fronteggiati dalle rigorose condizioni necessarie per l'omologazione degli accordi.
La prima condizione è che gli accordi – fuori dal caso di quelli agevolati ex art. 60 (v. infra) – devono essere conclusi con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti (art. 57, 1° comma, seconda parte) ([22]).
La seconda condizione (cfr. art. 57, 2° comma) è che gli accordi devono essere accompagnati da un piano economico-finanziario che ne consenta l’esecuzione. Il piano deve essere redatto secondo le modalità indicate nell’art. 56 (quelle cioè relative ai piani attestati di risanamento) ed assistito dall’attestazione di un professionista indipendente (designato dal debitore ed avente i requisiti richiesti dall’art. 2, 1° comma, lett. o), non dunque, nel caso di imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore, dalla relazione dell'OCC), in ordine alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano medesimo (cfr. art. 57, 4° comma, primo periodo, nella versione risultante dopo il decreto correttivo del 2020, dalla quale peraltro il successivo decreto Insolvency ha espunto la parola “economica” riferita alla fattibilità del piano, in coerenza con quanto previsto nell’art. 47, parimenti modificato, sull’apertura del concordato preventivo) ([23]).
La terza condizione (art. 57, 3° comma) – che si pone anche in stretta correlazione con il contenuto dell’attestazione, la quale deve infatti specificare quanto segue (cfr. 4° comma, secondo periodo) – è costituita dall’idoneità dell’accordo e del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei termini stabiliti dalla norma (vale a dire, entro centoventi giorni, decorrenti dall’omologazione, nel caso di crediti già scaduti a quella data, ovvero dalla scadenza, nel caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione).
Gli accordi, infatti, sono vincolanti solo per coloro che vi aderiscono (fatta salva l’ipotesi degli accordi ad efficacia estesa, su cui infra), mentre i creditori estranei debbono essere soddisfatti integralmente, senza che il loro dissenso possa essere neutralizzato dall’applicazione del principio di maggioranza (come invece si verifica nell’ambito concordatario). In altri termini, i creditori estranei non sono in alcun modo vincolati all’accordo ed alla sua omologazione e conservano il diritto di soddisfacimento integrale entro i termini di cui sopra, per la cui tutela potranno avvalersi senza limiti – fatto salvo il temporaneo effetto delle misure protettive, se ancora operante – degli strumenti che l’ordinamento ha apprestato a favore di qualunque creditore (azioni esecutive, azioni cautelari, istanze di liquidazione giudiziale, ecc.).
Anche l'imprenditore imprenditore non commerciale e diverso dall'imprenditore minore potrà accedere, oltre che agli accordi di ristrutturazione che potremmo definire “comuni”, o anche “generali” o “standard, dei quali abbiamo fin qui parlato, altresì alle due possibili varianti degli accordi di ristrutturazione agevolati: art. 60) ([24]) e degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61, applicabile a tutte le ipotesi di ristrutturazione dei debiti e, nell'ulteriore sotto variante, ai creditori finanziari) ([25]).
Inoltre l’art. 63 prevede che, nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione (siano essi accordi “comuni”, agevolati o ad efficacia estesa), il debitore può proporre il pagamento parziale o anche dilazionato dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti obbligatorie e dei relativi accessori ("Transazione su crediti tributari e contributivi"). Si tratta di uno strumento conformato quale regola obbligatoria volta a disciplinare – sempre e in via esclusiva – la sistemazione dei crediti tributari e contributivi nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, nonché le modalità procedimentali interne per consentire alle articolazioni degli uffici interessati indicate nel 2° comma di valutare ed esprimere l’eventuale adesione ai fini dell’omologazione.
Ricordiamo che il procedimento obbligatorio, nella versione del "Trattamento dei crediti tributari e contributivi" (art. 88) previsto per il concordato preventivo, non trova invece applicazione - secondo quanto ritenuto dai più - nel concordato minore (e così, limitando qui la nostra attenzione al solo imprenditore agricolo, quando a proporlo fosse questo soggetto) ([26]), dove la fattispecie è regolata in modo semplificato (v. artt. 75, 2° comma, sulla falcidiabilità in generale di tutti i crediti privilegiati, dunque anche dei crediti erariali, per il caso di incapienza totale o parziale dei beni; 76, 4° comma, sulla comunicazione da parte dell'OCC all'agente della riscossione e agli uffici fiscali; 80, 2° comma, sul cram down fiscale e previdenziale; più in generale si consideri la non previsione di una specifica attestazione con riguardo ai crediti fiscali e previdenziali nel concordato minore, a differenza di quanto avviene nel concordato preventivo ex art. 88).
Resta da dire che la legittimazione attiva dell'imprenditore non commerciale diverso dall'imprenditore minore rispetto allo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti ha delle ricadute anche sul piano processuale.
Così, ad esempio, nel caso di presentazione di domanda di accordo di ristrutturazione in bianco ex art. 44, la c.d. passerella, vale a dire la possibilità di proposizione prima della scadenza del termine assegnato ai sensi di questa disposizione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza diverso dalla domanda originariamente depositata, riguarderà soltanto il passaggio al concordato minore, rendendo peraltro necessario coordinare questa evenienza con l'obbligatoria formulazione della domanda "tramite un OCC " e con le altre disposizioni procedimentali che regolano quest'ultimo strumento (art. 76 e 77), il cui procedimento, tra l'altro, si svolge davanti "al tribunale in composizione monocratica" (art. 76, ultimo comma) e non più collegiale ([27]).
5. Un istituto di applicazione generale per l'impresa: la convenzione di moratoria
L’art. 62 ha generalizzato l’area di applicazione dello strumento della convenzione di moratoria ([28]), introdotto nel sistema della legge fallimentare, dall’art. 182-septies l. fall., estendendola, sul versante dei debitori, a tutti gli imprenditori (indipendentemente dalla natura, commerciale o agricola, e dalla dimensione, che può altresì essere quella dell’impresa minore, e dunque ricomprende anche tutti gli imprenditori assoggettabili alla disciplina del sovraindebitamento) e, su quello dei creditori, alla generalità di essi, anche se diversi da banche e intermediari finanziari, com'era in origine.
La disposizione regola infatti tutte le convenzioni di moratoria stipulate “tra un imprenditore, anche non commerciale ed i suoi creditori”.
Il 1° comma definisce – in termini più puntuali rispetto all’originaria formulazione dell’art. 182-septies l. fall. – la finalità e i contenuti della convenzione.
Si tratta, essenzializzando al massimo, di uno strumento “ponte” negoziale, diretto a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi per liberare risorse e perseguire con altri mezzi la sua regolazione.
Nello specifico, la convenzione si concreta in un accordo con i creditori aderenti che ha ad oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia ai crediti.
In tal modo viene consentito all’imprenditore di liberare risorse per lo sviluppo dei progetti imprenditoriali e ristabilire così il proprio equilibrio economico-finanziario.
La convenzione, rispettando determinate condizioni stabilite dal 2° comma ([29]), è efficace, in deroga agli artt. 1372 e 1411 cod. civ., anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria.
I successivi commi da 4 a 7 disciplinano il percorso lungo il quale si snoda lo strumento (il debitore deve comunicare la convenzione insieme alla relazione del professionista attestatore ai creditori non aderenti mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o presso il domicilio digitale), rispetto al quale l’intervento dell’autorità giudiziaria è del tutto eventuale (i creditori non aderenti, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono infatti proporre opposizione all’estensione degli effetti della convenzione di moratoria nei loro confronti davanti al tribunale competente (individuato sulla base dei criteri generali stabiliti dall’art. 27).
6. L'inapplicabilità del concordato di liquidazione
Fin qui abbiamo ragionato della possibilità - in vario grado - di regolare il sovraindebitamento d'impresa mediante percorsi (la composizione negoziata) o strumenti (il concordato semplificato; il piano attestato di risanamento; gli accordi di ristrutturazione dei debiti; la convenzione di moratoria) volti a prevenire, o comunque ad evitare, lo sbocco della crisi nella liquidazione controllata.
Prendendo adesso in considerazione quest'ultima procedura, rileva nello sviluppo della nostra indagine la questione se, nella disciplina della liquidazione controllata, che nulla stabilisce espressamente al riguardo, sia applicabile il subprocedimento del concordato di liquidazione previsto per la liquidazione giudiziale ([30]).
Al fine di rispondere al quesito - anticipiamo subito che la risposta, per le ragioni che si andranno ad esporre, sarà negativa - è necessaria una premessa di vertice.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare ([31]), a differenza di quanto stabilito per il concordato minore, (v. art. 74, 4° comma, il quale, “per quanto non previsto”, rinvia alle disposizioni sul concordato preventivo, in quanto compatibili), nel caso della liquidazione controllata il legislatore codicistico ha scelto di operare puntuali rinvii a singole disposizioni dettate per la procedura maggiore e non invece di introdurre una norma di chiusura contenente un rinvio in blocco, pur nei limiti della compatibilità e ove non diversamente disposto dalla disciplina speciale, alle norme della liquidazione giudiziale.
Questa scelta lascia aperto il problema di come colmare interpretativamente le lacune e le criticità che ancora affliggono la disciplina di questa procedura, relativamente alla quale è condivisibile la proposta di applicare comunque, anche se non richiamate, le norme che appartengono al c.d. diritto oggettivamente concorsuale, in quanto espressione di regole tipiche della concorsualità (intesa in senso tradizionale) ([32]).
Per quanto riguarda lo specifico tema di cui ci stiamo occupando, l’art. 276, 1° comma, secondo periodo, opera un rinvio alla disciplina della procedura maggiore ai fini dell’individuazione dei casi di chiusura della liquidazione controllata, stabilendo che “si applica l’articolo 233 in quanto compatibile”.
Quest’ultima norma, a propria volta, statuisce, tra l’altro, che “salvo quanto disposto per il caso di concordato, la procedura di liquidazione giudiziale si chiude” nelle diverse ipotesi ivi previste.
Alla luce dell’espresso rinvio al solo art. 233 (e non anche agli artt. 240ss., dove è disciplinato il concordato nella liquidazione giudiziale) è pertanto da ritenersi che il legislatore abbia inteso escludere proprio la possibilità di cessazione della procedura per cause diverse da quelle della chiusura contemplate dal predetto art. 233, ossia – fondamentalmente - a mezzo di concordato.
D’altro canto, la “salvezza” di “quanto disposto per il caso concordato” prevista nell’incipit del secondo periodo del 1° comma dell’art. 233 costituisce un aggancio normativo troppo labile per ammettere l’importazione dell’istituto nel sistema della liquidazione controllata, tanto più che la sua disciplina nella liquidazione giudiziale richiederebbe una delicata opera di adattamento alla struttura semplificata della prima.
Né può dirsi che il concordato di liquidazione rientri nel novero degli istituti “oggettivamente concorsuali”, applicabili alla liquidazione controllata indipendentemente da un esplicito richiamo.
In conclusione, si deve prendere atto che, così come in precedenza la l. n. 3 del 2012, anche il Codice non ha ritenuto di prevedere quale ulteriore forma di cessazione della procedura il concordato di liquidazione, dovendosi comunque rilevare – come è stato bene sottolineato da attenta dottrina ([33]) – che si tratta “di una ingiustificata diversità di disciplina rispetto alla liquidazione giudiziale, specialmente ove si consideri” ”la possibilità che ad essere ammesse alla nostra procedura siano imprese (agricole) medio-grandi”.
7. I rapporti tra la disciplina dell'insolvenza di gruppo e le procedure di sovraindebitamento delle imprese
7.1. Un recente arresto giurisprudenziale
Il Codice della crisi non detta alcuna regola diretta a disciplinare i rapporti tra il sistema dell’insolvenza di gruppo ([34]) e le procedure di sovraindebitamento delle imprese ([35]).
Una recente decisione di merito ([36]), occupandosi di una questione relativa all’estensione della procedura di liquidazione giudiziale di gruppo, già aperta, ad altre imprese del gruppo su istanza del curatore ex art. 287, 5° comma, ha affrontato questo tema, fino ad oggi inedito nel panorama dottrinale e giurisprudenziale.
Nello specifico ha stabilito che la liquidazione giudiziale di gruppo può essere estesa, nelle forme previste dai commi da 1 a 4 dell’art. 287, anche alle imprese ordinariamente soggette alla liquidazione controllata e non alla liquidazione giudiziale. Muovendo da questa prospettiva ha pertanto ritenuto che, in caso di gruppo, per le imprese assoggettabili alla disciplina del sovraindebitamento non si fa luogo alla liquidazione controllata, ma alla liquidazione giudiziale di gruppo, che ha carattere assorbente.
Gli argomenti sui quali la decisione in oggetto ha fondato la sua interpretazione, essenzializzando al massimo, sono i seguenti:
7.2. Le critiche della dottrina
Questa decisione è stata oggetto di forti critiche da parte della dottrina ([37]), che ha parlato al riguardo di “giurisprudenza creativa”, volta ad ovviare ad una presunta lacuna del Codice in parte qua.
Si è in particolare osservato, per un verso, come l’allineamento della disciplina della crisi e dell’insolvenza di gruppo contenuta nel Codice della crisi a quella propria dell’amministrazione straordinaria sulla base dell’art. 84 d.lgs. n. 270 del 1999 è concettualmente sbagliata; per l’altro verso, che la scelta del legislatore codicistico di limitare, nella disciplina del sovraindebitamento, la regolamentazione unitaria ai soli casi previsti dall'art. 66 è consapevole e voluta.
In particolare, quanto al primo profilo, nel sistema dell’amministrazione straordinaria ([38]) i requisiti dimensionali e di esposizione debitoria per l’ammissione alla procedura devono sussistere soltanto per l’apertura della procedura madre, mentre le altre imprese ex art. 81 d.lgs. cit. vi sono sottoposte per il solo fatto del rapporto di gruppo e alla sola condizione dell’esistenza di uno stato di insolvenza, anche soltanto quando “risulti comunque opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo, in quanto idonea ad agevolare, per i collegamenti di natura economica o produttiva esistenti tra le singole imprese, il raggiungimento degli obiettivi della procedura” (cfr. 2° comma).
Viceversa, nel sistema del Codice, la regolamentazione offerta alla crisi dei gruppi è diversa ([39]).
Anch'essa prevede l’ipotesi della regolazione della crisi o insolvenza e della procedura di liquidazione unitaria di gruppo, ma accanto a questa – che nella visione del Codice ha peraltro una rilevanza limitata - contempla quella delle procedure autonome contestuali di imprese appartenenti al gruppo (art. 288) e quella degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e le procedure di insolvenza riguardanti imprese distinte appartenenti al gruppo (art. 289).
In particolare, con riguardo alla prima ipotesi, riguardante le procedure unitarie, la relativa disciplina è articolata partitamente con riguardo ai differenti strumenti e procedure utilizzabili: art. 284, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione e piani attestati ([40]); art. 287, liquidazione giudiziale ([41]).
L’ipotesi delle procedure autonome contestuali di imprese appartenenti al gruppo è invece disciplinata dall'' art. 288, che ha riguardo al caso in cui più imprese appartenenti al medesimo gruppo siano contestualmente assoggettate a separate ed autonome procedure di liquidazione giudiziale ovvero a separate ed autonome procedure di concordato preventivo, trattate davanti allo stesso tribunale o pendenti dinanzi a tribunali diversi.
A questo riguardo la norma, uniformandosi al modello del Regolamento europeo 2015/848 sull’insolvenza transfrontaliera, stabilisce la regola della cooperazione (ad esempio, attraverso lo scambio di informazioni, accordi di divisione di compiti, attività di coordinamento ecc.) tra gli organi di gestione delle diverse procedure, per facilitare la gestione efficace delle medesime (espressione, quest’ultima, che sembra doversi intendere nel senso di assicurare la maggiore efficienza della gestione delle diverse procedure, in termini di riduzione dei costi e dei tempi e di massimizzazione del valore del patrimonio del gruppo complessivamente inteso).
L’art. 289 regola, infine, l’ultima ipotesi, quella in cui l’impresa appartenente ad un medesimo gruppo presenti un’autonoma domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza.
Tutto questo per dire, in conclusione, che se certamente il fine della disciplina di gruppo in generale è la gestione unitaria, esso può venire raggiunto con soluzioni tecniche, più o meno ampie, che non necessariamente coincidono con quella dell’estensione automatica della procedura madre alle imprese del gruppo prescelta dal legislatore dell’amministrazione straordinaria..
Venendo al profilo dell’assenza nel Codice di una regolamentazione dei rapporti tra la disciplina dell’insolvenza di gruppo e le procedure di sovraindebitamento delle imprese, non si tratta di una lacuna da colmare per via ermeneutica, ma di una scelta voluta e consapevole del legislatore codicistico, il quale non ha previsto la liquidazione controllata di gruppo o l'estensione della liquidazione giudiziale alle imprese altrimenti soggette alla liquidazione controllata anche in considerazione delle rilevanti differenze che esistono tra le due procedure ([42]).
8. Conclusioni
Pervenuti a questo grado di ricognizione possiamo trarre alcune conclusioni sul tema affrontato nel presente contributo.
Certamente l'imprenditore sovraindebitato, in luogo delle due procedure canoniche del concordato minore e della liquidazione controllata, può accedere - in vario grado - ad altri modelli regolatori della crisi previsti dal Codice.
Viene in rilievo, innanzi tutto, il percorso della composizione negoziata (supra, 2), dove il profilo dimensionale dell'impresa (imprese sopra soglia, nel cui novero rientrano anche quelle non minori agricole e start up innovative, e imprese sotto soglia: supra, 2.1), ferma restando la condizione della ragionevole perseguibilità del suo risanamento, rileva soltanto ai fini dell'assoggettabilità alla procedura ordinaria oppure a quella semplificata (supra, 2.2), con i - possibili - conseguenti rispettivi esiti (supra, 2.3). Ne derivano i vantaggi e le misure premiali collegati al un corretto utilizzo di questo istituto (supra, 2.4), primo fra tutti, nel caso di insuccesso delle trattative, l'eventualità dello sbocco nel concordato semplificato di liquidazione (supra, 2.4.1).
Un'amplissima latitudine applicativa, aperta anche a qualsiasi imprenditore sovraindebitato, ha altresì lo strumento-ponte della convenzione di moratoria (supra, 5).
Non pacifica, ma a nostro avviso possibile, l'applicazione anche nell'area del sovraindebitamento d'impresa del piano attestato di risanamento, l'accesso al quale l'art. 56 consente genericamente all' "imprenditore", senza altra specificazione, che si trovi in stato di crisi o di insolvenza (supra, 3).
Quanto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (nella versione sia ordinaria, che agevolata, che ad efficacia estesa), si tratta di uno strumento utilizzabile anche dall'imprenditore agricolo (riteniamo: pure se sotto soglia, essendo i dubbi derivanti dalla formulazione dell'art. 57, che ne esclude l'applicazione all'imprenditore minore, superabili per via ermeneutica) e dalle start up innovative (supra, 4).
Nella procedura di liquidazione controllata aperta nei confronti dell''imprenditore sovraindebitato non potrà trovare applicazione l'istituto del concordato di liquidazione (supra, 6).
Un ambito di indagine controverso è, infine, quello - solo di recente esplorato dalla giurisprudenza di merito e, in termini antagonisti, dalla dottrina - che riguarda i rapporti tra la disciplina dell'insolvenza di gruppo e le procedure di sovraindebitamento (supra, 6).
[1] I due percorsi classici, pertanto, non saranno qui oggetto di analisi (si vis, per una sintetica, ma completa, illustrazione dei loro lineamenti fondamentali e gli ulteriori riferimenti, v., di recente, A. MAFFEI ALBERTI [a cura di], Commentario breve alle leggi su crisi di impresa ed insolvenza, 7^ ed., Milano, 2023: in particolare, per le disposizioni di carattere generale, sub artt. 65-66, p. 467ss.; per il concordato minore, sub artt. 74-83, p. 533ss.; per la liquidazione controllata, sub artt. 268-277, p. 2077ss.). Né lo saranno i profili che riguardano l'applicabilità ai due strumenti delle norme proprie delle procedure, diciamo così, "maggiori" che ne costituiscono il modello-base di riferimento (il concordato preventivo per il concordato minore e, rispettivamente, la liquidazione giudiziale per la liquidazione controllata) e alle quali il legislatore codicistico implicitamente o esplicitamente - sovente con la riserva della compatibilità - rimanda in vario grado. A tale riguardo basti solo ricordare il rinvio alle norme delle procedure maggiori nel caso delle disposizioni di carattere generale relative alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Capo II, Sezione I del Titolo III), alle quali si applicano, per quanto non specificamente previsto, le disposizioni del predetto Titolo (“Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”) “in quanto compatibili” (art. 65, 2° comma: in proposito v., per tutti, ancora A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., sub art. 65, V, p. 473ss.); in particolare, nel caso del concordato minore (Sezione III), sempre “per quanto non previsto” e fermo il limite della compatibilità, “si applicano le disposizioni del Capo III” sul concordato preventivo (art. 74, 4° comma: sul tema, inter alia, A. MANCINI, Transazione fiscale e classamento dei creditori erariali nel concordato minore, annotando Trib. Avellino, 18 gennaio 2023, in www.il caso.it, 18 aprile 2023, specie 2-5); e, nel caso della liquidazione controllata, la disciplina per la quale il legislatore, seguendo una tecnica diversa rispetto a quella del concordato minore, ha operato puntuali rinvii, spesse volte nei limiti della compatibilità, a singole norme della liquidazione giudiziale e/o del procedimento unitario (v. es. art. 270, 2° comma, lett. d e 5° comma; art. 272, 2° comma; 275, 2° e 6° comma): in ordine a questi aspetti, sui quali torneremo infra, 6, v., tra gli altri, A.NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, 5^ ed., Bologna, 2021, p. 631.
[2] Sono invece esclusi dalla nostra analisi il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, il concordato preventivo, la liquidazione giudiziale, e la liquidazione coatta amministrativa, posto che si tratta di strumenti pacificamente estranei alla regolazione del sovraindebitamento.
[3] Per un quadro essenziale della disciplina dell’istituto cfr., per tutti, S. PACCHI – S. AMBROSINI, Diritto della crisi e dell’insolvenza, 2^ ed., Bologna, 2022, p. 73ss.; 2022; G. D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2^ ed., Torino, 2022, p.29ss.; A. JORIO, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, p. 115ss.
[4] Si tratta dell’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti: 1. un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2. ricavi, in qualunque modo essi risultino per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3. un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
[5] La disciplina del d. l. n. 118 del 2021, conv. con modificazioni dalla l. n. 147 del 2021, successivamente integrata dal d.l. n. 152 del 2021, conv. con modificazioni dalla l. n. 233 del 2021, è stata incorporata, con marginali modifiche, nel Titolo II della Parte Prima del Codice della crisi (artt.12- 25 undecies) dal ricordato d.lgs. Insolvency n. 83 del 2022, di attuazione della Direttiva UE 2019/1023
[6] Sulla nozione attuale di impresa agricola e sulle novità del Codice della crisi in tema di imprenditore agricolo v. , per una ricognizione di sintesi, G. MINUTOLI, La multiforme nozione di impresa agricola alla prova del Codice della crisi, in Il fall., 2023, 934ss.
[7] Per un quadro completo dell'andamento dell'istituto della composizione negoziata per la crisi d'impresa aggiornato al 15 maggio 2023 si veda la terza edizione dell'Osservatorio semestrale nazionale realizzato da Unioncamere.
[8] Per un approfondito schema riepilogativo cfr. in proposito S. PACCHI, Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 17 gennaio 2023, 1 ss.
[9] Su questo possibile sbocco torneremo a breve, quando verrà preso in esame lo strumento degli accordi di ristrutturazione (infra, 4).
[10] Per un quadro dell’istituto v., inter alia, ancora S. PACCHI, op. cit., 29ss., dove ulteriori riferimenti.
[11] Una simile conformazione normativa riconduce il concordato semplificato al novero dei concordati "speciali" o "coattivi", cui appartengono i concordati previsti dalla disciplina della liquidazione coatta amministrativa (art. 214 l. fall.) e dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (art. 78 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270), nonché, sul versante della disciplina di regolazione del sovraindebitamento, il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore ex artt. 67 ss. del Codice, soggetti ad omologazione giudiziaria, ma per i quali non è contemplata una votazione dei creditori, controbilanciata dalla possibilità per gli stessi e gli altri interessati di proporre opposizione. In tutte queste fattispecie l’eliminazione di una fase deliberativa dei creditori ha l’obiettivo di neutralizzare la loro possibile mancata adesione alla proposta in funzione della realizzazione di un interesse pubblico sovraordinato.
Nel caso del concordato semplificato, avendo riguardo al d. l. n. 118 del 2021 cit., che ha introdotto questo strumento nel sistema, l’interesse pubblico poteva sicuramente essere individuato, utilizzando le espressioni dell’enunciato introduttivo del provvedimento, nell’esigenza di consentire alle imprese “di contenere e superare gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 ha prodotto e sta producendo sul tessuto socio-economico-nazionale” agevolando “l’accesso alle procedure alternative al fallimento esistenti”.
La scelta del consolidamento nel Codice di una procedura conformata nel modo sopra descritto anche una volta venuta meno la contingenza emergenziale che l’aveva dichiaratamente ispirata sembra attribuire alle esigenze di celerità e semplificazione esplicitamente perseguite dal legislatore, in linea con quanto prescritto dalla Direttiva Insolvency, il significato di valore in sé di rilevanza pubblicistica.
[12] In proposito è stato osservato che, per le imprese assoggettate alle procedure di sovraindebitamento, il riferimento comparatistico deve essere effettuato con riferimento alla liquidazione controllata, “il che renderà il paragone più favorevole al concordato semplificato, posto che alla liquidazione controllata restano estranee le utilità eventualmente ritraibili da azioni revocatorie giudiziali (recte concorsuali) e di responsabilità” (in questo senso NARDECCHIA, L’omologazione dei concordati, in Il fall., 2022, 1240s.). Ciò che è senz’altro vero per quanto riguarda le azioni revocatorie concorsuali, le quali - a differenza delle revocatorie ordinarie - non trovano cittadinanza nella liquidazione controllata (v. art. 274, 2° comma), ma appare discutibile con riguardo alle azioni di responsabilità. Infatti, nonostante il legislatore abbia omesso di precisare se il liquidatore della liquidazione giudiziale sia legittimato ad esperire l’azione sociale di responsabilità e l’azione dei creditori sociali (v. art. 274; sulla espressa previsione della legittimazione del curatore nella liquidazione giudiziale v. invece art. 255), è da condividere il rilievo secondo cui “quanto meno l’azione sociale di responsabilità contro i componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società, nonché quella nei confronti del socio di s.r.l. ex art. 2476, comma 8, c.c., per effetto dello spossessamento del patrimonio rientrino nella competenza dell’organo di gestione della procedura liquidatoria (…), trattandosi di azioni della massa finalizzate a ricostruire o incrementare l’attivo patrimoniale destinato ad incrementare l’attivo patrimoniale destinato al soddisfacimento dei creditori, le quali comunque sono agevolmente riconducibili nell’ambito dell’ampia formulazione dell’art. 274, comma 1, cod. crisi” (così P.P. FERRARO, La liquidazione controllata delle società indebitate”, in Riv. soc., 2022, 155ss.; in senso contrario si veda tuttavia G. COLOMBO, La liquidazione controllata dell’impresa minore ed azione di responsabilità: considerazioni intorno al silenzio del legislatore, in Il fall., 2023, 729ss., il quale, sulla scorta di articolate considerazioni incentrate sul carattere eccezionale, desumibile dalla norma di chiusura di cui alla lett. e) dell’art. 255, delle norme che attribuiscono al curatore la legittimazione ad esperire le azioni di responsabilità, ritiene che “nella liquidazione controllata, le azioni di responsabilità continuino a rimanere appannaggio di soci e creditori, senza possibilità per il liquidatore di esperirle motu proprio, in sostanziale distinzione rispetto alla liquidazione giudiziale” “fermo restando che le azioni esperite da soci e creditori [ove non instaurate uti singuli ex art. 2395 c.c. o 2476, comma 7, c.c.], in caso di vittorioso esperimento dovrebbero – in virtù degli ordinari principi – necessariamente comportare la condanna dell’amministratore [o del diverso soggetto passivamente legittimato] a risarcire il danno cagionato alla società […] e, dunque, in ultima analisi, alla massa”).
[13] Sull’istituto del piano attestato di risanamento, per tutti, v., anche per gli ulteriori riferimenti, A. MAFFEI ALBERTI, op.cit., sub art. 56, p. 365ss.
[14] Si noti peraltro che la formula “imprenditore, anche non commerciale” è stata invece mantenuta inalterata nell’art. 62, che riguarda il presupposto soggettivo della convenzione di moratoria (v. infra, 5).
[15] Questa ricostruzione potrebbe in apparenza essere avvalorata anche dall’argomento letterale ricavabile dal confronto con l’art. 62, menzionato nella nota che precede, dove l’estensione dell’istituto della convenzione di moratoria anche all’imprenditore non commerciale è, come abbiamo visto, espressamente sancita.
[16] Si tratta di un’ impostazione che riflette l’approccio già reperibile nella vigenza della legge fallimentare, dove la figura era regolamentata esclusivamente dagli artt. 67, 3° comma, lett. d) (con riguardo all'esenzione dalla "revocatoria", discutendosi poi se questo valeva esclusivamente per la revocatoria fallimentare, data la collocazione topografica della norma, o anche per la revocatoria ordinaria) e 236-bis (con riferimento all'esenzione da responsabilità penale), e dunque con riguardo ai suoi effetti, senza definirne la conformazione. Ricordiamo però che già in allora la possibilità di estendere l'applicazione del piano attestato anche all'imprenditore non commerciale e minore era comunque oggetto di discussione, riscontrandosi opinioni favorevoli ad un'applicazione estesa dell'istituto agli imprenditori non assoggettabili a dichiarazione di fallimento (in proposito cfr. ancora A. MAFFEI ALBERTI, op. cit., p. 369s.
[17] Resta comunque il rilievo che, come abbiamo già evidenziato, specie per le imprese di minori dimensioni queste condizioni potranno essere di difficile realizzabilità nell'operatività concreta.
[18] Sull’istituto, per tutti, cfr. VELLA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel nuovo palinsesto del CCI, in Riv. soc., 2022, 1185ss.; M.IRRERA-F.PASQUARIELLO-M.PERRINO, Lineamenti di diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2023, p. 152ss.
[19] Ricordiamo che già nel vigore della legge fallimentare, l'art. 23, comma 43, d. l. n. 98 del 2011, conv. con mod. nella l. n. 111 del 2011, gli imprenditori agricoli erano stato ammessi ad avvalersi dell'accordo di ristrutturazione dei debiti e della transazione fiscale, in considerazione della crisi pesante e prolungata di molti settori delle imprese agricole e delle conseguenti ripercussioni su tutto il sistema agroalimentare, tradotte in stagnazione dei prezzi, crescente incertezza nel collocamento dei prodotti agricoli, difficoltà ad individuare combinazioni produttive economicamente convenienti, aumento dell'indebitamento, incapacità a finanziare gli investimenti, alti costi produttivi, contributivi e burocratici.
[20] Per questa conclusione v., ad esempio, MAFFEI ALBERTI, op. cit., sub art. 57, p. 398
[21] A questi fini il debitore dovrà allegare la documentazione di cui all’art. 39, 1° comma e la proposta di accordo corredata da un’attestazione del professionista indipendente, secondo la definizione dell’art. 2, 1° comma, lett. o), il quale attesta (a pena di responsabilità civile e penale ex art. 342 in caso di falsità) che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare (disposizione, questa, che si applica anche agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa di cui infra). In tal caso, peraltro, il procedimento da seguire, diversamente dalla regola, è quello stesso prescritto per le misure cautelari (cfr. art. 55, 2° comma).
Si badi però che sono esclusi dalle misure protettive richieste ai sensi del 3° comma cit. i diritti di credito dei lavoratori (art. 54, 7° comma, che, come ricordavamo a suo luogo, è stato aggiunto dal decreto Insolvency, in parziale attuazione dell’art. 6, paragrafo 5 della Direttiva UE 2019/1023).
[22] Pacificamente questa soglia (minima) si riferisce non al numero dei creditori, ma all’ammontare dei crediti, il cui rango (chirografario o privilegiato) è del tutto indifferente ai fini del calcolo.
[23] La predetta attestazione (che comporta una responsabilità civile e penale ex art. 342 del professionista in caso di sua falsità) deve essere rinnovata se, prima dell’omologazione, intervengono modifiche sostanziali del piano (nel qual caso il debitore deve altresì chiedere il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parti degli accordi) ovvero modifiche sostanziali degli accordi (art. 58, 1° comma).
Questa previsione bene si spiega considerando che gli accordi, il piano e la relativa attestazione sono poggiati su un determinato contesto di fatto e di diritto, il quale può anche mutare per il verificarsi di situazioni sopravvenute (si pensi ad un esempio particolarmente attuale, quale l’imprevisto e significativo aumento del prezzo delle materie prime utilizzate dall’imprenditore nel ciclo produttivo; oppure, avendo riguardo a vicende interne all’impresa, all’ipotesi di un sequestro penale dell’azienda o di un suo ramo per fatti criminosi). Quando la mutata situazione incide sulla fattibilità economica e/o giuridica del piano – ne comporta cioè modifiche di carattere sostanziale, che sono quelle rilevanti ai fini dell’applicazione della norma – è naturale che il debitore debba procedere ad una rinnovazione del piano stesso e, di conseguenza, della relativa attestazione e debba altresì richiedere ai creditori parti degli accordi il rinnovo delle manifestazioni di consenso.
Per la diversa ipotesi che modifiche sostanziali del piano si rendano necessarie dopo l’intervenuta omologazione v. invece art. 58.
[24] Gli accordi di ristrutturazione agevolati sono definiti tali perché, rispetto a quelli comuni, possono essere stipulati con creditori che rappresentino almeno il trenta per cento dei crediti (la percentuale è dunque ridotta alla metà di quella prevista dall’art. 57, 1° comma), a condizione che il debitore:
a)?non “proponga” la moratoria del pagamento dei creditori estranei all’accordo (condizione da intendersi nel senso di una esplicita rinuncia alla moratoria, dato che, come abbiamo visto, la stessa non costituisce oggetto di una proposta del debitore, ma consegue automaticamente ex art. 57, 3° comma);
b)?non richieda e rinunci a richiedere misure protettive temporanee ex art. 54.
Sul piano della concreta operatività, l’ambito applicativo di questo strumento, che sembra concepito per dare una veste formale assistita dal crisma dell’omologazione ad accordi con una minoranza di creditori, appare alquanto limitato. Fuori dal caso di imprese che si trovano in una situazione di difficoltà economico – finanziaria soltanto lieve, ben difficilmente, infatti, un accordo con una percentuale così ridotta di creditori potrà risultare idoneo a soddisfare subito – si tenga conto che, come appena visto, negli accordi di ristrutturazione agevolati il debitore non beneficia della moratoria – e integralmente i restanti due terzi non aderenti.
[25] La caratteristica saliente di questa variante è costituita dalla possibilità per il debitore, ricorrendo le condizioni di cui si dirà, di estendere gli effetti dell’accordo di ristrutturazione anche a creditori non aderenti, in deroga – secondo quanto espressamente precisato dal 1° comma dell’art. 61 – al principio di relatività del contratto (art. 1372, 2° comma, cod. civ.) ed alle regole di cui all’art. 1411 cod. civ. sul contratto stipulato a favore di terzi.
Il debitore può ottenere dal tribunale l’estensione a non aderenti dell’efficacia degli accordi purché si tratti di creditori che appartengono alla medesima categoria (la formula “categoria”, utilizzata dal legislatore, tiene qui luogo di quella, sostanzialmente corrispondente, di “classe” di cui all’art. 2, 1° comma, lett. r) degli aderenti, “individuata tenuto conto dell’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici” (si ricordi inoltre che, ai sensi dell’art. 59, 2° comma, i creditori non aderenti ai quali sia stata estesa l’efficacia degli accordi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso: la norma ripete, stante il comune utilizzo della regola maggioritaria, quanto stabilito dall’art. 117, 1° comma per i creditori nel concordato preventivo).
Il 2° comma stabilisce le condizioni necessarie per la suddetta estensione, che deve essere richiesta – anche se l’art. 61 nulla stabilisce in proposito – dal debitore nella domanda di omologazione. Nello specifico:
a) l’accordo – il quale deve obbligatoriamente avere carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell’attività di impresa in via diretta o indiretta – deve avere raggiunto la soglia del settantacinque per cento (percentuale ridotta al sessanta per cento se risulta il raggiungimento dell’accordo in sede di composizione negoziata, secondo quanto relazionato dall’esperto: art.23, 2° comma, lett. b, su cui v. supra, 2.3 e 2.4) dei crediti dei creditori aderenti appartenenti alla medesima categoria, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più categorie;
b) tutti i creditori appartenenti alla categoria devono essere stati debitamente e compiutamente informati dell’avvio delle trattative e della situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché dell’accordo e dei suoi effetti ed essere stati messi in condizione di partecipare alle trattative in buona fede.
c) gli effetti dell’accordo possono essere estesi ai creditori della medesima categoria non aderenti soltanto ove essi risultino soddisfatti in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.
d) il debitore ha l’obbligo di notificare l’accordo, la domanda di omologazione ed i documenti allegati ai creditori a cui chiede di estendere gli effetti dell’accordo, i quali (cfr. 3° comma) possono proporre opposizione all’omologazione ex art. 48, 4° comma (il relativo termine decorre dalla data della notificazione).
Nel 5° comma è stata ribadita la persistenza della figura, introdotta nel sistema della legge fallimentare dall’art. 182-septies l. fall., degli accordi ad efficacia estesa nei confronti di banche ed intermediari finanziari, accordi che pertanto si configurano adesso come una variante specifica degli accordi ad efficacia estesa in genere.
Le condizioni di applicazione dello strumento sono sostanzialmente identiche a quanto già previsto dal citato art. 182-septies l. fall.:
a)?l’indebitamento verso banche e intermediari finanziari deve rappresentare almeno la metà dell’indebitamento complessivo;
b)?nell’ambito di tali tipologie di creditori l’accordo di ristrutturazione può individuare una o più categorie che abbiano una posizione giuridica ed interessi economici omogenei;
c)?in tal caso il debitore, con il ricorso per l’omologazione, può chiedere che gli effetti dell’accordo – il quale, a differenza di quanto visto per gli accordi ad efficacia estesa in genere, può avere anche carattere puramente liquidatorio e, dunque, porsi al di fuori delle ipotesi di continuità aziendale – vengano estesi anche ai creditori finanziari appartenenti alla medesima categoria;
d)?rimangono, naturalmente, fermi i diritti dei creditori diversi da banche e intermediari finanziari.
[26] Secondo alcune pronunce di merito (v. es. Trib. Avellino, 18 gennaio 2023, con nota di MANCINI, Transazione fiscale, cit., in www.ilcaso.it, 18 aprile 2023) anche nel concordato minore la proposta dovrebbe comunque rispettare alcune delle regole fissate dall’art. 88 per la definizione dei crediti erariali e previdenziali (soddisfazione in misura non deteriore rispetto ai crediti privilegiati e chirografari del medesimo rango; classamento obbligatorio dei crediti erariali e previdenziali, anche chirografari, dei quali non è previsto il pagamento integrale).
[27] Non possiamo qui nemmeno accennare ai complicati problemi di coordinamento, non affrontati dall'art. 271 (il quale si occupa solo del concorso tra domande relative a procedure minori), che possono poi derivare dall'eventualità di un concorso tra la domanda di accordo di ristrutturazione in bianco ex art. 44 o piena e quella di liquidazione controllata proposta da un creditore (la cui legittimazione all'apertura di questa procedura è sancita, seppur entro precisi limiti, dall' art. 268) per alcuni spunti di riflessione sul tema v. G. RANA, Le regole del procedimento unitario della crisi d'impresa dopo il d.lgs. n. 88/2022, in Il fall., 2023, 153ss., specie p. 165ss.).
[28] Per l’illustrazione dei tratti fondamentali dell’istituto e gli ulteriori riferimenti v., inter alia, MAFFEI ALBERTI, op. cit., sub art. 62, p. 440ss.
[29] Nello specifico, il 2° comma dell’art. 61 individua le condizioni necessarie per l’estensione degli effetti della moratoria ai creditori non aderenti:
a) tutti i creditori appartenenti alla categoria (individuata dal debitore sulla base dell’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici) devono essere stati debitamente e compiutamente informati dell’avvio delle trattative (o essere stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede) e della situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché della convenzione e dei suoi effetti;
b) i crediti dei creditori aderenti appartenente alla categoria devono rappresentare il settantacinque per cento di tutti i crediti dei creditori appartenenti alla categoria, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria;
c) devono sussistere concrete prospettive che i creditori della medesima categoria non aderenti, cui vengono estesi gli effetti della convenzione, possano risultare soddisfatti all’esito della stessa in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale;
d) un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi e la ricorrenza delle condizioni di cui alla lett. c) (anche in questo caso l’attestazione comporta una responsabilità civile e penale ex art. 342 del professionista in caso di sua falsità).
Ricorrendo le condizioni sopra elencate, l’estensione degli effetti avviene in maniera automatica.
[30] Sul concordato nella liquidazione giudiziale, regolato dal Codice nei Capi VII (artt. da 240 a 253) e VIII (artt. da 265 a 267, relativi al concordato nella liquidazione giudiziale delle società) del Titolo V della Parte Prima, v., per tutti, A. NIGRO – D. VATTERMOLI, op. cit., p.325ss.
[31] Si veda la nt. (3)
[32] Per “diritto oggettivamente concorsuale” deve intendersi “un corpus di regole e principi che, allora e necessariamente (…) assicuri il rispetto del principio di neutralità dell’apertura della procedura rispetto ai diritti ex ante vantati dai creditori concorrenti, impedendo ai singoli di occupare posizioni di vantaggio all’interno del concorso, cristallizzando così il valore relativo dei crediti al momento in cui scatta il vincolo di destinazione sul patrimonio del debitore comune” (così, testualmente, D. VATTERMOLI, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, in Dir. fall., 2013, I, 768): si pensi, solo per portare due esempi, all’acquisizione all’attivo dei beni sopravvenuti (art. 142, 2° comma) o alla conversione dei crediti non pecuniari in pecuniari (art. 158), regole che pur non essendo espressamente previste per la liquidazione controllata, sono senz’altro applicabili anche in questa procedura.
[33] In tal senso v. infatti A. NIGRO – D. VATTERMOLI, op. cit., p. 647.
[34] II Codice, in attuazione dei criteri di delega stabiliti dall’art. 3 della l. n. 155 del 2017, ha introdotto nel sistema concorsuale la rilevantissima innovazione costituita dalla previsione a livello generale di una disciplina della crisi e dell’insolvenza dei gruppi, fenomeno fino ad ora regolamentato nel nostro ordinamento soltanto sul piano della normazione speciale e di settore (si pensi all’amministrazione straordinaria e alla ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza o alle discipline di settore bancaria, finanziaria e assicurativa).
A questo scopo la disciplina delineata dal Codice, come integrata dal correttivo del 2020 e, successivamente, dal decreto Insolvency (per un completo quadro di sintesi v., tra gli altri, D’ATTORRE, op. cit., p. 367ss.), prevede innanzi tutto la definizione di “gruppo di imprese” (art. 2, lett. h), la quale, pur contrassegnata da un tratto, quello della nozione di “direzione e coordinamento”, che la pone sulla stessa linea dell’art. 2497 cod. civ., è tuttavia formulata in termini più articolati e non del tutto coincidenti rispetto alla norma civilistica.
Sulla base di questa definizione, seguendo l’articolato del Codice, un primo segmento della disciplina che interessa i gruppi è racchiuso nel Capo I del Titolo II, in tema di composizione negoziata, dove l’art. 25 regolamenta la conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese; il corpo fondamentale dell’apparato disciplinare della crisi dei gruppi si trova invece contenuto nel successivo Titolo VI.
Questo Titolo disciplina separatamente la regolazione della crisi o insolvenza e la liquidazione giudiziale unitaria di gruppo (Capo I, artt. da 284 a 286: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione e piano attestato di gruppo; Capo II, art. 287, liquidazione giudiziale di gruppo); le procedure autonome contestuali di imprese appartenenti al gruppo (Capo II, art. 288); gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e le procedure di insolvenza riguardanti imprese distinte appartenenti al gruppo (Capo III, art. 289); il Titolo si chiude, infine, con una serie di disposizioni, che il Codice designa “Norme comuni”, le quali prevedono alcuni rimedi (azioni di inefficacia fra imprese del gruppo; azioni di responsabilità e denuncia di gravi irregolarità di gestione nei confronti di imprese del gruppo; postergazione del rimborso dei crediti da finanziamenti infragruppo) agli effetti dannosi dell’abuso di direzione e coordinamento (Capo IV, artt. da 290 a 292).
Gli assi ordinanti di questo impianto normativo sono costituiti, essenzialmente, dall’utilizzo della tecnica del consolidamento procedurale quando, secondo una valutazione prognostica, la gestione unitaria della crisi si traduca in un vantaggio per i creditori coinvolti; dal mantenimento dei principi di autonomia giuridica e di distinzione delle masse attive e passive delle singole imprese del gruppo, anche nel caso di trattamento unitario della crisi; dal raggruppamento in un unico contesto dei mezzi di intervento sugli effetti dannosi dell’abuso di direzione e coordinamento. I temi sintetizzati in questa nota verranno ripresi più avanti nel testo.
[35] Gli artt. 284 ss. fanno infatti riferimento soltanto al concordato di gruppo, agli accordi di ristrutturazione e ai piani attestati di gruppo, alla liquidazione giudiziale di gruppo, senza mai menzionare le procedure di sovraindebitamento. Con riguardo alla disciplina del sovraindebitamento, l'esigenza di una regolamentazione unitaria è stata affrontata dal legislatore limitatamente al piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore e soltanto quando si faccia questione di membri della stessa famiglia (art. 66).
[36] Il riferimento è a Trib. Catania, 22 marzo 2023, in Il fall. 2023, 804ss., con nota critica di PANZANI, La liquidazione giudiziale di gruppo al vaglio della giurisprudenza.
[37] Un catalogo delle principali obiezioni agli argomenti sviluppati dalla decisione sopra richiamata si può trovare in PANZANI, op. cit., 809ss., dal quale sono tratti i rilievi sopra riportati nel testo.
[38] Al riguardo v., per tutti, A. NIGRO – D. VATTERMOLI, op. cit., p.543ss.
[39] Si veda lo schema di cui alla nt. (36).
[40] Per quanto riguarda gli strumenti di regolazione, la partecipazione all'accordo di ristrutturazione, al piano attestato o al concordato di gruppo è tuttavia fondata sulla volontà di ogni singola impresa del gruppo e non esiste alcun meccanismo coattivo di estensione alle imprese che non ritengono di partecipare (fatto salvo, ovviamente, l'esercizio da parte della capogruppo dei poteri che le competono in virtù del rapporto di controllo).
L’art. 284 stabilisce infatti che più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo e aventi ciascuna il centro degli interessi principali nello Stato italiano possono proporre con un unico ricorso la domanda di accesso al concordato preventivo di cui all’art. 40, sulla base di un piano unitario o di piani reciprocamente collegati e interferenti (1° comma).
Resta comunque ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive (2° comma).
Il presupposto del concordato preventivo di gruppo è, in ogni caso, costituito dalla maggiore convenienza, in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, della scelta di presentare un piano unitario ovvero piani reciprocamente collegati e interferenti invece di un piano autonomo per ciascuna impresa (cfr. 4° comma, primo periodo).
Questa disciplina è sostanzialmente applicabile anche all’accordo di ristrutturazione dei debiti di gruppo, con le necessarie varianti relative ai profili di peculiarità di quest’ultimo strumento (cfr. art. 284, 2° comma).
L’art. 284, 5° comma disciplina il piano unitario e i piani reciprocamente collegati e interferenti, rivolti ai rispettivi creditori, aventi il contenuto indicato nell’art. 56, 2° comma.
La norma prescrive che essi devono essere idonei a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria di ciascuna impresa e ad assicurare il riequilibrio complessivo della situazione finanziaria di ognuna delle imprese coinvolte (v. primo periodo). Il possibile contenuto dei piani di gruppo – che, in via generale, ricalca quello dei piani individuali – dovrà, naturalmente, essere modulato in funzione di questi peculiari obiettivi, che coinvolgono per definizione una pluralità di soggetti.
[41] La liquidazione giudiziale di gruppo è disciplinata dall’art. 287 in chiave di consolidamento essenzialmente procedurale.
Il 1° comma dispone, pertanto, che più imprese in stato di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo e aventi ciascuna il proprio centro degli interessi principali nello Stato italiano possono richiedere con un unico ricorso (la legittimazione a presentare il quale, secondo l’interpretazione che appare più convincente, compete esclusivamente alle imprese insolventi facenti parte del gruppo, non anche ai relativi creditori, ma il tema è oggetto di discussione) dinanzi ad un unico tribunale di essere assoggettate a una procedura di liquidazione giudiziale unitaria.
La procedura di liquidazione giudiziale unitaria può essere aperta quando risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo.
In ogni caso resta, naturalmente, ferma l’autonomia delle masse attive e passive riferibili a ciascuno dei soggetti giuridici posti in liquidazione giudiziale.
Per agevolare il consolidamento di procedure afferenti ad imprese del medesimo gruppo, l’ultimo comma prevede che, quando una sola delle imprese sia assoggettata a liquidazione giudiziale, il curatore, se ravvisa lo stato di insolvenza di altra impresa del gruppo non ancora assoggettata alla procedura, segnala tale circostanza agli organi di amministrazione e controllo – implicitamente sollecitandoli, in tal modo, alle verifiche e alle iniziative del caso – ovvero promuove direttamente il relativo accertamento.
[42] Basti pensare, solo a titolo di esempio, che la liquidazione controllata può essere aperta in caso di insolvenza anche su istanza dei creditori solo in presenza di un determinato ammontare di debiti scaduti e non pagati e, nel caso di debitore persone fisica, non si fa luogo ad apertura della procedura se l'OCC non attesta che è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori (art. 268, 1° e 3° comma); nella liquidazione controllata non sono esperibili le azioni revocatorie concorsuali, ma solo quelle ordinarie, ecc..