La transazione fiscale nel concordato giudiziale
Pubblicato il 29/05/23 12:12 [Articolo 2079]






E’ unanime parere che, con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, la liquidazione giudiziale perderà lo stigma sociale che connotava il fallimento dell’imprenditore e che si procede verso una considerazione dell‘accesso a questa procedura alla stregua di un accadimento spiacevole, ma possibile perché insito nel rischio d’impresa.

Con l’incessante opera di riforma degli ultimi anni si è arricchito il ventaglio delle procedure di prevenzione e di regolamento delle crisi d’impresa; da quelle atte e prevenire l’insolvenza e tese a favorire l’emersione di difficoltà temporanee e superabili, sino a quelle previste per favorire la salvaguardia dei valori di funzionamento dell’azienda e dei livelli occupazionali, attraverso accordi di ristrutturazione dei debiti che favoriscano la continuità aziendale e scongiurino la liquidazione giudiziale. 

Quest’ultima è ancora vista come una procedura disgregante e residuale, ma  al suo interno si colloca il sub procedimento del concordato giudiziale, che inizia ad essere considerato, dagli operatori e dalla dottrina, non solamente come un caso di chiusura del fallimento, ma una procedura di ristrutturazione della debitoria alternativa e più conveniente rispetto al piano attestato di risanamento, all’accordo di ristrutturazione dei debiti agevolato, al piano di ristrutturazione omologato, all’accordo di ristrutturazione dei debiti a efficacia estesa, al concordato semplificato, al concordato in continuità e al concordato liquidatorio.[1]

I motivi della sua convenienza rispetto alle altre procedure sono presto detti. A parte la complessità e la farraginosità dei procedimenti delle altre procedure, per il successo delle quali sono richieste complesse trattative (da condurre peraltro in buona fede), costose attestazioni, alti costi di procedura, cospicue  immissioni di finanzia esterna e maggioranze di voto elevate, il concordato giudiziale si fa preferire per molteplici ragioni di non poco rilievo: per l’assenza di una procedura competitiva per l’attribuzione dei beni; l’assenza di un obbligo di apporto di finanza esterna in misura predeterminata (salvo il caso in cui non sia lo stesso debitore a proporre il concordato giudiziale – ma in tal caso l’apporto è previsto in misura pari alla metà di quella prevista nel concordato preventivo); per l’assenza di una percentuale minima di soddisfazione dei creditori; per l’assenza di un obbligo di una previa transazione fiscale.

Infine la modalità di espressione del voto per il calcolo delle maggioranze prevede solo la manifestazione del dissenso, sicché il creditore che non si sia espresso si considera favorevole alla proposta.

Tuttavia la necessità che la proposta preveda la suddivisione in classi, da formare secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei, nonché trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, indicando le ragioni della differenziazione, impone una riflessione circa il trattamento dei crediti tributari (e previdenziali), atteso che i creditori muniti di cause legittime di prelazione possono non essere soddisfatti integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione, con riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali può essere fatta valere la garanzia.

L’istituto in esame non consente che un creditore privilegiato riceva meno del valore del bene sul quale esercita il privilegio, nonché che un credito di rango inferiore sia soddisfatto prima del suo soddisfacimento integrale.

Il buon esito di un piano di ristrutturazione dei debiti mediante il concordato giudiziale, nel caso in cui si prevedano crediti privilegiati e crediti fiscali falcidiati e degradati, dipenderà in larga parte dalla corretta composizione delle classi, dalla quale dipenderà l’espressione del voto.

Il Tribunale, in virtù dell’articolo 241, III comma, CCII, valuterà la correttezza dei criteri di formazione delle classi con riferimento all’omogeneità degli interessi economici e di posizione giuridica e, se si prevede un trattamento differenziato, le ragioni che lo giustificano dovranno essere adeguatamente motivate nella relazione giurata prevista dal quarto comma dell’articolo 240. 

L’approvazione della proposta concordataria è subordinata alle seguenti condizioni:

  • che si esprimano favorevolmente la maggioranza dei crediti ammessi al voto;
  • se vi è anche suddivisione in classi, che siano favorevoli il maggior numero di classi.

Per quanto attiene ai crediti tributari, ancorché previsto unicamente per il concordato preventivo, la giurisprudenza di merito ha ritenuto applicabile, in via analogica, al concordato fallimentare il cram down, quando l’adesione risulti determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze e sia evidente, per l’amministrazione finanziaria, la convenienza della proposta concordataria rispetto all'alternativa liquidatoria.[2]

Per il successo della proposta concordataria, sia essa proveniente da un assuntore che dal debitore stesso, quando si intenda ristrutturare anche la debitoria fiscale, occorrerà prestare la massima attenzione al trattamento di questa categoria di debiti, spesso di misura rilevante nel complesso delle passività. In quest’ottica occorre aprire una riflessione circa l’applicabilità della transazione fiscale all’interno del concordato giudiziale.

L’applicabilità al concordato giudiziale della transazione fiscale è tutt’ora discussa e l’introduzione del CCII non ha fatto chiarezza, perché la nuova normativa non ha operato il richiamo al cram down fiscale e previdenziale, ora disciplinato nell’accordo di ristrutturazione dei debiti dall’ articolo 63 e, nel concordato preventivo, dall’articolo 88, nei rispettivi commi 2-bis.

Sebbene sia la vecchia che la nuova normativa non prevedano espressamente l’applicabilità dell’istituto della transazione fiscale al concordato fallimentare, un’isolata pronuncia[3] ne ha ammesso l’applicazione analogica, con una motivazione che si ritiene non del tutto appagante.

E ciò in quanto nei numerosi interventi modificativi che si sono susseguiti dal 2006, il legislatore non si è mai occupato di regolamentare i rapporti tra il concordato fallimentare e i crediti tributari, forse proprio perché il concordato fallimentare è stato tradizionalmente ritenuto marginale e inidoneo a regolare la crisi d’impresa: prospettiva che, invece, si afferma come molto interessante per le ragioni di convenienza che sono state illustrate in precedenza.

L’unica disposizione che ci consta è quella, introdotta nell’articolo 29 del D. L. 78/2010, che ha modificato l’articolo 87 del DPR 602 del 1973, prescrivendo che il voto nel concordato venga espresso dall’Agente della Riscossione in forza di un’autorizzazione formale dell’Agenzia delle Entrate.

Disposizione che, peraltro, è stata interpretata dalla dottrina come un’implicita ammissione della falcidiabilità del debito tributario anche al di fuori della transazione fiscale, giustificabile dalla sicurezza e celerità dell’incasso del credito effettivamente riscuotibile e dall’impossibilità di acquisire il residuo.[4]

In definitiva, l’introduzione dell’articolo 182 ter nella legge fallimentare[5], non avendo abrogato il comma 2 bis dell’articolo 87 del DPR 602/1973, ha posto gli interpreti di fronte alla seguente alternativa: o si ammette l’applicazione analogica dell’articolo 182 ter al concordato fallimentare, o si opta per l’ammissibilità della falcidia dei debiti tributari nell’ambito delle regole generali previste dall’articolo 124 e seguenti della legge fallimentare.

La transazione fiscale nel CCII è regolata nelle procedure di concordato preventivo (art. 88), ma nulla è variato, sotto il profilo procedimentale, nel concordato giudiziale (articoli 240 e seguenti) rispetto agli articoli 124 e seguenti della L.F., nel senso che non è stata inserita la previsione dell’obbligatorietà della transazione fiscale, sicché il dilemma non è stato risolto.

Su una conclusione si può tuttavia convenire: la permanenza nell’ordinamento positivo dell’articolo 87 del DPR 602/1973 depone per l’esclusione della impossibilità di falcidiare i debiti tributari (e contributivi) nel concordato giudiziale e della conseguente esclusione dell’obbligo di soddisfare integralmente tali debiti in applicazione del principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria.

Se nel procedimento tracciato per il concordato giudiziale (disciplina applicabile per le proposte di concordato presentate successivamente al 14 luglio 2022, anche se riferite a fallimenti dichiarati in data anteriore)  non si può dire con certezza che si debba innestare, in virtù di un’applicazione analogica – estensiva, la transazione fiscale, le altre norme che, per questa procedura, prescrivono la formazione delle classi (omogeneità degli interessi economici e di posizione giuridica -  ragioni dell’eventuale trattamento differenziato – calcolo delle maggioranze nel voto),  suggeriscono di approntare una o più specifiche classi per i tributi e i contributi previdenziali e di apprezzare la soddisfazione di queste categorie di debiti in modo non difforme da quanto viene prescritto per il concordato preventivo (art. 88 CCII): quantificazione che dovrà venire asseverata dall’attestazione di un professionista indipendente e che avrà ad oggetto la convenienza della proposta concordataria, rispetto alla continuazione della liquidazione giudiziale.

Possono sorgere dubbi circa la titolarità del diritto di voto nel concordato giudiziale, giacché i commi 4 e 5 dell’articolo 88 del CCII ne attribuiscono l’esercizio all’Ufficio (previo parere della Direzione Regionale), restringendo il diritto di voto dell’agente per la riscossione agli oneri di riscossione, mentre il comma 2 bis dell’articolo 87 del DPR 602/1973 prevede che il voto sia esercitato dall’agente per la riscossione per tutti i crediti erariali, previo parere dell’Agenzia delle Entrate.

Privilegiando un’interpretazione letterale, si può sostenere che la disciplina sul diritto di voto è precipua del concordato preventivo e, dunque, non si estende al concordato giudiziale. Va tuttavia ricordato che l’articolo 87 del DPR 602/1973, che regola il diritto di voto unicamente nel concordato fallimentare, ha un’efficacia limitata ai soli tributi erariali e non anche ai debiti contributivi. Sicché l’espressione del voto nel caso in cui si intendano ristrutturare sia debiti chirografari erariali che contributivi ab origine che i crediti chirografari degradati, dovrà necessariamente essere ripartita tra i vari enti titolari del credito che, sulla scorta delle disposizioni a oggi vigenti, si possono così individuare:

  • Agente per la Riscossione – per i crediti erariali, dietro parere conforme dell’Agenzia delle Entrate e per i diritti di riscossione, senza previo parere;
  • Enti previdenziali - per i debiti contributivi.

Conclusivamente si ritiene che, da un punto di vista procedimentale, la transazione fiscale non sia richiesta nel concordato giudiziale, che resta regolato dalle sue norme generali, applicabili anche ai debiti di natura erariale e contributiva mentre, da un punto di vista sostanziale, una proposta concordataria volta a ristrutturare la debitoria erariale e contributiva non possa discostarsi dalla disciplina prevista della transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo.

Il dibattito sull'applicabilità o meno della transazione fiscale al concordato fallimentare avrà vita breve, perché il Governo, il 16 marzo, ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale che, all'art. 9, contiene importanti novità in tema di fiscalità per la crisi d'impresa, oltre a disporre l'estensione della transazione fiscale a tutti gli istituti disciplinati dal codice della crisi di impresa e dell'insolvenza.

Prevedibilmente il testo che sarà emanato non differirà significativamente, per quanto attiene alle norme sostanziali, dalle prescrizioni vigenti per la transazione fiscale all’interno del concordato preventivo.

Nel senso che non dovrebbero registrarsi novità riguardo al confronto con quanto potrebbe pervenire all’Erario e agli Enti Previdenziali in caso di continuazione della liquidazione dei beni sui quali possono essere fatti valere i loro privilegi, con riguardo ai valori di mercato;  al divieto di attribuire ai creditori muniti di grado di privilegio inferiore una soddisfazione maggiore, sia in termini di percentuale che di tempi di pagamento; al divieto di trattamento deteriore dei crediti chirografari degradati rispetto ai chirografari naturali (che costituiscono le norme di carattere sostanziale nella disciplina della transazione fiscale).

Norme che, a ben vedere, sono una specie di quelle più generali già in vigore, già previste dal quarto comma dell’articolo 240 del CCII  e dal controllo preventivo sulla correttezza della formazione delle classi, demandata al Tribunale ai sensi del terzo comma dell’articolo 241, valevoli per tutte le categorie di crediti.

In definitiva, non si ravvisa il bisogno di estendere il sub procedimento della transazione fiscale al concordato giudiziale, perché quelle esistenti, ancorché non riferite precipuamente ai debiti erariali e previdenziali, sono sufficienti a garantire l’interesse pubblico al pari di quelle vigenti per il concordato preventivo e gli altri accordi di ristrutturazione nei quali l’istituto della transazione fiscale è già in vigore.

Le novità più rilevanti da emanare in virtù del disegno di legge saranno certamente quelle di carattere procedurale, giacché l’approvazione della proposta concordataria  avviene attualmente con maggioranze formate sulla base dell’espressione del dissenso, mentre la transazione fiscale nelle altre procedure si articola in formalità che prescrivono la presentazione di un’apposita domanda corredata dalle dichiarazioni fiscali per le quali non è stato ancora  eseguito il controllo automatizzato (dichiarazioni peraltro già in possesso dell’amministrazione, se non omesse) ed altra documentazione, sino alla sottoscrizione dell’accordo.

Si tratta, in altri termini e semplificando, di quantificare precisamente il credito erariale sul quale innestare la proposta di accordo. Fase che nella liquidazione giudiziale (o nel fallimento al quale farà seguito la proposta di concordato giudiziale) questa due diligence non è necessaria, perché il credito erariale è già stato vagliato dal Giudice Delegato e ammesso al passivo.

Se per la conclusione favorevole della transazione fiscale sarà richiesto un procedimento simile a quello attualmente esistente, nel concordato giudiziale si registrerà una categoria di creditori che deve stipulare uno speciale accordo a lato della proposta, mentre per tutti gli altri varrà la regola del silenzio assenso.

Probabilmente una novella di buon senso sarebbe quella di riconoscere espressamente l’eventualità del cram down laddove vi sia un’attestazione indipendente simile a quella già vigente (approdo peraltro già acquisito dalla giurisprudenza di merito), lasciando al vaglio preventivo del Tribunale il compito di valutare la correttezza della formazione delle classi per i debiti tributari e contributivi e il rispetto delle altre condizioni di tipo sostanziale, salvaguardando il meccanismo del silenzio/assenso e regolamentando con maggiore chiarezza a chi spetti il diritto di voto nel concordato giudiziale, snellendo le disposizioni sulle autorizzazioni, accorciandone la catena, che gli enti titolari delle posizioni creditorie devono rilasciare.

 


[1] Prospettiva trattata con maggiore ampiezza in un saggio della Commissione “Concordato Preventivo e Accordi” dell’ODCEC di Roma, a cura di Luigi Lucchetti, Eleonora Bernabei e Roberto Frari, con prefazione di Sergio Di Amato e post fazione di Emanuele Mattei, in corso di pubblicazione da Giuffrè.

[2] Trib. La Spezia 25/11/2021. https://www.transazione-fiscale.it/wp-content/uploads/2022/01/Tribunale-di-La-Spezia-25-novembre-2021.pdf

[3] Tribunale di Teramo del 14 aprile 2021 - https://dirittodellacrisi.it/articolo/trib-teramo-19-aprile-2021-est-cirillo_1

[4] Sul tema si segnala l’importante e condiviso contributo di Antonio Viotto “Il credito tributario nel concordato fallimentare” in Rivista Trimestrale di Diritto tributario n° 1/2018.

[5] Articolo inserito dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 e dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dal L. 30 luglio 2010, n. 122. Successivamente, il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 1, comma 81, L. 11 dicembre 2016, n. 232, a decorrere dal 1° gennaio 2017. Sicché il comma 2 bis dell’articolo 87 del DPR 602/1973, introdotto nell’ordinamento con D. L. n° 78 del 31 maggio 2010, da un lato è successivo all’articolo 182 – ter della L. F. e, dall’altro, non è mai stato modificato dalle successive modifiche apportate all’art. 182 ter stesso.

 



















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