Sommario: 1. Il caso oggetto del provvedimento commentato - 2. La causa di scioglimento ex art. 2484 comma 1 n.3 c.c.: l'impossibilità di funzionamento e la continuata inattività dell'assemblea - 3. La condizione di rilevanza giuridica, quali cause di scioglimento della impossibilità di funzionamento e della continuata inattività dell'assemblea - 4. L'iscrizione nel registro imprese quale condizione determinante l'esplicazione degli effetti della causa di scioglimento.
1. Il provvedimento in commento affronta il tema del dissidio insanabile tra i soci nel caso di società paritetica, tale da precludere il funzionamento dell'organo assembleare quale causa di scioglimento della società ex n.3 art.2484 c.c..
Nella specie, la società, quale titolare di quote sociali di altra società, reclamava innanzi alla Corte d'Appello, ex art.739 c.p.c., il decreto reso dal Tribunale in sede di volontaria giurisdizione che rigettava l'istanza con la quale la società aveva richiesto accertarsi lo scioglimento della società da essa partecipata e la nomina di un liquidatore giudiziale ex artt.2485 comma 2 e 2487 comma 2 c.c..
A sostegno della iniziativa assunta innanzi al Tribunale, il socio istante adduceva la sussistenza della causa di scioglimento di cui al n.3 dell'art.2484 c.c., sulla base del fatto che i bilanci relativi agli anni 2016, 2017 e 2018 non erano stati mai portati all'attenzione dell'assemblea per la relativa approvazione né erano stati approvati con l'assemblea dell'ottobre 2020 unitamente al bilancio relativo all'anno 2019, sussistendo dissidio tra i soci in ordine alla regolare costituzione dei verbali di assemblea degli anni precedenti ed in ordine all'appostazione, sin dal bilancio 2015 approvato dall'assemblea totalitaria tenutasi in data 08 novembre 2016, della voce "finanziamento dei soci" tra le voci di capitale e non di debito".
Costituitasi in giudizio la società resistente contestava, tra l'altro, la violazione delle regole previste dal diritto societario in termini di preventiva espressione della volontà assembleare in ordine allo scioglimento della società e nomina del liquidatore.
Il Tribunale in composizione Collegiale, rigettava l'istanza giudicando insussistente la causa di scioglimento ex art. 2484 n. 3 c.c., rilevando l'omessa dimostrazione dell'avvenuta convocazione di assemblee precedenti a quella del 12.10.2020 (pur dando atto che in seno ad essa non aveva avuto luogo l'approvazione dei bilanci a partire dal 2016) e, soprattutto, che l'assemblea sociale risultava essere stata convocata per lo scioglimento e messa in liquidazione della società alla luce, esclusivamente, della sostanziale cessazione dell'attività economica e non per il conflitto esistente tra gli stessi che avrebbe paralizzato l'attività assembleare, bensì solo per verificare se fossero concordi sulla effettiva cessazione dell'attività d'impresa.
Pertanto il Tribunale ha ritenuto insussistenti le condizioni per accertare lo stato di scioglimento ai sensi dell'art. 2484 comma 1 n.3.
In sede di reclamo ex art.739 c.p.c. promosso innanzi alla Corte d'Appello, il socio censurava il provvedimento di rigetto affermando - tra l'altro - che il primo giudice aveva trascurato di considerare che la mancata approvazione anche soltanto di un bilancio rappresenta ipso iure causa di scioglimento e che l'omessa approvazione di quattro bilanci e l'omessa convocazione dell'assemblea per tale necessario incombente rappresentasse inevitabilmente una causa di scioglimento ed altresì nel ritenere non dimostrata l'irreversibilità della impossibilità di funzionamento, sebbene nella specie la mancata approvazione dei bilanci e della messa in liquidazione dipendessero dal fatto che i soci erano in aperto dissidio definitivamente non componibile in seno all'assemblea, considerato che "altro sarebbe stato se il socio titolare del 50% non avesse mai partecipato alle assemblee dimostrando disinteresse (ipotesi valutate dal tribunale con il provvedimento impugnato) ma non nella fattispecie de qua nella quale il dissidio è evidente e manifestamente irreversibile".
Instauratosi il contraddittorio, la resistente precisando, per un verso, che né l'amministratore, né l'assemblea avevano accertato e/o deliberato la causa di scioglimento di cui all'art. 2484, comma 1, n. 3, c.c., in quanto, l'assemblea del 12.10.2020 era stata chiamata a deliberare unicamente circa il completamento dell'oggetto sociale ed aveva rigettato la proposta, in tal senso formulata dal socio reclamante, di talchè, questi, prima di adire il Tribunale per accertare la causa di scioglimento per impossibilità di funzionamento dell'assemblea e la conseguente nomina del liquidatore giudiziale, avrebbe dovuto provocare la convocazione dell'assemblea della società allo scopo di deliberare su tale punto previo inserimento all'ordine del giorno; per altro verso, contestava l'affermazione della reclamante in ordine alla sussistenza di un dissidio tra i soci «in relazione alla appostazione della voce del bilancio relativo al "finanziamento dei soci", di contro ritenendo che le somme erano state "appostate in bilancio sin dal 2015 e quindi prima del sequestro tra le voci di capitale e non di debito" e che "tale bilancio sarebbe (n.d.r.) stato approvato nell'assemblea totalitaria (e quindi anche alla presenza di XXXXX srl stesa) tenutasi in data 8 novembre 2016". Il bilancio al 31.12.215 - che conteneva la destinazione a capitale (patrimonio) del finanziamento in questione (per . 380.900), mercé l'appostazione dello stesso (
) alla voce "versamenti in conto futuro aumento di capitale" (patrimonio Netto)" e non tra i finanziamenti (Debiti) - fu infatti approvato all'unanimità (dunque anche col voto della XXXXX) dall'Assemblea della XXXXX dell'8.11.2016 (
)".
Il Giudice del reclamo confermava il provvedimento di rigetto impugnato escludendo la sussistenza della causa di scioglimento ex art. 2484 n. 3 c.c., convalidando il provvedimento del primo giudice laddove aveva "escluso la sussistenza della causa di scioglimento ex art. 2484 n.3 c.c., in quanto fondata soltanto sugli esiti dell'assemblea del 12.10.2020, nella quale effettivamente non sono stati approvati i bilanci dal 2016, ma senza allegare, né dimostrare che vi siano state altre convocazioni assembleari precedenti in cui l'assemblea non è riuscita a deliberare l'approvazione dei bilanci.".
In particolare, partendo dalla premessa secondo cui "Come ben noto, il contrasto tra i soci rilevante ai fini dello scioglimento ex art. 2484 cit. è quello che conduce ad una paralisi assoluta ed oggettiva dell'organo sociale, tale da precludere l'adozione di delibere necessarie ed essenziali per il funzionamento della società", la Corte d'Appello ha rilevato come "nella specie tale paralisi non è affatto ravvisabile, nulla sapendosi delle precedenti assemblee e risultando dagli atti che l'ultima assemblea dei soci, quella del 12.10.2020, è riuscita ad assumere le delibere sui capi all'ordine del giorno, pur deliberando di non approvare né i bilanci, così come le sono stati sottoposti, né lo scioglimento. Né va confuso il fatto che tali delibere non siano "gradite" con la mancata adozione di deliberazioni.
D'altronde, l'asserito contrasto tra i soci in ordine "alla regolare costituzione di verbali assembleari degli anni precedenti" non può affatto ritenersi irreversibile, dovendo anzi presumersi che possa essere sciolto previa risoluzione (eventualmente in sede contenziosa e previa impugnazione giudiziale delle citate delibere e, in particolare, di quella dell'8.11.2016, in cui sarebbe stato approvato il bilancio del 2015, ove ancora possibile) della questione interpretativa concernente l'appostazione della voce del bilancio relativa al "finanziamento dei soci".
Per converso, neanche può escludersi che, previa modifica della posta di bilancio "incriminata", eventualmente proprio alla luce dell'esito dell'assemblea del 12.10.2020, una successiva assemblea sociale possa avere esito diverso, ove alla stessa vengano sottoposti bilanci rettificati.
Allo stato degli atti, dunque, quello in oggetto non può affatto qualificarsi un dissidio irrimediabile.
Ad opinare diversamente, peraltro, in tutti i casi di ripartizione a metà del capitale sociale dovrebbe sempre ammettersi la configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 2484 n. 3 cit., ogni volta che insorga un contrasto di opinione tra i soci, il che certamente non può ritenersi."
2. Nell'ambito delle società di capitali, secondo la norma di cui all'art.2484 c.c., al comma 1, la società deve essere sciolta, mutando lo scopo, dallo svolgimento in comune di un'attività economica al fine di dividere gli utili, alla definizione dei rapporti derivati dall'attività sociale e della ripartizione tra i soci l'eventuale attivo (cf. Cass. n. 29776/2008[1]):
1) per il decorso del termine;
2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l'assemblea, all'uopo convocata senza indugio, non deliberi le opportune modifiche statutarie;
3) per l'impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell'assemblea;
4) per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter;
5) nelle ipotesi previste dagli articoli 2437-quater e 2473;
6) per deliberazione dell'assemblea;
7) per le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto.
7-bis) per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 2487 e 2487-bis.
Con riferimento al caso di specie, viene, in particolare, in rilievo l'ipotesi di scioglimento di cui al n.3, per impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell'assemblea.
L'assemblea dei soci costituisce, insieme a quello amministrativo e, se presente, a quello di controllo, uno degli organi fondamentali per il funzionamento della società stessa. Non a caso, con la riforma del diritto societario ad opera del d.lgs. 17.1.2003, n. 6, entrato in vigore il 1°.1.2004, si è previsto che nelle società a responsabilità limitata l'organo assembleare conservasse - cfr.art.2479 c.c. comma 2 - la competenza in ordine alla regolamentazione degli aspetti più rilevanti della società[2], quali l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili, la nomina degli amministratori e degli organi di controllo, le modificazioni dell'atto costitutivo e le decisioni in ordine al compimento di operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
Per questa ragione il legislatore ha previsto che l'omesso funzionamento di essa, ovvero la sua inattività che abbiano il carattere della definitività ed irreversibilità e, dunque, si traducano nella incapacità di adottare le delibere necessarie al funzionamento della società (cc.dd. essenziali), debbano condurre allo scioglimento della stessa.
Nella specie, la norma si riferisce a situazioni di fatto tra esse differenti, vale a dire l'impossibilità di funzionamento dell'assemblea ovvero la sua inattività.
In particolare, l'impossibilità di funzionamento deriva dalla incapacità di deliberare in ragione della esistenza di forti e insanabili contrasti tra i soci, tali da impedire all'organo assembleare il formare una maggioranza idonea ad assumere le decisioni essenziali per la vita della società[3].
La paralisi dell'organo deliberativo può, difatti, avvenire con maggiore probabilità nelle società paritetiche dove, in realtà, la sopravvivenza è subordinata alla reciproca fiducia ed all'unanime approvazione[4].
La condizione di conflittualità caratterizzante la fattispecie in esame deve essere tale da comportare "l'incapacità a far prevalere l'interesse comune o a ricercare comuni indirizzi per realizzarlo" [5] e mantenere l'assemblea in una condizione di stallo che, appunto, a causa del dissidio persistente ed insanabile, sia tale da determinare il venir meno ogni fiducia reciproca e rendere impensabile e, comunque, diseconomica la prosecuzione dell'attività sociale (cfr. Tribunale Milano, 22/05/2015[6]), ovvero del loro continuato disinteresse per le attività sociali, non è più in grado, in modo oggettivo, stabile, definitivo ed irreversibile (Trib. Ravenna 3.2.2006, in Giur.it. 2006, 1875, dove si parla di impossibilità di funzionamento dell'assemblea "stabile e irreversibile"; Trib. Torino 10.3.2003 Soc. 2003, 995 ss.; Trib. Latina 12.10.1990) di adottare le decisioni che ad essa competono [7].
Questo, ad esempio, può accadere in costanza di una perdurante litigiosità giudiziale dei soci priva di prospettiva di accordo con blocco delle funzioni essenziali dell'assemblea convocata senza esito molte volte (cfr. Tribunale Ancona Decr., 18/12/2014), oppure nel caso in cui il reiterato atteggiamento ostruzionistico dei soci impedisca il raggiungimento delle maggioranze prescritte per l'adozione delle delibere da parte dell'assemblea pur regolarmente costituita tale da determinarne la paralisi, ovvero nel caso di esercizio del diritto di veto riconosciuto ad un socio di minoranza.
In quest'ultimo caso, e con specifico riferimento alla s.r.l., il reiterato comportamento ostruzionistico da parte di alcuni soci, a cui lo statuto attribuisca un potere di blocco sulle delibere assembleari, integra la causa di scioglimento in esame, ma gli altri componenti della compagine sociale possono reagire all'eventuale abuso del diritto di voto sia impugnando la deliberazione assembleare, sia ricorrendo alla tutela risarcitoria, mentre la società non può pretendere la modifica in via giudiziale del contratto sociale (cfr. Trib. Napoli 30.12.2015 in Corr. giur. 16,659; Trib. Alessandria 13.12.10, Foro it. 11, 627).
Di contro, la partecipazione nell'assemblea chiamata ad approvare il bilancio, anche in caso di dissidi tra soci tali da precludere qualunque decisione, è circostanza idonea a dimostrare la capacità di funzionamento dell'organo sociale, precludendo lo scioglimento della società, come nel caso di svolgimento dell'assemblea in costanza di dissidi tra i soci, essendo ciò dimostrazione di una residua o recuperata capacità di funzionamento dell'assemblea dei soci (cfr. Tribunale Firenze Sez. spec. in materia di imprese Ord., 05/03/2020, in Giur.it., 2020, 11, 2491, con nota di Formisani).
Anche nel caso di mancata approvazione e deposito dei bilanci per più esercizi, dovrà valutarsi se tali omissioni abbiano alla base una situazione che renda improbabile l'imminente ripristino del normale funzionamento dell'assemblea, in quanto solo in tal caso potrà dirsi integrata la fattispecie di continuata inattività assembleare che integra la causa di scioglimento della società di cui all'art. 2484, comma 1, n. 3, c.c. (cfr. Tribunale di Brescia, Decr., 24/06/2011).
Difatti, in relazione al caso di mancata approvazione del bilancio di esercizio quale sintomo dell'impossibilità di funzionamento dell'assemblea, si ritiene necessario che tale omissione concerna almeno due bilanci di esercizio, diversamente non potendosi affermare una definitiva impossibilità dell'assemblea di assumere decisioni fondamentali alla vita societaria, qualora l'assemblea non abbia approvato il bilancio relativo ad un solo esercizio (cfr. Corte d'Appello di Bologna, 18 maggio 1999; Trib. Bologna, 28 dicembre 1998; Trib. Brescia, 24 giungo 2011; Trib. Milano, 29 febbraio 2016).
E', quindi, necessario che la condizione di dissidio in essere tra i soci sia abituale e non occasionale nè prevedibilmente componibile, bensì univocamente indicativo di una irreversibile incapacità di funzionamento dell'organo assembleare (cfr. cit. Trib. Milano, 29 febbraio 2016, in Società, 2016, 10, 1088)[8].
L'inattività dell'assemblea, invece, consiste nella mancata riunione di essa ovvero nell'assenza di esplicazione di qualsivoglia attività.
Rispetto a tale fattispecie assumono rilievo le ragioni originarie che sono alla base della condizione di inattività dell'organo, allo scopo di accertare se la condizione di inattività derivi da una situazione definitiva oppure transitoria o, comunque, rimediabile attraverso l'adozione degli strumenti apprestati dall'ordinamento positivo per superare gli ostacoli al funzionamento medesimo (cfr. Tribunale Ancona Decr., 18/12/2014, in Società, 2015, 8-9, 1035).
Non è, infatti, rilevante la condizione di inattività per omessa convocazione da parte dell'amministratore sussistendone la facoltà in capo ai soci che rappresentino al meno un terzo del capitale sociale [9].
La continuata inattività dell'assemblea, dunque, potrà derivare o dalla perdurante mancata convocazione dell'assemblea o dalla perdurante diserzione dei soci e ciò che deve risultare concretamente impossibile è l'adozione di deliberazioni necessarie ed indispensabili al regolare svolgersi della vita societaria. Non basta quindi una mera mancanza di attività in senso inqualificato, occorre che l'inattività dell'assemblea abbia riflessi paralizzanti sulla vita della società e sulla sua normale conduzione (cfr. Trib. Biella, 25/11/05, n. 942/05 R.G.C. citato nel parere del Ministero dello Sviluppo Economico Prot. n. 94215 del 19/05/2014).
Fondamentale è, dunque, che entrambe le situazioni abbiano il carattere della continuità e persistenza affinchè possano assurgere a causa di scioglimento della società, essendo necessaria, non soltanto la difficoltà meramente temporanea, quand'anche derivante da una conflittualità in essere tra i soci, bensì che la stessa risulti non superabile e persistente anche nel tempo a seguire[10].
Deve, cioè, trattarsi di una impossibilità di funzionamento avente carattere irreversibile [11], laddove, di contro, l'omesso funzionamento di essa anche di lunga durata che, però, possa, comunque, evolversi positivamente non può assumersi quale causa di scioglimento della società.
Per questo motivo, nel mentre ai fini dell'accertamento della "inattività" è sufficiente un'analisi storica, l' "impossibilità dì funzionamento" esige un'indagine valutativa da parte del Giudice al fine di rilevare se effettivamente sia compromessa in maniera irreversibile l'operatività dell'organo deliberativo, così da paralizzare le funzioni dell'ente[12] [13], nè che la paralisi deliberativa sia superabile con l'applicazione di altri strumenti giuridici (cfr. Cass. n. 5498/1992., per cui l'irreversibilità che deve caratterizzare il dissidio tra i soci, per poter rilevare quale causa di scioglimento della società, deve escludersi "quando vi siano strumenti giuridici che, ove applicati, valgano a superare la situazione di paralisi"; nello stesso senso, Trib. Alessandria 13.12.2010 cit. e Trib. Milano 18.7.1991, Soc. 1991, 1709, che hanno statuito che l'impossibilità di funzionamento dell'assemblea di una società di capitali non può presumersi in base al fatto che l'amministratore della società sia stato revocato e che sia venuto meno l'organo deputato alla convocazione dell'assemblea, posto che, in mancanza di amministratore, l'assemblea può essere legittimamente convocata dal collegio sindacale se esiste o dal presidente del tribunale).
Necessariamente, dunque, la suddetta situazione di impossibilità dovrà scaturire da fattori interni alla società e alla sua compagine, che attestino indirettamente la sopravvenuta mancanza dell'interesse all'esercizio dell'impresa sociale (Trib. Salerno, 15.1.2008, in Corr. giur. 08, 412), mentre circostanze esterne ad essa - ancorché rendano impossibile il normale funzionamento dell'organo assembleare - non assumono valenza estintiva (cfr. in dottrina: Niccolini, Tr. Colombo Portale, 288).
La stabilità e la irreversibilità dell'incapacità dell'assemblea di assolvere alle proprie funzioni potrebbe emergere anche da dati oggettivi quali la litigiosità giudiziale (Tribunale di Prato 12.1.2010, G. comm. 11, II; 970), mentre non è fondamentale individuare quante assemblee siano andate deserte nel corso del tempo,' quanto, piuttosto, l'effettiva paralisi dei processi deliberativi, come tipicamente avviene in caso di stabile conflitto tra blocchi equipollenti di soci senza alcuna prospettiva di risoluzione.
3. In ogni caso, come innanzi si è accennato, entrambe le situazioni descritte rilevano giuridicamente quali cause di scioglimento societario soltanto quando l'organo assembleare appaia stabilmente ed irreversibilmente incapace di "assolvere le sue funzioni essenziali"[14] e, dunque, ometta di assumere deliberazioni che, per il loro contenuto si rivelino fondamentali per la vita societaria[15] di esclusiva prerogativa dell'assemblea ordinaria dei soci - l'unica competente ad adottare decisioni «necessarie» - in relazione alla quale unicamente si configurano solo in relazione all'assemblea ordinaria[16] (e non quella straordinaria: Tribunale di Prato, 17/12/2009, in Il caso.it, 2010; Trib. Pavia 17.9.1988, Soc. 1988, 1297).
Al riguardo, si fa comunemente riferimento alle delibere di approvazione del bilancio d'esercizio[17], di rinnovo delle cariche sociali, di nomina di un nuovo amministratore[18] ovvero di sostituzione dell'amministratore dimissionario da un anno [19], nel mentre non rileverebbe il mancato raggiungimento del quorum deliberativo necessario per porre volontariamente la società in liquidazione, dal momento che tale ipotesi non comporterebbe un'incapacità di funzionamento dell'organo assembleare, bensì una precisa volontà di non aderire alla proposta di scioglimento della società stessa [20].
4. Infine, circa il momento in cui esplica efficacia lo scioglimento della società di capitali, questo, a seguito della riforma del diritto societario ad opera del D.Lgs. 3/2006, verifica, ai sensi del comma 3 dell'art.2484 c.c., nel momento in cui viene iscritta nel registro delle imprese la causa di scioglimento preventivamente accertata dagli amministratori, o su richiesta di singoli soci o amministratori o dei sindaci, dal Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.
Ciò al fine essenziale di eliminare l'incertezza, per chiunque, sul momento in cui lo scioglimento si determina (come spiega la relazione illustrativa al D.Lgs.6/2003).
L'iscrizione nel registro delle imprese ha, dunque, valore di pubblicità costitutiva, rappresentando requisito necessario ed indispensabile affinché l'atto produca i propri effetti giuridici.
NOTE
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[1] "La messa in liquidazione di una società determina semplicemente una modifica dell'oggetto sociale, il quale diviene la liquidazione dell'attivo e la sua ripartizione tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali. Non avviene, invece, alcun mutamento della personalità giuridica della società, né la sostituzione di un soggetto di diritto ad un altro. Deve, pertanto, ritenersi ci sia piena continuità tra la società prima e dopo la liquidazione, cosicché gli atti compiuti prima della messa in liquidazione continuano a produrre effetti ed ad essere giuridicamente vincolanti per la società e i suoi soci.".
[2] Tanto si legge, al riguardo, nella relazione illustrativa al D.Lgs.3/2006:
"Particolarmente significativi sono inoltre gli interventi sul tema del ruolo assegnato ai soci ed alle loro decisioni nell'attività sociale. In proposito, ancora considerando la struttura fondamentalmente personalistica del tipo societario, la regola di principio è che spetta al contratto sociale determinare quali materie siano di loro competenza e che, d'altra parte, qualsiasi materia può essere sottoposta alla loro valutazione quando richiesto dagli amministratori o da un numero qualificato dei soci: così il primo comma dell'art. 2479.
In sostanza spetta al contratto sociale distribuire le competenze tra soci ed amministratori.
Si sono soltanto individuate con il secondo comma dell'art. 2479 alcune materie che data la loro particolare rilevanza non possono essere statutariamente sottratte alla competenza dei soci".
[3] cfr. Trib. Milano 26 giugno 2004, in Dir. e giust. 2005, 5, 33, secondo cui, nel caso di s.p.a. partecipata in modo paritario da due gruppi di soci, in presenza di un insanabile ed irreversibile contrasto tra i medesimi soci determinante la paralisi dell'organo assembleare, l'approvazione da parte dell'assemblea di delibere relative a materie neutre e tecniche non denota un ritorno al normale funzionamento dell'organo assembleare e non osta alla necessaria dichiarazione del verificarsi della causa di scioglimento della società per impossibilità di funzionamento dell'assemblea.
[4] cfr. cit. Tribunale di Milano, (decr.) 26.6.2004, in Corriere giur., 2005, 4, 546 con nota di Bruno, Scioglimento di società per azioni per impossibilità di funzionamento dell'assemblea.
[5] cfr. in dottrina: A. Paciello "Scioglimento e liquidazione", in AA.W., Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2003, 343.
[6] In questo caso di talchè il Tribunale, anche nell'interesse dei creditori, dovrà accertare la sussistenza della causa di scioglimento della società.
[7] Secondo App. Salerno, 3.5.2012, in ilcaso.it "concreta l'ipotesi di impossibilità di funzionamento dell'assemblea della società la circostanza che la vita sociale sia caratterizzata da una situazione di stabile conflitto tra blocchi equipollenti di soci, soprattutto nel caso in cui il contrasto fra i due blocchi di quote si trascini da lungo tempo e non emerga alcuna prospettiva di risoluzione della situazione di contrasto".
[8] "La mancata approvazione e il mancato deposito dei bilanci per più esercizi, in una situazione che rende improbabile l'imminente ripristino del normale funzionamento dell'assemblea, costituiscono una continuata inattività assembleare che integra la causa di scioglimento della società di cui all'art. 2484, comma 1, n. 3, c.c.." (cfr. Tribunale Brescia Decr., 24/06/2011)
[9] "Il socio di società a responsabilità limitata non può chiedere la dichiarazione giudiziale di scioglimento della società ai sensi degli artt. 2484 e 2485 c.c. al Tribunale allegando l'inattività dell'assemblea in quanto mai convocata dall'amministratore. Ciò in quanto si chiede un accertamento fondato su una inattività alla quale lo stesso ricorrente può porre rimedio, essendo il socio di s.r.l. con almeno un terzo del capitale legittimato a convocare l'assemblea" (cfr. Tribunale Milano Sez. spec. in materia di imprese Decr., 07/09/2017, in Società, 2018, 6, 712 nota di Breggia; Cacioll).
[10] Nel medesimo senso, cfr. Trib. Alessandria 13 dicembre 2010, in Foro it, 2011, I, 627; App. Catania 21 aprile 2008, in Foro it., Rep. 2009, voce Società, n. 885; Trib. Roma 25 settembre 2007, in Riv. dir. comm., 2008, II, 1; Trib. Ravenna 3 febbraio 2006, in Giur. it., 2006, 1875; App. Bologna 18 maggio 1999, in Giur. comìm., 2001, II, 430; per un'ipotesi particolare, cfr. Trib. Pisa 26 gennaio 2002, in Foro it., Rep. 2003, voce Società, n. 1174, per il quale l'oggettiva esistenza di una delibera di approvazione del bilancio, sia pure sub iudice perché approvata mediante esclusione dal voto di un socio, da parte del presidente dell'assemblea, sul presupposto di un conflitto di interessi con la società, costituisce elemento di fatto configgente con l'ipotesi dell'impossibilità di funzionamento dell'assemblea, posta a fondamento del ricorso ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere la nomina di un liquidatore. In dottrina, cfr. Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di Olivieri - Presti - Velia, Bologna, 2003, 359; Gaeta, L'impossibilità di funzionamento dell'assemblea: necessità di un accertamento concreto, in Giur. mer., 2011, 750; nella disciplina previgente, Cavallo Borgia, Lo scioglimento e la liquidazione nella società per azioni, in P. Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, 17, Torino, 1985, 149.
[11] cfr.Cass.n.9267/1996: "In tema di scioglimento delle società di capitali, il decreto del presidente del tribunale che nomina i liquidatori nelle ipotesi previste dall'art. 2450, comma 3, c.c., è un provvedimento di volontaria giurisdizione che presuppone che non sia controversa tra le parti la situazione di fatto circa la sussistenza della causa di scioglimento, per impossibilità di funzionamento o per continuata inattività dell'assemblea, a norma dell'art. 2448, n. 3, c.c. Tale impossibilità di funzionamento dell'assemblea ricorre solo quando l'organo assembleare appaia stabilmente ed irreversibilmente incapace di assolvere le sue funzioni essenziali, mentre il mancato raggiungimento del quorum deliberativo necessario al fine di porre volontariamente la società in liquidazione non implica che l'assemblea sia divenuta incapace di funzionare, bensì soltanto che essa non ha inteso aderire alla proposta di scioglimento dell'impresa."
[12] Restano, Impossibilità di funzionamento dell'assemblea e scioglimento della società: profili procedurali. Dunque, non «è sufficiente il mancato funzionamento dell'assemblea, ma è necessario che a questa circostanza obbiettiva si accompagni l'impossibilità del funzionamento medesimo» (così Cass., 8.5.1992, n. 5498, in Riv. dir. comm., 1993, 190).
In tal senso «mentre nel caso di continuata inattività è richiesto un giudizio di mero fatto che guardando al passato verifichi semplicemente l'esistenza della prolungata inerzia dell'assemblea» nell'impossibilità di funzionamento si deve «procedere ad una valutazione circa l'insuperabilità del mancato funzionamento dell'assemblea stessa nel futuro» (così, Gaeta, L'impossibilità di funzionamento dell'assemblea: necessità di un accertamento concreto, 751). Cfr. App. Firenze, (ord.) 26.4.2001, in Giur. comm., 2003, 3, II, 368 con nota di Pinto, In tema di nomina giudiziale dei liquidatori e di impossibilità di funzionamento dell'assemblea. Cfr. Cass., 26.8.2004, n. 16999, in Soc., 2005, 599 con nota di Cardarelli, Contrapposizione insanabile tra i soci e causa di scioglimento della s.r.l. Si afferma in motivazione che «il presidente (
) accertò che sui punti all'ordine del giorno e sulla proposta di deliberare non era stato raggiunto il quorum necessario e che l'assemblea non era quindi in grado di funzionare.
[13] Il Tribunale di Alessandria (Decreto, 13/12/2010 in Foro It., 2011, 2, 1, 627) conferma la necessità di dare luogo ad un giudizio prognostico circa la possibilità di risolvere i contrasti tra i soci determinanti l'impossibilità di funzionamento dell'assemblea onde verificare il carattere irreversibile e definitiva di essa.
[14] cfr. Trib, Biella, decr., 4 giugno 2004, in questa Rivista, 2005, 893 s., nell'ipotesi di inerzia degli, amministratori ciascun sindaco singolarmente è legittimato a proporre ricorso al Tribunale ex art. 2485, comma 2, c.c..
[15] cfr. Cass. n. 9267/1996; Cass. n. 11109/1993; Cass. n. 5498/1992; App. Cagliari 4.3.2000, Riv. Giur. Sarda 2001, 9; Trib. Como 22.1.2000, Soc. 2000, 598.
[16] cfr. cit. Trib. Brescia 24 giugno 2011, in Corr. mer., 2012, 24; Trib. Pavia 11 settembre 1988, in questa Rivista, 1987, 1297; Trib. Roma 11 luglio 1984, in Foro it., 1985, I, 870.
[17] Trib. Bologna 28.12.1998 e App. Bologna 18.5.1999, Gco 2001, II, 430; Trib. Napoli 12.1.1993 Dir. Giur. 1994, 402; Trib. Cassino 11.10.1991 Soc. 1992, 677; Trib. Roma 11.7.1984 F. it. 1985, I, 870; Trib. Roma 28.11.1984 Soc. 1985, 1180; Trib. Ascoli Piceno 27.9.1983 Soc. 1984, 675; Trib. Ascoli Piceno 7.8.1982 DF 1983, II, 209; Trib. Modena 5.4.1983 Soc. 1983, 1156; App. Firenze 23.1.1982 Soc. 1982, 1144; Trib. Grosseto 26.4.1980 DF 1980, II, 304; Trib. Milano 20.5.1985 Soc. 1985, 1190; Trib. Cagliari 9.8.1976 F it. 1976, I, 2478; più di recente, Trib. Milano 26.6.2004 Corr. Giur. 2005, 4, 546 ss; Trib. Prato 12.1.2010, Soc. 2010, 559 ss e, con data 17.1.2009, F. it. 2010, I, 2253 ss; Trib. Alessandria 13.12.2010 F. it., 2011, I, 627), Trib. Pavia, 11/09/1988, in Le Società 1987, 1297; Trib. Roma 11/07/1984, in Foro.it, 1985, I, 870.
[18] Per Trib. Milano 18 luglio 1991, in :Giur. comm., T992,- il, 626, la mancata nomina del nuovo amministratore nella medesima assemblea che ha revocato quello in carica non costituisce per sé causa di scioglimento della società per impossibilità di funzionamento.
[19] Trib. Roma 11 luglio 1984, in Foro it., 1985, I, 870
[20] cfr. Cass. 24 ottobre 1996, n. 9267.