Il G.M.O. di licenziamento nell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, a seguito del recente intervento della Corte Costituzionale: analisi di una pronuncia, tra falsi proclami e prospettive di tutela
Pubblicato il 14/04/21 00:00 [Articolo 1725]
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La fattispecie sostanziale e la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Ravenna. - 3. La pronuncia della consulta. - 4. Considerazioni conclusive.
Il presente articolo si pone l'obbiettivo di analizzare, senza pretesa di esaustività alcuna, la recente sentenza Corte Cost., 1° aprile 2021, n. 59, resa dalla Consulta sull'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, nel tentativo di valutarne l'effettiva portata applicativa, a prescindere dagli enfatici proclami diffusi da numerosi quotidiani, e la complessiva coerenza, alla luce dei recenti approdi della giurisprudenza costituzionale in materia di licenziamenti individuali.
1. Introduzione
Prima di calarci nell'analisi della fattispecie, che ha portato il Tribunale di Rimini a sollevare la questione di legittimità costituzionale, e delle motivazioni, poste dalla Consulta a fondamento della sentenza in esame, è bene ricordare che il recente intervento della Corte Costituzionale non rappresenta un unicum in materia, essendosi la Consulta già pronunciata, nel recente passato, sul tema della legittimità costituzionale della disciplina dei licenziamenti individuali.
Nel settembre 2018, a pochi giorni dall'entrata in vigore del D.L. 12 luglio 2018 n. 87, convertito in Legge 9 agosto 2018 n. 96[1], la Consulta[2], a fronte della questione sollevata a suo tempo dal Tribunale di Roma[3], ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art 3 comma I del Dlgs. 23/2015[4], nella parte in cui prevedeva un sistema fisso di calcolo dell'indennizzo liquidabile al lavoratore danneggiato da un licenziamento privo di "giustificatezza".
Ancor prima, con la sentenza Corte Cost., 23.04.2018, n. 86[5], la Consulta ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, nella parte in cui prescriveva al datore di lavoro, che non avesse dato seguito all'ordine di reintegra provvisoria del lavoratore, a seguito di formare costituzione in mora, di risarcire il danno cagionato a quest'ultimo.
Da questa breve rassegna sulla recente giurisprudenza costituzionale, in materia di licenziamenti individuali, emerge chiaramente un dato: le recenti questioni di costituzionalità, sollevate in relazione alla disciplina dell'art 18 legge 20 maggio 1970 n. 300 (riformato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92) e del Dlgs 23/2015, vertono, nella maggior parte dei casi, sul tema della disparità di trattamento tra lavoratori assunti prima e dopo la data del 7 marzo 2015, ovvero tra la disciplina in materia di licenziamenti disciplinari e quella riferita ai licenziamenti economico- organizzativi[6]. L'art 3 comma 1 diviene così il principale grimaldello, di cui si serve la giurisprudenza per sindacare la legittimità costituzionale della disciplina dei licenziamenti individuali, nell'ambito di un'interpretazione correttrice, volta ad adeguare il disposto della norma alle nuove esigenze palesate dal mercato del lavoro e dalle parti sociali.
Ciò premesso, in questo quadro complessivo, caratterizzato dal susseguirsi di interventi legislativi, seguiti, a breve distanza, da pronunce giurisprudenziali di costituzionalità, la Corte Costituzionale è tornata a pronunciarsi in materia di licenziamenti individuali, dopo essere stata investita della questione di legittimità dal Tribunale di Ravenna[7]. Con la sentenza Corte Cost., 1° aprile 2021, n. 59, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, così come modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92[8], nella parte in cui prevede che il giudice, accertata la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, "può applicare" e non "deve" applicare la tutela reintegratoria attenuata.
Procediamo, quindi, con ordine nell'analisi della pronuncia della Consulta, muovendo dall'esame della fattispecie che ha indotto il Tribunale di Ravenna a sollevare questione di legittimità costituzionale in merito al disposto dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300.
2. La fattispecie sostanziale e la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal tribunale di Ravenna
La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Ravenna, trae spunto dall'opposizione proposta, ex art 1 commi 51-57 della legge 28 giugno 2012 n. 92[9], da un lavoratore, nei confronti dell'ordinanza con la quale, il medesimo Tribunale, a conclusione della fase sommaria del cd. "rito Fornero"[10], ha accertato l'illegittimità di tre licenziamenti, comminati a vario titolo nei suoi confronti (due per giusta causa e uno per giustificato motivo oggettivo), disponendone l'immediata reintegra e condannando il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria, ai sensi e per l'effetto dell'art 18 commi VI e VII della legge 20 maggio 1970 n. 300.
Per quanto l'ordinanza sommaria, pronunciata dal Tribunale di Ravenna faccia riferimento all'intera fattispecie sostanziale (caratterizzata da ben tre licenziamenti, disposti a breve distanza l'uno dall'altro), l'opposizione formulata dal datore di lavoro risulta limitata alla sola parte del provvedimento concernente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, nello specifico, alla condanna dell'opponente al pagamento dell'indennità risarcitoria, quale conseguenza dell'accertata insussistenza dei fatti posti che giustificavano il recesso datoriale.
Muovendo dalla descritta fattispecie sostanziale, il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 7 febbraio 2020, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, nella parte in cui dispone che: il giudice, accertata la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, "può altresì" applicare, e non "deve applicare", la tutela reintegratoria attenuata, di cui al precedente comma IV della medesima norma. La questione di legittimità costituzionale dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300 è stata sollevata dal Tribunale rimettente per il presunto contrasto con il disposto degli artt. 3 comma I° Cost., 41 comma I° Cost, 24 e 111 II° comma Cost..
Calandoci nel dettaglio delle questioni di legittimità, il Tribunale rimettente denuncia, in primo luogo, il contrasto dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300 con il disposto dell'art 3 comma I° Cost., nella parte in cui affida al giudice, una volta accertata l'insussistenza dei fatti posti a fondamento del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, la scelta tra l'applicazione della tutela reintegratoria attenuata (di cui all'art 18 comma IV° legge 300/1970) e quella indennitaria (di cui all'art 18 comma V° legge 300/1970).
Secondo il Tribunale di Ravenna l'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, darebbe luogo ad un'immotivata e non condivisibile disparità di trattamento tra due fattispecie sostanzialmente affini: da un lato quella della manifesta insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, per cui l'art 18 comma IV° legge 300/1970 prevede la reintegrazione del lavoratore[11]; dall'altro quella dell'insussistenza dei fatti posti a fondamento del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in cui viene rimessa al Giudice ampia discrezionalità nella scelta tra tutela indennitaria e tutela reintegratoria.
Come rilevato dal Tribunale rimettente, la giurisprudenza di legittimità, al fine di colmare l'assenza, nel disposto dell'art 18 comma VII° dello Statuto dei Lavoratori, di criteri utili ad orientare la scelta discrezionale del giudice, ha richiamato il principio di eccessiva onerosità del risarcimento in forma specifica, previsto dall'art 2058 comma 2 c.c., al fine di giustificare la sostituzione della reintegrazione con il distinto rimedio della tutela indennitatia. Tale principio, proprio della responsabilità civile, è stato esteso dalla giurisprudenza in materia contrattuale[12] e, come tale, viene applicato anche in ambito giuslavoristico[13], al fine di consentire al giudice di valutare, alla luce dell'organizzazione assunta dall'impresa, la sostenibilità della reintegrazione o, in alternativa, la sostituibilità della stessa con la tutela indennitaria.
Ciò premesso, il Tribunale rimettente ritiene che la diversità di motivazioni (disciplinari e economico- organizzative), poste a fondamento del recesso datoriale, non possa giustificare la difformità di trattamento tra fattispecie sostanzialmente identiche, posto che, il vizio inficiante la legittimità del licenziamento (ossia la manifesta insussistente del fatto posto a giusiticazione del recesso datoriale) resta comunque il medesimo.
Seconda questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Ravenna, attiene al presunto contrasto tra l'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300 e l'art 41 comma I° Cost, nella parte in cui, la prima norma, subordina l'applicazione della reintegrazione del lavoratore ad una valutazione discrezionale del giudice, il quale verrebbe, pertanto, investito di un potere decisionale tipicamente imprenditoriale. La discrezionalità giudiziale nell'individuazione della tutela applicabile alla singola fattispecie, in quanto condizionata all'esito di una preventiva valutazione sella struttura organizzativa aziendale e sulla sostenibilità della reintegra, rischierebbe di attrarre, nell'ambito del sindacato giudiziale, valutazioni tipicamente datoriale (in quanto riferibile all'organizzativa dell'attività d'impresa), sovrapponendo due piani che devono, necessariamente, rimanere distinti.
Terzo vizio di legittimità, denunciato dal Tribunale rimettente, concerne la presunta incompatibilità dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, con l'art 24 Cost. A tal proposito, osserva il Tribunale di Ravenna, la scelta del giudice di non applicare la tutela reintegratoria attenuata, in presenza di una fattispecie di licenziamento viziata dalla manifesta insussistenza del fatto, fondante il giustificato motivo oggettivo di recesso, rischierebbe di tradursi in un secondo licenziamento del lavoratore, comminato "ope iudicis", non assistito dalle garanzie procedimentali, di cui all'art 7 della legge 15 luglio 1966 n. 604[14], e dalla possibilità di impugnare il recesso, con conseguente limitazione del diritto di azione del lavoratore coinvolto.
Quarta ed ultima questione, sollevata dal Tribunale di Ravenna, attiene all'illegittimità costituzionale dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300 per contrasto con il disposto dell'art 111 comma 2 Cost., laddove la prima norma imporrebbe al giudice, nell'individuazione della tutela applicabile, di assumere il ruolo tipico di una parte in causa, nello specifico, del datore di lavoro, senza fornirgli criteri idonei ad orientare la propria scelta. Così facendo la norma scalfirebbe la garanzia costituzionale dell'imparzialità e terzietà del giudicante.
3. La pronuncia della consulta
Passati in rassegna i profili di illegittimità costituzionale, sollevati dal Tribunale di Ravenna, caliamoci ora nell'analisi della pronuncia della Consulta, la quale, in considerazione della dettagliata ordinanza rimettente, sorprende per la laconicità della sua motivazione, incentrata, quasi esclusivamente, sull'analisi della disparità di trattamento tra licenziamenti disciplinari, viziati dalla manifesta insussistenza della giusta causa, o del giustificato motivo soggettivo, di recesso e licenziamenti radicalmente privi del motivo economico- organizzativo determinante.
In apertura della trattazione, la Corte Costituzionale rileva la disarmonia insita nel disposto dell'art 18 dello Statuto dei lavoratori, nella parte in cui prevede due forme di tutela differenti per il caso in cui la manifesta insussistenza dei fatti, posti a fondamento del recesso, sia stata accertata con riferimento ad un licenziamento disciplinare, ovvero ad un licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. A tal proposito la Consulta osserva che: mentre in caso di licenziamento disciplinare, viziato dalla manifesta insussistenza del fatto, il legislatore del 2012 prescrive l'applicazione della tutela reintegratoria attenuata, nella fattispecie di licenziamento economico-organizzativo lo stesso rimette alla discrezionalità del giudicante la scelta tra tutela reintegratoria attenuata e tutela indennitaria.
In tale disomogeneo quadro normativo, osserva la Consulta, la qualificazione formale del licenziamento (in termini di recesso disciplinare o economico- organizzativo) assume, a conti fatti, una sostanziale funzione discriminante, quanto all'obbligatorietà o facoltatività della reintegrazione, la quale, tuttavia, non trova giustificazione alla luce dell'analogia del vizio che viene in rilievo. L'insussistenza del fatto materiale, posto a fondamento del recesso, rientra, infatti, per sua stessa natura, tra i vizi di illegittimità del recesso maggiormente gravi, in quanto contrastano sensibilmente con il principio di necessaria giustificazione dei licenziamento, riaffermato dalla stessa Corte Costituzionale nell'interpretazione degli artt. 4 e 35 Cost.[15]
Non è pertanto condivisibile la differenziazione nel trattamento sanzionatorio, tra licenziamenti discriminatori e licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, prevista dal riformato art 18 legge 20 maggio 1970 n. 300, laddove entrambi risultino viziata dall'accertata insussistenza del fatto materiale giustificante il recesso.
Tanto premesso, la Corte Costituzionale prosegue chiarendo che: nell'ambito del riformato art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300 la scelta tra due forme di tutela profondamente diverse, quali sono la tutela reintegratoria attenuata e quella indennitaria, appare sostanzialmente rimessa alla piena discrezionalità del giudice, non essendo previsto alcun criterio normativo, idoneo a supportarne la cognizione. In tal senso appare sprovvista di qualsivoglia fondamento l'interpretazione integrativa sostenuta da una parte della giurisprudenza di legittimità[16], in base alla quale: nell'individuazione del trattamento applicabile ad un licenziamento per giustiziato motivo oggettivo, viziato dall'accertata infondatezza del fatto, il giudice deve far riferimento al criterio civilistico dell'eccessiva onerosità della reintegrazione, valutando la possibilità di sostituire la tutela in forma specifica con quella per equivalente. Alla luce di tali considerazioni, prosegue la Corte, la discrezionalità rimessa al giudice dall'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, risulta priva di un valido criterio orientativo, vanificando l'intento stesso del legislatore del 2012, il quale intende circoscrivere, entro parametri certi e prevedibili, il sindacato giudiziale, al fine di garantire prevedibilità e chiarezza nel procedimento di individuazione della sanzione applicabile alla fattispecie concreta.
4. Considerazioni conclusive
A discapito degli enfatici annunci, apparsi in numerosi quotidiani e trasmissioni televisive, l'apporto innovativo della sentenza in esame sul disposto dell'art 18 dello Statuto dei lavoratori e, più in generale, sulla disciplina dei licenziamenti individuali, appare alquanto modesto ma, a mio modesto avviso, non privo alcuna rilevanza.
La declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art 18 comma VI°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto contestato al lavoratore, "può " e non "deve" applicare la tutela reintegratoria attenuata, ripristina, infatti, una coerenza interna alla disciplina dei licenziamenti individuali, assoggettati al cd. rito "Fornero", garantendo un'uniforme risposta sanzionatoria dell'ordinamento a fattispecie di recesso, interessate dal medesimo vizio di legittimità. L'effetto positivo, conseguente alla pronuncia della Consulta, dovrebbe potersi apprezzare sul versante della prevenzione dei dubbi applicativi, che affliggevano il giudicante nell'individuazione della tutela applicabile ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, viziato dalla manifesta insussistenza del fatto che giustificava il recesso. Viene così semplificato il panorama delle tutele applicabili a quest'ultima fattispecie, posto che, in presenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso, l'interprete potrà: - applicare la tutela reintegratoria attenuata, ove ritenga il licenziamento viziato dalla manifesta insussistenza del fatto; - applicare la tutela indennitaria, laddove accerti la semplice carenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Ciò premesso ritengo, comunque, condivisibili le criticità sollevate da autorevole dottrina[17], in merito alla contraddittorietà tra le conclusioni della sentenza in esame e quelle a cui è pervenuta la Consulta, nella precedente pronuncia Corte Cost., 8 novembre 2018, n. 194. In di quest'ultima sentenza, infatti, la Consulta, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del disposto dell'art 3 comma I del Dlgs 23/2015, nella parte in cui veniva predeterminato, rigidamente, il sistema di calcolo dell'indennità liquidabile al lavoratore danneggiato, ponendo l'accento sulla necessità di garantire una maggiore discrezionalità nell'applicazione della tutela prescritta dal legislatore.
Con la recente sentenza Corte Cost., 1 aprile 2021, n. 59, invece, la Consulta perviene a conclusioni diametralmente opposte in punto di discrezionalità del giudicante, affermando l'illegittimità costituzionale dell'art 18 comma VII°, II° periodo, della legge 20 maggio 1970 n. 300, proprio nella parte in cui rimette al giudice la scelta tra tutela reintegratoria attenuata e tutela indennitaria.
A difesa di quest'ultimo approccio della Consulta si potrebbe obbiettare che un conto è concedere maggiore discrezionalità al giudice nella quantificazione dell'indennità da liquidare ad un lavoratore, altro è estendere la stessa all'individuazione dello strumento di tutela (indennizzo in luogo di reintegra), applicabile alla singola fattispecie.
Quest'ultimo profilo, ad ogni modo, avrebbe richiesto una specifica motivazione da parte Consulta, la quale, sul punto, appare francamente laconica, non dando conto delle ragioni che giustificano la decisione di uniformare, in senso maggiormente rigido, le tutele previste dall'art 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300.
NOTE
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[1] Disciplina con cui il legislatore, in materia di licenziamenti individuali di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, ha modificato il disposto dell'art 3 del Dlgs. 23/2015, prevedendo, in caso di licenziamenti privi di giustificato motivo oggettivo, soggettivo o giusta causa, un innalzamento della tutela indennitaria, passando dalla precedente soglia, compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, all'attuale fissata tra un minimo di 6 e un massimo di 36 mensilità.
[2] Corte Cost., 8 novembre 2018, n. 194 in ilgiuslavorista.it, 14 novembre 2018, con nota di P. LUIGI, la Corte costituzionale e l'indennità da licenziamento illegittimo nel sistema del Jobs Act.
[3] Trib. Roma, Sez. III Lavoro, ord. 26.07.2017, in Rivista italiana di Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, Fasc. 4, pp. 768 s.s., con nota di G. PROIA.
[4] Il Dlgs 23/2015, dedicato al tema dell'illegittimità dei licenziamenti individuali di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, si inserisce nella più ampia manovra di riforma del mercato del lavoro, meglio nota con il nome di "Jobs Act", varata dall'allora Esecutivo Renzi, e strutturata in 7 complessivi interventi. Al citato Dlgs. 23/2015 si sono aggiunti, infatti: il Dlgs. 80/2015, con il quale sono state introdotte una serie di misure, volte a conciliare lavoro e vita privata, tra cui il noto telelavoro; il Dlgs. 81/2015, con cui il legislatore ha definitivamente abolito i co.co.pro ed ha riformato il disposto dell'art 2103 c.c., in materia di mutamento di mansioni e trasferimenti ; il Dlgs. 148/2015 sul riordino degli ammortizzatori sociali durante la pendenza del rapporto di lavoro; il Dlgs. 149/2015 volto a razionalizzare e semplificare le misure ispettive in materia di lavoro; il Dlgs. 150/2015, dedicato al riordino delle disposizioni in materia di servizi lavorativi e politiche attive ed, infine, il Dlgs. 151/2015, volto a riformare le procedure e gli adempimenti lavorativi a carico di cittadini ed imprese.
[5] Corte Cost., 23 aprile 2018, n. 86 in Diritto e Giustizia, 9 novembre 2018, con nota di G. MARINO, Il Jobs Act è incostituzionale, ecco perché. Sul punto si veda anche G. BORELLI, licenziamento illegittimo: l'atteso intervento della Corte Costituzionale, in Giuricivile 2018, 11, ISSN 2532-201X, nota a Corte Cost., 8/11/2018, n. 194 e C.J.FAVALORO e R. VANNOCCI, Sentenza n. 194 della Corte Costituzionale: facciamo un po' di chiarezza, in Sintesi, Ordine dei consulenti del lavoro- Consiglio provinciale di Milano, Milano, pp. 16, 17
[6] P. ICHINO, Licenziamenti: quando la Consulta pecca di provincialismo, in www.pietroichino.it;
[7] Trib. Ravenna, ord., 2 febbraio 2020, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2020, Vol. 30, fasc. 3, con nota di V. FERRANTE, E' costituzionalmente legittimo consentire al giudice di scegliere fra reintegra e indennizzo nel caso di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo? (nota a Trib. Ravenna, ord. 7 febbraio 2020), pp. 855- 863. Sul punto si veda anche C. PISANI, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2020, Vol. 30, fasc., 3, Dubbi (infondati) sulla costituzionalità del "può" reintegrare ex art 18 Stat. lav. (nota a Trib. Ravenna, ord. 7 febbraio 2020), pp. 863- 870.
[8] L'art 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 è stato fortemente riformato dalla L 92/2012, la quale ha parzialmente riscritto la norma, modificando il sistema di tutele riservate ai lavoratori dipendenti di datori che integrino i requisiti dimensionali prescritti per l'applicazione della disciplina. Trattasi di quei datori di lavoro che impieghino, presso la medesima unità produttiva, più di quindici dipendenti, cinque se imprenditori agricoli, ovvero che abbiano alle proprie dipendenze, complessivamente, più di sessanta lavoratori, suddivisi in plurime unità produttive.
[9] Il quale disciplina il rito sommario, dedicato, in via esclusiva, all'impugnazione del licenziamento.
[10] Trattasi del rito speciale, introdotto dall'art 1 della legge 92/2012, per l'impugnazione dei licenziamenti comminati nei confronti di quei lavoratori, il cui contratto sia ancora assoggettati all'art 18 dello Statuto dei lavoratori, così come riformato dalla Legge Fornero. Il rito prevede, in particolare, una prima fase sommaria, limitata alla sola impugnazione del licenziamento, cui segue un'eventuale opposizione, da proporsi entro 30 giorni, avanti al medesimo Tribunale, nel caso, l'ulteriore ricorso in appello.
[11] L'art 18 comma IV legge 20 maggio 1970 n. 300 prevede, infatti, che il giudice, nelle ipotesi in cui accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo, o della giusta causa, per manifesta insussistenza del fatto contestato, ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una misura conservativa, annulla il licenziamento, condannando il datore alla reintegrazione del lavoratore in servizio, nonché al pagamento di un'indennità risarcitoria, fino a 12 mensilità, commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dedotto quanto percepito dal lavoratore (cd. aliunde perceptum) e quanto avrebbe potuto percepire (cd. aliunde percepiendum), nel periodo di illegittima estromissione lavorativa. A ciò si aggiunga l'obbligo, per il datore di lavoro, di rifondere al lavoratore, illegittimamente licenziato, i contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegra. La tutela reintegratoria attenuata trova applicazione anche in caso di licenziamenti intimati per inidoneità fisica, o psichica, del lavoratore all'esercizio delle mansioni affidate, ovvero in caso di superamento del periodo di comporto, laddove venga accertata la carenza della giustificazione posta a fondamento del recesso datoriale.
[12] Così, Cass., 2 luglio 2010, n. 15726, in Guida al diritto, 2010, n. 35, p. 47 s.s.
[13] Così Cass., sez. lav., 2 maggio 2018, n. 10435, in Lavoro e previdenza oggi, 2018, Vol. 45, fasc. 7/8, pp. 481- 496, con nota di M. SALVAGNI, La Cassazione in funzione nomofilattica: l'obbligo di "repechage" fa parte del fatto e la sua violazione può comportare l'applicazione della tutela reale. Nota a sentenza: Corte di Cassazione, sez. lav., 2 maggio 2018, n. 10435;
[14] Procedura limitata ai soli licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, disposti, da datori di lavoro che soddisfino i requisiti dimensionali di cui all'art 18 legge 300/1970, nei confronti di lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015. Nella fattispecie all'esame del Tribunale di Ravenna, infatti, il lavoratore, illegittimamente licenziato, era stato assunto prima dell'entrata in vigore del Dlgs. 23/2015. Il procedimento, disciplinata dall'art 7 della legge 604/1966, prescrive al datore di lavoro, che intenda procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di dichiarare, preliminarmente, la propria intenzione di recedere dal contratto di lavoro, le relative motivazioni ed eventuali misure di ricollocazione all'Ispettorato territoriale del lavoro, mediante l'inoltro di una comunicazione scritta, da trasmettere in copia al lavoratore. L'ispettorato, entro sette giorni successivi alla comunicazione datoriale, provvederà a convocare le parti avanti alla relativa commissione di conciliazione, cercando, entro 20 giorni dall'avvenuta convocazione, di rinvenire una soluzione tra le stesse. In caso di fallimento del tentativo di convocazione, il datore di lavoro sarà libero di procedere al licenziamento del lavoratore, i cui effetti retroagiranno al tempo in cui l'Ispettorato ha ricevuto la comunicazione datoriale concernente l'intenzione di recedere dal contratto di lavoro.
[15] Corte Cost., 30 gennaio 2001, n. 41, in www.giurcost.org, la quale, pronunciandosi sulla richiesta di referendum popolare, indetto per l'abrogazione dell'art 18 commi I, II e III dello Statuto dei lavoratori, degli artt. 2 comma I e 4 comma II della legge n. 108 del 1990, nonché dell'art 8 della legge 504/1966, ha dichiarato l'ammissibilità del quesito referendario.
[16] Così Cass., sez. lav., 2 maggio 2018, n. 10435, op. cit.
[17] F. ROTONDI, Licenziamento economico: se il fatto oggettivo è manifestamente insussistente il giudice deve reintegrare, in www.ipsoa.it; P. ICHINO, La nuova sentenza della Corte Costituzionale scalfisce solo marginalmente la legge Fornero, confermando per il resto l'impianto della nuova disciplina del recesso datoriale; ma nella sua motivazione vedo un'incoerenza poco difendibile rispetto alla sentenza del 2018 della stessa Corte sul Jobs Act, in Il Foglio, 2 aprile 2021. In tale articolo l'Autore evidenzia l'opportunità che Corte desse conto, in motivazione, delle ragioni per cui ha ritenuto di estendere, in senso rigido, l'obbligatorietà della tutela reintegratoria ai licenziamenti economico- organizzativi, viziati per insussistenza del fatto materiale contestato, e non di estendere la discrezionalità del giudice in materi di licenziamenti disciplinari, uniformando, in tal modo, il nostro ordinamento all'indirizzo indennittario, diffuso nella prevalenza degli ordinamenti comunitari. Su quest'ultimo punto si vedano le autorevoli argomentazioni di P. ICHINO, Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento e il contenuto assicurativo del contratto di lavoro, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2018, n. 4, pp. 545- 561.