Il Ministro della Giustizia il 7 dicembre u.s. ha firmato la bozza di decreto che apporta modifiche al D.M. n. 55/2014 (regolamento parametri forensi) che è stata quindi trasmessa al Consiglio di Stato per il parere di competenza.
L'unico (e avrebbe potuto/dovuto non esserlo) elemento di vera novità della bozza è l'introduzione di una tabella specifica (n. 25 bis) indicante il compenso liquidabile all'avvocato per l'attività professionale svolta nei procedimenti di mediazione e di negoziazione assistita.
In tale tabella vengono previsti i valori numerici medi del compenso, variabili a seconda dei soliti sei scaglioni di valore, per ciascuna delle fasi della mediazione e negoziazione assistita che vengono identificate come quella: dell'attivazione, della negoziazione, della conciliazione.
La novità introdotta comprende però anche due anomalie.
La prima, esplicita, è che tale nuova tabella preveda, tra le fasi, anche quella della "conciliazione" che in realtà è un evento e avrebbe semmai giustificato una maggiorazione percentuale dell'importo previsto per la precedente fase di negoziazione (così come previsto per i giudizi contenziosi dall'art. 4, comma 6, del D.M. 55/2014):
"Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta.".
La seconda, implicita, è che la discrezionalità del giudice nel liquidare il compenso dell'avvocato, nel caso di conciliazione raggiunta in sede di mediazione o negoziazione assistita, finisca per essere prevista sotto forma di possibile maggiorazione o diminuzione del valore medio di tabella così come stabilito dall'art. 19, comma 1, secondo periodo, D.M. 55/2014:
"Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alla tabella allegata, che, in applicazione dei parametri generali, possono, di regola, essere aumentati fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento".
e non come percentuale liberamente determinabile in forza dell'inciso "fino a
" come invece previsto nell'art. 4, comma 6, sopra riportato.
Oltretutto, a voler essere pignoli, si doveva forse modificare anche il testo dell'appena citato comma che fa riferimento ad una sola tabella dell'attività stragiudiziale che invece ora diventano due, come segue: "alle allegate tabelle" al posto di "alla tabella allegata".
Rimane però ancora sul tavolo il problema del titolo e delle modalità con i quali debbano essere richiesti, nel rapporto cliente/controparte (nel rapporto avvocato/cliente il problema non si pone, Cass. civ., sez. III, 6 settembre 1999, n. 9400), i compensi indicati nella nuova tabella.
Salvo rare eccezioni della giurisprudenza di merito (Trib. Modena, sez. II, 9 marzo 2012, n. 479):
"Stante la riconducibilità eziologica del procedimento di composizione della lite all'accertato inadempimento del convenuto, in forza del principio di causalità le spese sostenute per l'obbligatoria mediazione sono recuperabili dal vincitore, in quanto esborsi (art. 91 c.p.c.)"
la giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 10 luglio 2017 n. 16990) in tema di spese legali preprocessuali ragiona in termini di depauperamento del patrimonio della parte vittoriosa e di conseguente necessità di evitarlo disponendo un obbligo di risarcire tale danno:
"Ritengono queste sezioni unite di dover ribadire, in continuità con giurisprudenza delle sezioni semplici (Cass. n. 997 del 2010) anche recentissima (Cass. n. 6422 del 2017), che il rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale ha natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale in detta fase pre-contenziosa. L'utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio. Da ciò consegue il rilievo che l'attività stragiudiziale, anche se svolta da un avvocato, è comunque qualcosa d'intrinsecamente diverso rispetto alle spese processuali vere e proprie. Ne deriva che, se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, essa resta soggetta ai normali oneri di domanda, allegazione e prova secondo l'ordinaria scansione processuale, al pari delle altre voci di danno emergente.".
Non sarebbe quindi sufficiente nella fase contenziosa la mera richiesta di condanna alla refusione delle spese di lite, ritenendovi ricomprese anche quelle stragiudiziali, né tantomeno il giudice dovrebbe provvedervi d'ufficio ex art. 91 c.p.c.
In altre parole, per ottenerle, la parte dovrebbe dedurre la specifica voce di danno costituita dal compenso professionale dovuto al proprio avvocato per l'assistenza nella fase preprocessuale (e quindi anche in quella di mediazione o negoziazione assistita), chiederne il correlativo risarcimento, e assolvere poi all'onere probatorio (art. 2697 c.c.) gravante a suo carico.
In realtà, le stesse SU mostrano di non essere nemmeno certe si tratti sempre di danno emergente:
"Il che comporta che la corrispondente spesa sostenuta non è configurabile come danno emergente e non può, pertanto, essere riversata sul danneggiante quando sia, ad esempio, superflua ai fini di una più pronta definizione del contenzioso, non avendo avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Cass. n. 9548 del 2017). Ne deriva che non è corretta affermazione di taluna giurisprudenza (Cass. n. 14594 del 2005) secondo cui le spese legali dovute dal danneggiato/cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale possono formare oggetto di liquidazione con la nota di cui all'art. 75 disp. att. c.p.c. (Cass. n. 14594 del 2005), dovendo invece formare oggetto della domanda di risarcimento del danno emergente nei confronti dell'altra parte con le preclusioni processuali ordinarie nei confronti delle nuove domande.".
Altra giurisprudenza di legittimità, citata dalle stesse S.U., al contrario, non pare aver dubbi che si tratti sempre di una voce di danno il cui obbligo risarcitorio non potrebbe tuttavia essere posta a carico del danneggiante in modo automatico ma solo allorchè siano necessarie e giustificate, "limiti, questi, che si desumono dal potere del giudice (art. 92, comma 1, c.p.c.) di escludere le spese eccessive o superflue, ed applicabili anche agli effetti della liquidazione nel danno in questione" (Cass. civ., sez. III, 6 settembre 1999, n. 9400):
"Tanto premesso, ritiene questa Corte di dover ribadire, in continuità con la citata sentenza n. 997 del 2010, che il danno del quale è stato chiesto il risarcimento ha natura di danno emergente, consistente nella spesa sostenuta per l'attività stragiudiziale svolta dall'agenzia incaricata di simili pratiche. L'utilità di tale esborso, ai fini della possibilità di porlo a carico del danneggiante, deve essere valutata ex ante, cioè in vista di quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito futuro del giudizio." (Cass. civ., ordinanza 13 marzo 2017, n. 6422).
Fermo e impregiudicato l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui:
"l'attività stragiudiziale, anche se svolta da un legale, è comunque un qualcosa di intrinsecamente diverso rispetto alle spese legali vere e proprie." (Cass. civ, ordinanza 13 marzo 2017, n. 6422).
Sennonché, a prescindere dalla concreta utilità dell'esborso per l'attività svolta da un legale in una fase precontenziosa, pare che un'ipotesi di danno emergente riferibile alle spese legali stragiudiziali non sia affatto configurabile, a prescindere, mancando il comportamento illecito posto in essere dalla parte soccombente nella fase giudiziale.
Essa, infatti, ha semplicemente aspirato ad un provvedimento favorevole esercitando il suo legittimo diritto, anche costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), di agire in giudizio; che tale rimane anche se il giudice successivamente gli avrà dato torto. Sarebbe quindi, semmai, più corretto parlare di indennità, perché il comportamento è lecito, sempre che non sfori in un abuso che possa pregiudicare quanto previsto dall'art. 111 Cost.
In realtà quello che non convince è proprio la differente qualificazione giuridica dell'attività dell'avvocato a seconda che essa sia stata prestata in sede giudiziale o stragiudiziale (poi sfociata in quella giudiziale).
Una volta che le spese legali affrontate siano state ritenute funzionali alla difesa della parte, pare, infatti, errato differenziare il fondamento per la loro imputabilità a seconda che esse siano maturate nella fase stragiudiziale o in quella, successiva, giudiziale, dovendo esso essere identico per ovvie ragioni d'identità e coerenza e identiche pure dovendo essere le modalità con cui ottenerne la liquidazione.
L'imputazione al soccombente delle spese di lite (anche quelle per la fase stragiudiziale, non superflua, secondo quanto ritenuto poc'anzi) non può invero che fondarsi sul medesimo principio di giustizia sostanziale e di "economia statuale" che di tali spese non debba farsi carico la parte vittoriosa ben riassunto da quello chiovendiano in base al quale:
"la necessità di ricorrere al giudice non deve tornare a danno di chi ha ragione".
La finalità cui deve tendere il giudice definendo il giudizio deve infatti essere quella di assicurare la tutela dei diritti al 100%, non a percentuali inferiori.
Altrimenti non sarebbe giustizia integrale e quindi nemmeno vera giustizia.
Né di tali spese potrebbe d'altro canto farsi carico, almeno per tutti lo Stato (V. le norme in tema di patrocinio a spese dello Stato) alla luce delle risorse limitate destinate al servizio statuale di rendere Giustizia e mantenere la pace sociale e anche, forse, al fine di non aumentare la litigiosità.
L'unico motivo della scelta legislativa di imputare al soccombente le spese di lite (comprensive di quelle stragiudiziali) la si ricava dunque per esclusione, non potendo farsene carico lo Stato, né potendosele addossare alla parte vittoriosa per il principio di cui sopra.
Senza necessità di ipotizzare per quelli stragiudiziali inesistenti ipotesi di "danno".
La conseguenza che alla refusione delle spese legali tutte (purchè funzionali) debba essere condannata la parte soccombente dipende quindi solo dal fatto che l'esito del giudizio non sia stato conforme a quanto essa sperasse (la "soccombenza mera" citata da Chiovenda), senza alcuna natura sanzionatoria (fatte salve le ipotesi di abuso del processo. V. artt. 91, comma 1 e 92, comma 1, c.p.c.) o risarcitoria, con la sola collegata funzione di stimolare il senso di auto responsabilità nel decidere se agire o resistere in giudizio.
Chissà che adesso che è stata introdotta una tabella con parametri ad hoc per l'attività svolta dall'avvocato nei procedimenti di mediazione e di negoziazione assistita non maturino anche i tempi per un mutamento di indirizzo della giurisprudenza di legittimità in ordine alla loro qualificazione, con definitivo abbandono della tesi del danno emergente e della diversa natura, rispetto alle spese legali vere e proprie, dell'attività stragiudiziale da questi svolta.
Andrebbe bene anche se fosse implicito, quasi "per distrazione", dato che nel liquidare i compensi del giudizio facendo ricorso alle tabelle previste dal D.M. 55/2014 si trova ora anche quella riferita alla partecipazione dell'avvocato nelle procedure di mediazione e negoziazione assistita.