Gli effetti della pandemia sui bilanci delle imprese italiane
Pubblicato il 24/04/20 02:00 [Articolo 916]






-Francesco Calò dottore commercialista e revisore legale.
-Gianfranco Capodaglio già professore ordinario di economia aziendale Università fi Bologna, dottore commercialista e revisore legale.
-Vanina Stoilova Dangarska dottore commercialista e revisore legale, phd università UNWE Sofia.
-Giovanna Ricci già professore di ruolo istituto tecnico commerciale Macerata, docente a contratto università di Macerata.
-Alessandro Ricci revisore legale docente a contratto università di Bologna.
-Ivanoe Tozzi professore associato di economia aziendale università di Bologna.


1. Gli ultimi interventi normativi

Stiamo vivendo davvero un momento di cambiamento epocale da tutti i punti di vista: quando finalmente sarà passata questa tragica pandemia mondiale, probabilmente nulla sarà uguale a prima.

Gli effetti economici della pandemia sono molto gravi e potrebbero divenire devastanti. Fra gli altri problemi cui vanno incontro le imprese, esiste il rischio che, nei bilanci relativi agli esercizi che riguardano il biennio 2019-2020, la previsione delle probabili perdite provochi risultati che possono mettere in dubbio la stessa sopravvivenza delle imprese.

Più le valutazioni di bilancio si basano sulle previsioni future, abbandonando i dati consuntivi, più questo genere di eventi straordinari rende ingestibile la formulazione di criteri attendibili per la redazione dei bilanci medesimi.

Quando il bilancio era sinonimo di "rendiconto" e serviva per la decisione relativa alla possibilità, più o meno ampia, di distribuire utili, con il minor rischio possibile d'impoverire l'azienda, l'effetto dei fenomeni straordinari negativi risultava oggettivamente meno dirompente. Ora che per "bilancio" s'intende un'informativa destinata a chi deve decidere se comprare, vendere, o detenere le azioni della società che lo redige, è chiaro che qualsiasi fenomeno imprevedibile ed imprevisto rende il documento privo d'informazioni utili.

Che sia così è dimostrato dalla decisione, altrimenti incomprensibile, di eliminare dal conto economico l'area straordinaria: se un costo o un ricavo sono straordinari, per definizione non possono essere oggetto di previsione, quindi facciamo finta che non esistano …. Purtroppo, però, gli eventi odierni ci dicono che esistono, malgrado il contenuto dei principi contabili, di quelli di revisione e delle improvvide modifiche normative e quando intervengono, sono guai seri….

L'enorme tragedia che il mondo sta subendo dovrebbe costringere a più miti consigli chi si occupa di disciplinare la redazione dei bilanci: in Italia sembra che questa esigenza sia stata recepita, anche se in modo affrettato ed impreciso (forse inevitabilmente, data la situazione di emergenza).

Il Governo italiano, infatti, ha emanato un decreto-legge (8 aprile 2020, n. 23) che temporaneamente cambia la sostanza delle "regole del gioco" e lo fa in modo decisamente imperativo, indipendentemente da cosa prevedono la normativa vigente, i principi contabili e quelli di revisione.

Per la parte che più c'interessa, riportiamo qui di seguito gli articoli 6 e 7 del provvedimento.

«Art. 6.

(Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.

Art. 7.

(Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio)

1. Nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all'articolo 106 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente.


2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati.»

2. I presupposti per la continuazione dell'attività aziendale

Riservandoci di entrare successivamente nelle difficoltà lessicali interpretative, legate all'esatta individuazione degli esercizi compresi nel biennio 2019 - 2020, interessati dalla disposizione, è della massima importanza il passo secondo il quale «la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata».

Quanto sopra vale per ogni tipo di società[1]; non solo: la norma deve essere seguita da tutti, nella redazione del bilancio, nell'attività di revisione legale, nel controllo ed anche in giudizio.

Tutto quello che riguarda la verifica dell'esistenza o meno dei presupposti per la continuazione dell'attività aziendale è annullato con riguardo a tutte le operazioni svolte dalla società durante un periodo di tempo indicato dal decreto (ferme restando le possibili difficoltà di definizione della sua precisa durata).

Ciò comporta che le valutazioni degli elementi del bilancio possono essere adottate secondo quanto previsto dall'art. 2426 del codice, in modo del tutto indipendente dalla sussistenza o meno dei requisiti per la continuità, ivi compresa la previsione dell'OIC 11 in merito all'adeguamento delle valutazioni all'eventuale ridotto orizzonte temporale.

Possiamo osservare che il Legislatore ha affrontato con coraggio un fenomeno straordinario, per i cui effetti è stata fissata una normativa di durata prestabilita: ci si domanda, però, cosa succederà se, come è molto probabile, gli effetti economici della pandemia dureranno ben al di là dell'esercizio 2020.

Non è pensabile che dal primo gennaio 2021 torneranno ad applicarsi le attuali regole ad imprese che, probabilmente, avranno chiuso i bilanci 2019 e 2020 con valutazioni assai diverse da quelle che avrebbero dovuto applicare in assenza dell'intervento normativo, o che, pur avendo subito forti perdite, che hanno profondamente intaccato il capitale sociale, hanno continuato l'attività.

Forse bisognerebbe incominciare a pensare per tempo, non solo e non tanto a modificare alla base le regole per la redazione dei bilanci, ma soprattutto a verificare l'adeguatezza delle regole di funzionamento dei mercati, con particolare riferimento a quelli finanziari.


3.1. L'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni

Prima interpretazione

È opportuna una riflessione sull'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni nell'art. 7 del Decreto citato.

Si tratta infatti di stabilire se le nuove disposizioni, che per espressa previsione normativa hanno carattere temporaneo, riguardano tutti i soggetti tenuti alla redazione del bilancio d'esercizio, indipendentemente dagli standard contabili adottati, oppure soltanto i soggetti che redigono il bilancio secondo le disposizioni del Codice Civile e i principi contabili nazionali, con esclusione, dunque, dei soggetti che applicano i principi contabili internazionali IAS/IFRS.

Si potrebbe ipotizzare un'applicazione generalizzata, estesa ad entrambe le categorie di soggetti.

Sembra, tuttavia, che tale lettura non trovi un adeguato conforto normativo e, soprattutto, sia difficilmente sostenibile alla luce del principio di gerarchia delle fonti.

Quanto al primo aspetto, basta osservare che dal punto di vista strettamente testuale all'art. 7 non vi è alcun riferimento ai principi contabili internazionali IAS/IFRS.

C'è, al contrario, un espresso richiamo dell'articolo 2423 bis, primo comma, numero 1) del Codice Civile, disposizione applicabile esclusivamente ai soggetti che redigono il bilancio secondo disposizioni dello stesso Codice Civile.

Per quanto possa essere di ausilio, va rilevato che sia nella Relazione illustrativa sia nella Relazione tecnica non vi sono elementi che possono far intendere una volontà di estendere la sospensione del presupposto della continuità aziendale anche ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali.

Quanto al secondo aspetto, quello della gerarchia delle fonti, il Legislatore non avrebbe potuto in ogni caso sospendere l'applicazione del principio di continuità aziendale per i soggetti IAS/IFRS avvalendosi di un provvedimento che, pur avendo forza di legge, è di rango inferiore alle norme comunitarie.

Regolamenti e Direttive dell'UE sono sovraordinate rispetto alla legislazione nazionale, che pertanto si ferma, per quanto riguarda il bilancio, a quello del Codice Civile e OIC.

Dobbiamo prendere atto che il Legislatore nazionale si trova di fronte un ostacolo tecnicamente non superabile nel sospendere l'applicazione del principio della continuità aziendale anche per i soggetti che redigono il bilancio secondo i principi contabili internazionali.

D'altra parte non è la prima volta che nel recente passato il nazionale, in situazioni di grave crisi economica e finanziaria, è costretto ad intervenire per "sospendere" temporaneamente l'applicazione di taluni principi di redazione o criteri di valutazione ordinariamente applicabili al bilancio d'esercizio.

Il riferimento è alle disposizioni di cui all'art. 15 del D.L. n. 185/2008 o all'art 20-quater del D.L. n. 119/2018: in entrambi i casi, sebbene la situazione di grave crisi che il Legislatore si proponeva di fronteggiare fosse comune a tutte le imprese (indipendentemente dai principi contabili adottati), le disposizioni stesse si applicavano esclusivamente ai soggetti che redigevano il bilancio secondo le disposizioni del Codice Civile (si vedano, in proposito, i Documenti interpretativi OIC n. 3/2009 e 4/2019).

Non è un caso che, proprio nel 2008, per consentire ai soggetti IAS/IFRS di disapplicare (almeno in parte) il criterio di valutazione del "fair value" con riguardo a taluni strumenti finanziari, fu necessario l'intervento delle istituzioni europee e dello IASB (Regolamento n. 1004/2008).


§ 3.2. L'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni

Seconda interpretazione

In base alle precedenti considerazioni, la norma risulterebbe, però, in aperto contrasto con lo spirito del decreto, che nelle premesse spiega come l'obiettivo del provvedimento dipenda, tra l'altro, dalla «straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure in materia di continuità delle imprese». Sia il tenore letterale ("imprese"), sia il contesto nel quale il provvedimento è stato assunto, lasciano intuire che la volontà del Legislatore sia stata quella di salvaguardare in tutte le imprese la possibilità di continuare l'attività, senza tener conto degli effetti della crisi sanitaria. L'obiettivo, come è stato più volte affermato nelle sedi competenti, è quello di conservare il più possibile il livello occupazionale, di non far perdere alle imprese quote di mercato soprattutto in settori ritenuti strategici, di contrastare assalti speculativi di soggetti esteri (e non solo) sulle società (in primis le quotate).

L'obiettivo poteva essere raggiunto soltanto attraverso due strade: 1) sospendere gli effetti giuridici dell'eventuale, ma probabile e generalizzata, perdita del capitale; 2) evitare che i risultati negativi dei bilanci costringessero le banche a revocare i finanziamenti. Le due strade sono indicate negli articoli 6 e 7. Il primo è chiaramente rivolto a tutte le società, indipendentemente dal regime contabile adottato, senza bisogno di ulteriori specificazioni, mentre il secondo, come detto, risente del riferimento all'articolo del codice.

A questo proposito le "preleggi" dispongono che l'interprete deve comunque adottare un criterio che consenta di attribuire alle norme un significato compiuto: nel nostro caso, viste le premesse del decreto, la mancata applicabilità dell'art. 7 alle "società IAS/IFRS" risulterebbe incomprensibile. Non c'è un motivo per il quale le imprese più importanti dal punto di vista dell'occupazione, del presidio di settori strategici, delle conseguenze sul PIL nazionale vengano escluse dal provvedimento. Si può quindi ritenere che il Legislatore, nel riferirsi alla norma del Codice abbia inteso soltanto individuare il significato di "continuità aziendale", che, peraltro, è comune anche agli standard internazionali.

Come detto, il testo del decreto non risulta sempre chiaramente intellegibile e l'interprete deve fare uno sforzo, che, però, risulta agevolato dal fatto che la necessità di verificare l'esistenza dei requisiti relativi alla continuazione dell'attività, contenuta nello standard IAS 1), è così articolata:

«Continuità aziendale

25. Nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell'entità di continuare a operare come un'entità in funzionamento. Un'entità deve redigere il bilancio nella prospettiva della continuazione dell'attività a meno che la direzione aziendale non intenda liquidare l'entità o interromperne l'attività, o non abbia alternative realistiche a ciò. Qualora la direzione aziendale sia a conoscenza, nel fare le proprie valutazioni, di significative incertezze relative ad eventi o condizioni che possano comportare l'insorgere di seri dubbi sulla capacità dell'entità di continuare a operare come un'entità in funzionamento, l'entità deve evidenziare tali incertezze. Qualora un'entità non rediga il bilancio nella prospettiva della continuazione dell'attività, essa deve indicare tale fatto, unitamente ai criteri in base ai quali ha redatto il bilancio e alla ragione per cui l'entità non è considerata in funzionamento.

26. Nel determinare se il presupposto della prospettiva della continuazione dell'attività è applicabile, la direzione aziendale tiene conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo ad almeno, ma non limitato a, dodici mesi dopo la data di chiusura dell'esercizio. Il grado dell'analisi dipende dalle specifiche circostanze di ciascun caso. Se l'entità ha un pregresso di attività redditizia e dispone di facile accesso alle risorse finanziarie, si può raggiungere la conclusione che il presupposto della continuità aziendale sia appropriato senza effettuare analisi dettagliate. In altri casi, la direzione aziendale può aver bisogno di considerare una vasta gamma di fattori relativi alla redditività attuale e attesa, ai piani di rimborso dei debiti e alle potenziali fonti di finanziamento alternative, prima di ritenere che sussista il presupposto della continuità aziendale.»

La direzione aziendale deve quindi tener conto di "tutte le informazioni disponibili per il futuro": non v'è dubbio che fra tali informazioni sia compresa, con assoluta preminenza, quella relativa ad una specifica normativa nazionale che dispone che, per tutte le imprese, dati i provvedimenti di politica economica assunti dal Governo, le conseguenze negative derivanti dalla crisi sanitaria non comportano il venir meno dei requisiti per la continuazione dell'attività, nei limiti temporali (non facilmente individuali) indicati nel provvedimento.

In altre parole, la norma potrebbe essere interpretata nel senso che non ha sospeso l'applicazione di un principio contabile (OIC 11, o IAS 1), che continua ad essere applicato anche nel biennio 2019 - 2020, come si dirà in seguito: ha invece indicato ai redattori dei bilanci che gli effetti dell'epidemia non devono essere considerati come prova della mancanza dei presupposti per la continuità.

Questa interpretazione si basa anche sul normale buon senso: i provvedimenti assunti hanno decretato l'immediata cessazione dell'attività della stragrande maggioranza delle imprese, mentre, almeno per ora, non è stabilita la data in cui sarà consentita la ripresa. In queste condizioni, i redattori dei bilanci non possono formulare alcuna previsione (positiva o negativa) circa la sussistenza dei requisiti per la continuità indicati nei principi contabili.

Inoltre, i suddetti provvedimenti contengono misure compensative attraverso finanziamenti praticamente gratuiti ed altre con l'abbattimento di parte dei costi per i dipendenti, degli oneri fiscali ecc., che hanno il dichiarato fine di mantenere il più possibile i livelli occupazionali e, di conseguenza, la continuazione dell'attività delle imprese[2].


4. I principi di prudenza e di competenza economica. Il postulato della comparabilità

Infine, si potrebbe ipotizzare che le nuove disposizioni possano rendere inapplicabili il principio di prudenza ed il postulato della comparabilità dei bilanci.

In primo luogo, occorre distinguere l'applicazione del principio di prudenza da quello della competenza economica; esiste infatti una stretta connessione del principio di continuazione dell'attività con quello della competenza economica: quest'ultimo consiste nella necessità di redigere i bilanci relativi a periodi brevi (esercizi), per stimare - secondo regole convenzionali - se si è avuta o meno creazione di ricchezza nel periodo appena concluso. Si dovrà quindi valutare quali siano i costi e gli oneri (ordinari e straordinari) da attribuire al periodo nel quale si sono rilevati ricavi e proventi e quali invece i componenti negativi da rinviare agli esercizi successivi.

In questa scelta si dovrà applicare il principio di prudenza (disparità di trattamento) per evitare di considerare nuova ricchezza prodotta quello che in realtà è soltanto il rinvio imprudente di costi ed oneri.

In condizioni di emergenza eccezionale, i criteri che devono guidare le scelte del redattore del bilancio sono più severi, ma non diversi. In tal senso sono condivisibili le scelte che privilegiano un'ampia ed approfondita informativa in nota integrativa, che, come tutti sanno, è parte integrante e sostanziale del bilancio d'esercizio.

Il rapporto fra il principio di prudenza e quello di continuazione dell'attività ha origini antiche ed ha formato oggetto di esame da parte della dottrina, soprattutto a partire dall'ultimo decennio del secolo scorso. In particolare, dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 127 del 1991, si è ritenuto che la prospettiva della continuità aziendale fosse un argine agli eccessi di prudenza, derivanti dalla declinazione del principio della disparità di trattamento, che privilegia, nel dubbio, l'indicazione dei valori meno favorevoli. Nella prospettiva di continuazione dell'attività si devono invece adottare valori d'uso, anche se nettamente superiori a quelli di realizzo diretto.

Solo successivamente, sotto l'influenza di prassi diffuse in ambianti nei quali non esiste il principio della disparità di trattamento, è stato privilegiato l'altro aspetto della continuità aziendale, ovvero quello che impone di verificare, prima ancora che vengano adottate le valutazioni, l'esistenza dei presupposti per la continuità.

In ogni caso, però, se anche esistono incertezze circa tale esistenza, ora è assolutamente chiaro che si devono mantenere criteri ordinari di valutazione, rinviando la rilevazione delle probabili perdite agli esercizi successivi, salvo per quanto riguarda l'eventuale ridotto "orizzonte temporale", come indicato nell'ultima versione dell'OIC 11.

La necessità che i bilanci degli esercizi che si susseguono siano fra loro comparabili è prevista dall'art, 2423-ter del Codice ed è richiamata nell'OIC 11.

Fra i postulati di bilancio l'OIC 11 inserisce anche il dettato del Codice in merito alla comparabilità dei dati relativi a bilanci di esercizi successivi, che cosi? recita: «per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l'importo della voce corrispondente dell'esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili, quelle relative all'esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilita? e l'adattamento o l'impossibilita? di questo devono essere segnalati e commentati nella nota integrativa».

Viene poi operato un rinvio all'OIC 29 "Cambiamenti di principi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzioni di errori, fatti intervenuti dopo la chiusura dell'esercizio", che disciplina la declinazione pratica di tale previsione e, in particolare, gli effetti che si producono sul bilancio comparativo in conseguenza dei cambiamenti di principi contabili o correzione di errori rilevanti.

Viene precisato che, nell'ambito della stessa impresa, la comparabilita? dei bilanci a date diverse e? possibile se sussistono le seguenti condizioni:

a) la forma di presentazione e? costante, il modo di esposizione (classificazione, separazione ed identificazione per gruppi omogenei) delle voci deve essere quindi uguale o almeno comparabile;

b) i criteri di valutazione adottati devono essere mantenuti costanti come indicato ai (paragrafi 33-35),

c) i mutamenti strutturali (acquisizioni, fusioni, scorpori ecc.) e gli eventi di natura eccezionale sono descritti nelle note al bilancio.

Risulta chiaro che l'OIC è andato ben oltre il dettato normativo, che prevede espressamente la necessità di adattare le "voci", eventualmente cambiando la classificazione, raggruppando o ripartendo gl'importi ed anche, nel caso in cui tali adattamenti non siano possibili, di darne spiegazione in nota integrativa. Nessun accenno troviamo nella norma alla possibilità (ancor meno, ovviamente, alla necessità) di modificare le valutazioni adottate nei precedenti esercizi.

Ancora una volta, la "libera" interpretazione dell'OIC risponde al desiderio di avvicinarsi agli standard internazionali. Lo IAS 1, infatti, così recita:

«Il presente Principio definisce i criteri per la presentazione del bilancio redatto con scopi di carattere generale, al fine di assicurarne la comparabilità sia con riferimento ai bilanci dell'entità di esercizi precedenti, sia con i bilanci di altre entità. Espone la disciplina di carattere generale per la presentazione dei bilanci, le linee guida per la loro struttura e le disposizioni minime per il loro contenuto.»[3]

Possiamo osservare che secondo lo IAS la finalità principale del bilancio è la comparabilità, ovvero la possibilità per il lettore di comparare i risultati di una società nei diversi esercizi successivi, per stimarne l'andamento. Inoltre, il lettore può confrontare tale andamento con quello di altre società, allo scopo di prendere decisioni sui propri investimenti presenti e futuri. L'indicazione di questa finalità è in linea con quanto previsto dal Framework.


5. La vexata quaestio dell'individuazione degli esercizi interessati dal provvedimento

Un elemento che presenta più di qualche criticità è rappresentato dalla definizione dell'ambito temporale di applicazione delle disposizioni in argomento.

Il primo comma dell'art. 7 fa, infatti, chiaramente riferimento alla redazione del bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2020, affermando che la valutazione delle attività secondo il presupposto della continuità aziendale può essere effettuata (in tale bilancio) se detto presupposto risulta comunque sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020.

Sembrerebbe, a una prima lettura, che il comma uno consenta di ritenere sussistente - ai fini della redazione del bilancio dell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2020 - il presupposto della continuità aziendale laddove il presupposto sia stato sussistente nel bilancio dell'esercizio precedente e, dunque, dell'esercizio 2019.

Conforta questa ricostruzione la Relazione illustrativa in cui si dice che «…il dato temporale di riferimento è stato collegato alla situazione esistente al 23 febbraio 2020, e cioè alla data di entrata in vigore delle prime misure collegate all'emergenza».

La medesima Relazione afferma che la neutralizzazione degli effetti derivanti dalla crisi economica riguarda le «…imprese che prima della crisi presentavano una regolare prospettiva di continuità…», consentendo alle stesse di conservare tale prospettiva nella redazione dei bilanci degli esercizi in corso nel 2020 ed escludendo, quindi, le imprese che - indipendentemente dalla crisi da COVID-19, si trovavano già, per altre cause, in una condizione di perdita di continuità.

Sembra evidente, dunque, almeno sulla base delle previsioni del primo comma che il presupposto della continuità aziendale sia neutralizzato soltanto per il bilancio 2020, a condizione che questo presupposto sia sussistente nel bilancio 2019 che, invece, non potrebbe beneficiare di detta neutralizzazione.

Sia la Relazione tecnica che la Relazione illustrativa sono state, però, verosimilmente predisposte con riferimento a una versione del disegno di decreto legge in cui l'art. 7 si sostanziava in un comma unico.

L'attuale secondo comma, infatti, non soltanto non è in alcun modo preso in considerazione o commentato dalle suddette relazioni, ma sembrerebbe (il condizionale è quanto mai d'obbligo attesa la tecnica redazionale piuttosto approssimativa) prevedere la neutralizzazione del presupposto della continuità aziendale anche per i bilanci chiusi al 31 dicembre 2019. Possibilità questa alla quale non fanno alcun cenno la Relazione illustrativa e la Relazione tecnica.

Ora, al di là della questione prettamente letterale, occorre chiedersi se dal punto di vista sistematico, pur nell'eccezionale situazione in cui si trovano le imprese italiane, sia giustificabile una deroga al presupposto della continuità aziendale quando questo presupposto sia in realtà già venuto meno prima della data del 23 febbraio 2020, ossia prima che si manifestassero gli effetti della pandemia da virus COVID-19.

Detto altrimenti: esistono valide ragioni per le quali il presupposto della continuità aziendale dovrebbe essere ritenuto sussistente anche nel bilancio 2019, nell'ipotesi in cui lo stesso sia indiscutibilmente venuto meno per cause affatto diverse dall'emergenza che stiamo affrontando? Sembra francamente di no.

Una diversa lettura dell'intervento del Legislatore, letteralmente peraltro senza dubbio possibile, comporterebbe gravi rischi derivanti dall'artificioso salvataggio di realtà aziendali già irrimediabilmente decotte per ragioni precedenti ed estranee alla crisi economico finanziaria provocata dalla pandemia.

L'estensione al bilancio dell'esercizio 2019 della possibilità di ritenere sussistente, sulla base di una mera fictio iuris, il presupposto della continuità aziendale fa peraltro sì che l'ultimo bilancio nel quale lo stesso dovrebbe essere effettivamente verificato sia quello dell'esercizio chiuso al 31 dicembre 2018.

Si comprende bene come il riferimento ad una data così risalente nel tempo (in termini generali ma ancor più nell'attuale frangente) non abbia alcun senso dal punto di vista tecnico e non garantisce in alcun modo che il presupposto stesso sia ancora effettivamente sussistente.

L'impressione è che per le disposizioni recate dall'art. 7 sia prevalsa nel Legislatore, al di là dell'evidente imperizia redazionale, l'esigenza di celerità e semplificazione: non vi è alcun dubbio, infatti, che limitare l'applicazione delle disposizioni ai soggetti per i quali la situazione di crisi sia oggettivamente da ricondurre all'emergenza da COVID-19 renderebbe molto più incerta l'individuazione del loro perimetro soggettivo con tutte le conseguenze negative che tale incertezza potrebbe comportare.

Se così dovesse essere, non resterebbe agli interpreti animati dalle migliori intenzioni e dal fuoco sacro dei principi che arrendersi all'antico brocardo: ubi lex non distinguit, nec nos destinguere debemus.

NOTE
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[1] Su questo si discute nei paragrafi seguenti.

[2] Questa è la strada da percorrere per i soggetti IAS/IFRS, per quali non è praticabile una sospensione ex lege del presupposto della continuità. Nella valutazione della sussistenza di detto presupposto, dovranno comunque essere considerate tutte le misure compensative introdotte dal Legislatore.

[3] L'indicazione dell'OIC comporta il venir meno in Italia di alcuni consolidati principi di ragioneria, come la concordanza finale, per cui il capitale netto finale deve essere uguale a quello iniziale, più i conferimenti, meno i prelievi, più o meno il risultato economico dell'esercizio. L'imputazione diretta a capitale netto di importi aventi la natura di oneri e proventi, da sempre considerata un palese errore, viene ora adottata, copiandola da prassi estere asistematiche.

Al di là delle questioni scientifico dottrinali, ancora una volta si deve scegliere in base a chi si ritiene destinatario privilegiato delle informazioni contenute nel bilancio d'esercizio. Se ci si riferisce all'investitore presente e futuro, la comparabilità (in senso IAS) gli consente di fare più agevolmente previsioni in merito a quale potrà essere l'appetibilità futura dei titoli emessi dalla società che redige il bilancio. In caso contrario, come più volte specificato, il bilancio dovrebbe privilegiare gli aspetti tipici di un rendiconto.


















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