Sommario: 1. L'Organismo di vigilanza nell'art. 6 del Dlgs. n. 231/2001- 2. La natura giuridica dell'Organismo di Vigilanza - 3. La responsabilità in sede penale e civile - 4. Il venir meno della fattispecie di cui all'art. 52 Dlgs. n. 231/2007.
1. Nel disegnare, in modo ellittico, i modelli di organizzazione e gestione dell'ente che possano rendere la persona giuridica esente da responsabilità penale per i reati-presupposto commessi nel proprio interesse o a proprio vantaggio, il Dlgs. n. 231/2001, all'art. 6 comma primo lett. b) fa riferimento a "un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo" cui deve essere affidato - da parte dell'organo dirigente - "il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e curare il loro aggiornamento".
Un organismo, quindi, caratterizzato da pregnante autonomia[1] funzionale rispetto all'organo amministrativo e munito di "poteri", (non declinati dalla legge ma precisati, si ritiene, all'interno degli stessi modelli organizzativi), di iniziativa, controllo, vigilanza e cura dell'aggiornamento, che implicano attività di monitoraggio e ispezione, ma anche di consulenza verso il vertice aziendale (iniziativa e aggiornamento), nonché requisiti di professionalità rilevanti nella valutazione dell'adempimento, ai sensi dell'art. 1176 comma 2 c.c..
La costituzione dell'Organismo di Vigilanza (inde, anche Odv) rappresenta, al contempo, l'elemento essenziale dell'assetto organizzativo legato alla prevenzione e gestione del rischio-reato (tale da rendere idoneo il modello), e il principale elemento di differenziazione del "sistema 231" rispetto agli altri (e numerosi) sistemi di gestione previsti dall'ordinamento (ad esempio in tema di sicurezza sul lavoro o privacy)[2].
La costituzione dell'Odv, peraltro, implica una scelta qualificabile come atto di gestione che non compete, nel caso della società commerciale, all'assemblea dei soci, ma agli amministratori (arg. ex art. 2380-bis c.c.), i quali, stabilendone la composizione soggettiva, e prima di tutto la conformazione monocratica o collegiale, assumono una conseguente responsabilità in termini di adeguatezza dell'assetto prescelto, rispetto alla effettiva natura e alle dimensioni dell'impresa (arg. ex art. 2086 comma 2 c.c.)[3].
Come già accennato, la norma si esprime per clausole generali, e rimane silente rispetto alla definizione del contenuto dei compiti dell'Organismo all'interno del sistema dei controlli delle persone giuridiche, e prima di tutto rispetto alla sua natura giuridica.
2. La corretta qualificazione giuridica dell'Organismo di vigilanza appare quale presupposto indefettibile per ricostruire i confini della sua responsabilità in termini penali e civili.
Come posto in rilievo dalla migliore dottrina, in primo luogo "
l'organismo di vigilanza non può essere considerato un (nuovo e ulteriore) organo societario, capace di compiere atti con rilevanza esterna, ma rappresenta un ufficio dell'impresa
"[4].
Un ufficio collocato, all'interno dell'organigramma, in posizione orizzontale di staff rispetto al consiglio di amministrazione, senza linea di dipendenza gerarchica da quest'ultimo.
Secondo il pensiero di Massimo Severo Giannini[5], nell'ambito della teoria generale del diritto, l'organo non può essere definito che da norme primarie, poiché è strumento dell'imputazione giuridica all'ente, e quindi attiene alle figure giuridiche soggettive, che, nell'ordinamento, possono essere stabilite e regolate solo da norme primarie.
Solo l'organo, per l'effetto, opera con rilevanza esterna nei rapporti intersoggettivi.
Al contrario, la norma primaria (art. 6 Dlgs. n. 231/2001) non attribuisce, in alcun modo, all'Organismo di Vigilanza, la natura di organo societario, limitandosi ad esprimerne poteri e compiti.
In ossequio al principio di tipicità degli organi, ne deriva che l'Odv assuma le vesti di una funzione interna all'ente, oltretutto di tipo "opzionale", vista l'assenza di obbligatorietà dell'adozione dei modelli di organizzazione e gestione.
Sotto altra prospettiva, occorre domandarsi quali siano, in effetti, i destinatari della tutela derivante dall'attività dell'organismo di vigilanza.
Sul punto, si confrontano due differenti impostazioni: da un lato, una concezione di stampo privatistico dell'Odv, a mente della quale i destinatari diretti dell'azione di vigilanza sarebbero i soci o comunque i componenti dell'organizzazione; dall'altro lato, una concezione più latamente "pubblicistica", che legherebbe l'Organismo non solo alla tutela di interessi privati ma anche ad una sorta di garanzia dell'interesse dei terzi.
E' evidente come dalle due diverse concezioni emergano diversi regimi di responsabilità, per i componenti dell'Odv, poiché, facendo leva sulla tutela degli interessi dei terzi, che parrebbe fondata sul carattere autonomo dei poteri concessi dalla legge all'Organismo (poteri peraltro originari e non derivati), si giungerebbe all'attribuzione di una vera e propria posizione di garanzia, in tutto e per tutto simile a quella del collegio sindacale.
Corollario di questa impostazione, sarebbero, pertanto, l'obbligo di impedimento dell'evento, in capo all'Organismo, e la possibile responsabilità penale da condotta omissiva, ai sensi dell'art. 40 secondo comma c.p..[6]
Occorre però osservare che un importante argomento testuale contraddice questa tesi; ed infatti, il comma 4 dell'art. 6 Dlgs. n. 231/2001 consente lo svolgimento del ruolo di Organismo di Vigilanza, negli enti di piccole dimensioni, anche direttamente da parte dell'organo gestorio.
Questa disposizione qualifica sul piano generale la natura dell'Odv in modo da escluderne una necessaria e "costituzionale" terzietà.
Dall'ipotesi del quarto comma citato, deriva che l'Organismo non necessariamente dovrà risultare del tutto scevro da incompatibilià e/o conflitti di interesse che lo renderebbero quindi, de plano, non idoneo alla tutela di interessi generali[7].
Appare razionale, in definitiva, decifrare la figura dell'Odv in termini di ufficio interno titolare di funzioni di controllo relative ad assetti specifici (relativi alla prevenzione del rischio - reato) facenti parte del più ampio assetto generale che l'organo amministrativo di vertice è chiamato a curare e valutare.
3.Per le ragioni sopra esposte, non è configurabile rispetto ai membri dell'Organismo di Vigilanza una responsabilità penale da condotta omissiva.
L'Odv, infatti, dinanzi alle violazioni del modello organizzativo e/o del Codice comportamentale, non è dotato di mezzi di reazione con efficacia diretta, paragonabili a quanto il Codice civile dispone per il collegio sindacale[8].
L'Organismo, nell'esercizio dei propri poteri di controllo e monitoraggio non potrà che segnalare disfunzioni, inadempienze, violazioni, non conformità, proposte di adeguamento, miglioramento o aggiornamento, all'organo amministrativo, titolare esclusivo di ogni decisione[9].
Neppure sul piano sanzionatorio interno, l'Odv gioca alcun ruolo diverso da quello della formulazione di pareri o proposte, potendo solo, in buona sostanza, avvalersi di idonei flussi informativi (in entrata e in uscita) sottesi a finalità di interlocuzione e persuasione.
Non potrà essere, dunque, configurabile alcun obbligo di garanzia penalmente sanzionato per i componenti dell'Odv[10], in assenza di efficaci strumenti di intervento concessi dall'ordinamento, fermo restando (e premesso) che la ratio stessa dei modelli organizzativi non è volta a garantire che il reato presupposto non si verificherà, bensì a mitigarne il rischio di accadimento.
Diverso è il piano della responsabilità civile, laddove l'omissione o insufficienza del controllo, o comunque il negligente espletamento dei compiti propri, può determinare, per i membri dell'Odv, l'inadempimento di una obbligazione contrattualmente assunta verso l'ente, peraltro valutabile secondo il parametro della diligenza professionale ai sensi dell'art. 1176 comma 2 c.c..
L'inadempienza potrà dare luogo a danno risarcibile laddove risulti provato un nesso causale diretto (art. 1223 c.c.) tra inadempienza stessa e pregiudizio subito dall'ente, secondo le regole di un normale contratto di prestazione d'opera professionale (art. 2222 ss. c.c.).
E' da ritenere che i membri dell'organismo rispondano in solido tra loro ai sensi 1294 c.c., quando non risulti un diverso apporto causale di ciascuno al fatto illecito commesso.
La rilevanza interna delle attività, di cui sopra abbiamo parlato, porta a concludere che non possa configurarsi una responsabilità di tipo extracontrattuale (art. 2043 c.c.) verso terzi, come ad esempio verso le parti offese del reato presupposto.
Queste ultime potranno eventualmente far valere i propri diritti risarcitori, secondo le regole ordinarie, direttamente verso l'ente, il quale poi, ove sia configurabile l'inadempimento, potrà svolgere azione di garanzia, sulla scorta del rapporto interno, verso il proprio Organismo.
4. Al fine di contrastare i reati di riciclaggio (ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio), il legislatore ha inserito queste fattispecie nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti (art. 25-octies Dlgs. n. 231/2001).
Sino dall'originaria formulazione dell'art. 6 comma 2 lett. c) del decreto, del resto, era stato posto, tra i requisiti dei modelli prefigurati dalla norma, il richiamo letterale alle "modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati".
L'art. 52 del Dlgs. n. 231/2007, al di là e oltre le previsioni del decreto del 2001, prevedeva per l'Organismo di Vigilanza un vero e proprio obbligo di comunicazione "antiriciclaggio", penalmente sanzionato con la reclusione fino ad un anno e con la multa da 100 a 1.000 euro.
Con il Dlgs. 25 maggio 2017 n. 90, in vigore dal 4 luglio 2017, l'obbligo di comunicazione antiriciclaggio è stato eliminato.
Il nuovo art. 46 del Dlgs. n. 231/2007[11], infatti, pone l'obbligo di comunicazione dei fatti illeciti rilevanti ai fini antiriciclaggio, conosciuti nell'esercizio delle funzioni, (nei confronti del legale rappresentante dell'ente o, nelle ipotesi più gravi, nei confronti delle pubbliche autorità), a carico del Collegio Sindacale, del Consiglio di Sorveglianza e del Comitato per il controllo sulla gestione, eliminando, di fatto, ogni riferimento all'Organismo di Vigilanza.
E' venuta meno, in questo modo, l'unica fattispecie dell'ordinamento che prevedesse in modo esplicito la responsabilità penale dell'Odv.
NOTE
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[1] Autonomia che si risolve, nel senso etimologico del termine, in autoregolamentazione, quando l'Organismo, soprattutto se costituito in forma collegiale, si doti di un proprio regolamento di funzionamento interno.
[2] Per questo la Corte di Cassazione, sez. IV penale, da ultimo, con sentenza n. 3731/2020 ha potuto ribadire che l'adozione del DVR ai sensi del Dlgs. n. 81/2008 non equivale al "modello organizzativo 231" in termini di efficacia esimente.
[3] In questa chiave, non senza rilievo apparirà la scelta di fare o meno coincidere l'Odv con il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo della gestione, ai sensi dell'art.6 comma 4-bis del Dlgs. n. 231/2001.
[4] IVAN DEMURO, in AA.VV. "Assetti adeguati e modelli organizzativi", a cura di Maurizio Irrera, Bologna 2016.
[5] M.S. GIANNINI, voce "Organi (teoria generale)", in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, pag.45, Milano 1981.
[6] Art. 40 c.p. - Rapporto di causalità: "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione.
Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".
[7] Non estranea a questo ragionamento è anche la previsione di cui al comma 4-bis del decreto, laddove si statuisce che i compiti dell'Organismo possano essere assolti dal collegio sindacale, ma (ben inteso) senza i mezzi di reazione propri del medesimo collegio.
[8] Il sistema del Codice contempla un articolato apparato strumentale al concreto esercizio del potere-dovere dei sindaci: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l'impugnazione della delibera viziata ex art. 2377 ss. c.c., la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.. Sulla funzione di controllo nelle società di capitali e sulla responsabilità dei sindaci si veda Cass. Sez. I n. 18770/2019.
[9] Sul tema della responsanbilità penale dell'Odv, in un caso di imputazione per omissione dolosa di cautele antinfortunistiche ex art. 437 c.p., da segnalare, in senso conforme, Cass. n. 18168/2016.
[10] E' però evidente che i singoli membri dell'Organismo potranno rendersi responsabili di condotte commissive dirette o di compartecipazione dolosa nel reato di altri soggetti, a titolo di concorso ai sensi dell'art. 110 c.p..
[11] Dlgs. n. 231/2007 - Art. 46 - "1. I componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione presso i soggetti obbligati vigilano sull'osservanza delle norme di cui al presente decreto e sono tenuti a: a) comunicare, senza ritardo, al legale rappresentante o a un suo delegato le operazioni potenzialmente sospette di cui vengono a conoscenza nell'esercizio delle proprie funzioni; b) comunicare, senza ritardo, alle autorità di vigilanza di settore e alle amministrazioni e organismi interessati, in ragione delle rispettive attribuzioni, i fatti che possono integrare violazioni gravi o ripetute o sistematiche o plurime delle disposizioni di cui al presente Titolo e delle relative disposizioni attuative, di cui vengano a conoscenza nell'esercizio delle proprie funzioni. 2. Fermi gli obblighi di comunicazione di cui al presente articolo, i componenti degli organi di controllo presso i soggetti obbligati, sono esonerati dagli obblighi di cui al Titolo II, capi I, II e III."