COVID-19 e sopravvenienze contrattuali: brevi riflessioni in chiave "rimediale"
Pubblicato il 26/05/20 00:00 [Articolo 1768]






Nel campo del diritto dei contratti, la drammatica emergenza da Covid-19 sollecita una accorta riflessione sul tema delle "sopravvenienze"[1], circostanze empiriche o giuridiche, estranee alla sfera di controllo delle parti, che - nell'ambito di un contratto ad efficacia durevole - sopraggiungono alla sua stipulazione, incidendo sull'originario rapporto di valore tra le prestazioni corrispettive: a titolo esemplificativo, si pensi ai contratti di locazione ad uso commerciale, relativamente ai quali i divieti di spostamento, circolazione o di apertura al pubblico delle attività economiche non essenziali introdotti dalla legislazione emergenziale hanno imposto ai conduttori limiti assai incisivi nel godimento del bene locato.

Ebbene, l'attuale fase storica offre all'interprete lo spunto per una rilettura - in chiave di sistema - dei "rimedi" offerti dal diritto generale dei contratti.

E invero - in disparte le soluzioni adottate da norme ah hoc all'uopo previste per alcuni tipi contrattuali - l'attuale impianto codicistico affida la "cura" di rapporti alterati da sopravvenienze squilibranti allo strumento della risoluzione per impossibilità sopravvenuta (ex artt. 1256, 1463 e 1464. c.c.) o per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 ss. c.c.).

Rimedi, dunque, di stampo caducatorio alla luce della loro attitudine a "distruggere" il vincolo contrattuale, i cui presupposti operativi sono peraltro disegnati dal Legislatore codicistico - e, vieppiù, interpretati in giurisprudenza - con estremo rigore: ad esempio, l'eccessiva onerosità ex art 1467 c.c. deve consistere in una alterazione significativa del sinallagma contrattuale, tale cioè da imporre ad una delle parti un sacrificio oltremodo superiore all'alea prevista dal contratto, derivante da avvenimenti "straordinari" ed "imprevedibili"; ancora, in materia di risoluzione per impossibilità, per orientamento costante la mera difficoltà finanziaria non è mai una causa di esonero da responsabilità contrattuale.

Sebbene l'analisi degli istituti richiederebbe riflessioni assai più approfondite che non è possibile svolgere in questa sede, non v'è chi non veda come i rimedi in esame tradiscano un atteggiamento di marcata diffidenza del sistema verso soluzioni favorevoli ad un "adeguamento" del contratto in executivis, cioè ad un mantenimento in vita del contratto previo "allineamento" in fieri del regolamento pattizio al mutato scenario fattuale e/o giuridico: sotteso all'impostazione suddetta è, invero, l'ossequioso rispetto del principio pacta sunt servanda, la rigorosa osservanza cioè del precetto fissato dalle parti all'atto della stipula del negozio.

Ora, non s'ignora che a mitigare siffatta prospettiva sovviene il meccanismo della reductio ad aequitatem previsto dal terzo comma dell'art.1467 c.c. per il caso di risoluzione per eccessiva onerosità; ciononostante, sul punto valga la considerazione per la quale la suddetta operazione "conservativa" è sostanzialmente rimessa all'iniziativa della parte contro la quale viene domandata la soluzione estintiva, sicché essa, lungi dall'atteggiarsi quale soluzione "privilegiata", interviene soltanto "in seconda battuta", ossia soltanto dopo che sia stata richiesta la risoluzione.

Ebbene, con terminologia mutuata dal campo epidemiologico, la sensazione è che il quadro delle discipline così succintamente delineato non offra sufficienti «anticorpi»[2] a fronte di situazioni emergenziali abnormi quale quella attuale: esse, in punto di tutela, presentano inevitabili deficit di adeguatezza ed effettività.

In questa direzione, già da tempo autorevole dottrina ha individuato una possibile soluzione nella valorizzazione di rimedi che, lungi dallo sciogliere un vincolo avente forza di legge ex art 1372c.c., si limitino a "correggerne" lo squilibrio indotto da fattori esterni: il riferimento, in particolare, è alla previsione di un generale obbligo di "rinegoziazione" il quale, ripetendo la sua fonte nei principi generali dell'ordinamento in tema di buona fede e solidarietà[3] (v. ex multis artt. 1375 c.c. e art. 2 Cost), imporrebbe la "revisione" dei termini del rapporto in luogo della sua distruzione, sì da distribuire equamente tra le parti il rischio contrattuale.

Più in particolare, si discorre in proposito di "rimedi manutentivi"[4] per indicare la loro attitudine a preservare i rapporti contrattuali in corso di esecuzione previo loro adeguamento, riallocando così i costi della sopravvenienza in senso "solidaristicamente orientato", secondo un approccio metodologico che contempera - bilanciandoli - i contrapposti interessi in gioco.

In ottica evolutiva, il passo successivo potrebbe essere il riconoscimento di un fondamento normativo espresso a siffatto obbligo di rinegoziazione, attraverso meccanismi affidati in prima battuta all'accordo delle parti, e, solo in subordine, all'intervento giudiziale (secondo uno schema già noto alle clausole di hardship previste dai Principi Unidroit): e che i tempi sino maturi per un possibile intervento in tal senso sembra confermarlo il disegno d legge recante la "delega al Governo per la revisione del codice civile" (DDL Senato 1151 del 2019), che prevede espressamente il "diritto delle parti di contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali ed imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede ovvero, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l'adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che venga ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenuta dalle parti"[5].

Insomma, in attesa di successivi sviluppi sul punto, la strada sembra ormai tracciata.

La questione controversa è, semmai, quella di una compiuta perimetrazione[6] al descritto potere d'intervento del giudice sull'autonomia contrattuale dei privati, onde evitare una pericolosa invasione di campo.


NOTE
----------------------
[1] Sul tema, v. ex multis P. Gallo, Sopravvenienze contrattuali e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992, p. 4; G. Oppo, I contratti di durata, in Riv. Dir. Comm., 1943, p. 43.

[2] Secondo l'efficace espressione di F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca "coronavirus", in giustiziacivile.com. Dello stesso Autore v. anche Sopravvenienze e rimedi al tempo del "coronavirus": interesse individuale e solidarietà, su quotidianogiuridico.it.

[3] Cfr.G. Federico, Adeguamento del contratto e doveri di solidarietà: per una ermeneutica della dignità, in questionegiustizia.it.

[4] V. Roppo, Il Contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di G. Iudica-P. Zatti), Milano, 2001, p. 1042. Sul punto, cfr. anche V. Roppo, R. Natoli, Contratto e Covid19, in giustiziainsieme.it.

[5] In argomento, v. A. M. Benedetti e R. Natoli, Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito, in dirittobancario.it; P. Pannella, La rinegoziazione contrattuale e l'insolvenza ai tempi del COVID-19 (e non solo), in ilcaso.it

[6] Indugia sulla necessità della introduzione, da parte del legislatore, di "regole puntuali, specifiche, di facile amministrazione ed in grado di garantire un elevatissimo tasso di prevedibilità del loro esito applicativo" C. Scognamiglio, L'emergenza Covid 19: quale ruolo per il civilista?, in giustiziacivile.com.






















Scritti dell'Autore