La clausola Claims Made tra meritevolezza ed equilibrio contrattuale
Pubblicato il 11/02/21 00:00 [Articolo 1741]






Sommario: 1. Nuovo vaglio di ammissibilità per le clausole claims made. - 2. Il modello claims made nella sentenza a Sezioni Unite n. 9140/2016 e nella giurisprudenza successiva. - 3. L'iter argomentativo dell'ordinanza n. 1465 del 2018. - 4. Il riequilibrio pattizio e la previsione delle deeming clauses nelle polizze. - 5. La tipizzazione delle claims made. - 6. La valutazione del contratto assicurativo: dalla meritevolezza all'adeguatezza e causa concreta. - 7. Congruità del premio come criterio di adeguatezza. - 8. Conseguenze sul controllo del contenuto causale: l'intervento sul contenuto del contratto. - 9. Fase precontrattuale e obblighi informativi dell'assicurazione: rilievi critici. - 10. Il problema della consecutività tra polizze. - 11. Conclusioni.


1. Nuovo vaglio di ammissibilità per le clausole claims made

La vertenza decisa con la sentenza n. 22437 del 2018 trae origine da una domanda di manleva richiesta da una società fabbricante gru - e chiamata in causa da altra impresa nel 2003 per una vicenda di risarcimento danni sorta a seguito di un sinistro realizzatosi nell'anno 2002 in un cantiere nella quale quest'ultima operava - nei confronti della sua assicurazione.

In particolare tra l'assicurazione e la società fabbricante gru erano stati stipulati due contratti di assicurazione, uno avente efficacia dal 1 gennaio 2001 al 31 gennaio 2002 con franchigia di euro 4.447,00 e un secondo avente efficacia dal 1 gennaio 2003 al 1 gennaio 2004 con franchigia 150.000,00.

La franchigia è un valore che viene indicato mediante una clausola nelle polizze assicurative ed individua la parte di rimborso del danno non coperto dalla polizza assicurativa il quale rimane perciò a carico dell'assicurato.

Entrambi i contratti di polizza in parola contenevano la clausola claims made, in virtù del quale l'assicuratore è tenuto a mantenere indenne l'assicurato non per i danni causati a terzi nel periodo di vigenza del contratto, bensì per i danni il cui risarcimento sia stato richiesto all'assicurato durante il periodo di efficacia della polizza.

Il sinistro, come sopra riportato, avveniva nell'anno 2002 e ad avviso dell'assicurata, in vigenza della prima polizza la quale prevedeva altresì una franchigia più bassa. La franchigia più bassa è il principale motivo per cui l'impresa assicurata riteneva operante la prima polizza assicurativa.

Al contrario, poiché il terzo aveva avanzato le proprie pretese nei confronti dell'impresa assicurata soltanto nell'anno 2003, in forza della suddetta clausola claims made, occorreva, ad avviso dell'assicurazione, fare riferimento alla seconda polizza. La medesima tuttavia prevedeva una franchigia più alta e superiore al risarcimento richiesto con diretta conseguenza l'impossibilità per l'assicurato di pretendere l'indennizzo.

Il giudizio di primo grado si concludeva con una sentenza del Tribunale di Treviso che accoglieva la domanda risarcitoria proposta dalla danneggiata e condannava al risarcimento dei danni la terza danneggiante e l'impresa assicurata. Altresì il Tribunale accoglieva la domanda di manleva dell'impresa assicurata, dichiarando nulla, ai sensi dell'art. 1341 c.c., la clausola claims made contenuta nella polizza.

La Corte di Appello di Venezia, tuttavia, accoglieva l'impugnazione presentata dalla compagnia assicurativa respingendo quindi la domanda di garanzia dell'assicurata.

In particolare nella sentenza si affermava che la clausola claims made non rendeva nullo l'intero contratto ai sensi dell'art. 1895 c.c., in quanto clausola claims made pura. La clausola claims made pura, secondo la motivazione della Corte, non andava considerata vessatoria avendo non già l'effetto di restringere la responsabilità dell'assicuratore bensì di delimitare l'oggetto del contratto.

La Corte d'Appello evidenziava che nella polizza si faceva riferimento alla "richiesta di risarcimento danni" secondo la clausola claims made, pertanto, essendosi il sinistro verificatosi nel 2002 ma la richiesta inoltrata all'assicurata nell'anno 2003, doveva trovare applicazione la seconda polizza, avente efficacia dal 1 gennaio 2003 al 1 gennaio 2004, la quale prevedeva una franchigia di 150.000,00 maggiore rispetto al danno liquidato per il sinistro subito e conseguentemente totalmente a carico dell'assicurato.

La Corte di Appello di Venezia accoglieva l'appello della società assicurativa concludendo che, sebbene il sinistro si fosse verificato in vigenza della prima polizza, la quale prevedeva una franchigia minore, andava applicata la seconda polizza con franchigia maggiore dal momento che tale era la misura della franchigia prevista dal contratto vigente all'epoca in cui fu inoltrata la domanda di risarcimento verso l'assicurata, in ossequio alla clausola claims made ivi contenuta.


2. Il modello claims made nella sentenza a Sezioni Unite n. 9140/2016 e nella giurisprudenza successiva.

Al fine di meglio intendere il tema della claims made occorre brevemente considerare il percorso giurisprudenziale che ha portato alla Sentenza 22437 del 2018.

Nella pronuncia del 2016, i giudici di legittimità hanno escluso che la clausola claims made possa considerarsi nulla: la clausola è legittima e non vessatoria, tuttavia viene demandato al giudice di merito lo scrutinio caso per caso circa la sua meritevolezza ex art. 1322, comma II, c.c. La dichiarazione di nullità della clausola claims made, per ingiustificata limitazione della copertura assicurativa, comporta l'applicazione dello schema contrattuale di cui all'art. 1917, comma I, c.c.[1]

In particolare nessun dubbio di legittimità viene posto in capo alla clausola claims made "pura" in quanto non prevede limitazioni temporali alla retroattività. La clausola claims made "impura"- ovverosia quella che limita la copertura alla sola ipotesi che, sia il sinistro e sia la richiesta di risarcimento, intervengano in vigenza del contratto assicurativo - risulta invece penalizzante per l'assicurato in quanto viene esposto a probabili vuoti di copertura in caso di sinistri lungolatenti[2].

In merito ai contratti assicurativi con claims made, parte della giurisprudenza affermava la nullità delle suddette clausole per mancanza del rischio. Infatti l'eventuale esistenza dell'illecito già prima della sottoscrizione di un'assicurazione farebbe venire meno l'alea del contratto. Non è infatti consentita l'assicurazione del rischio i cui presupposti causali si sono già verificati, a nulla rilevando che l'evento - inteso come pregiudizio patrimoniale - non si sia ancora verificato. Si concludeva pertanto per la nullità della suddetta clausola e la sostituzione con una formula ritenuta più favorevole per l'assicurato ovverosia il regime legale ex art. 1917 c.c. c.d. loss occurrence.

La giustificazione della nullità delle clausole claims made si fondava sul richiamo implicito dell'art. 1917, comma I, c.c. tra le norme inderogabili dell'art. 1932 c.c. [3].

La tesi non può però condividersi a pieno. Il nostro sistema giuridico, in tema di contratti, è incentrato sull'autonomia contrattuale e consente quindi alle parti sia di determinare liberamente il contenuto del contratto, sia di creare modelli di contratto "nuovi".

In forza del principio di autonomia contrattuale, le parti possono far coincidere l'apertura della copertura assicurativa non con la verificazione del fatto ma con la richiesta di risarcimento.

Pertanto la questione della derogabilità pattizia è certamente da risolvere positivamente in quanto le eventuali deroghe non sono idonee ad incidere sui fondamenti della responsabilità civile. La nozione di fatto illecito, danno e sinistro - problema sottoposto all'attenzione delle Sezioni Unite e sul quale si rinvia all'approfondimento successivo[4]- non sono poste in discussione. Si ammette semplicemente la possibilità per le parti di configurare una diversa copertura assicurativa, definendo quali rischi garantire.

La clausola claims made è una delimitazione temporale e non è idonea a stravolgere l'alea del contratto assicurativo in quanto il rischio garantito coincide con la richiesta di risarcimento il quale rimane un evento futuro e incerto. Appare altresì lecita la clausola di garanzia pregressa che estende la garanzia a fatti accaduti prima della conclusione del contratto, posto che per l'appunto la richiesta rimane evento futuro e incerto, salvo il dovere di informazione nei confronti dell'assicurato[5]. Non mancano le critiche sull'ammissibilità delle suddette clausole con garanzia pregressa, sul punto si rimanda ai successivi che seguono.

Alcune pronunce di merito successive hanno confermato l'impostazione della Sezioni Unite del 2016 e in particolare lo sfavore per le claims made "impure" con la c.d. garanzia di retroattività limitata. Lo scrutinio di meritevolezza è stato effettuato in concreto caso per caso tenendo conto ad esempio de ''l'entità del premio pagato'', ''l'eventuale situazione di squilibrio contrattuale o di una condizione di asimmetria informativa'', ''lo svolgimento di un'attività professionale soggetta ad obbligo di assicurazione'', ''l'esistenza di pregresse trattative idonee ad illustrare al professionista la specifica tipologia di polizza acquistata'', nonchè ''la manifesta volontà di acquistare una copertura assicurativa con estensione temporale ridotta, allo scopo di pagare un premio più contenuto''[6].

Tuttavia l'intervento della Cassazione del 2016 non può considerarsi dirimente.

Vi sono infatti pronunce le quali, in merito alle conseguenze che l'accertamento di non meritevolezza può avere, hanno modificato lo schema contrattuale riconoscendo una copertura retroattiva non prevista dal contratto assicurativo ma soprattutto non prevista dallo schema contrattuale di cui al 1917 c.c.[7]. Tali pronunce possono considerarsi i precursori della soluzione adottata dalle Sezioni Unite del 2018.

E ancora possiamo rinvenire pronunce successive alla Sezioni Unite 2016 le quali sono giunte ad uno scrutinio negativo circa la validità delle clausole in assenza di garanzia postuma.

La Cassazione, con le sentenze gemelle n. 10506 e 10509 del 2017, ha concluso per l'immeritevolezza della clausola claims made, dando poi indicazioni di massima al giudice di merito[8].

La valutazione della meritevolezza, secondo le sentenze di cui sopra, va compiuta in concreto valutando: se la clausola subordini l'indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto; la qualità delle parti; la circostanza che la clausola possa esporre l'assicurato a vuoti di garanzia.

Secondo i giudici di legittimità, nelle sentenze gemelle del 2017, la clausola claims made è atipica e quindi le parti possono adottarla solo se perseguono interessi meritevoli di tutela.

La clausola può dirsi immeritevole di tutela se contraria alle norme imperative, o se contraria al dovere di solidarietà, di parità e di non prevaricazione, principi che il nostro ordinamento pone alla base dei rapporti tra privati.

Le sentenze gemelle del 2017 delimitano poi il concetto di immeritevolezza mediante il metodo casistico, traendone tre indici - i quali sono poi stati ripresi dalla terza sezione della Cassazione nell'ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018 - vale a dire:

- attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l'altra;

- porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra;

- costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.


3. L'iter argomentativo dell'ordinanza n. 1465 del 2018.

La causa è stata assegnata alle Sezioni Unite su impulso dell'ordinanza interlocutoria n. 1465 del 2018, in quanto la terza Sezione civile ha prospettato che il caso in esame pone delle questioni di massima importanza, ulteriori e diverse rispetto a quelle già scrutinate con la sentenza a Sezioni Unite del 2016, succintamente analizzata, tali da sollecitarne a breve distanza di tempo un nuovo intervento.

L'ordinanza di rimessione del 2018 prospetta, esattamente come per le Sezioni Unite del 2016, l'atipicità delle suddette clausole e pertanto una valutazione ex art. 1322, comma II, c.c., ma ripropone le medesime conclusioni delle decisioni del 2017. La terza sezione conclude per l'immeritevolezza della clausola claims made perché attribuisce ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l'altra; pone una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra e, da ultimo, costringe una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

I giudici di legittimità non sembrano quindi mostrare particolare comprensione per le scelte economiche sottese alla strutturazione del contratto assicurativo con clausole claims made. Infatti, le Sezioni Unite del 2016 giustificano la legittimità e la conseguente diffusione di queste clausole in quanto consentono alla società di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e a porre quindi in bilancio le somme necessarie per far fronte alle relative obbligazioni.


La Terza sezione invece pone nuovamente in discussione la meritevolezza di dette clausole, sia nella parte in cui escludono il diritto al risarcimento ove la richiesta pervenga dopo la scadenza del contratto, sia nella parte in cui, stabilendo che con "sinistro" si intenda la richiesta di risarcimento del danno, fanno sì che il contenuto, la misura e i limiti del credito vadano determinati in base a patti contrattuali vigenti al momento della richiesta e non al momento della commissione dell'illecito.

L'ordinanza aggiunge un ulteriore profilo di ritenuta immeritevolezza della clausola sulla base della fattispecie concreta - nel giudizio infatti la compagnia assicurativa invocava l'applicazione della seconda polizza, sottoscritta dall'assicurato, in forza della clausola claims made con franchigia più alta - ovverosia la possibilità ad opera della compagnia assicuratrice di modulare le condizioni generali del contratto sulla base di fatti notori ma per i quali l'assicurato ancora non ha ricevuto richiesta di risarcimento.

Il risultato al quale tende tale ordinanza è quello di non turbare la causa del contratto tipico di assicurazione. Infatti la funzione economico sociale del contratto di assicurazione è la copertura e il trasferimento del rischio. Tale risultato non sarebbe simmetrico con l'operare della claims made[9].

Peraltro nell'ordinanza interlocutoria, la Corte suggerisce di dare una risposta negativa a tale questioni sintetizzando le soluzioni preferibili in due principi:

- Nell'assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di sinistri fatti diversi da quelli previsti dall'art. 1882 c.c. ovvero, nell'assicurazione della responsabilità civile, dall'art. 1917 comma I c.c..

- Nell'assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo dipendano non già dalle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, ma dalle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito.

I giudici di legittimità, in merito alle conseguenze sull'immeritevolezza della clausola, aderiscono al quadro giurisprudenziale maggioritario delineato con la Sezioni Unite del 2016, il quale prevede la sostituzione della clausola nulla con il regime legale ex art. 1917 c.c.

L'aspetto di novità che pone l'ordinanza del 2018, rispetto alle pronunce gemelle del 2017, è sulla nozione di sinistro. L'ordinanza di rimessione identificava nelle claims made una interpretazione travisata del concetto di "sinistro" individuando poi una serie di conseguenze irragionevoli in caso di applicazione della suddetta disciplina. I giudici della terza Sezione affermano che il sinistro, secondo lo schema della clausola claims made, non coinciderebbe con la nozione di evento dannoso bensì con la nozione di richiesta di risarcimento ad opera del terzo.

La Terza Sezione già nell'ordinanza manifestava la preferenza verso una risposta negativa prospettando conseguenze paradossali in caso contrario.

Occorre tuttavia richiamare fin da ora le conclusioni della sentenza a Sezioni Unite del 2018 sulla nozione di sinistro.

I giudici di legittimità disattendono quanto contenuto nell'ordinanza di rimessione. Nelle assicurazioni contro i danni il sinistro viene sempre inteso come fatto generatore del danno, mentre il rischio è l'incertezza sul danno. La situazione di incertezza viene a cessare quando sia il sinistro sia il danno si sono manifestati. Di conseguenza, può risultare assicurabile il sinistro già verificatosi ma sul quale non è stata ancora mossa richiesta risarcitoria in quanto le conseguenze dannose sono ancora incerte per l'assicurato.

La clausola quindi delimita il rischio e cioè l'oggetto del contratto, potendo le parti delineare i profili del contratto assicurativo, delineare i danni assicurabili e definire la nozione di sinistro, sempre nel rispetto dei connotati essenziali del contratto assicurativo e quindi senza trasformarlo in scommessa.

Essendo la clausola claims made delimitativa dell'oggetto del contratto, non incorre nella censura di vessatorietà ma si impone il rispetto dei limiti imposti dalla legge così come previsto al I comma dell'art. 1322 c.c.

La posizione della sentenza in esame sulla nozione di sinistro e rischio appare condivisibile dalla maggioranza dei commentatori[10].

Infatti, il sinistro rappresenta il fatto idoneo a provocare un danno e non la fattispecie dannosa completa costituita dall'evento e dal danno. Il sinistro infatti è l'evento materiale storico idoneo a provocare il danno il quale costituisce elemento incerto. Questo vale sia per lo schema contrattuale tipico ex art. 1917 c.c. e sia per lo schema contrattuale delle claims made.

La nozione di rischio invece è inteso come incertezza del danno, la sua mancanza determina la nullità così come previsto dall'art. 1904 c.c. Se nel momento in cui deve avere inizio il contratto assicurativo manca l'interesse al risarcimento del danno, in quanto il medesimo si è già verificato ovvero mancano le condizioni per la sua verificazione futura, allora il contratto dovrà considerarsi nullo.

Non manca però chi ritiene[11] che la definizione di "sinistro" sia da considerarsi quale falso problema in quanto non si pone come ulteriore e diverso problema rispetto a quello dell'ammissibilità delle clausole claims made.

La richiesta di risarcimento del danno infatti è sempre documentata e vi è sempre un riferimento all'evento dannoso. La clausola contrattuale che definisce come sinistro la richiesta di risarcimento, altro non è che clausola claims made in cui, per l'appunto, si sottopone la garanzia assicurativa alla richiesta che deve pervenire durante il periodo di efficacia del contratto assicurativo. Pertanto il problema di fondo rimane il medesimo ovverosia la validità della suddetta clausola.

Infine la terza sezione, allo scopo di sollecitare le Sezioni Unite a pronunciarsi sull'immeritevolezza della claims made, mette in luce ancora un aspetto, vale a dire l'incertezza in cui si potrebbe trovare l'assicurato in caso di contratto assicurativo claims made. Infatti l'assicurato, consapevole di aver causato un sinistro ma senza ancora aver ricevuto la richiesta, potrebbe sollecitare la richiesta venendo meno al principio di salvataggio ex art. 1915 c.c. ovvero tacere rischiando di non vedersi indennizzare il sinistro.

Non vi sono dubbi circa la possibilità che la claims made comporti tale criticità, ma la medesima potrebbe essere superata - come meglio si approfondirà nel paragrafo successivo - con l'introduzione per legge nei contratti assicurativi della deeming clause.


4. Il riequilibrio pattizio e la previsione delle deeming clauses nelle polizze.

Il contratto di assicurazione della responsabilità civile potrebbe suddividersi nello schema contrattuale dell'art. 1917 comma I, c.c. c.d. clausola loss occurrence ovvero improntato al regime contrattuale delle claims made.

Rispetto però al modello delle loss occurrence, le claims made sono eterogenee in quanto vi sono ulteriori elementi che possono differenziare un contratto da un altro come franchigie e scoperti, clausole di ultrattività e retroattività limitate ad un determinato numero di anni. Le claims made, come esposto dalla SSUU 2016, possono essere pure o impure a secondo che la richiesta risarcitoria e il sinistro siano avvenuti entrambi nel periodo di vigenza del contratto assicurativo o meno.

Nella prassi si sono quindi generate delle diramazioni della clausola claims made al fine di far fronte alle varie difficoltà che la medesima crea nella pratica.

Basti pensare al meccanismo che apre la copertura assicurativa. La medesima copertura, mediante l'utilizzo della clausola claims made, viene rimessa alla volontà del danneggiato e alla sua richiesta di risarcimento. Quest'ultima potrebbe anche essere rinviata in un futuro creando quindi un pregiudizio per l'assicurato.

Se il danneggiante venisse a sapere, in vigenza della polizza, dei danni e della relativa richiesta ad opera del danneggiato, si troverebbe innanzi a due possibilità: attendere la richiesta risarcitoria con il rischio di scadenza della polizza ovvero chiedere al danneggiato di esercitare la sua pretesa violando l'obbligo di salvataggio.

Infatti allo scadere del contratto assicurativo, con clausola claims made in assenza di ultrattività, cessa ogni obbligo da parte degli assicuratori e ogni diritto dell'assicurato di presentare denuncia relativa a richieste di risarcimento ricevute dopo la scadenza, anche se riferite al periodo di vigenza del contratto.

Si è affermata quindi nell'ambito delle assicurazioni le clausole di denuncia preventiva c.d. deeming clause[12]. La deeming clause consente la copertura del danno anche per le richieste di risarcimento pervenute dopo la scadenza della polizza, ma che siano conseguenti o collegate a circostanze denunciate in corso di vigenza della polizza stessa.

Tale clausola consentirebbe quindi all'assicurato, in aggiunta alla denuncia di sinistro a seguito di richiesta di risarcimento, di comunicare all'assicuratore anche tutte le circostanze di fatto di cui viene a conoscenza in corso di contratto e delle quali in futuro potrebbe originare una richiesta risarcitoria. Tale clausola consentirebbe all'assicurato di beneficiare della copertura anche se la richiesta non dovesse giungere prima della scadenza[13].

Inoltre, l'autodenuncia sostituirebbe gli obblighi informativi e al tempo stesso impedirebbe una modifica delle condizioni patrimoniali della polizza[14].

La richiesta di risarcimento presentata poco dopo la scadenza, con denuncia effettuata però in vigenza del contratto assicurativo, potrebbe essere valorizzata ai fini della copertura. La denuncia renderebbe noto all'assicurato e all'assicurazione il sinistro. Se invece non pervenisse la denuncia in vigenza della polizza, la posizione potrebbe essere archiviata dall'assicurazione[15].

Tuttavia tale questione non è stata chiarita e approfondita dalla sentenza in esame.

I giudici di legittimità si limitano a tratteggiare la deeming clause in quanto chiedono al giudice di merito di verificare la concreta immeritevolezza del contratto e di sancire l'abusività della clausola che consente all'assicuratore il recesso al verificarsi del sinistro.

L'art. 11 della legge n. 24/2017 evoca lo schema della deeming clause, in quanto fa riferimento alla denuncia la quale deve pervenire in vigenza della polizza. Ma secondo lo schema classico della claims made la denuncia non porta all'apertura della copertura assicurativa, perché la medesima si apre con la richiesta di risarcimento. Inoltre l'art. 11 della legge n.24/2017 difficilmente potrebbe considerarsi con valenza generale per le cui ragioni già esposte.

Ad ogni modo si rileva che, parte dei commentatori auspicano la prospettazione per legge dell'inserimento della clausola di deeming clause nel contratto assicurativo con claims made in modo puntuale e dell'inserimento della disciplina in caso di mancato inserimento sulla medesima[16].


5. La tipizzazione delle claims made.

Occorre premettere che la clausola claims made si innesta in un quadro legislativo e di prassi bel delineato.

Attualmente le claims made connotano tutti i contratti assicurativi di responsabilità civile, sostituendo la clausola loss occurrence così come tipizzata all'art. 1917, comma I, c.c..

La clausola claims made, la quale condiziona la copertura assicurativa alla circostanza che la richiesta di risarcimento pervenga nel periodo di vigenza della polizza, ha trovato una notevole applicazione principalmente per ragioni economiche.

Le assicurazioni sono società le quali hanno come scopo il ricavo di utili. Volendo semplificare il concetto, gli utili per le società assicurative sono costituti dalla differenza tra i premi incassati e i sinistri liquidati. Le società devono essere in grado di comprendere se un determinato prodotto assicurativo è stato redditizio o meno e per farlo occorre necessariamente circoscrivere il periodo di riferimento.

Se utilizzassimo lo schema della loss occurrence, che tiene conto dell'insorgenza del danno, il danneggiato potrebbe richiedere il risarcimento anche molto tempo dopo. L'assicurazione sarebbe chiamata comunque a liquidare quanto dovuto. Il pagamento ad opera della compagnia assicurativa potrebbe avvenire dopo anni, con ovvio danno in termini di previsione economica, di bilancio e anche di allocazione del corretto prezzo dei premi.

Come enunciato dalla sentenza a Sezioni unite del 2016, la clausola claims made è giustificata dal fatto che consente alla società assicuratrice di sapere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e quindi a porre in bilancio le somme necessarie a far fronte alle relative obbligazioni.

La suddetta clausola ha inoltre trovato espresso riconoscimento legislativo. Attualmente infatti vige l'obbligo assicurativo per chiunque svolga un'attività professionale e la recente disciplina legislativa dell'assicurazione sulla responsabilità professionale è improntata sul sistema delle clausole claims made le quali vengono preferite rispetto al modello di responsabilità civile ex art. 1917, comma I, c.c. c.d. clausole loss occurrence.

Inoltre il legislatore ha optato per l'offerta di ultrattività decennale. Le polizze assicurative possono prevedere l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro 10 anni successivi alla scadenza della polizza, ma riferite a fatti verificati nel periodo di efficacia della copertura assicurativa.

L'ultrattività è una previsione piuttosto rilevante, la medesima infatti protrae per un decennio le coperture assicurative, posto che i fatti oggetto di tutela si siano verificati nel periodo contrattuale.

In ordine di tempo il primo intervento legislativo sull'obbligatorietà assicurativa è quello della legge 24/2017. La medesima dispone all'art. 10 l'obbligo per le strutture sanitarie di assicurarsi per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d'opera.

All'art. 11 viene previsto un modello di garanzia assicurativa che ricalca perfettamente una clausola claims made, infatti l'articolo in questione prescrive che la garanzia assicurativa debba coprire "gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza". La stessa norma impone poi la previsione di un'ultrattività della copertura assicurativa per le richieste "presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura", ultrattività non assoggettabile a disdetta.

La formulazione delle norme di cui sopra è stata ripresa nel D.l. 128/2011 - convertito dalla l. 148/2011 e novellato nel 2017 - il quale all'art. 3 comma 5 lettera e), fermo restando l'obbligo di stipulare idonea assicurazione a carico dell'esercente una libera professione, le condizioni generali della polizza devono prevedere "l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura". L'ultrattività è stata resa efficace per le polizze assicurative già attive al momento di entrata in vigore della norma.

Da ultimo il D. M. del 22 settembre 2016 in merito all'obbligo assicurativo per la responsabilità civile per la professione forense ex L. 247 del 2012, è intervenuto a stabilire che l'assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un'ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l'attività nel periodo di vigenza della polizza, escludendo per l'assicuratore il diritto di recesso dal contratto a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività.

I giudici di legittimità hanno quindi desunto che le medesime possano costituire un nuovo modello di garanzia assicurativa nel contesto della responsabilità civile e per tutte le ipotesi caratterizzate da danni di origine incerta o lungolatenza.

Nell'intervento delle Sezioni Unite del 2018, i giudici di legittimità recepiscono quanto già stabilito dalla sentenza del 2016, ma altresì vanno a toccare i principi della teoria generale del contratto e in particolare la meritevolezza delle clausole in questione e la causa concreta, lo squilibrio sinallagmatico e le sue conseguenze.


6. La valutazione del contratto assicurativo: dalla meritevolezza all'adeguatezza e causa concreta.

I giudici di legittimità, come sopra rilevato, sollecitano un controllo del contratto e pongono al centro del ragionamento la valutazione dell'adeguatezza del medesimo.

Nella sentenza in esame si supera il criterio di meritevolezza ancorato al presupposto della atipicità contrattuale di cui all'art. 1322, comma II, c.c. e si aggancia la valutazione sulla causa in concreto del contratto ex art. 1322, comma I, c.c..

La clausola in esame dal punto di vista astratto è lecita e valida, tuttavia rimane fondamentale verificare che il contenuto contrattuale rispetti i limiti imposti dalla legge e che ai sensi dell'art. 1322 c.c. sia diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Occorre chiedersi quindi se il contratto sia conforme all'ordinamento giuridico in ragione della concreta regolamentazione degli interessi ovverosia secondo la causa in concreto.

Occorre effettuare un piccolo inciso riguardo la meritevolezza e la causa in concreto del contratto.

L'art. 1322 c.c. prescrive, al comma II, che le parti possano concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.

La meritevolezza è intesa come un limite all'autonomia contrattuale, che avvolge ogni contratto atipico, anche se solo parzialmente per effetto di clausole atipiche inserite in negozi tipici. La disposizione in analisi appone, quindi, un precetto che vincola sia le parti al momento della stipula del contratto, sia il giudice nel momento in cui deve procedere alla verifica sulla meritevolezza.

L'art. 1322, comma II, c.c. offre due criteri secondo cui deve essere svolta l'analisi di meritevolezza e cioè gli interessi che il contratto è diretto a realizzare e il raffronto dei predetti interessi con l'ordinamento giuridico.

È opinione diffusa che gli interessi di cui all'art. 1322 c.c. involgano la causa del contratto la quale, all'esito di un'annosa disputa dottrinale e giurisprudenziale, si ritiene corrisponda all'assetto degli interessi perseguiti dalle parti mediante il contratto. La causa, dunque, è quella cosiddetta "in concreto", ossia la ragione pratica della programmazione negoziale e l'uso che le parti hanno inteso fare del contratto per raggiungere un certo scopo o risultato.

La sentenza in esame dedica una trattazione ampia e approfondita al questo tema. La clausola claims made non può considerarsi immeritevole perché tipica ma non può sottrarsi ad un sindacato di merito sul contenuto in generale del contratto. Sindacato operato, per l'appunto, sulla base dell'art. 1322, comma I, c.c.

Non manca tuttavia chi ritiene che, il richiamo alla causa in concreto crei dei profili di indeterminatezza finendo per diventare una scorciatoia argomentativa per produrre un risultato giusto. Nel contratto di assicurazione - dove l'interesse è quello per l'assicurato di poter beneficiare di una copertura assicurativa - si potrebbe avere un rischio di sovrapposizione con i motivi del contratto[17].

L'impostazione dei giudici di legittimità, nella sentenza in esame, impone un' indagine causale concreta e non un giudizio di meritevolezza in quanto considerano le claims made come tipiche e non atipiche proprio a seguito del riconoscimento legislativo delle suddette. Pertanto il controllo sulla validità della pattuizione, si fonderebbe sul rispetto dei limiti imposti dalla legge ex art. 1322, comma I, c.c..

Le Sezioni Unite della Cassazione sembrano quasi sostenere che il vaglio di meritevolezza dovrebbe essere applicato solo qualora i privati abbiano effettuato un contratto innominato e di conseguenza dovrebbe essere escluso qualora i privati stabiliscano regole in deroga alla disciplina dispositiva[18].

Tuttavia questo ragionamento si discosta dalla giurisprudenza[19] secondo cui l'inserimento di clausole tipiche nel contratto non comporterebbe in automatico l'esclusione del controllo di meritevolezza, in quanto anche attraverso una regolamentazione tipica i privati possono decidere di soddisfare interessi non tipici.

Nell'ottica dell'esame della causa in concreto del contratto, anche i contratti tipici aventi funzione legale predeterminata possono presentare il problema di esistenza e di liceità della causa. Anche un contratto tipico può perseguire una funzione illecita ovvero non meritevole di tutela.

Pertanto non è condivisibile, secondo buona parte dei commentatori, l'idea esplicitata nella sentenza in esame che l'immeritevolezza non toccherebbe le clausole claims made in quanto tipiche[20].

Ma occorre rilevare che vi è chi ritiene che, secondo la lettura dell'art. 1323 c.c. - il quale dispone che tutti i contratti, sebbene non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute nel codice civile - il contratto atipico potrà essere sottoposto alle norme generali laddove meritevole. Ne deriva che al contratto atipico meritevole potrà applicarsi la tutela della nullità ex art. 1418 c.c. e che la medesima non potrà applicarsi per il contratto atipico immeritevole.

Ciò conferma che la meritevolezza dell'interesse non potrà mai coincidere con lo scrutinio della causa in concreto del contratto atipico e altresì che tale criterio non può essere considerato un canone per vagliare la compatibilità tra la regolamentazione autonoma delle parti e l'ordinamento giuridico.

Quindi solo a seguito di un vaglio che ravvisa la meritevolezza dell'interesse perseguito, il contratto potrà essere considerato efficace e di conseguenza potranno essere applicate le norme del codice civile.

In sintesi alcuni commentatori ritengono che lo scrutinio di meritevolezza degli interessi riguardi la fisiologia del contratto e ben potrebbe esserci quindi un contratto meritevole di tutela ma nullo perché contrario a norma imperativa[21].

Alcuni commentatori ritengono che il giudizio di adeguatezza - inteso come adeguatezza del contratto agli interessi delle parti - e meritevolezza non siano facilmente distinguibili in realtà.

Non appare infatti limpida la distinzione tra il giudizio di meritevolezza ex art. 1322 comma II c.c. e il sindacato fondato su altre disposizioni che comunque non prescinde dal citato articolo. Non vi sono infatti ragioni plausibili per non sottoporre tutti i contratti, sia tipici che atipici, alla valutazione sulla conformità degli interessi perseguiti e quindi a prescindere che venga denominato come meritevolezza ovvero causa concreta del contratto o altro ancora.

Inoltre il giudice quando opera un test basato sull'adeguatezza, può operare una riscrittura del contratto considerato inadeguato rispetto al risultato che intende raggiungere e conseguentemente si avrà l'applicazione dell'art. 1419 comma II c.c., e ciò avviene esattamente come per la meritevolezza[22].

Si rileva ancora che, all'interno della sentenza in esame, non risulta chiaro nemmeno il richiamo alle norme del codice delle assicurazioni effettuato dalla Corte. Questa normativa infatti attiene alla protezione del contraente debole in caso di asimmetria di informazioni e conseguentemente se il contratto risulti adeguato alle esigenze concrete, ma non fornisce un parametro generale per la valutazione dell'adeguatezza del contratto.

Tuttavia non manca chi ritiene che, il criterio sulla conformazione del contratto secondo il principio di adeguatezza non ha sufficiente astrattezza. La Cassazione sottopone la clausola claims made al vaglio della causa in concreto e degli interessi perseguiti dalle parti in quanto ha perso di atipicità. Di conseguenza, secondo alcuni commentatori, non vengono indicati al giudice di merito in modo pratico i criteri da seguire per valutare le clausole. La sentenza in esame indica, come criterio di indagine per l'adeguatezza, l'analisi dell'aspetto sinallagmatico e cioè lo scopo pratico del contratto. Tuttavia l'accertamento dello squilibrio è rimesso al giudice di merito il quale deve valutare caso per caso[23].

Le Sezioni unite sottolineano che, nel valutare l'equilibrio sinallagmatico del contratto, non si parla di equilibrio economico tra rischio assicurato e premio pagato, bensì di equilibrio giuridico, concetto il quale rimane oscuro. Ci si chiede infatti se lo squilibrio esisterebbe ogni volta in cui il premio pagato - rimesso all'autonomia privata - non copra sinallagmaticamente il rischio assicurato. Se così fosse si potrebbe avere un incontrollato intervento correttivo del giudice di merito, anche fuori dei casi in cui l'intervento conformativo è consentito dall'ordinamento.


7. Congruità del premio come criterio di adeguatezza.

La sentenza in esame indica, tra i criteri per determinare l'adeguatezza del contratto, l'analisi dell'aspetto sinallagmatico e cioè lo scopo pratico del contratto contenente la claims made. Esso infatti non deve presentare uno squilibrio giuridico tra rischio e premio. Lo squilibrio sinallagmatico è infatti sintomo di mancanza di causa in concreto nell'operazione economica.

I giudici di legittimità non si riferiscono all'equilibrio economico tra rischio assicurato e premio pagato, bensì all'equilibrio giuridico.

Tuttavia non è chiaro se lo squilibrio esisterebbe ogni volta in cui il premio pagato non copra sinallagmaticamente il rischio assicurato.

Parte dei commentatori[24] ritiene che il riferimento alla congruità del premio, operata dai giudici di legittimità, sia da evitare. Infatti tale riferimento potrebbe dare luogo ad una sovrapposizione tra adeguatezza dell'operazione e proporzionalità delle prestazioni. Senza contare altresì che l'eventuale proporzionalità delle prestazioni non renderebbe immune da censure di natura di irrazionalità dell'operazione.

In capo al giudice di merito, quindi, graverebbe l'arduo compito di apprezzare se un risparmio di premio, riconosciuto al professionista per aver sottoscritto un contratto assicurativo con clausola claims made, sia in grado di bilanciare il sacrificio imposto al medesimo per sopportare una limitazione di copertura e comunque una copertura diversa dalla normativa richiamata.

Il giudice di fatto quindi ricerca la causa in concreto, all'esito del giudizio di adeguatezza, laddove accerti che il contratto non soddisfa l'interesse concretamente perseguito dalle parti, nel dichiarare la nullità, dovrà effettuare uno sforzo di adeguamento del contratto stabilendo anche il corrispettivo e l'adeguamento del premio. Il giudice dovrà quindi regolare l'intera fattispecie secondo le previsioni legislative e i principi generali, conseguentemente l'assicurato sarà obbligato a corrispondere il premio.

Tale sistema metterebbe nelle mani del giudice di merito un sindacato sul contratto assicurativo ben più incisivo di quanto delineato nella precedente sentenza a Sezioni Unite del 2016.


8. Conseguenze sul controllo del contenuto causale: l'intervento sul contenuto del contratto.

La sentenza in esame supera poi l'approccio della sentenza a Sezioni Unite 2016 per cui l'immeritevolezza condurrebbe sempre e comunque alla sostituzione delle clausole claims made con clausole loss occurrence ex art. 1917 c.c.

Non è infatti scontato che la trasformazione di un contratto assicurativo con clausola claims made a loss occurrence consenta di coprire il sinistro verificatosi. L'affermazione di immeritevolezza di una clausola claims made potrebbe portare ad un "vuoto di copertura".

La Suprema Corte invita il giudice di merito a porre rimedio in base all'art. 1419 comma II c.c. ovverosia a sostituire le clausole nulle con clausole reperibili dalla regolamentazione legislativa in riferimento alle claims made

L'obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo è presente non solo nell'ordinamento in generale in forza del principio di buona fede e correttezza ma anche nel codice delle assicurazioni..

La differenza più marcata rispetto alla precedente pronuncia è per l'appunto che, una volta caducata la clausola, non si applicherà la disciplina ex art. 1917 c.c. ma si consente al giudice di intervenire sostituendo le clausole nulle con quelle reperibili dalla regolamentazione legislativa in riferimento alle claims made, tra cui la legge n. 24/2017[25].

Si discute - sulla questione si rinvia all'approfondimento successivo - in merito alla valenza generalizzata della legge n. 24/2017, sulla responsabilità sanitaria, e sui suoi connotati non derogabili in pejus come affermato dalle Sezioni Unite. La clausola claims made pur avendo trovato legittimazione e tipizzazione nella legge, non può dirsi individuata in maniera univoca nella legge n. 24/2017.

I giudici di legittimità infatti suggeriscono al giudice di merito l'utilizzo della specifica normativa in tema di claims made che costituisce quindi la garanzia minima, senza mai perdere di vista la verifica della causa in concreto del contratto, che è, per l'appunto, la sintesi degli interessi che il negozio mira a realizzare.

Occorre tuttavia rilevare che, la precedente soluzione delle SSUU del 2016 - che prevedeva la sostituzione della clausola claims made immeritevole con la clausola loss occurrence - per quanto considerata opinabile dato l'eventuale danneggiamento per l'assicurato il quale potrebbe perdere la copertura retroattiva - costituiva un punto fermo. La soluzione dei giudici di legittimità e cioè la conformazione del contratto secondo il principio di adeguatezza, costituisce ulteriore lato oscuro di questa sentenza, in quanto vi è il timore che il giudice possa manipolare la clausola claims made secondo ciò che crede giusto[26].


9. Fase precontrattuale e obblighi informativi dell'assicurazione: rilievi critici.

Considerata la progressiva applicazione delle claims made ai contratti assicurativi, la sentenza a Sezioni Unite afferma che è necessaria una maggiore tutela per l'assicurato dalle condotte potenzialmente abusive o lesive dei propri interessi. La valutazione del contratto deve riguardare anche il momento precedente alla sua conclusione. Deve infatti essere reso noto all'assicurato, nella fase precontrattuale, tutto il contenuto del contratto al fine di far conseguire al medesimo una copertura assicurativa aderente alle sue esigenze.

La sentenza in esame afferma che l'adeguatezza del contratto assicurativo si possa ottenere mediante la regola degli obblighi informativi per l'assicurato, e la conoscenza del prodotto e del rischio. Infatti una volta acquisita conoscenza su un determinato prodotto rispetto alle esigenze è possibile ponderare il contratto.

Gli obblighi informativi in merito al contenuto del contratto sono altresì posti a livello generale nel codice delle assicurazioni, il quale impone che venga consegnata al cliente, prima della sottoscrizione del contratto, una nota informativa.

La violazione di tale obbligo determina il diritto al risarcimento del danno patito dall'assicurato, ove non sia riscontrabile un vizio del consenso e di conseguenza l'annullamento del contratto.

Il richiamo agli obblighi informativi ha tuttavia poi scarso impatto pratico perché è ragionevole ritenere che l'assicurazione dia tutte le informazioni necessarie all'assicurato.

Nella pratica il cliente, se adeguatamente informato delle varie offerte, è disposto a pagare un premio più alto per ottenere l'estensione della copertura assicurativa. Pertanto il risarcimento del danno patito commisurato, come recita la sentenza, "all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso", appare ragionevole[27].

Vi è però chi ritiene che la scelta di far ricadere la responsabilità sugli intermediari, in base agli obblighi informativi, non sia una scelta adeguata[28].

Gli intermediari infatti sono a loro volta soggetti a scelte di politica aziendale effettuate dalle imprese assicuratrici, senza poterle determinare.

La prospettazione dei giudici di legittimità, che ascrivono tale responsabilità all'intermediario fondato sul dovere di informazione, appare superficiale perché non tiene conto che tale obbligo grava in modo asimmetrico tra le parti. Infatti l'obbligo informativo per le compagnie si esaurisce nelle informazioni date all'assicurato nella fase prodromica del contratto, e nel disporre e consegnare il relativo documento informativo come prescritto dall'art. 185, comma I, lett a) e 185 bis del codice delle assicurazioni; l'obbligo informativo degli intermediari consiste nel guidare in concreto l'assicurato a una scelta consapevole ed informata[29].

L'intermediario quindi è il destinatario dell'obbligo imposto dall'ordinamento ed è colui sul quale ricade l'onere di elaborare le informazioni ricevute, e di trasferirle al cliente in modo esauriente e facilmente comprensibile. Conseguentemente ricadrebbe solo sull'intermediario l'obbligo risarcitorio.

Pertanto ci si chiede se sia corretto, per rimediare allo squilibrio di posizione tra assicurato e assicurazione, allocare la responsabilità al solo intermediario il quale non dispone dei mezzi necessari per modificare il contratto vista la sua estraneità ai processi produttivi dell'impresa.

Tuttavia si rileva che l'obbligo informativo per gli intermediari assicurativi consiste unicamente nel fornire informazioni in merito al contratto proposto e ai prodotti forniti, prima della conclusione del contratto e in caso di successive modifiche di rilievo o di rinnovo. Inoltre, prima della conclusione del contratto, l'intermediario assicurativo può proporre e consigliare, in base alle informazioni fornite al contraente, un prodotto adeguato alle esigenze del cliente, fermo restando l'obbligo di illustrare le caratteristiche essenziali del contratto e le prestazioni alle quali è obbligata l'impresa di assicurazione. Pertanto all'intermediario spetta unicamente l'obbligo di informazione, se il cliente non risulta soddisfatto del prodotto non resta che sottoscrivere il contratto con società assicurativa.

Non si ritiene quindi che tale obbligo sia particolarmente gravoso per l'intermediario.


10. Il problema della consecutività tra polizze.

La sentenza in esame ha ignorato gli eventuali problemi nel passaggio tra una polizza e l'altra nel sistema delle claims made, a prescindere dalla continuità temporale, dal periodo di retroattività delle polizze e dal fatto che l'assicurato abbia corrisposto i premi in modo continuo.

Infatti è innegabile il rischio di "vuoti di copertura" nel passaggio tra una polizza e l'altra, anche se la claims made è articolata secondo il modello c.d. puro.

In proposito L'Autorità Garante per la Concorrenza e il mercato ha censurato un possibile effetto distorsivo della concorrenza nel sistema delle claims made. L'A.G.C.M.[30] ha sottolineato come le claims made porterebbero indurre l'assicurato a mantenere la polizza con la stessa compagnia.

In particolare, l' A.G.C.M. evidenzia come l'obbligatorietà dell'assicurazione per la responsabilità civile nell'attività professionale richieda la garanzia di un effettivo contesto concorrenziale e modelli contrattuali che evitino il rischio di sfruttamento in termini di premi elevati ovvero di clausole vincolanti, che determinino quindi la rigidità della domanda.

L'A.G.C.M. sottolinea come, nell'ultimo periodo, i contratti assicurativi con claims made abbiano avuto notevole diffusione manifestando quindi il problema degli eventuali vuoti di copertura e le relative conseguenze. Al fine di colmare questa mancanza di copertura, l'A.C.G.M. ipotizza due opzioni per il professionista: restare assicurato sempre con la stessa compagnia ovvero sostenere costi aggiuntivi acquistando anche i servizi assicurativi per i c.d. periodi di retroattività.

Pertanto, visti i rischi di criticità della concorrenza che potrebbero portare i contratti assicurativi claims made, l'Autorità ha auspicato, a fronte dell'obbligatorietà dell'assicurazione per la responsabilità civile per l'attività professionale, la previsione di una differenziazione nelle condizioni economiche, che garantiscano la prestazione assicurativa prevista dall'articolo 1917 c.c. prive delle clausole c.d. claims made[31].

In merito al problema dei "vuoti di copertura" prospettato nel 2014 dall' A.G.C.M. si rileva che il legislatore[32] ha optato per l'ultrattività decennale. L'ultrattività protrae di dieci anni l'efficacia del contratto assicurativo prevedendo copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro 10 anni successivi alla scadenza della polizza, ma riferite a fatti verificati nel periodo di efficacia della copertura assicurativa.

Potrebbe inoltre accadere che l'assicurato sia consapevole di aver posto in essere una condotta colposa i cui effetti pregiudizievoli si potrebbero manifestare in un tempo successivo. Se nel frattempo il contratto assicurativo smette di avere efficacia e la richiesta giunga quindi nel momento di sottoscrizione di un nuovo contratto assicurativo, il suddetto sinistro sarebbe privo di garanzia in forza degli artt. 1892 e 1893 c.c. e quindi il contratto assicurativo sarebbe annullabile per dichiarazioni inesatte, e reticenze con ovvero senza dolo o colpa grave. L'assicurazione potrebbe quindi decidere di non manlevare l'assicurato stante la consapevolezza del medesimo, al momento della sottoscrizione della polizza, di aver posto in essere una condotta colposa[33].

Il contesto delle assicurazioni è mutato con l'avvento delle claims made, infatti il contratto assicurativo con le suddette clausole porta alla copertura di fatti accaduti anche prima del periodo di efficacia del contratto, purché richiesti in vigenza della polizza.

Alcune situazioni problematiche potrebbero tuttavia essere evitate mediante affinamento delle tecniche di redazione dei regolamenti contrattuali. Ad esempio, alcuni contratti assicurativi equiparano la richiesta risarcitoria anche all'apertura di un procedimento penale ovvero amministrativo.

Più in generale, la limitazione dei "vuoti di copertura" potrebbe essere evitata mediante l'introduzione delle clausole di denuncia preventiva ovvero deeming clause, come già approfondito[34].

Tuttavia le denunce cautelative da parte dell'assicurato non risolvono tutti i problemi relativi ai "vuoti di copertura", connessa all'ipotesi di successione dei contratti assicurativi. La denuncia cautelativa può comportare il mancato rinnovo del contratto assicurativo ovvero l'incremento cospicuo del premio per l'anno successivo o ancora, come nella sentenza in esame, un innalzamento considerevole della franchigia.

L'attenzione deve quindi spostarsi sugli artt. 1892 e 1893 c.c. sulle dichiarazioni false e sulle reticenze rese dall'assicurato prima della stipulazione del contratto assicurativo. La ratio di tali disposizioni è quella di consentire l'esatta individuazione del rischio da parte dell'assicuratore il quale, una volta conosciute tutte le circostanze idonee ad influire sul rischio, può determinare il premio e le condizioni del contratto. Da queste norme discenderebbe una divisione di oneri tra assicurato e società assicurativa: il primo deve fornire tutte le informazioni relative al rischio, il secondo deve valutare in maniera tecnica ed economica il rischio e determinare il relativo premio.

Tali norme infatti sono strettamente connesse al funzionamento delle claims made, infatti il modello "a richiesta fatta" consente la copertura di fatti compiuti prima della stipula del contratto e le eventuali dichiarazioni effettuate prima della sottoscrizione del contratto potrebbero determinare l'annullamento del medesimo. A tale proposito si richiama la sentenza a Sezioni unite del 2016 la quale aveva escluso che il compimento di un illecito prima della stipula del contratto determini il venir meno dell'alea del contratto se le parti ignoravano che, da tale fatto, potessero derivare conseguenze risarcitorie. In caso contrario troverebbe applicazione per l'appunto la disciplina ex artt. 1892 e 1893 c.c.

Gli artt. 1892 e 1893 c.c. sono norme di favore per le assicurazioni, ma tali disposizioni non sono più rispondenti al moderno sviluppo della tecnica assicurativa nonché dell'effettivo atteggiarsi dei rapporti contrattuali tra assicurato e società assicurativa, quest'ultima infatti è ormai una complessa organizzazione produttiva che è in grado di valutare l'entità e la natura effettiva dei rischi assunti. Inoltre non sempre l'assicurato è in grado di valutare quali siano le informazioni rilevanti da fornire all'assicurazione[35].

La giurisprudenza di legittimità[36] ha valorizzato il principio di buona fede e correttezza nelle questioni relative alla raccolta di informazioni rilevanti per la selezione del rischio. In particolare si è riconosciuto il dovere dell'assicuratore, derivante per l'appunto dall'art. 1175 c.c., di ridurre gli spazi di indeterminatezza delle circostanze che egli intende conoscere, in modo tale che l'eventuale inesattezza o reticenza della dichiarazione, in mancanza di una richiesta specifica da parte dell'assicuratore, rimerebbe a carico di quest'ultimo, in quanto vi ha dato causa.

In questo sistema ruolo fondamentale ha assunto il questionario precontrattuale e l'interpretazione dei c.d. "fatti noti". Nei predetti moduli sono formulate domande sulla conoscenza di fatti ovvero circostanze che possono dare origine ad una richiesta di risarcimento o ad un coinvolgimento in un procedimento civile, penale o amministrativo.

Una nozione troppo ampia ed indefinita dei fatti e delle dichiarazioni che devono essere resi noti all'assicurazione prima della stipulazione del contratto assicurativo potrebbe consentire a quest'ultima di sottrarsi all'obbligo di manleva lasciando quindi privi di copertura assicurativa alcuni sinistri.

Le conseguenza pregiudizievoli di una nozione troppo ampia si avrebbero non solo per l'assicurato e per i terzi ma altresì per il mercato, a causa dell'accentuarsi delle criticità concorrenziali, come più sopra analizzato.

L'assicurato, in relazione ad un fatto o ad un errore commesso il quale allo stato attuale è soltanto ipotizzabile, si troverebbe di fronte all'alternativa di accertare il rischio di un vuoti di copertura ovvero di formulare una denuncia cautelativa che potrebbe incidere non solo nel calcolo del premio ma altresì nel rapporto con l'assicuratore, senza contare le difficoltà future nel reperire un nuovo contratto assicurativo.

Appare opportuno che gli artt. 1892 e 1893 c.c. debbano necessariamente essere interpretate considerando il mutato contesto dell'assicurazione che ormai è improntato sul sistema delle claims made che caratterizza la copertura assicurativa anche dei fatti accaduti prima del periodo di efficacia della polizza.

Significativo al riguardo è l'intervento dell'ANAC[37] la quale, in merito alle linee guida operative e clausole contrattuali-tipo per l'affidamento di servizi assicurativi - con le quali sono state delimitate le clausole assicurative che devono disciplinare il rapporto tra stazioni appaltanti e imprese - ha evidenziato che cosa si intenda per "fatto noto". L'ANAC ritiene che, nelle polizze assicurative con claims made stipulate dalla PA, il "fatto noto" debba essere delimitato alla formale richiesta di risarcimento ricevuta dall'Amministrazione oppure alla formale conoscenza dell'evento dannoso.

La determinazione dell'ANAC circa la clausola di delimitazione dei concetti di fatto noto, conferma l'esigenza di interpretazione e delimitazione del "fatto noto" al fine di circoscrivere l'interpretazione ed applicazione degli artt. 1892 e 1893 c.c.

Tale impostazione non mette in discussione l'operatività delle norme riguardanti le dichiarazioni non veritiere e reticenze dell'assicurato, ma circoscrive le condotte opportunistiche.

Infatti in merito alle condotte opportunistiche da parte dell'assicurato - il quale potrebbe tentare di scaricare sull'assicuratore sinistri passati che non dovrebbero ricadere nel contratto - si ritiene che le medesime siano ravvisabili solo se l'assicurato sia stato reticente in relazione ai fatti rispetto ai quali poteva già conoscere al tempo di sottoscrizione della polizza e che avrebbero determinato con ragionevole certezza la richiesta di risarcimento.

Al contempo si rileva che le dichiarazioni reticenti da parte dell'assicurato possono dirsi scongiurate dall'esistenza dell'obbligo di assicurazione per i professionisti e di conseguenza di una sostanziale continuità nella copertura assicurativa, rendendo quindi indifferente all'assicurato il far ricadere un sinistro sotto un contratto o sotto un altro.

Le reticenze sono ravvisabili qualora l'assicurato abbia sottaciuto determinati fatti rispetto ai quali poteva già conoscere, con ragionevole certezza, l'esistenza di un pregiudizio o che avrebbero fatto sorgere una richiesta di risarcimento. Va da sé che non si può pretendere che l'assicurato dichiari fatti o circostanze da cui non necessariamente deriveranno richieste risarcitorie.

In generale appare opportuno ricondurre nell'ambito dei vizi del consenso ed in particolare del dolo ex art. 1439 c.c., la disciplina sulle dichiarazioni inesatte e reticenze, dando rilevanza alla reticenza quando costituisca violazione di un dovere di informazione gravante in virtù del principio di buona fede.

Ad ogni modo spetterà al giudice, sempre in ossequio al principio di buona fede, valutare se le dichiarazioni rese dall'assicurato sono tali da determinare l'annullamento del contratto, tenendo conto che il dovere di informazione non sussiste sulle circostanze rispetto alle quali non è possibile ancora conoscere, con ragionevole certezza, se saranno in grado di originare una richiesta di risarcimento da parte del terzo[38].

Inoltre le clausole negoziali di esclusione della copertura, a causa di comunicazioni false o reticenze, non potranno avere contenuto più stringente di quanto già previsto agli artt. 1892 e 1893 c.c. se non in senso più favore per l'assicurato.

Tale interpretazione non si traduce in una violazione del diritto positivo né in una lettura abrogativa della normativa, ma rappresenta lo strumento per bilanciare la tutela dell'assicuratore con la garanzia dell'effettiva traslazione del rischio quando la polizza sia articolata secondo il modello claims made[39].


11. Conclusioni

La soluzione adottata dai giudici di legittimità nel 2018 conferma la soluzione adottata dalla sentenza a Sezioni Unite del 2016, in quanto afferma che le clausole claims made non sono vessatorie - perchè non limitative della responsabilità, ma dell'oggetto del contratto - e che le medesime sono tipiche.

Nel 2018 i giudici di legittimità superano l'approdo di atipicità al quale erano pervenuti i giudici di legittimità nel 2016, in quanto prendono atto che la clausola claims made è l'estrinsecazione del principio di autonomia delle parti ex art. 1322 c.c., inoltre il legislatore italiano - in conformità peraltro a quanto accaduto negli ordinamenti europei - ha adottato il modello delle claims made per le polizze di assicurazione della responsabilità civile dei professionisti. Questo nuovo assetto comporta un sindacato di adeguatezza sui limiti imposti dalla legge ex art. 1322, comma I, c.c. e, di conseguenza, il venir meno del giudizio di meritevolezza sulla claims made.

La Corte prosegue poi nel ragionamento affermando che la clausola claims made, pur essendo tipica e non dovendo più essere oggetto di giudizio di meritevolezza, potrebbe presentare criticità e impone un' indagine sulla causa in concreto.

L'indagine di adeguatezza e il sindacato sulla causa concreta del contratto, secondo i giudici di legittimità, non devono unicamente attenere alla conformazione genetica del contratto, ma altresì all'attuazione del rapporto.

Le Sezioni Unite dividono in tre momenti differenti l'indagine sul contratto e le conseguenze di questa.

Nella fase precontrattuale si accerterà il concreto adempimento degli obblighi informativi da parte degli intermediari. La violazione di tale obbligo comporterà un effettivo ristoro del danno patito ovvero l'annullamento se la violazione degli obblighi sia tale da determinare un vizio del consenso.

Sul contenuto negoziale si accerterà la causa in concreto analizzando l'assetto sinallagmatico del contratto assicurativo, valutando la determinazione del premio polizza per capire se il contratto presenti uno squilibrio giuridico tra il rischio assicurato e il premio.

In caso di accertato squilibrio, che determini l'annullamento del contratto, il giudice potrà porre rimedio in base a quanto prevede il codice civile all'art. 1419, comma II, così da integrare lo statuto negoziale attingendo dalle norme reperibili dalla specifica regolamentazione legislativa. Soluzione diversa da quella prevista dalle Sezioni Unite 2016 la quale sostitutiva la clausola nulla con il modello loss occurrence ex art. 1917 c.c..

In merito alla posizione della Sezioni Unite 2018 occorre rilevare delle criticità.

Le claims made sono complesse e il vaglio di meritevolezza investe non solo il settore giuridico ma soprattutto quello economico. La giurisprudenza non fa certo segreto che lo sviluppo di tali clausole affonda le proprie ragioni su questioni economiche delle società assicurative. La riflessione su dette clausole pertanto andrebbe effettuata in modo più profondo, limitando una prassi che è stata già delineata dal legislatore e non confinando il giudizio alla teoria generale del contratto e alla bilateralità del rapporto.

La soluzione interpretativa dei giudici di legittimità, caratterizzata sul vaglio di adeguatezza ex art. 1322, comma I, appare idonea a salvaguardare gli interessi dell'assicurato ma tuttavia la Cassazione non ha delineato criteri adeguatamente astratti e generali.

Innanzitutto si fa presente come il giudizio di meritevolezza e adeguatezza sia di fatto non facilmente distinguibile. Il problema di controllo di esistenza o liceità della causa in concreto sorge sia per il contratto tipico che atipico e tale vaglio viene effettuato a prescindere che sia nominato di meritevolezza ovvero di adeguatezza.

Inoltre il contratto tipico può essere nullo per mancanza o per illeceità della causa se non ha una giustificazione giuridica. Nei negozi tipici l'esistenza e la liceità della causa sono già valutate in linea di principio in modo positivo dall'ordinamento ma resta da valutare in concreto se un certo contratto sia meritevole di approvazione.

Segue nell'allegato.






















Scritti dell'Autore