Belt and Road Initiative e 5G, riflessi geopolitici
Pubblicato il 27/08/20 00:00 [Articolo 1755]






Belt and Road Initiative, in acronimo BRI, in Italia si traduce nella più rassicurante dizione di "Nuova Via della Seta". Si tratta di un'entità transazionale ideata per lo sviluppo commerciale della Cina che progetterà, realizzerà e proteggerà (con proprio personale militare nei casi in cui ce ne fosse bisogno come in alcuni paesi asiatici o africani, oppure con guardie private nei paesi in cui non ne fosse concesso l'accesso) le infrastrutture destinate ad una più profonda integrazione della Cina nell'economia mondiale. La "Cintura" (Belt) e la "Strada" (Road) consistono in percorsi di trasporto terrestre, marittimo e telematico che collegano la Cina all'Europa, la totalità dell'Asia, le regioni lungo l'Oceano Indiano ed il Medio Oriente.

Nell'ultimo decennio, società cinesi private o di proprietà statale hanno acquisito partecipazioni in otto porti marittimi di Belgio, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Spagna e Italia.

Per esempio, nel 2016, il COSCO (China Ocean Shopping Company) ha comprato la maggioranza assoluta della Port Authority del Pireo in Grecia con un investimento di 281 milioni di euro, ha partecipato alla joint venture Euro-Asia Oceanogate che ha acquisito per 790 milioni di euro il Kumport terminal di Ambarli a Istanbul in Turchia, nel giugno 2017 ha conquistato la maggioranza assoluta della società proprietaria del terminal di Bilbao e Valencia, in Spagna.

Per il Governo di Pechino non esiste, però, momento più propizio di quello attuale per investire in Italia, sia perché duramente colpita dalle conseguenze economiche del virus cinese Covid-19, sia e soprattutto per la totale disponibilità dell'attuale compagine governativa ad aprire le porte agli investimenti cinesi. Lo shopping di Pechino avrebbe dovuto riguardare prioritariamente i porti di Trieste, Venezia, e Genova ma, pur non essendo tra gli obiettivi originari, fiutato l'affare, adesso anche il porto di Taranto. Con l'attuale Governo succede però quanto di più inaspettato e sperato da Pechino: l'attuale Ministro degli Esteri Luigi di Maio spalanca le porte alla Cina anche sul campo della tecnologia delle comunicazioni. Si tratta del famoso 5G, acronimo di 5th Generation. Nelle migliori delle supposizioni, probabilmente, l'esecutivo non ha compreso pienamente la portata a medio e lungo termine dei riflessi di tale accordo in ordine alle delicate questioni strategiche, della sicurezza nazionale e dei coinvolgimenti geopolitici che questa scelta comporta (per non parlare delle questioni della salute nazionale e delle problematiche tecnico-ambientali dovute alla presenza degli alberi proprie della rete 5G): l'inserimento nel tessuto nazionale, in particolare nei flussi dati telematici, della presenza cinese rende permeabili e vulnerabili tutte le basi Nato in Italia, comportando la necessità di dismissione delle basi militari con conseguente emarginazione dell'Italia dallo scacchiere dei paesi del Patto Atlantico.

Il processo di introduzione della Cina nel contesto nazionale è in fase di accelerazione esponenziale considerando il momento miracoloso per Pechino dettato dal suddetto quadro economico (crisi finanziaria da Covid-19) e politico (endorsement del Governo giallorosso) e, nonostante gli allarmi lanciati dal Copasir sulla sicurezza nazionale (come nell'imminente dossier sull'acquisizione del porto di Taranto) e l'indignazione di Washington per l'inaspettato tradimento da parte di Roma, come per magia, l'Italia ha già effettuato le sue nette scelte di campo; basti pensare che il nostro Paese è, insieme a Cina, Corea del Nord, Venezuela e qualche nazione africana, uno dei pochi paesi al mondo a non avere chiesto l'istituzione di una commissione d'inchiesta internazionale sulla reale origine del coronavirus che indaghi sulla fondatezza della versione ufficiale del regime cinese. Né appare immune la stessa politica interna con forti caratterizzazioni di stampo statalista ed assistenzialista da parte del Ministero dell'Economia e l'ineluttabile deriva verso uno stato di insolvenza nazionale che, pur mitigato da una prossima "patrimoniale", non farà altro che permettere maggiori affari ai nuovi "amici" cinesi esattamente come già accaduto per la Grecia, svenduta durante la pregressa crisi economica.

Luca Cosentino dottore commercialista in Pescara






















Scritti dell'Autore