Gli interventi normativi e di prassi sulla crisi COVID rappresentano un temporaneo cambiamento delle regole generali di formazione del bilancio. Un bilancio redatto secondo le "deroghe COVID" può essere chiaro, veritiero e corretto?
Pubblicato il 26/09/20 02:00 [Articolo 998]






-Gianfranco Capodaglio, già professore ordinario di economia aziendale Università fi Bologna, dottore commercialista e revisore legale.
-Vanina Stoilova Dangarska, dottore commercialista e revisore legale, phd università UNWE Sofia.
-Alessandro Ricci, revisore legale docente a contratto università di Bologna.
-Giovanna Ricci, già professore di ruolo istituto tecnico commerciale Macerata, docente a contratto università di Macerata.
-Lauretta Semprini, professore di ruolo Istituto tecnico Valturio Rimini, dottore di ricerca Università di Macerata.
-Ivanoe Tozzi, professore associato di economia aziendale università di Bologna.


Premessa

Questo articolo è il risultato del lavoro di un gruppo di studio formato da docenti e professionisti, studiosi ed esperti di ragioneria, diritto commerciale e diritto tributario. L'obiettivo è stato quello di analizzare le recenti novità normative, rientranti nel diritto societario e tributario e le loro interpretazioni fornite dall'Organismo italiano di contabilità e dall'Assonime. Tutte quelle considerate sono accomunate dal fatto che trattano temi connessi al bilancio delle imprese nel periodo di "crisi COVID".

Il risultato dell'indagine multidisciplinare è stato condiviso, grazie alla (parziale) rinunzia di ciascun autore al più che giustificato desiderio di considerare il punto di vista della disciplina di cui è cultore come quello destinato a prevalere.


I nuovi provvedimenti

Tra aprile ed agosto 2020 si sono succeduti alcuni interventi normativi e di prassi sulla redazione del bilancio, contenenti degli elementi talmente coerenti fra loro, da sembrare parte di un medesimo disegno. Indichiamo in ordine di tempo:

- il decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. Decreto "Liquidità");

- la comunicazione "Impairment test e COVID-19", pubblicata dall'Organismo Italiano di Contabilità (OIC) il 3 maggio 2020;

- il documento interpretativo OIC n. 6 - Decreto Legge 8 aprile 2020, n.23 "Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio", pubblicato nel giugno 2020;

- il documento OIC "Metodi di ammortamento - Bozza di comunicazione" pubblicata il 16 luglio 2020;

- la legge 17 luglio 2020, n. 77, che converte in legge, con modificazioni, il decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto "Rilancio");

- il "Caso" Assonime n. 5/2020;

- la circolare Assonime n. 16 del 28 luglio 2020;

- il decreto legge 14 agosto 2020, n. 104 (il c.d. Decreto "Agosto").

Come è noto[1], l'art. 7 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23 ha dettato delle importanti deroghe all'applicazione del "principio della continuità aziendale" per la redazione del bilancio secondo l'art. 2423-bis del codice civile[2] e la sua applicazione ha comportato alcune difficoltà interpretative.

La comunicazione OIC sull'impairment test si pone le seguenti domande:

• la crisi economica connessa alla crisi sanitaria COVID-19 è un elemento che va preso in considerazione per la valutazione degli indicatori di impairment?

• nella stima dei flussi di cassa futuri ai fini del test di impairment va tenuto conto della crisi economica connessa alla crisi sanitaria COVID-19?

Alla prima domanda l'OIC risponde che l'emergenza sanitaria COVID-19, che costituisce un fatto successivo che non deve essere recepito nei valori di bilancio, non può comportare l'obbligo di predisposizione del test di impairment.

Anche per quanto riguarda la seconda, si conclude che, ai sensi dell'OIC 29, il COVID-19 è un evento successivo e, quindi, non deve essere recepito nei valori di bilancio; pertanto, gli effetti del COVID-19 non devono essere considerati nei piani aziendali utilizzati per determinare il valore d'uso di un'immobilizzazione.

A differenza di quanto vedremo nel prosieguo delle presenti note, la suddetta conclusione risulta essere un'interpretazione non ristretta al periodo di crisi, ma valida per tutti i fenomeni che, ai sensi dell'OIC 29, sono successivi alla chiusura dell'esercizio e non influenzano le valutazioni del relativo bilancio.

L'Organismo italiano di contabilità ha fornito poi un'interpretazione autorevole, essendo stato a ciò delegato dal legislatore[3], attraverso il documento n. 6, pubblicato nel giugno 2020. In particolare, ha confermato che, anche in mancanza dei presupposti per la continuazione dell'attività, sino a quando essa non è effettivamente cessata, il bilancio deve essere redatto secondo principi contabili ordinari, ma nelle valutazioni si deve tener conto del diminuito orizzonte temporale. Ciò vale in via generale; dopo l'entrata in vigore del decreto 23/2020, l'impresa, in assenza dei presupposti per la continuità, potrà continuare ad utilizzare criteri ordinari di valutazione, senza però l'obbligo di tener conto del ridotto orizzonte temporale[4].

L'argomento è stato oggetto di revisione da parte del legislatore attraverso il D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il cui art. 38-quater, rubricato "Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio", così recita:

"1. Nella predisposizione dei bilanci il cui esercizio è stato chiuso entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile è effettuata non tenendo conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze concernenti gli eventi successivi, nonché alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito.

2. Nella predisposizione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile può comunque essere effettuata sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio di esercizio chiuso entro il 23 febbraio 2020. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all'articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente.

Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonché alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito.

3. L'efficacia delle disposizioni del presente articolo è limitata ai soli fini civilistici."

Appare subito evidente la maggiore ampiezza della norma, che tende a superare alcune delle incertezze interpretative riscontrate nella precedente versione.


L'interpretazione della nuova normativa

Un commento particolarmente interessate è fornito da ASSONIME nella recente circolare n. 16, che perviene a delle conclusioni in parte analoghe a quelle rappresentate nell'articolo citato alla nota 1) ed in parte assolutamente innovative.

A pag. 9 viene proposta la chiave di lettura di tutta la normativa riguardante le imprese in questo periodo straordinario di crisi: la volontà del legislatore è "quella di evitare l'interruzione dell'attività delle imprese […], considerando anche le difficoltà che in tale fase le imprese incontrano nel reperire i mezzi necessari per il finanziamento e il rafforzamento patrimoniale". Il concetto è molto chiaro: il legislatore intende impedire che le difficoltà create dalla crisi epidemica provochino l'interruzione dell'attività delle imprese, anche derogando alla normativa attualmente vigente, tutta quella ostativa, se necessario. L'argomento viene successivamente ribadito (pag.13), precisando che vengono così neutralizzati gli effetti derivanti dall'attuale crisi economica, conservando ai bilanci una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti dei terzi, sulla base delle condizioni esistenti prima della crisi.

Per ben comprendere la portata dell'intervento normativo, occorre considerarlo nel contesto di tutte le nuove disposizioni riguardanti le imprese colpite in vario modo dalla crisi causata dalla pandemia. Le norme agevolative in tema di finanziamenti e contributi a fondo perduto tendono a fornire un sollievo immediato, seppur modesto, mentre gli incentivi destinati ai cittadini per invogliarli ad acquistare determinati beni e servizi incidono sul funzionamento del libero mercato, spingendo i consumatori verso i settori ritenuti, per vari motivi, meritevoli di aiuti più degli altri.

Ancor più decisive sono le disposizioni riguardanti il blocco dei licenziamenti, legato al prolungamento della cassa integrazione: è chiara la volontà del legislatore di mantenere artificiosamente in vita anche le imprese che, in altri contesti (cioè non nell'attuale periodo di crisi COVID) ma con le medesime difficoltà economico patrimoniali e finanziarie, sarebbero, nella migliore delle ipotesi, destinate alla cessazione dell'attività, in una paradossale logica del rinvio che è totalmente avulsa dal mondo dell'impresa.

Tutto ciò non può non avere effetti sull'interpretazione di tutte le norme riguardanti i bilanci d'esercizio e consolidati; in particolare, della norma di base contenuta nell'art. 2423 del codice civile. Seguendo il ragionamento della circolare Assonime, non sarebbe immaginabile che un bilancio redatto secondo le ultime disposizioni possa da qualcuno essere considerato in contrasto con la clausola generale: quindi, nonostante le deroghe riguardanti la redazione dei prospetti contabili, cioè stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario, unitamente alle prescrizioni in merito al contenuto della nota integrativa, il bilancio sarebbe comunque assolutamente chiaro, veritiero e corretto, indipendentemente dal contenuto dell'art. 2426 riguardante le valutazioni e dalla sua interpretazione data dai principi contabili nazionali.

Una conferma indiretta dell'assunto si ha dalla lettura di un ulteriore passo particolarmente interessante della circolare: in esso troviamo un'accurata analisi della possibilità che, pur tenendo conto dell'aspetto strettamente lessicale dell'art. 38-quater, tale disposizione sia applicabile anche dalle società che adottano i principi contabili internazionali.

A pag. 15, come prima giustificazione dell'ipotesi, si osserva che "Ciò detto, al di là della valutazione di merito che si attribuisce alla norma speciale in tema di valutazione nella prospettiva in continuità aziendale recata dall'art. 38-quater del Decreto Rilancio, non si può certo dubitare sul fatto che le esigenze alle quali essa intende rispondere si presentano comuni all'intero mondo delle imprese, a prescindere dal quadro contabile applicato".

Una diversa interpretazione porterebbe, ad avviso di Assonime, a rilevanti conseguenze negative: "Nel caso di specie, poi, non siamo in presenza di una differenza di trattamento contabile relativa a una singola posta (in cui può trovare giustificazione un diverso trattamento contabile della medesima fattispecie), ma dell'intera ottica che ispira i criteri di iscrizione e valutazione delle voci di bilancio. La possibilità di un trattamento contabile diverso, per le medesime situazioni, a seconda del quadro normativo di riferimento, non solo pone un serio problema di comparabilità dei bilanci tra imprese, ma introduce una disparità di trattamento non giustificabile e potenzialmente decettiva per i terzi".

La parte più interessante, però, riguarda l'aspetto giuridico: in prima approssimazione viene ricordato (pag. 16) che secondo lo IAS 1, paragrafo 19, se, in circostanze estremamente rare in cui la direzione aziendale conclude che la conformità con una disposizione contenuta in un IFRS sarebbe così fuorviante da essere in conflitto con le finalità del bilancio, l'entità deve disattendere tale disposizione, se il quadro sistematico di regolamentazione lo richiede o non vieta la deroga.

Soprattutto, poi, viene citato l'art. 5 del D. Lgs. n. 38/2005, secondo cui, qualora in casi eccezionali l'applicazione di una disposizione prevista dai principi contabili internazionali è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non è applicata e gli eventuali utili, derivanti dalla deroga, sono iscritti in una riserva non distribuibile.

Preso atto che sicuramente ci troviamo di fronte ad un caso eccezionale, Assonime conclude, infine, che In Italia abbiamo quindi una norma che consente (anzi impone) la disapplicazione dei principi contabili internazionali per contrasto con la "rappresentazione veritiera e corretta".

Tornando agli effetti delle nuove norme sull'interpretazione dell'art. 2423 del codice civile, si potrebbe ritenere che, secondo la circolare, se una società, in presenza di rilevanti incertezze sulla continuità dovute ad "effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio"[5], non usufruisce nel proprio bilancio della deroga prevista dai recenti decreti, detto bilancio potrebbe non rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, reddituale e finanziaria della società.

Questa conclusione, apparentemente paradossale, deriverebbe dalla precedente considerazione che un bilancio redatto secondo le nuove regole deve considerarsi del tutto rispondente ai requisiti previsti dall'art. 2423: una diversa conclusione sarebbe contraddittoria.

Eppure, tale conclusione sembra smentita dalla stessa Assonime in un successivo passaggio della medesima circolare[6] in cui si afferma, al contrario, che il ricorso al meccanismo di valutazione presuntiva della continuità aziendale "…si qualifica in termini di mera facoltà…".

Ad onor del vero, Assonime ritiene che il meccanismo di valutazione presuntiva della continuità operi in modo differenziato per i bilanci 2020 rispetto a quelli chiusi entro il 23 febbraio 2020 ma non ancora approvati; per i primi esso si qualificherebbe in termini di mera facoltà, mentre soltanto per i secondi in termini obbligatorietà.

In realtà, non sembra vi siano solide argomentazioni testuali o logiche atte a sostenere la necessità di una valutazione differenziata della continuità aziendale tra i bilanci 2019 e 2020; aderendo all'orientamento espresso dall'OIC con il Documento interpretativo n. 6[7], riteniamo, infatti, che il ricorso alla valutazione presuntiva della continuità si qualifichi in termini di facoltà sia per il bilancio 2020 che per quelli relativi agli esercizi chiusi prima del 23/02/2020 (generalmente, dunque, i bilanci 2019).


Una conferma dell'interpretazione

Come in precedenza indicato, nel luglio 2020 l'Organismo Italiano di Contabilità ha pubblicato in consultazione il documento "COVID 19: OIC 16 e OIC 24 - Modifica del metodo di ammortamento delle immobilizzazioni materiali e immateriali" ponendosi il problema se in questo periodo storico particolare il metodo dell'ammortamento basato sulla vita utile pro rata temporis del cespite possa essere ritenuto quello che meglio rappresenta la residua possibilità di utilizzazione del bene.

Nel documento viene quindi proposto il metodo dell'ammortamento "per unità di prodotto". Questo metodo consiste "nell'attribuire a ciascun esercizio la quota di ammortamento di competenza determinata dal rapporto tra le quantità prodotte nell'esercizio e le quantità di produzione totali previste durante la residua vita utile dell'immobilizzazione".

Ciò operativamente implica:

1) la stima della capacità produttiva residua dell'immobilizzazione alla data di cambiamento del metodo;

2) la determinazione delle quantità prodotte nell'esercizio dalla data del cambiamento di metodo;

3) il calcolo dell'aliquota di ammortamento che deriva dal rapporto tra le quantità prodotte dalla data di cambiamento del metodo e la capacità produttiva residua dell'immobilizzazione



4) infine la moltiplicazione dell'aliquota per il valore contabile (costo storico - fondo ammortamento - eventuali fondi svalutazione) dell'immobilizzazione





Trattandosi di un cambiamento di stima contabile, secondo quanto previsto dall'OIC 29 occorre illustrare in nota integrativa le ragioni del cambiamento, le modalità di determinazione e l'effetto sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell'impresa.

Il metodo per unità di prodotto comporta un allungamento della vita utile del cespite (nell'ipotesi che la produzione svolta nel periodo sia inferiore a quella normale), giustificabile solo per un prevedibile minor logorio fisico del bene strumentale, dato che l'obsolescenza tecnica o commerciale non dovrebbe subire modifiche a causa della pandemia.

L'OIC, però, prevede di utilizzare questo metodo per unità di prodotto sia per le immobilizzazioni materiali che per quelle immateriali. Per queste seconde, tuttavia, bisogna fare una distinzione: ve ne sono alcune, quali ad esempio l'avviamento e gli oneri pluriennali, che non subiscono un deterioramento fisico, ma solo un superamento tecnologico e commerciale; quindi, per esse, non sembra giustificabile un allungamento della previsione di vita utile.

Vi è un'ulteriore questione da osservare: come detto, con il metodo proposto il coefficiente d'ammortamento si ottiene dividendo il numero di unità prodotte per la capacità produttiva residua, non per quella totale; ciò comporta che, a parità di altre condizioni, la quota d'ammortamento può risultare sia inferiore, che superiore a quella che si sarebbe calcolata se, come di consueto, la residua possibilità di utilizzo fosse stata calcolata a quote d'ammortamento costanti.

Alla vigilia di Ferragosto è stato emanato il decreto legge n. 104, che, all'art. 110, rubricato "Rivalutazione generale dei beni d'impresa e delle partecipazioni", prevede la possibilità per tutte le imprese di rivalutare i propri beni materiali ed immateriali e le partecipazioni, con modalità ed oneri decisamente più favorevoli rispetto ai precedenti analoghi provvedimenti. È possibile, infatti, operare la rivalutazione, fiscalmente rilevante, pagando un'imposta sostitutiva quasi "simbolica", il 3%, recuperandola, con avanzo, in gran parte dei casi già dal primo esercizio successivo a quello nel quale è avvenuta, attraverso la deduzione delle quote di ammortamento.

Sembra evidente la volontà del legislatore di incentivare le imprese ad approfittare dell'occasione: il motivo non può essere altro, questa volta, che quello di migliorare, in modo convenzionale, la rappresentazione in bilancio del capitale netto, mancando, ab origine, la possibilità - e quindi la volontà - di "fare cassa". Nonostante le cautele che devono necessariamente accompagnare l'operazione di rivalutazione[8], in un contesto di incertezza come quello che stiamo attraversando la determinazione dei valori effettivi o correnti degli elementi dell'attivo suscettibili di rivalutazione presenta più di qualche elemento di criticità.

In talune circostanze, dunque, la disposizione potrebbe addirittura permettere un artificioso incremento del patrimonio netto a fronte di un bilancio che diversamente evidenzierebbe un capitale netto negativo[9].

Interventi questi, che, fuori da una logica emergenziale codificata, costituirebbero casi di scuola di responsabilità degli organi sociali.[10]

Il documento OIC, ovviamente, non ha potuto considerare ufficialmente questa possibilità come vigente, essendo stato pubblicato in data anteriore a quella del decreto, ma, ad avviso di chi scrive, ben s'inserisce nell'obbiettivo del legislatore: la rivalutazione dei cespiti comporta da un lato l'aumento del capitale netto, mentre dall'altro provocherebbe un aggravio di costi a conto economico, per gli aumentati ammortamenti. Il metodo dell'ammortamento commisurato al livello produttivo, però, può notevolmente mitigare il fenomeno.


Le possibili conseguenze dell'interpretazione

Considerando tutta la nuova normativa di carattere economico destinata alle imprese, risulta ormai chiara la volontà del legislatore di evitare il più possibile la cessazione della loro attività, soprattutto per limitare il calo del livello di occupazione, dimenticando che un'impresa "malata" va tempestivamente curata perché "lasciandola in corsia" ad aspettare non guarisce da sola.

Testimone ne sia anche il provvedimento normativo che imponeva l'improcedibilità delle istanze di fallimento fino al 30 giugno 2020, provvedimento tanto errato quanto il pensiero che l'insolvenza conclamata avesse potuto avere origine in periodo Covid-19.

Per raggiungere l'obiettivo sono state introdotte modifiche temporanee alle norme riguardanti il bilancio, in modo tale che le sue risultanze non incidano sulle possibilità di raggiungere le finalità sopra indicate.

L'interpretazione data alle nuove regole dall'OIC e dall'Assonime risulta perfettamente in linea con la volontà del legislatore ed i documenti, come detto, sono fra loro molto coordinati e concordanti.

Pertanto, a parere di chi scrive, mentre sulle interpretazioni riportate non vi sono elementi per dissentire[11], non si può non notare che l'intervento normativo modifica, e persino distorce il concetto stesso di bilancio e l'individuazione delle sue finalità, pur riconoscendo che queste ultime non avevano un'individuazione univoca, neppure prima delle odierne modifiche[12].

Non si può negare che, per quanto gl'interventi normativi possono incidere sugli sviluppi del sistema economico nazionale e degli operatori che in esso agiscono, la realtà economica e finanziaria attuale delle imprese non può essere modificata dalla normativa, né, tantomeno, il sistema bancario potrebbe risultare offuscato nelle sue valutazioni da bilanci "artefatti" normativamente, nel tentativo di salvare i finanziamenti e le linee di credito ad imprese già in crisi secondo le ordinarie norme bilancistiche.

Vi è quindi chi ritiene che un bilancio redatto secondo le deroghe previste non comporti una rappresentazione chiara, veritiera e corretta. Se il presupposto della continuità è ormai venuto definitivamente meno, redigere un bilancio nel quale vale la fictio juris[13] che esso sia ancora sussistente, non sembra che risponda ad una "rappresentazione veritiera e corretta".

D'altra parte, se la giustificazione delle regole speciali "…è costituita dalla considerazione che la crisi da COVID-19 sia un fatto (…..) di natura eccezionale e di natura temporanea…"[14], a noi sembra evidente che in tutte le circostanze in cui il presupposto della continuità aziendale sia definitivamente e non temporaneamente venuto meno, il ricorso alla deroga in questione non sia giustificato.

Si pensi, ad esempio, al caso di una società i cui amministratori, nel mese di aprile 2020, abbiano deciso[15] di cessare, in via definitiva l'attività; per quale ragione il bilancio al 31/12/19 dovrebbe essere redatto in "continuità" quando l'attività aziendale è ormai irreversibilmente cessata o comunque destinata a cessare nel breve periodo?

In altre parole, il formalismo giuridico non può prevalere su una realtà fattuale che palesa l'assoluta insussistenza del presupposto della continuità.

Nel mondo del diritto il ricorso alle fictio iuris non è infrequente, ma in questo caso la "finzione" si pone in assoluto contrasto con i postulati fondamentali del bilancio d'esercizio e rischia di produrre conseguenze irreparabili per tutti gli stakeholder.

L'intervento del legislatore, dal punto di vista formale, permetterà di salvare, forse per un esercizio, un'impresa sostanzialmente in crisi in danno dei creditori, e, in particolare, di quei creditori pubblici qualificati, che la nuova disciplina del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (momentaneamente congelata) cercava di tutelare / penalizzare nell'ottica di una tempestiva emersione della crisi d'impresa, quale unico mezzo per salvaguardare il tessuto imprenditoriale sano.

Che il Legislatore nel nostro ordinamento giuridico si sia occupato, si occupi e si occuperà di argomenti ragionieristici è un dato di fatto, è così per motivi nei quali qui non c'è modo di addentrarsi, ma che sono stati magistralmente illustrati in letteratura[16].

Con tutta probabilità continuerà ad occuparsene e lo farà, si teme, con alterne fortune.

La prima impressione negativa sul dettato della legge 17 luglio 2020, n. 77, riguarda l'espressione "politiche contabili": non c'è scritto "politica di bilancio" ma, in tutta onestà, si deve leggere così, in particolare se si seguono le interpretazioni offerte dalla Circolare Assonime più volte richiamata. Qui ci si limita a richiamare l'oggettivo fondamento teorico e tecnico che storicamente ha avuto, nel pensiero ragionieristico italiano: il reddito attribuibile all'esercizio, grandezza soggettiva, quota parte della grandezza oggettiva reddito totale (intera vita dell'impresa) può e deve essere determinato in modo da favorire la continuità operativa dell'azienda, con amplissimi margini di manovra nella fase delle "valutazioni di bilancio" al punto che, paradossalmente la determinazione di alcuni componenti di reddito dipendeva dal reddito che si voleva ottenere, o, detto meno apertamente, a partire d un certo livello di reddito lordo. Crediamo che scelta lessicale più infelice non si potesse fare. Le riflessioni a valle di questa considerazione sono evidenti. La stessa visione prevalente degli studiosi di Ragioneria si è allontanata da tempo dalla concezione radicale dell'esercizio di spazi di soggettività da parte dei redattori, mettendo a fuoco la clausola generale, la neutralità, ecc.

Secondo quanto adombrato da Assonime, nella citata circolare, finalità di tutti i provvedimenti presi dalle pubbliche autorità nel periodo di emergenza sanitaria è "…impedire che le difficoltà create dalla crisi epidemica provochino l'interruzione dell'attività delle imprese, anche derogando alla normativa attualmente vigente, tutta quella ostativa, se necessario...".

Evidentemente la circolare si riferisce alla prima versione del testo normativo e all'interpretazione datane dal documento 6 dell'OIC, dato che la versione definitiva considera gli eventi avvenuti nel periodo della crisi COVID e non "a causa" del COVID. Infatti, pur ammettendo che l'interpretazione è sostenibile, appare ovvio che nessuno possa essere chiamato a fare un atto di fede sulla reale possibilità che tale obiettivo si concretizzi per tutte le realtà produttive.


Conclusioni

Sembra evidente che l'insieme dei provvedimenti normativi sui bilanci "post COVID" tende a svincolare la possibilità delle imprese di continuare comunque l'attività dagli effetti della pandemia su quelli che sarebbero stati i risultati dei bilanci, in assenza di tali provvedimenti. Ciò ha comportato l'inevitabile sospensione dell'applicazione di talune norme sul bilancio, prima fra tutte l'art. 2423-bis, n. 1) o, meglio, il legislatore ha fornito un'interpretazione autentica "temporanea" di tale articolo.

Si potrebbe sostenere che la norma in commento introduca una deroga alla rappresentazione veritiera e corretta.

In primo luogo, se le norme a sostegno delle imprese permettono alla società di continuare la propria attività, allora non ci sarebbe bisogno di una disposizione specifica che consenta (o addirittura imponga) di redigere il bilancio in continuità. Le incertezze rilevanti relative alla continuità sarebbero rappresentate in nota integrativa e con questo verrebbe rispettata la rappresentazione veritiera e corretta.

In secondo luogo, esiste già una norma (l'art. 2423 c. 5) che permette di derogare in casi eccezionali (come il Covid) ai postulati di bilancio e ai criteri di valutazione, se ciò è necessario ai fini della rappresentazione veritiera e corretta.

In caso contrario, se la società non ha alternative alla cessazione dell'attività, nonostante tutte le disposizioni volte a superare l'emergenza, redigere un bilancio in continuità rappresenta una deroga alla rappresentazione veritiera e corretta, permessa dalla norma in commento. La sua mancanza verrebbe mitigata dall'informativa da fornire nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione.

In conclusione, l'interpretazione dell'insieme delle nuove norme sul bilancio in periodo di crisi COVID fornita dall'OIC e dall'Assonime sembra l'unica possibile, seppur in contrasto con il significato che al termine "bilancio" viene dato dalla dottrina e dalla prassi aziendale.

L'unico punto che meriterebbe un ulteriore approfondimento è l'ipotesi che un'impresa, la quale, pur trovandosi in condizioni precarie per fenomeni avvenuti durante il periodo di crisi considerato dalla legge, non applichi la prevista deroga riguardante i presupposti per la continuazione dell'attività rischia di redigere un bilancio che potrebbe ritenersi "non veritiero e corretto".

Al riguardo si è già detto come la posizione dell'Assonime, nella misura in cui sembra considerare obbligatorio il ricorso alla deroga, almeno per i bilanci chiusi prima del 23 febbraio 2020, non sia condivisibile; a nostro avviso, in ogni caso, se proprio non si vuol definirla in termini di "facoltà", dovrebbe comunque riconoscersi una "discrezionalità tecnica" agli amministratori nell'applicarla o meno.

Una soluzione potrebbe trovarsi nella considerazione che il sopra richiamato art. 38-quater ha introdotto una (temporanea) modifica all'art. 2423-bis.

L'obbligo di deroga contenuto nella clausola generale prevede la mancata applicazione delle norme successive all'art. 2423 in casi eccezionali, ai quali appartiene sicuramente la crisi pandemica.

Pertanto, il redattore del bilancio può applicare la deroga prevista dall'art. 38-quater, ma, se ne ricorrono i presupposti, quale ad esempio il verificarsi di eventi che rendono praticamente impossibile la prosecuzione dell'attività, pur se giuridicamente consentita, può (ed in questo caso dovrebbe) applicare la "deroga alla deroga" contenuta nella clausola generale.

A questo punto, infine, ci si domanda cosa potrà succedere nel 2021, se le deroghe in oggetto non verranno prorogate: gli amministratori di una società che ha continuato l'attività nel 2020, pur avendo, ad esempio, il patrimonio netto negativo sin dal bilancio dell'esercizio precedente ed un ammontare rilevante di debiti scaduti e non pagati, possono essere accusati di aver violato le norme sulla corretta amministrazione?

La logica richiederebbe una risposta negativa[17], che, però, potrebbe comportare il sorgere di molte altre domande, alle quali sembra, attualmente, difficile prevedere possibili risposte convincenti.

NOTE
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[1] Cfr. "Gli effetti della pandemia sui bilanci delle imprese italiane", Il Caso.it, 23 aprile 2020.

[2] "Art.7. (Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio)

1. Nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell'attività di cui all'articolo 2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell'ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all'articolo 106 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati."

[3] Cfr. gli artt. 9-bis e 9-ter del D.Lgs. n. 38/2005, introdotti dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, di conversione del decreto legge 91/2014.

[4] Trattando della deroga al principio di continuità il documento così si esprime: "Se la società si avvale di tale facoltà quel bilancio è redatto applicando tutti i principi contabili in vigore ad eccezione dei paragrafi 23 e 24 dell'OIC 11 e del paragrafo 59 c) dell'OIC 29".

[5] Non è più richiesto che si tratti di effetti dovuti alla pandemia, ma è sufficiente che si siano verificati, per qualsiasi motivo, nel periodo considerato.

[6] Paragrafi 1.3 e .1.4.

[7] Cfr. Paragrafo 10.

[8] Ci riferiamo, in particolare, alla necessità di una rigorosa dimostrazione dell'effettività dei maggiori valori attribuiti ai beni.

[9] Il rischio è ancora maggiore nel caso di rivalutazione delle partecipazioni soprattutto in caso di utilizzo della deroga da parte della controllata, attuandosi così un effetto "moltiplicatore".

[10] Chi si occupa di procedure concorsuali conosce bene i profili di responsabilità degli organi sociali nei casi in cui vengono fatti interventi sul magazzino al fine di non evidenziare un risultato negativo che comporti la necessità di interventi di ricapitalizzazione o risanamento della società. Si noti che nella normativa emergenziale gli interventi sul magazzino sembrano non potere essere oggetto di rivalutazione.

[11] Eccezion fatta per quanto sostenuto da Assonime in merito all'obbligatorietà del ricorso alla deroga, almeno per i bilanci relativi agli esercizi chiusi prima del 23/02/2020.

[12] A partire dagli ultimi anni del secolo scorso, in concomitanza con il progressivo ingresso nell'ordinamento italiano degli IAS, si è posto il problema di quali siano le finalità del bilancio d'esercizio ed a chi siano destinate le informazioni in esso contenute. Soprattutto: il bilancio deve prevalentemente rappresentare la sintesi delle operazioni aziendali registrate in contabilità, così come sono avvenute, oppure deve informare su quanto è attendibilmente prevedibile per un futuro più o meno prossimo?

Chiaramente, ciò che ci attende nei prossimi mesi, o anni, in un momento come questo dipende in larga parte dalle misure prese, o che prenderà il pubblico potere, ma ciò non può modificare i fatti che sono già avvenuti…

Quando il diritto tratta argomenti di ragioneria, deve attenersi a quelli che sono i concetti ed i canoni propri della disciplina scientifica che li riguarda, come avviene (quasi sempre) per gli argomenti di natura chimica, fisica, medica, oppure nel nostro caso prevale l'autonomia del diritto?

[13] La stessa Assonime, pur non arrivando a parlare di "finzione giuridica", afferma tuttavia che l'intervento del legislatore nazionale ha dettato "…una regola speciale convenzionale relativa alla valutazione della continuità aziendale…" (Cfr. il Caso 5/2020). Dalla regola "speciale" e "convenzionale" alla fictio il passo è breve….

[14] Cfr. circolare Assonime p. 13.

[15] A causa o meno della crisi innescata dalla pandemia COVID-19.

[16] Cfr Costantino Campanini, Saggio sul bilancio d'esercizio (stato patrimoniale) nella dottrina tedesca, Clueb, Bologna, 1966.

[17] Sempre che il presupposto della continuità non fosse già inequivocabilmente e definitivamente venuto meno.





















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