Sul computo del periodo sospetto legale per l'esercizio delle revocatorie nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese
Pubblicato il 24/04/20 02:00 [Articolo 919]






L'individuazione del periodo c.d. sospetto deve avere pur sempre riguardo alla disciplina dettata dall'art. 67 L. fall. (richiamato dall'art. 203 L.F.) sull'accertamento giudiziale dello stato d'insolvenza, mentre il riferimento al provvedimento che ordina la liquidazione, menzionato dal medesimo articolo 203 cit., ha riguardo all'applicabilità delle disposizioni in tema di revocatorie, nel senso che da tale momento, quelle azioni divengono esperibili, essendo stato nominato il Commissario liquidatore, in precedenza non esistente e non già nel senso che da quel momento si calcola il periodo sospetto. (massima non ufficiale).


La questione controversa: inquadramento della disciplina.
La Suprema Corte nell'ordinanza in commento si occupa, in particolare, del delicato problema della decorrenza del periodo sospetto legale previsto dall'art. 67 l. Fall. (nel testo ante-Riforma del 2005, vigente ratione temporis) per la revocatoria degli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili effettuati con mezzi anormali di pagamento, ai sensi dell'art. 67, co. 1, n. 2, L. Fall., nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria.
La procedura di amministrazione straordinaria c.d. "normale", alla quale sono assoggettabili le "grandi imprese", è disciplinata attualmente dal d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi bis), e può svilupparsi attraverso l'esecuzione di un "programma di ristrutturazione" aziendale (che dovrebbe consentire il soddisfacimento integrale, nel tempo, di tutti i creditori); oppure attraverso l'esecuzione di un "programma di cessione" dei complessi aziendali, di natura liquidativa. In tale secondo caso, l'art. 49 d.lgs. n. 270/1999 rende applicabili le azioni revocatorie fallimentari agli atti di disposizione dell'imprenditore.
La procedura di amministrazione straordinaria c.d. "speciale" o di ristrutturazione industriale, alla quale sono soggette le imprese "di rilevanti dimensioni", è disciplinata anche dal d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 ("decreto Parmalat"), il quale prevede che l'impresa che si trovi nella condizione di "crisi" presa in considerazione dalla legge, possa richiedere al Ministro delle Attività Produttive l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, "presentando contestuale ricorso per la dichiarazione dello stato di insolvenza".
L'art. 2, comma 2 - come modificato, dal d.l. 5 gennaio 2015, n. 1 - dispone che "per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale..." l'ammissione della procedura di amministrazione straordinaria speciale è disposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro dello Sviluppo Economico.
L'art. 6 del d.l. n. 347/2003 prevede la esercitabilità delle azioni revocatorie fallimentari "previste dagli articoli 49 e 91 del d. lgs. n. 270/1999 anche in ipotesi di autorizzazione all'esecuzione di un "programma di ristrutturazione", allorquando dette azioni "si traducano in vantaggio per i creditori".


La vicenda processuale.
La questione prende avvio a seguito dell'accoglimento parziale da parte del Tribunale di Velletri della domanda di revocatoria di alcuni pagamenti effettuati dalla società debitrice in bonis, in favore della società creditrice. A seguito di impugnazione, la Corte di Appello di Roma con sentenza del 20.06.2013 ha respinto sia l'appello principale, che l'appello incidentale.
In particolare, la Corte capitolina, individuata la disciplina applicabile ratione temporis, ha respinto l'appello principale proposto dalla società creditrice, avendo dedotto che, anche se il pagamento di debiti liquidi ed esigibili attraverso un assegno post-datato non costituisca un mezzo anormale di pagamento, l'anormalità del pagamento sarebbe desumibile dalle prove complessivamente raccolte in udienza dalle quali è emerso che la creditrice era anche a conoscenza dello stato di insolvenza della società debitrice, avendo partecipato ad un piano per il rientro dei debiti.
La Corte di Appello ha respinto anche l'appello incidentale, relativo ai pagamenti non revocati, proposto dalla società debitrice, avendo evidenziato come i pagamenti siano stati effettuati oltre il periodo biennale previsto dalla normativa vigente all'epoca dei fatti, decorrente, secondo i giudici di seconde cure, dalla data dell'ammissione alla procedura liquidativa e non dalla data (anteriore) di dichiarazione dell'insolvenza.
Contro la sentenza della Corte d'Appello di Roma, la società creditrice ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi. Ha resistito la società debitrice in amministrazione straordinaria con controricorso e ricorso incidentale affidandosi ad un motivo.


I motivi del ricorso e del controricorso in Cassazione
Come detto, la società creditrice ha proposto ricorso contro la sentenza d'appello, affidandosi a tre motivi.
Con il primo motivo la società ha lamentato la violazione dell'art. 67 co. 1 n. 2 l. Fall. nella versione antecedente alla L. n. 80/2005, ritenendo che se l'assegno post-datato è qualificato dalla giurisprudenza della Suprema Corte come normale mezzo di pagamento, i giudici d'appello avrebbero erroneamente desunto lo stato d'insolvenza della debitrice e la relativa conoscenza dal fatto che la società avesse partecipato ad un ipotetico piano di rientro.
Con il secondo motivo, invece, la ricorrente ha lamentato la violazione dell'art. 184 co. 1 e 2 c.p.c., nella versione precedente alla riforma del D.L. 35/2005, e la violazione degli art. 231 e 253 c.p.c., assumendo che la Corte d'Appello avrebbe fondato il proprio convincimento riguardo la partecipazione ad un piano di rientro sulla base di un documento, acquisito in modo irrituale e tardivamente, esibito da un testimone nel corso dell'audizione.
Con il terzo motivo, ha la ricorrente ha paventato la violazione dell'art. 111 Cost. e dell'art. 132 c.p.c. o, in subordine, l'omissione di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell'art. 360 co.1 n. 5 c.p.c.
In particolare, la ricorrente ha censurato la genericità e l'apparenza della motivazione in ordine alla sussistenza di un piano di rientro ed alla sua conoscenza, in quanto mancherebbe un riferimento ad una specifica dichiarazione e ad una precisa illustrazione dei documenti.
La società debitrice, invece, ha proposto controricorso e ricorso incidentale, affidandosi ad un motivo.
L'amministrazione straordinaria ha lamentato, in particolare, la violazione dell'art. 203 l. fall. e dell'art. 1 della L. 95/1979 (c.d. legge Prodi) con riferimento all'esatta individuazione del dies ad quem del periodo biennale sospetto previsto dall'art. 67 co. 1, n. 2, l. Fall. vigente ratione temporis. Secondo la ricorrente tale giorno sarebbe dovuto decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, se antecedente all'ammissione della società alla procedura di liquidazione e non, come invece ritenuto in appello, dal decreto di apertura della procedura liquidatoria.


Le ragioni della decisione della Corte.
Sul ricorso principale, la Suprema Corte, nell'ordinanza che si annota, ha deciso di procedere ad un esame congiunto dei tre motivi, che sono stati tutti respinti.
La Corte, richiamando la giurisprudenza precedente ed in particolare la sentenza n. 1060 del 2006, ha ritenuto esatto l'accertamento di fatto compiuto dai giudici d'appello, i quali, correttamente, hanno ritenuto anormale il pagamento effettuato con assegno post-datato perché ritenuto non di immediata e diretta soluzione, ma solo un mezzo indiretto di adempimento inserito all'interno di un articolato procedimento satisfattorio di una serie di obbligazioni pecuniarie pregresse.
La Corte d'Appello ha anche giustamente accertato l'esistenza di un piano di rientro, al quale ha partecipato la creditrice, sia poiché si è basata su tutta l'istruttoria documentale e testimoniale, sia perché l'assunzione del documento presentato dal testimone non ha violato l'art. 184 c.p.c., perché sarebbe potuta avvenire indipendentemente dalle modalità con cui era stato esibito, non essendosi avverata precedentemente alcuna preclusione di legge.
Per quel che riguarda il ricorso incidentale, invece, la Corte di Cassazione ha ritenuto l'unico motivo fondato, aderendo ad un suo precedente.
Nel dettaglio, la Corte ha richiamato la sentenza n. 803 del 2016 la quale ha statuito che "In caso di amministrazione straordinaria apertasi nel vigore della L. n. 95 del 1979, analogamente a quanto previsto dall'art. 49, comma 2, del d.lgs. n. 270 del 1999, allorquando l'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza preceda l'emanazione del decreto ministeriale di apertura della procedura, il termine dal quale calcolare a ritroso il periodo sospetto decorre dalla data della sentenza e non da quella di emissione del provvedimento amministrativo.
Tale interpretazione si impone sia perché l'art. 203 l. fall. (cui fa rinvio l'art. 1 del d.l. n. 26 del 1979, conv. con. modif. dalla l. n. 95 del 1979), si limita ad estendere all'amministrazione straordinaria le disposizioni concernenti gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori e va inteso nel senso che tali azioni divengano esperibili solo dal momento della nomina del commissario liquidatore con il decreto ministeriale di apertura della procedura, sia perché, diversamente argomentando, la praticabilità dell'azione revocatoria potrebbe essere gravemente compromessa dall'eventuale ritardo nell'emanazione di un provvedimento amministrativo, che interverrebbe, comunque, in una situazione non più sospetta, ma di già accertata insolvenza."
La Suprema Corte, nel conformarsi a questo orientamento giurisprudenziale, ha cassato la sentenza della Corte d'appello, ribadendo come nell'individuare il c.d. periodo sospetto legale il calcolo a ritroso debba essere effettuato (secondo le regole fallimentari) partendo dalla data della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e non dal decreto amministrativo di apertura della procedura.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha chiarito che l'art. 203 l. Fall. facendo riferimento al "provvedimento che ordina la liquidazione" prevede che solo dopo tale provvedimento è possibile esperire le azioni revocatorie, in quanto con tale atto viene nominato anche il Commissario liquidatore, che ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, è il soggetto legittimato all'esercizio delle azioni revocatorie.
Il principio, invero, si rintraccia anche nella giurisprudenza di legittimità più datata. In un altro significativo precedente, infatti, la Suprema Corte ebbe già modo di affermare come "In tema di azione revocatoria fallimentare esercitata nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, quale disciplinata dal d.l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 marzo 1979, n. 95, la decorrenza del periodo sospetto coincide con la data della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e non con quella, successiva, del d.m. che apre la procedura, in quanto il principio stabilito dall'art. 203 legge fall. per la liquidazione coatta amministrativa e richiamato dall'art. 1 della predetta legge n. 95 del 1995 - secondo cui si deve avere riguardo alla data del provvedimento che ordina la liquidazione - non innova sul punto della decorrenza del periodo sospetto, la cui individuazione si deve perciò connettere al momento significativo posto dalla legge fallimentare a base dell'azione, cioè alla dichiarazione di insolvenza; il principio di decorrenza a ritroso del periodo sospetto, collocandosi nel solco del medesimo indirizzo interpretativo dell'art. 203 legge fall., ha altresì trovato conferma nell'art. 49 del d.lgs. n. 270 del 1999, con riguardo alla novellata amministrazione straordinaria" (in tal senso Cass., 9.4.2008, n. 9711).






















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