Le agenzie di rating e la responsabilità per informazioni inesatte
Pubblicato il 26/03/08 02:00 [Articolo 720]






SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Le valutazioni delle agenzie di rating. - 3. L'influenza del rating sui mercati finanziari. - 4. Il rating e la circolazione degli strumenti finanziari. - 5. La responsabilità delle agenzie di rating. - 6. (Segue). Il pregiudizio patrimoniale. - 7. (Segue). Il danno ingiusto. - 8. (Segue). Il nesso di causalità. - 9. (Segue). Il criterio di imputazione di responsabilità e le false informazioni fornite dall'emittente. - 10. La responsabilità contrattuale.

1. - La recente crisi dei mutui subprime americani - i cui effetti negativi si stanno ancora riversando sui mercati finanziari, con serio rischio per le prospettive di crescita dell'economia internazionale - ha sollevato il problema del ruolo svolto dalle agenzie di rating e della loro eventuale responsabilità.

In estrema sintesi, si può ricordare che la crisi è stata determinata dalla vendita di strumenti finanziari collegati ai c.d. mutui subprime, mutui cioè concessi a clienti che già in passato avevano manifestato insolvenza. A questi clienti sono stati concessi mutui a tassi più elevati rispetto a quelli offerti a clienti «prime», al fine di compensare il maggiore livello di rischio.

A rendere ancor più rischioso il profilo di questi mutui è la circostanza che spesso sono stati rilasciati a persone che dichiaravano soltanto il proprio reddito, senza fornire alcuna documentazione al riguardo e l'ammontare del mutuo era spesso un multiplo del reddito dichiarato oppure il mutuo era concesso ad un tasso d'interesse inizialmente scontato che poi nei successivi 1224 mesi era destinato inevitabilmente ad alzarsi (1).

In ogni caso, più alto è il rischio più alto è il rincaro posto su questi mutui da chi li eroga, ossia è più alto lo spread verso il tasso base.

In seguito, tali mutui sono stati oggetto di operazioni di cartolarizzazione: in tal modo, chi li ha erogati li ha posti sul mercato ed agli occhi dell'investitore le cartolarizzazioni basate su mutui subprime fornivano margini di guadagno più alti rispetto a quelle di mutui prime. Senza contare, inoltre, che agli investitori sono stati offerti strumenti sempre più complessi: gli strumenti finanziari con asset sottostanti di mutui subprime sono stati spesso oggetto di ulteriori operazioni di cartolarizzazione (ad esempio Collateralized debt obligation (2)); inoltre i cash-flow di queste nuove cartolarizzazioni potevano essere ulteriormente aggregati e (ri)cartolarizzati.

Tale sistema ha retto fino a quando il prezzo degli immobili si è mantenuto alto, come si è verificato nel corso degli ultimi anni; non appena i prezzi hanno cominciato a subire una flessione si è verificata una sorta di effetto domino: il cliente ad alto rischio ha smesso di pagare, talvolta anche perchè non aveva più incentivi a farlo, tenuto conto che si trovava a pagare un immobile di valore inferiore al proprio debito; quanti più immobili sono arrivati sul mercato a causa delle procedure esecutive, più i prezzi si sono abbassati e più alte sono state le perdite da parte di coloro che hanno acquistato strumenti finanziari basati su mutui subprime.

A questo punto è evidente il ruolo delle agenzie di rating, messe sotto accusa, non solo perchè le cartolarizzazioni dei mutui subprime sono state effettuate con una percentuale troppo alta di rating favorevoli, ma anche per il ritardo con il quale è intervenuta la revisione dei giudizi inizialmente assegnati. In tal modo, ha ripreso vigore il dibattito sul conflitto di interessi delle agenzie di rating (3), già affiorato nel corso degli ultimi anni, in particolare dopo i noti scandali finanziari Enron e Parmalat (4) che hanno fatto emergere in modo evidente il problema delle regole di condotta che debbono essere seguite da chi produce e diffonde siffatte valutazioni.

2. - Le agenzie di rating esprimono pareri sul merito di credito di un determinato emittente o strumento finanziario, valutando la probabilità di fallimento dell'emittente, o rispetto ai suoi obblighi finanziari in generale (rating dell'emittente) o rispetto ad un determinato debito o titolo a reddito fisso (rating dello strumento) (5); così facendo, il rating può essere definito come una previsione, espressa in forma sintetica, circa le prospettive di solvibilità di un debitore, soggetto pubblico o privato, ad una certa data (6).

Nel formulare il giudizio sul merito del credito, le agenzie considerano qualsiasi evento futuro che può essere anticipato e che può influenzare le capacità di rimborso dell'emittente, sulla base di valutazioni analitiche, obiettive ed indipendenti; poiché tale rischio può continuamente variare con il mutare delle condizioni in cui opera l'azienda, od in relazione alle scelte e strategie perseguite, le agenzie normalmente effettuano un monitoraggio continuo del rating ed all'occorrenza intervengono con dei cambiamenti dello stesso (7). Così facendo, le revisioni possono avvenire in qualsiasi momento, se le mutate condizioni del settore di appartenenza dell'emittente o le variazioni nella struttura finanziaria, patrimoniale e manageriale dell'azienda sono tali da mettere in pericolo il regolare pagamento di capitale ed interessi (8).
L'importanza del rating è ancor più di stretta attualità, con l'attuazione del Nuovo Accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche, noto come Basilea 2, in base al quale le banche dei Paesi aderenti debbono accantonare quote di capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti, valutato attraverso lo strumento del rating (9). In tal modo, il rating diventa la condizione fondamentale che regola l'accesso al credito bancario da parte delle imprese (10).

Con riguardo agli strumenti finanziari, i rating classificano gli emittenti in categorie che corrispondono a gradi più o meno elevati di rischio fallimento; di conseguenza, le agenzie utilizzano scale di valutazione nell'ambito delle quali il discrimine fondamentale è tra la categoria «investment grade» (rischio debole), alla quale appartengono i titoli che ottengono un rating di alto livello, superiore ad una data soglia della scala e la categoria detta «speculative grade» (rischio elevato), nella quale sono collocati i titoli a basso livello di rating o not rated (junk bonds, maggiormente diffusi nel mercato statunitense e solitamente caratterizzati da un alto rendimento: high-yield bonds) (11).

Il rating, comunque, include anche altre informazioni sulle motivazioni sottostanti all'assegnazione di quella specifica valutazione; in particolare la maggior parte dei rating incorporano un cosiddetto «outlook» o prospettiva, che indica la tendenza attesa del rating: la prospettiva può essere stabile, positiva o negativa a seconda che la tendenza del rating sia di mantenimento della categoria in essere, di miglioramento o di peggioramento

I rating sono solitamente richiesti - e pagati - dagli emittenti stessi

In questo caso, essi si basano sia su dati pubblicamente disponibili, sia su informazioni che non sono accessibili al pubblico, ma che sono volontariamente rivelate dall'entità oggetto di rating (ad esempio, in colloqui con dirigenti finanziari dell'entità). Può succedere, però, che le agenzie pubblichino rating di loro iniziativa (non su richiesta dell'emittente): in questo caso i rating sono generalmente elaborati senza avere accesso ad informazioni non pubbliche (14).

3. - I rating esercitano un'influenza considerevole sui mercati finanziari, in quanto, pur essendo basati su valutazioni complesse, sono facilmente ed immediatamente comprensibili per tutti gli investitori, a prescindere dal grado di competenza e profilo (15); inoltre, l'affidamento degli investitori nei giudizi espressi dalle agenzie di rating è elevato, stante la buona reputazione di cui godono le stesse agenzie.

Per questi motivi, le agenzie svolgono un ruolo alquanto positivo, sia per gli investitori sia per gli emittenti: agli investitori forniscono un'informazione che li aiuta a valutare i rischi connessi ad un determinato titolo, quanto agli emittenti contribuiscono ad abbassare i costi da loro sostenuti per raccogliere capitali (almeno in caso di rating favorevole) (16).

Il ricorso alle valutazioni espresse dalle agenzie è aumentato in misura esponenziale nel corso degli anni 90, con il convergere sempre maggiore sui mercati del capitale di soggetti inesperti per i quali l'informazione primaria risulta, per vastità e tecnicismo, di difficile comprensione, tanto da rendere necessaria l'interposizione di una documentazione più sintetica e chiara (17); senza contare poi che l'internazionalizzazione dei mercati, l'affacciarsi di nuovi prenditori di fondi, l'ampliamento della gamma di titoli offerti, caratterizzati da strutture finanziarie sempre più complesse, hanno reso sempre più difficile il processo di scelta da parte degli investitori istituzionali ed, ancor più, privati (18).

Il rating rappresenta, così, un vero e proprio parametro selettivo, un'ulteriore fonte di informazioni relativa ai titoli presenti sul mercato finanziario, che permette di semplificare e velocizzare il processo decisionale: soprattutto se gli operatori necessitano di agire rapidamente, il rating offre un aiuto non indifferente, rivelandosi mezzo informativo unico e semplice da utilizzare, sintetico, affidabile e disponibile in qualsiasi momento (19).

Il ruolo fondamentale del rating per il risparmiatore, ai fini della scelta di investimento, è ben rappresentato dall'orientamento giurisprudenziale che afferma la responsabilità dell'intermediario allorché non segnali - e non in modo generico od approssimativo - la valutazione operata dalle agenzie specializzate; si sostiene, infatti, che il rating è un fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell'investitore, con la conseguenza che la mancata comunicazione rappresenta la violazione dei più elementari obblighi informativi (20).

In ogni caso, le agenzie di rating svolgono una funzione importante anche per l'emittente: il successo commerciale di quasi tutte le emissioni di titoli di debito dipende in gran parte dal rating che hanno ottenuto. In questo modo, il rating è diventato un presupposto indispensabile per ottenere finanziamenti esterni sui mercati mobiliari, soprattutto quando l'emittente non ha ancora una presenza consolidata sui mercati obbligazionari; il rating di un emittente, inoltre, determina i tassi di interesse che dovrà offrire per ottenere un finanziamento esterno (21).

A ciò si aggiunga che nel caso in cui la presenza del rating sia obbligatoria per legge o per le consuetudini, la valutazione di rating diviene condizione necessaria per l'accesso al mercato ed irrinunciabile per il buon esito dell'emissione (22).

Le diverse legislazioni nazionali, infatti, prevedono attualmente che alcuni prodotti d'investimento possono essere venduti soltanto se il loro emittente può dimostrare di avere un certo livello di merito di credito attestato da un rating emesso da un'agenzia conosciuta (23); così, ad esempio, con riferimento alle operazioni di cartolarizzazione dei crediti, l'art. 2, IV co., della l. n. 130 del 1999 prevede che nel caso in cui i titoli oggetto delle operazioni di cartolarizzazione siano offerti ad investitori non professionali, l'operazione debba essere sottoposta alla valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi. Allo stesso modo il IV co. dell'art. 100 bis T.u.f., relativo alla circolazione dei prodotti finanziari, prevede che il co. II dello stesso articolo (24) non si applica nell'ipotesi di rivendita di titoli di debito da Stati membri dell'Ocse, con rating assegnato da almeno due primarie agenzie.

Alla Consob, inoltre, è attribuita la competenza di definire, con proprio regolamento, i requisiti di professionalità ed i criteri per assicurare l'indipendenza di tali soggetti, nonché il contenuto dell'informativa sugli eventuali rapporti tra le agenzie di rating ed i soggetti che a vario titolo partecipano all'operazione di cartolarizzazione (25).

Il rating, infine, svolge anche una funzione segnaletica, nei confronti del mercato, della situazione finanziaria ed economica dell'azienda: soprattutto nel caso in cui l'impresa ottenga una valutazione elevata, quest'ultima può essere sfruttata come strumento di comunicazione e di pubblicità finanziaria, divenendo quindi quasi una sorta di status simbol per l'azienda richiedente (26).

4. - Il rating - come si è già rilevato in precedenza - condiziona fortemente la scelta d'investimento da parte dei risparmiatori, tant'è che la mancata comunicazione dello stesso costituisce la violazione di uno dei più elementari doveri informativi posti in capo all'intermediario finanziario (27).

Si tenga in considerazione che le agenzie di rating utilizzano ampie formule volte a sottolineare che i rating non rappresentano dei consigli di investimento od una consulenza finanziaria, né equivalgono a raccomandazioni per la compravendita o la detenzione di specifici titoli (28). In particolare, le agenzie sono solite affermare che il rating è un «opinione indipendente sull'affidabilità finanziaria di un soggetto economico in un certo momento» non è «una certificazione contabile né una garanzia sull'effettivo pagamento del debito» né «una raccomandazione ad acquistare o vendere un titolo» o «un giudizio sulla convenienza di un particolare investimento» (29).

In questo modo, le agenzie intendono rimarcare la differenza tra i rating di credito e le analisi effettuate dagli analisti che si occupano del mercato azionario od obbligazionario e che formulano raccomandazioni ad acquistare, vendere o mantenere un titolo azionario od obbligazionario (30).

Si sottolinea, inoltre, l'opportunità che ciascun investitore faccia le proprie ricerche e valuti autonomamente ciascun titolo di cui prende in esame la compravendita e la detenzione (31); si specifica, infatti, che il rating è «uno dei tanti strumenti» a disposizione dei risparmiatori, per avere «una migliore ed indipendente stima del rischio di credito dei titoli», al fine di «poter meglio effettuare le scelte di portafoglio sulla base delle preferenze di rischio e rendimento» (32).

In estrema sintesi, si vuole ribadire che il rating è una semplice «opinione» proveniente da un soggetto «indipendente», mentre il responsabile della scelta di investimento rimane sempre e soltanto l'investitore.

Anche la Direttiva 2003/125/Ce del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della Direttiva 2003/6/Ce del 28 gennaio 2003, del Parlamento e del Consiglio sul market abuse, precisa che i giudizi espressi dalle agenzie non integrano una raccomandazione di investimento, ai sensi della Direttiva, ma semplici «pareri sulla capacità di credito di un particolare emittente o di un particolare strumento finanziario ad una certa data».

Nonostante tali precisazioni, è un dato notorio che gli investitori non professionali ripongono ampio affidamento sulle valutazioni espresse dalle agenzie (33), in quanto la funzione principale del rating è proprio quella di consentire di ponderare meglio i rischi di credito assunti (34).

È questa, pertanto, la ragione per la quale la mancata comunicazione del rating è fonte di responsabilità per l'intermediario (35), sulla base del presupposto che la valutazione delle agenzie è un fattore idoneo ad influenzare profondamente il processo decisionale dell'investitore.

In questo modo, si pone il problema, in primo luogo della «qualità» dei rating e successivamente quello della eventuale responsabilità delle agenzie nel caso di valutazioni non veritiere.

Con riguardo al primo aspetto, si può solo rilevare - non essendo questo il tema della presente indagine - che l'attività delle agenzie deve basarsi sull'obiettività ed imparzialità delle valutazioni e ciò dovrebbe riflettersi sia nelle regole di condotta che essi si impongono, sia nella organizzazione interna sia nelle loro fonti di profitto (36); questo è, ad esempio, il motivo per il quale sussiste il divieto per le agenzie di prendere parte al collocamento ed alla negoziazione dei titoli (37).

In ogni caso, i dubbi che l'informazione delle agenzie di rating non sia sempre neutrale provengono da una molteplicità di circostanze, tra cui in primis il sistema di remunerazione che produce spesso un conflitto di interessi (38); in tal modo, l'attendibilità delle valutazioni potrebbe essere compromessa dai rapporti intrattenuti con l'emittente. Così ad esempio nell'ambito della crisi legata ai mutui subprime, è forte il sospetto che la troppa generosità nel rilasciare valutazioni positive sia derivato non tanto da errori materiali quanto dall'interesse delle stesse agenzie all'emissione dei «bond».

La sopravvivenza di un'agenzia sul mercato, tuttavia, dipende essenzialmente dalla bontà dei giudizi emessi ed, ancora di più, dall'indipendenza e trasparenza del suo operare (39). Se gli investitori avvertissero che le valutazioni formulate da una certa agenzia non esprimono, con la dovuta puntualità e competenza, l'effettiva valutazione del rischio di credito degli emittenti, comincerebbero ad ignorare quelle informazioni e la caduta di credibilità ne determinerebbe l'uscita dal mercato (40); a tal proposito, seppur con riguardo alle società di revisione, si può ricordare come Arthur Andersen sia scomparsa dal mercato a causa della perdita della reputazione piuttosto che per le sentenze di condanna (41).

A ciò si aggiunga che la Direttiva europea sui requisiti patrimoniali n. 482006 (CRD) - che introduce un nuovo quadro di adeguatezza per gli enti creditizi e le imprese di investimento, basandosi sui nuovi requisiti patrimoniali internazionali adottati nel 2004, dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (Basilea II) - prevede l'utilizzo di valutazioni provenienti soltanto da agenzie che godono di credibilità ed affidabilità da parte degli utenti, da valutarsi sulla base di determinati requisiti espressamente previsti.

Per questo motivo, la CRD indica un certo numero di prerogative che le agenzie esterne di valutazione del merito di credito (ECAI) debbono soddisfare per poter essere riconosciute dall'autorità competente; così ad esempio, i loro rating debbono essere attribuiti in modo obiettivo ed indipendente e regolarmente rivisti. È previsto, altresì, che le autorità competenti debbono verificare se, sul mercato, le valutazioni del merito di credito di una data ECAI siano considerate credibili ed affidabili dai loro utenti.

Allo stesso modo, il co. V, dell'art. 2 della l. 30 aprile 1999, n. 130, concernente le operazioni di cartolarizzazione dei crediti, attribuisce alla Consob di stabilire, con proprio regolamento, i requisiti di professionalità ed

i criteri che debbono presentare le agenzie di rating, al fine di assicurare l'indipendenza nella valutazione del merito di credito e l'informativa sugli eventuali conflitti di interessi.

Al riguardo, la Consob, con delibera n. 12175 del 2 novembre 1999, non solo ha previsto specifici requisiti di professionalità che debbono rispettare gli operatori incaricati di svolgere la valutazione del merito di credito nelle operazioni disciplinate dalla legge n. 130/1999 (42), ma ha anche emanato principi volti a garantire l'indipendenza nelle valutazioni (43).

5. - Nell'ipotesi in cui il rating, espresso in relazione ad alcuni strumenti finanziari largamente diffusi sul mercato, si riveli in tutto o in parte infondato, si pone il problema di stabilire se possa sussistere una responsabilità dell'agenzia nei confronti degli investitori, che, facendo affidamento in buona fede sulle valutazioni espresse dall'agenzia, hanno subito un pregiudizio, a causa dell'insolvenza dell'emittente.

Si tenga in considerazione che gli investitori sono terzi estranei al rapporto contrattuale che vincola l'emittente e l'agenzia di rating con la conseguenza che la responsabilità che viene in rilievo è quella extracontrattuale, di cui all'art. 2043 c.c.

La fattispecie di responsabilità non muta nemmeno nell'ipotesi, meno frequente, in cui il rating non sia stato richiesto dall'emittente, ma sia stato assegnato su iniziativa dell'agenzia, al di fuori di qualsiasi incarico: anche in questo caso non sussiste alcun vincolo contrattuale tra chi ha emesso il rating e chi lamenta il pregiudizio.

In tal modo, dovendosi far riferimento all'art. 2043 c.c. per accertare l'eventuale responsabilità dell'emittente, si può utilizzare lo schema d'indagine delineato dalla C. sez. un. n. 500 del 1999 (44). Tale pronuncia, infatti, nel rappresentare i profili di responsabilità extracontrattuale della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica ha indicato le linee di indagine che l'operatore deve seguire, in ordine successivo, per verificare l'esistenza di un illecito civile riconducibile all'art. 2043 c.c.

In base a questa ricostruzione, l'interprete deve: riscontrare la sussistenza dell'evento di danno, inteso proprio come evento economicamente pregiudizievole (danno patrimoniale); vagliare la sussistenza di un danno ingiusto (la lesione dell'interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico); verificare se la lesione sia casualmente riferibile ad un autore (la presenza della causalità di fatto, intesa in senso analogo alla previsione dell'art. 40 c.p.); infine accertare se c'è stata o meno la colpa od un altro criterio di imputazione (45).

Si propone, così, una lettura al contrario dell'art. 2043, nel quale il danno patrimoniale è il dato finale, mentre la colpa, quello iniziale. In sede applicativa, tuttavia, è proprio la sussistenza di un danno patrimoniale che legittima l'interprete a procedere oltre nella verifica della completezza della fattispecie di responsabilità. Se manca il danno patrimoniale, non può esservi nemmeno l'illecito aquiliano, pertanto appare corretto muovere dal dato legislativamente posto in fine, per accertare se sussiste la responsabilità civile (46).

La struttura dell'illecito civile indicata dalla pronuncia 5001999 viene delineata per la risarcibilità degli interessi legittimi, ma sembra avere una portata generale; di conseguenza, appare opportuno seguire questo schema anche nella presente indagine, tenuto conto della particolarità della fattispecie oggetto di esame.

Si consideri, infine, che la responsabilità delle agenzie di rating per informazioni inesatte nei confronti dei terzi potrebbe essere considerata anche di natura contrattuale, se si adottasse l'orientamento che, nell'ambito della responsabilità professionale, tende ad applicare, nei confronti dei terzi, la responsabilità da «contatto sociale».

Tale ricostruzione, consolidatasi come è noto nell'ambito della responsabilità medica (47), è stata poi impiegata anche per altre figure professionali come ad esempio il notaio (48) oppure l'odontoiatra (49), sulla base della convinzione che la responsabilità contrattuale tuteli meglio il cliente, offrendo una garanzia più ampia, fondata, principalmente, sul più lungo termine di prescrizione. Nella pronuncia della S.C., n. 589/1999, in cui è stata applicata, per la prima volta, la responsabilità da contatto sociale per il medico dipendente, si sottolinea come tale ricostruzione potrebbe essere adottata per ogni «operatore di una professione c.d. protetta».

È di tutta evidenza che le agenzie di rating esulano dall'ambito delle tradizionali professioni protette, tenuto conto tra l'altro che l'attività degli analisti finanziari (50) è una professione libera (51); tuttavia, è indubbio che le agenzie possiedono uno status particolare che genera un notevole affidamento nei terzi sulla corretta esecuzione della prestazione.

In questo senso, depone non solo il carattere fortemente oligopolistico dell'industria del rating (52), ma anche il fatto che la sopravvivenza di un'agenzia - come si è già rilevato - dipende proprio dalla reputazione che si è conquistata sul mercato per l'attendibilità e l'affidabilità del suo operare (53); senza contare, poi, il ruolo istituzionale delle agenzie di rating, in considerazione della crescente importanza del mercato delle obbligazioni private e del fatto che, ai giudizi delle agenzie, è riconosciuto un sempre più esteso riconoscimento all'interno delle regolamentazioni, oltre che della prassi, dei mercati finanziari (54).

In tal modo, anche se si ragiona in termini di responsabilità contrattuale fondata sul contatto sociale intervenuto tra il terzo e l'agenzia (55), non si può, automaticamente, far derivare dalla semplice diffusione di rating errati una responsabilità nei confronti degli investitori per i pregiudizi dagli stessi subiti. In questa ipotesi, infatti, si deve accertare se il danno patito sia risarcibile secondo le norme che disciplinano la causalità giuridica,

la quale svolge la funzione di selezionare le conseguenze dannose.

In ambito contrattuale, infatti, si deve applicare la regola secondo la quale, in caso di inadempimento del debitore, si debbono delimitare le conseguenze risarcibili, disciplinate dall'art. 1223 c.c. e quindi verificare se le conseguenze si configurino come sviluppo del rischio che la corretta esecuzione della prestazione avrebbe permesso di arginare.

Su questo aspetto, comunque, ci si soffermerà nel § n. 10.

6. - Alla luce dei recenti scandali finanziari (56), sia nazionali che internazionali, l'ipotesi più probabile in cui si può profilare il problema di una responsabilità delle agenzie di rating è rappresentata dal caso in cui, nonostante la valutazione positiva, l'emittente divenga insolvente, con conseguente pregiudizio degli investitori, che hanno fatto affidamento sul giudizio positivo rilasciato dall'agenzia.

Astrattamente, in ogni caso, potrebbero presentarsi anche altri scenari, come, ad esempio, nell'ipotesi in cui il pregiudizio lamentato sia collegato non all'investimento realizzato ma a quello che non è stato effettuato, a causa di un rating negativo, rivelatosi poi infondato; in questa fattispecie, pertanto, verrebbe in rilievo una lesione in senso negativo della libertà contrattuale del risparmiatore, il quale è stato indotto a non concludere un contratto di investimento che, invece, sarebbe stato concluso, se la valutazione fosse stata corretta (57). In tal caso, pertanto, l'evento di danno lamentato sarebbe rappresentato dal guadagno che l'investitore, invece, avrebbe ricavato ponendo in essere l'investimento.

Indubbiamente più realistica è l'ipotesi in cui il pregiudizio sia lamentato dall'emittente, nel caso di rating negativo, assegnato su iniziativa dell'agenzia (58). In questa fattispecie, si pone il problema non solo della lesione della libertà contrattuale in senso negativo ma anche della lesione della reputazione economica dell'emittente stesso (59).

In altri termini, l'evento di danno lamentato dall'emittente è espresso non solo dai pregiudizi conseguenti al comportamento degli investitori, indotti a non sottoscrivere o a vendere i titoli oggetto di rating, ma anche dalla lesione della reputazione economica dell'emittente stesso (60).

Gli scenari, comunque, possono essere ancora più complicati, basti pensare all'ipotesi in cui un investitore storico, a causa del rating negativo assegnato negligentemente dall'agenzia, sia indotto a vendere frettolosamente gli strumenti finanziari, subendo così un pregiudizio patrimoniale.

In ogni caso, appare opportuno focalizzare l'attenzione sul primo caso configurato, tenuto conto del rilievo effettivo dello stesso, senza considerare poi che tutte le ipotesi esaminate hanno in comune l'identico accertamento dell'elemento soggettivo della colpa, che - come si vedrà in seguito - è indubbiamente il presupposto di più difficile riscontro, al fine di verificare la sussistenza di una responsabilità delle agenzie di rating.

Nell'ipotesi, pertanto, in cui la responsabilità dell'agenzia di rating sia invocata dall'investitore - il quale è stato indotto a sottoscrivere strumenti finanziari rivelatisi assolutamente inadeguati rispetto alla valutazione espressa dall'agenzia, a causa del default dell'emittente - l'evento di danno è costituito dalla perdita patrimoniale subita dal risparmiatore.

Nello specifico tale pregiudizio è rappresentato, generalmente, dall'importo impiegato nell'investimento in questione, detratto, comunque, il valore attuale dei titoli e l'importo delle cedole eventualmente percepite (allorché gli strumenti siano ancora nella disponibilità dell'investitore) (61) oppure nella differenza tra la somma di acquisto e quella minore a cui l'investitore sia stato costretto a venderli a seguito dell'insolvenza dell'emittente.

Si tenga in considerazione, in ogni caso, che nell'ipotesi in cui si accerti una responsabilità dell'agenzia di rating, ai fini della quantificazione del danno, possono essere tenute in considerazione anche altre circostanze rilevanti, come, ad esempio, un eventuale concorso di colpa dell'investitore, ex art. 1227 c.c.; tale ipotesi, comunque, sarà esaminata nel § n. 8, in quanto attiene alla fase causativa del danno.

7. - Nel caso in cui un terzo invochi la responsabilità dell'agenzia di rating - per aver rilasciato un rating assolutamente inadeguato rispetto alla situazione economica dell'emittente - lamenta la lesione della propria libertà contrattuale; in altre parole, sostiene che l'agenzia, con l'emanazione di un rating errato, ha interferito nell'attività negoziale ed ha alterato la propria volontà, in quanto egli confidava nella correttezza del giudizio emesso dall'agenzia e di conseguenza nella solvibilità dell'emittente.

D'altro canto, però, le agenzie di rating tengono a sottolineare che il rating è una «opinione indipendente» sull'affidabilità finanziaria dell'emittente e per gli investitori è solo «uno dei tanti strumenti loro disponibili per avere una migliore ed indipendente stima del rischio di credito dei titoli obbligazionari» (62); detto in altri termini, il rating non è un «commento sull'opportunità di un dato investimento», in quanto spetta a ciascun investitore fare le proprie ricerche e valutare autonomamente ciascun titolo di cui prenda in esame la compravendita o la detenzione (63), con la conseguenza che la decisione dell'investimento è ricollegabile soltanto alla volontà dell'investitore.

Nella fattispecie, pertanto, si deve verificare se l'affidamento dell'investitore sulla solvibilità dell'emittente, generato dalla valutazione dell'agenzia, sia meritevole di tutela: si tratta di accertare se il danno patito dall'investitore (che è un terzo rispetto all'agenzia) e cagionato dall'affidamento riposto nel rating sia o meno ingiusto.

Si deve operare, così, un giudizio di bilanciamento tra gli interessi contrapposti e tale giudizio deve essere condotto alla luce dell'insegnamento della Cass., sez. un., 5001999 (64): per accertare l'ingiustizia del danno l'operatore deve procedere ad un «giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesse che il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza».

La clausola generale dell'ingiustizia del danno, infatti, risolve ogni conflitto mediante un giudizio comparativo tra gli interessi contrapposti: la comparazione di detti interessi si risolve nell'accertare in quale misura e per quale fine l'ordinamento giuridico esprime una certa tutela, seppure in ambiti diversi da quelli in conflitto (65).

Con riguardo all'interesse perseguito dalle agenzie di rating, si tenga in considerazione che queste ultime spesso comparano la propria attività di analisi e di valutazione del merito di credito all'attività giornalistica avente ad oggetto la materia finanziaria, con la conseguente richiesta di estendere loro la tutela accordata da norme di rango costituzionale alla libertà di stampa (66).

Seguendo questa impostazione, pertanto, viene in rilievo il principio costituzionale di libera manifestazione del pensiero, di cui all'art. 21 Cost. che si contrapporrebbe all'art. 47 Cost. che tutela il risparmio, invocato dagli investitori.

In ogni caso, il giudizio di comparazione e valutazione degli interessi contrapposti non è rimesso alla discrezionalità del giudice, ma deve essere condotto alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se «il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza» (67).

In altre parole, si tratta di accertare se, nel nostro ordinamento, vi siano indici che portano a ritenere che l'affidamento incolpevole del risparmiatore nella veridicità e correttezza delle informazioni rese da un soggetto affidabile quale l'agenzia di rating sia particolarmente tutelato oppure se sia destinato a soccombere davanti alla tutela riconosciuta alla libertà di informazione.

A tal proposito, si deve rilevare che se la condotta del terzo, che ha diffuso le informazioni errate, è caratterizzata dall'elemento soggettivo del dolo è indubbio che il danno sia ingiusto: in ambito contrattuale, in caso di dolo del terzo, il contraente che era a conoscenza del dolo sarà responsabile ex art. 1338 c.c., mentre il risarcimento del danno extracontrattuale potrà essere richiesto senza limiti al terzo autore del dolo; inoltre, l'azione nei confronti del terzo è esperibile anche se il contratto non viene annullato ed anche se lo stesso non può essere annullato, perché manca la conoscenza del raggiro del terzo da parte del contraente che ne ha tratto vantaggio (68).

A prescindere dall'esistenza del dolo - che nell'ambito dell'illecito extracontrattuale non è soltanto un criterio di imputazione della responsabilità ma incide anche sulla stessa qualificazione di ingiustizia del danno (69) - si può sottolineare che anche se è incerto che nel nostro sistema sussista un diritto del singolo all'esattezza dell'informazione altrui (70), tuttavia, in caso di lesione della libertà contrattuale per false informazioni, si tende a tutelare l'affidamento del terzo, allorché l'informazione provenga da un soggetto che riveste uno status, tale da ingenerare un particolare affidamento nella serietà e veridicità dell'informazione resa (71).

Questo, ad esempio, è il caso della lesione dell'affidamento suscitato dalla lettera di patronage, allorché un istituto bancario sia indotto a concedere linee di credito, sul presupposto della veridicità delle dichiarazioni del patronnant (72); altrettanto significativo è il caso della banca nell'ipotesi in cui, fornendo ad un privato false od incomplete informazioni sulla situazione finanziaria di un proprio cliente, determini il primo a concludere un contratto, che si riveli successivamente dannoso proprio a causa dell'insolvenza della controparte (73), oppure nel caso in cui la banca trattaria abbia fornito notizie (ad es., benefondi) non corrispondenti realmente alla situazione finanziaria del traente al momento della richiesta delle informazioni (74).

Al riguardo, il principio che sovente viene ripetuto è che la banca, in caso di richiesta di informazioni, è libera di dare o di rifiutare le informazioni richieste, ma se le fornisce deve darle veritiere, altrimenti risponde ex art. 2043 c.c. (75); tale assunto è motivato facendo riferimento alla posizione della banca ed al particolare status di quest'ultima, parte del sistema bancario, ispirato a regole di trasparenza ed alla corretta gestione del credito.

Con riguardo alla banca, in ogni caso, potrebbe sostenersi che la vera fonte dell'obbligo di fornire informazioni veritiere, in casi come quello del benfondi, risieda nella prassi bancaria in base alla quale le banche si scambiano informazioni che si debbono presumere veritiere nell'interesse dell'intero sistema bancario (76). Allo stesso modo, con riferimento alla lettera di patronage, si potrebbe affermare che l'esigenza di valutare con maggior rigore la responsabilità, risieda nella particolare posizione dell'informatore, il quale non solo conosce i fatti che attesta nella lettera ma

è anche terzo interessato al negozio patrocinato, della cui conclusione o continuazione si rende promotore o intermediario in senso lato (77).

Di conseguenza, questi casi potrebbero risultare non decisivi per valutare se sia ingiusto il danno patito dall'investitore e se sussista un proprio interesse, giuridicamente tutelato, a ricevere dall'agenzia di rating informazioni corrette.

Si tenga presente, comunque, che la giurisprudenza è solita affermare la sussistenza di un obbligo di fornire informazioni esatte per chi svolge professionalmente o istituzionalmente attività di raccolta e diffusione di informazioni di carattere economico (78) e già questo potrebbe essere un indice da cui desumere la prevalenza dell'interesse del risparmiatore.

Allo stesso modo, si può ricordare come nel nostro ordinamento vi sia già una norma che riguarda la responsabilità di un soggetto particolarmente qualificato nei confronti dei terzi per i danni cagionati dalle informazioni inesatte rilasciate (79): il legislatore, con l'art. 164, co. II, T.u.f. e con l'art. 2409 sexies - introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 - ha espressamente tipizzato l'illecito dei revisori contabili nei confronti dei terzi, risolvendo così il problema dell'ingiustizia del danno e della sussistenza di un diritto tutelato dei terzi a ricevere informazioni corrette (80).

Di recente, inoltre, l'art. 94 T.u.f., come sostituito dall'art. 3, d.lgs. n. 51 del 28 marzo 2007, ha «tipizzato» la fattispecie della «responsabilità da prospetto», prevedendo una responsabilità parziaria tra i vari soggetti responsabili delle informazioni contenute nel prospetto, ad esclusione dell'intermediario responsabile del collocamento, il quale è sottratto al regime di responsabilità pro quota (co. IX). Senza contare, altresì, che, dai compilatori del codice civile del 1942, l'art. 2935 c.c. è stato "pensato" proprio con riferimento alla fattispecie della responsabilità per informazioni erronee degli amministratori nei confronti del socio o del terzo (81).

In ogni caso, possono individuarsi anche altri criteri normativi, ben più pregnanti, da cui desumere che l'affidamento incolpevole nella veridicità delle risultanze provenienti dal rating è particolarmente tutelato. Significativa è la recente normativa comunitaria volta a tutelare la trasparenza del mercato finanziario, attraverso la predisposizione di regole che debbono garantire l'integrità delle informazioni sugli strumenti finanziari.

In particolare, l'art, 1 punto 2, lett. c), della direttiva 2003/6/Ce - sull'abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato - prevede il divieto della diffusione di informazioni false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari, se la persona che le ha diffuse sapeva o avrebbe dovuto sapere che le informazioni erano false o fuorvianti.

Sulla base di tale riferimento, la Commissione sulle agenzie di rating del credito, istituita presso la UE, ha formalmente sottolineato la necessità per le agenzie di rating di dotarsi di politiche e procedure interne che permettano di garantire l'obiettività, l'indipendenza e l'affidabilità, in modo da accrescere la fiducia degli investitori (82). Senza contare che il Codice Iosco (83) contiene criteri generali ai quali le agenzie debbono ispirarsi, al fine di migliorare la trasparenza del processo di assegnazione del rating, di proteggere l'integrità e l'indipendenza delle agenzie nei rapporti con gli emittenti, gli investitori e gli altri partecipanti al mercato.

Anche il legislatore italiano (84), intervenendo con la disciplina di attuazione della direttiva 2003/6/Ce, ha previsto il divieto di diffusione di informazioni false o fuorvianti, perché costituiscono una manipolazione del mercato.

In tal modo, risulta evidente che l'ordinamento giuridico esprime una tutela particolarmente forte per l'interesse degli investitori a ricevere informazioni obiettive ed affidabili; si consideri, altresì, che tanto più l'interesse degli investitori è tutelato, tanto più aumenta la fiducia degli stessi nel mercato finanziario, così che la corretta circolazione delle informazioni appare indispensabile non solo per la tutela dei risparmiatori ma anche per un corretto funzionamento del mercato (85).

Alla luce del rilievo assunto dalla tutela del risparmio pubblico, pertanto, è impensabile che non sia richiesto uno standard professionale alquanto elevato per chi diffonde informazioni finanziarie, tenuto conto che la trasmissione di informazioni corrette è fondamentale non solo per i risparmiatori (al fine di poter effettuare scelte consapevoli tra i vari prodotti finanziari) ma anche per l'integrità del mercato.

Anche se il co. 8º dell'art. 114 del T.u.f. (86) e l'art. 69 decies del Regolamento Consob n. 11971 (c.d. regolamento emittenti) (87) - nel prevedere obblighi di trasparenza per i soggetti che producono studi o raccomandazioni - escludono dal proprio ambito di applicazione le agenzie di rating, è indubbia la sussistenza di doveri di correttezza e di trasparenza per le stesse, derivanti non solo dai principi generali dell'ordinamento, ma anche dalla legislazione comunitaria e dal Codice Iosco.

Di conseguenza, l'esclusione delle agenzie di rating dall'ambito di operatività dell'art. 114 T.U.F. e dell'art. 69 decies Reg. Emittenti potrebbe essere interpretata con la volontà, non di attenuare gli obblighi di condotta in capo alle agenzie, bensì di distinguere - come già effettuato dalla Direttiva 2003/125Ce, riguardante la corretta presentazione delle raccomandazioni di investimento - i rating dagli studi e dalle raccomandazioni emanate dagli analisti finanziari.

Appare poco convincente, di conseguenza, il richiamo al principio costituzionale di libera manifestazione del pensiero, invocato spesso dalle agenzie di rating, al fine di escludere ogni responsabilità e giustificato sulla base del presupposto che il rating sarebbe soltanto una semplice «opinione». Si consideri, infatti, che il legislatore ha esteso gli obblighi di trasparenza e correttezza, previsti per i soggetti che producono studi o raccomandazioni, anche ai giornalisti che diffondono notizie sugli strumenti finanziari (88), rinviando in ogni caso alle norme di autoregolamentazione proprie di detta professione, per l'attuazione di tali doveri (89).

Può essere utile, comunque, richiamare l'orientamento in tema dei c.d. warentests, ossia dei servizi giornalistici che presuppongono o diffondono verifiche delle caratteristiche qualitative di un prodotto o di più prodotti tra loro fungibili; anche in questo caso, la diffusione delle informazioni, se errate, può pregiudicare la libertà contrattuale ed anche in questa ipotesi il diritto di chi pubblica o divulga tali indagini è fondato sull'art. 21 cost.

Tali indagini, comunque, sono considerate perfettamente lecite, se le prove merceologiche sono effettuate con diligenza, serietà ed obbiettività (90); pertanto, il discrimine tra liceità ed illiceità è individuabile nella serietà e scientificità del metodo seguito in sede di analisi comparativa tra prodotti diversi, mentre l'erroneità delle informazioni potrà far sorgere la responsabilità soltanto se conosciuta o conoscibile dal giornalista di media preparazione (91).

Detto in altri termini, l'interesse a non subire interferenze nella propria attività contrattuale prevale allorché la pubblicazione di dati non presenti quel minimo di rigore scientifico che si impone nell'esercizio del diritto di cronaca oppure se, nonostante il rigore del metodo seguito, i risultati sono palesemente errati e l'errore sia riconoscibile da un professionista di media preparazione (92).

Alla luce di queste considerazioni, sarebbe contraddittorio non ritenere meritevole di tutela l'affidamento generato da comunicazioni rese al mercato, allorché tali informazioni provengano da un soggetto particolarmente qualificato, come le agenzie di rating, che ragionevolmente ingenerano fiducia nella serietà e credibilità delle proprie valutazioni. Tale assunto, in ogni caso, non può portare ad affermare la responsabilità ogniqualvolta le valutazioni si siano rivelate errate, ma soltanto nel caso in cui le agenzie non si siano attenute allo standard professionale richiesto.

Tale standard professionale, in ogni caso, dovrà essere valutato con particolare rigore, tenuto conto dello status delle agenzie di rating e del conseguente affidamento suscitato dalle proprie dichiarazioni nonché della circostanza che le informazioni fornite influenzano non solo la libertà contrattuale dei destinatari ma anche un bene (il risparmio pubblico), oggetto di particolare tutela da parte dell'ordinamento.

8. - Ai fini del sorgere della responsabilità dell'agenzia di rating è necessario che sussista un rapporto di causalità tra la condotta dell'agenzia, che ha portato all'emissione di una valutazione errata ed il pregiudizio subito dall'investitore a causa dell'insolvenza dell'emittente.

Occorre, pertanto, che sia dimostrato il nesso causale tra l'errata valutazione circa il rischio di insolvenza dell'emittente e la perdita dell'investimento; in altre parole, l'investitore deve provare che, se la valutazione espressa dall'agenzia fosse stata corretta, sarebbe stato disincentivato e non avrebbe quindi sottoscritto gli strumenti finanziari dell'emittente.

L'onere probatorio è il medesimo che incombe sull'investitore allorché lamenti la responsabilità dell'intermediario per violazione degli obblighi informativi: anche in questa ipotesi - ai fini del sorgere della responsabilità - l'investitore deve dimostrare che una informazione corretta lo avrebbe dissuaso dal compiere l'operazione ovvero lo avrebbe condotto ad una scelta di investimento diversa (93).

È evidente, in ogni caso, che l'investitore potrà assolvere al proprio onere probatorio mediante presunzioni a norma dell'art. 2727 c.c.; in particolare, nel caso di insolvenza dell'emittente nonostante il rating positivo, l'attore potrà assumere come «normale e corrispondente a regolarità causale», che non avrebbe sottoscritto i titoli, se non vi fosse stata l'erronea valutazione sulla solvibilità dell'emittente.

Tale assunto non pare superabile dalle formule che generalmente accompagnano il rilascio del rating, al fine di sottolineare che il «rating assegnato non rappresenta una raccomandazione ad acquistare, vendere o detenere titoli», oppure che il rating è assegnato «in base al presupposto e al sottointeso che ciascun investitore farà le proprie ricerche e valuterà autonomamente ciascun titolo di cui prenda in esame la compravendita o la detenzione» (94).

Siffatte enunciazioni appaiono generiche ed indeterminate e, pertanto, di stile e non idonee a confutare il ruolo fondamentale che il rating svolge nel processo decisionale del risparmiatore, ai fini della scelta di investimento. Il rating, infatti, è considerato dalla giurisprudenza un elemento che condiziona in modo determinante la scelta di investimento, tant'è che la mancata comunicazione dello stesso rappresenta la violazione dei più elementari obblighi informativi spettanti all'intermediario (95).

Sarebbe, pertanto, contraddittorio ravvisare l'esistenza di un nesso causale tra la mancata comunicazione del rating da parte dell'intermediario e la scelta d'investimento e negare, invece, il rapporto nell'ipotesi di rating erroneo, rilasciato dall'agenzia. In altre parole, la finalità del rating, volta a consentire ai risparmiatori scelte maggiormente consapevoli, agevola il ricorso alle presunzioni, consentendo di fondare una presunzione semplice di causalità efficiente e di ipotizzare la sussistenza di un nesso causale «tipizzato» tra il fatto doloso o colposo dell'agenzia ed il pregiudizio subito dal terzo.

Nel caso di specie, pertanto - pur vertendosi in tema di responsabilità extracontrattuale in cui spetta al danneggiato l'onere di provare il rapporto tra la condotta del danneggiante ed il pregiudizio lamentato - può ritenersi in re ipsa il nesso di causalità tra l'emanazione di un rating positivo, l'investimento effettuato ed il danno subito dall'investitore, in conseguenza dell'insolvenza dell'emittente.

Diviene, così, onere dell'agenzia convenuta fornire la prova dell'esistenza di fatti idonei ad interrompere il nesso causale, al fine di dimostrare che la valutazione positiva fornita dall'agenzia non ha influenzato la scelta dell'investitore, come, ad esempio, nel caso in cui risulti che nel portafoglio di quest'ultimo vi erano numerosi titoli appartenenti alla c.d. categoria «speculative grade».

Tale impostazione appare coerente con i principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la «vicinanza alla prova», e cioè la effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla (96): sarebbe alquanto gravoso per l'investitore dimostrare che la decisione è stata indotta esclusivamente o prevalentemente dalla valutazione dell'agenzia.

Sarà, invece, onere del convenuto fornire la prova di fatti da cui si evinca l'insussistenza di un rapporto causale, come ad esempio nell'ipotesi in cui emerga un profilo dell'investitore caratterizzato da una forte propensione al rischio: in questa ipotesi, è dubbio che possa ammettersi un nesso causale tra il rating erroneo ed il pregiudizio patrimoniale subito dal risparmiatore, essendo plausibile ritenere che anche nel caso di rating negativo, l'investitore avrebbe ugualmente sottoscritto i titoli (97).

La situazione è differente nel caso in cui dopo un'iniziale rating positivo (errato), l'agenzia abbia provveduto a rivedere, in negativo, le proprie valutazioni: se il risparmiatore ha sottoscritto l'investimento dopo che l'agenzia ha provveduto a rivedere la propria stima, non vi è alcun nesso tra l'iniziale errore e la perdita patrimoniale subita.

Discorso diverso deve essere effettuato nell'ipotesi in cui l'iniziale rating positivo abbia influenzato la scelta di investimento; in particolare, si pone il problema di accertare sia se il risparmiatore sia tenuto ad attivarsi per conoscere l'eventuale progressivo deterioramento del rating, sia se lo stesso, una volta appreso il mutamento del rating, abbia il dovere di limitare le conseguenze dannose, vendendo ad esempio i titoli.

Appare chiaro che l'indagine deve essere condotta caso per caso; a livello generale, comunque, si possono svolgere alcune considerazioni. In particolare, si può sottolineare che si tende ad affermare l'obbligo dell'intermediario di comunicare al cliente il progressivo peggioramento del rating soltanto nel caso di rapporto di gestione del portafoglio, mentre si esclude tale dovere allorché l'intermediario si sia limitato a prestare il solo servizio di negoziazione (98); di conseguenza, solo in quest'ultima ipotesi verrebbe in rilievo un eventuale dovere di autoinformazione.

In ogni caso, in qualsiasi modo l'investitore abbia avuto conoscenza del deterioramento del rating, si pone il problema di ipotizzare un dovere, ex art. 1227, comma 2°, di vendere il titolo al fine di ridurre o comunque non aggravare le conseguenze dannose derivanti dall'illecito dell'agenzia. Il discrimen tra danni evitabili, e quindi non risarcibili, e danni non evitabili, come tali risarcibili, infatti, è costituito dall'onere di adoperare l'ordinaria diligenza senza attività gravose o straordinarie, tranne che il facere non sia legittimato in base al principio di correttezza che caratterizza l'art. 1227, comma 2° (99).

Pertanto, si dovrà valutare, di volta in volta, tenuto conto di tutte le circostanze, se l'investitore, in base al dovere di correttezza, avrebbe potuto ridurre i danni, ad esempio, rivendendo gli strumenti finanziari, non appena a conoscenza del deterioramento del rating (100).

Tale indagine, comunque, dovrà essere effettuata tenendo in considerazione che la diligenza - che avrebbe dovuto impiegare il danneggiato al fine di limitare le conseguenze dannose - deve essere valutata con riferimento al tipo di investitore che viene in rilievo nella fattispecie: così, ad esempio, è indubbio che ad un investitore professionale sia richiesto un grado di diligenza più elevato rispetto a quella richiesta, al fine di evitare il danno, ad un investitore inesperto.

Si tende a ritenere, infatti, che per valutare la condotta colposa di un soggetto assumono importanza non solo gli elementi oggettivi ma anche le condizioni personali dell'agente, soprattutto se vi è la prova che esse erano superiori alla media (101); in tal modo, è stata sempre valutata con maggiore severità la condotta di chi, nel particolare frangente in cui deve essere apprezzato il comportamento, poteva disporre di informazioni o di mezzi notevolmente superiori alla media (102).

9. - In precedenza, si è sottolineato che la responsabilità dell'agenzia di rating non può derivare dalla semplice valutazione errata ma è anche necessario che sussista il dolo o la colpa della agenzia stessa; di conseguenza non si può affermare la responsabilità solo perché il rating, espresso in relazione ad alcuni strumenti finanziari, largamente diffusi sul mercato, non rispecchia la reale prospettiva di solvibilità del debitore, senza che vi sia alcuna colpa o mancanza di buona fede dell'agenzia.

Significativo, ad esempio, è il caso verificatosi con riguardo ai rating inerenti alle operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da contratti di leasing (103); in particolare le valutazioni espresse tenevano in considerazione anche un orientamento giurisprudenziale, in tema di effetti della procedura concorsuale sul contratto di leasing, che poi è stato inaspettatamente disatteso dalla Corte di Cassazione: la S.C., con la pronuncia n. 5552 del 2003 (104), ha smentito il precedente orientamento, ritenuto assolutamente prevalente, volto ad affermare la prosecuzione automatica del contratto di leasing, nonostante gli effetti del fallimento.

In questo modo, la decisione della S.C. ha destato notevole confusione con riguardo al rilascio dei rating delle operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da contratti di leasing, con possibili ricadute fortemente negative per il settore del leasing nel suo complesso, vista l'importanza assunta per le imprese del settore dalla cartolarizzazione dei canoni (105); i rating estremamente positivi per i titoli immessi nel mercato finanziario in esecuzione di operazioni italiane di cartolarizzazione di canoni di leasing, infatti, si basavano anche sull'orientamento favorevole alla regola della prosecuzione del contratto di leasing (106) .

Tale situazione ha, pertanto, indotto il legislatore ad intervenire, con la l. 26 febbraio 2004, n. 45, in base alla quale «la sottoposizione a procedura concorsuale delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria non è causa di scioglimento dei contratti di locazione finanziaria, inclusi quelli a carattere traslativo né consente agli organi della procedura di optare per lo scioglimento dei contratti stessi; l'utilizzatore conserva la facoltà di acquistare, alla scadenza, la proprietà del bene verso il pagamento del prezzo pattuito».

In un caso di questo genere, è evidente che il rating inizialmente assegnato non esprimeva una valutazione realistica del merito del credito, in quanto un presupposto giuridico tenuto in considerazione ai fini del rilascio è stato poi smentito dalla giurisprudenza di legittimità; tuttavia, è altrettanto chiaro che non siamo in presenza di un errore dell'agenzia, in quanto nel momento in cui la valutazione è stata rilasciata, era difficilmente prevedibile il mutamento intervenuto in ordine al problema della prosecuzione del contratto di leasing in caso di fallimento della società concedente.

Diversa, invece, potrebbe essere la situazione in cui l'erronea valutazione della solvibilità dell'emittente dipenda dall'adozione di criteri infondati ed inappropriati; in questo caso, è evidente che può essere affermata la responsabilità se l'errore è riconducibile ad una imperizia da parte del commettee dell'agenzia che assegna il rating.

Il problema maggiore, tuttavia, sorge quando l'erronea valutazione dipende dalla falsità dei dati posti a base del giudizio; come è noto, infatti, le agenzie fondano le proprie valutazioni non solo su informazioni pubbliche (provenienti dalla stessa società emittente o dalla stampa specializzata), ma anche su dati ed informazioni che non sono accessibili al pubblico, ma che sono volontariamente rivelate dall'entità oggetto del rating.

Può accadere pertanto che i vertici aziendali dell'emittente forniscano dati falsi, al fine di ottenere una valutazione positiva. Al riguardo, le agenzie sottolineano che la veridicità dei dati non può essere da loro verificata, non essendo dotate delle risorse appropriate per espletare un controllo di tal genere, né generalmente sono autorizzate a farlo dalla società.

Senza contare che i dati e le informazioni ricevute dalla società sono già stati preventivamente sottoposti ad una serie di verifiche interne espletate, ad esempio, dal Consiglio di Amministrazione, dal Collegio sindacale e dalla società di revisione, che ha anche poteri ispettivi e di accertamento per lo svolgimento delle proprie funzioni.

Le agenzie possono richiedere dati ed informazioni, anche confidenziali, ma all'interno del rapporto contrattuale di mutua fiducia che caratterizza la relazione di rating: se l'emittente non fornisce i dati e le informazioni, essenziali alla formulazione del rating, le agenzie non hanno poteri coercitivi ma hanno soltanto la facoltà di rifiutare la valutazione, non essendo possibile formulare un'opinione adeguata sul rischio di credito di tale emittente (107).

In questo modo, le agenzie sottolineano - al fine di escludere la propria responsabilità - la mancanza di poteri ispettivi o di controllo nei confronti della società e dei suoi organi, potendo fare affidamento soltanto sul contratto che li lega alla società ed al conseguente obbligo che la società fornisca tempestivamente qualunque informazione rilevante per le valutazioni di rating.

In ogni caso, per valutare la condotta che gli analisti finanziari incaricati di rilasciare il rating debbono tenere rispetto ai dati ed alle informazioni fornite dall'emittente può essere utile prendere spunto dalla considerazione secondo la quale la pubblicazione del rating è assimilata, in generale, ad una semplice informazione giornalistica (tant'è che le agenzie solitamente diffondono il rating attraverso un comunicato stampa) (108).

Al riguardo, si può rilevare che il giornalista ha sempre l'obbligo di controllare l'attendibilità della fonte informativa; in particolare, il giornalista, per invocare l'esimente della verità putativa, deve usare legittimamente le fonti informative, mediante l'esame e la verifica dei fatti che ne costituiscono il contenuto (109).

Tale dovere diventa ancor più stringente nell'ipotesi in cui il giornalista abbia diffuso una notizia che incide sulla commerciabilità di un prodotto, avvalendosi di dati forniti da un esperto. In questa ipotesi, il giornalista può esimersi da responsabilità solo se abbia svolto controlli, riscontri ed accertamenti intesi a verificare il risultato (110); tali principi sono stati affermati in una pronuncia riguardante la diffusione, nel corso di una trasmissione televisiva, dei risultati di un'analisi chimica condotta su un prodotto alimentare (111).

Proprio tenendo in considerazione che il rating può fortemente incidere, in negativo, sui diritti patrimoniali dei risparmiatori, nonché il particolare status professionale riconosciuto alle agenzie di rating, appare indubbio che il commette incaricato debba attenersi ad un canone di prudenza particolarmente elevato, nell'utilizzare le informazioni ed i dati fornititi dall'emittente.

Tale assunto non porta a ritenere che le agenzie debbano diventare garanti della veridicità delle informazioni contabili fornite dall'emittente, né che abbiano doveri di accertare analiticamente la veridicità delle informazioni e dei dati forniti dall'emittente; in caso contrario, infatti, si finirebbe per imporre alle agenzie un dovere di eseguire nuovamente prestazioni già svolte da altri, quali ad esempio il Collegio sindacale e la società di Revisione.

Tuttavia, non solo nell'ipotesi in cui i dati e le informazioni fornite siano all'evidenza inconciliabili tra loro, ma anche nell'eventualità in cui vi siano indizi che facciano dubitare della genuinità delle stesse (quali, ad esempio, potrebbero risultare da un controllo incrociato dei dati effettuato dall'agenzia), il commette incaricato del rating ha l'obbligo di cautelarsi, prima di procedere all'assegnazione, con controlli, riscontri, accertamenti e richieste di ulteriori informazioni, al fine di verificare l'attendibilità dei dati forniti dall'emittente e vincere così ogni dubbio ed incertezza prospettabile in ordine ad essa.

Solo in questa ipotesi, l'agenzia che abbia rilasciato un rating su presupposti falsi, potrà dire di avere agito in totale buona fede, nella convinzione di aver divulgato una informazione vera; inoltre, sembra potersi affermare che, nell'ipotesi in cui i riscontri non abbiano fugato i dubbi né l'emittente abbia fornito risposte convincenti, l'agenzia, al fine di non incorrere in eventuale responsabilità, sarà tenuta a rifiutare di rilasciare il rating.

Al riguardo, si può rilevare che anche per le società di revisione, in caso di mancata scoperta di frodi contabili durante l'attività di revisione contabile (112), si tende ad accertare se la mancata scoperta sia imputabile a superficialità o trascuratezza oppure alla abilità di occultamento degli amministratori (113). Così facendo, la successiva scoperta nel bilancio di un errore significativo dovuto a frodi non è di per sé indice dell'inadempimento del revisore, in quanto in alcuni casi le procedure di revisione sono oggettivamente inefficaci nell'individuare errori conseguenti a comportamenti od eventi intenzionali occultati (114) .

Si ritiene opportuno, invece, verificare - in ragione delle concrete circostanze, tenuto conto della presenza o meno di indici di sospetto e di peculiari criticità - se i revisori che non abbiano rilevato frodi contabili poi rivelatesi perpetrate fossero obiettivamente tenuti a svolgere indagini più approfondite, secondo il paradigma del revisore diligente e se, in caso affermativo, la mancata scoperta sia dovuta a negligenza ed imperizia o piuttosto alla astuzia nell'occultamento degli amministratori (115) .

10. - Si è già sottolineato in precedenza (§ n. 4) come la responsabilità da «contatto sociale» possa astrattamente estendersi anche alle agenzie di rating, tenuto conto del loro particolare status e del conseguente, notevole, affidamento riposto dagli investitori nella correttezza delle valutazioni da esse svolte (116).

Di conseguenza, si tratta di accertare se il danno patito dall'investitore sia risarcibile secondo le norme che disciplinano la causalità giuridica, la quale svolge la funzione di selezionare le conseguenze risarcibili in ambito contrattuale. In particolare, attraverso l'art. 1223 c.c., il legislatore ha voluto escludere il risarcimento delle conseguenze che si presentano come anormali nella loro connessione con quel determinato fatto e quindi espressione di un rischio che non è necessariamente insito nella mancata o nell'inesatta esecuzione della prestazione, poiché poteva manifestarsi in altro modo od in altro momento (117).

Detto in termini diversi, nel contesto in esame, si deve verificare se l'investitore sarebbe stato comunque esposto al pregiudizio subito, a prescindere dall'inadempimento dell'agenzia di rating oppure se la perdita subita dal risparmiatore sia una conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento dell'agenzia.

In tal modo, si possono muovere le medesime considerazioni già svolte in precedenza, con riguardo all'accertamento della causalità di fatto tra la condotta dell'agenzia e l'evento dannoso, caratterizzate dal rilievo secondo il quale al rating è attribuito un ruolo fondamentale nel processo decisionale dell'investitore, ai fini della scelta di investimento, con il risultato che il pregiudizio patrimoniale subito appare una conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento dell'agenzia.

Una soluzione differente, inoltre, volta a negare la risarcibilità del danno non appare plausibile nemmeno attraverso il limite della prevedibilità di cui all'art. 1225 c.c., applicabile soltanto nell'ambito della responsabilità contrattuale (118). La regola dell'art. 1225 c.c., infatti, è spesso vanificata non solo a causa dell'abbandono di una nozione restrittiva del dolo - imperniato sull'animus nocendi a favore di una concezione ampia ed elastica (119) - ma anche perché nella prassi giurisprudenziale il criterio della prevedibilità tende a coincidere con la valutazione che i giudici esprimono per accertare il rapporto causale delle conseguenze dannose, attraverso i principi della regolarità causale (120) .

In ogni caso, anche ragionando in termini di responsabilità contrattuale, non si può sostenere che in ogni caso in cui vi sia un default dell'emittente, nonostante il rating positivo, vi possa essere una responsabilità dell'agenzia. È indubbio, infatti, che l'obbligazione dell'agenzia è una obbligazione di mezzi, tenuto conto della natura stessa del rating, consistente in una «valutazione» o «parere» sull'affidabilità creditizia dell'emittente.

Al riguardo, la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, se non può certo essere utilizzata per introdurre una differenziazione sul piano della disciplina della responsabilità - essendo innegabile che tutti i profili di responsabilità del professionista intellettuale, siano essi connessi ad obbligazioni di mezzi o di risultato, debbono essere ricondotti nell'ambito della disciplina generale dell'inadempimento delle obbligazioni (121) - può, tuttavia, essere mantenuta su un piano meramente descrittivo, per stabilire a che cosa sia tenuto il debitore di una certa obbligazione (122); in altre parole, la partizione viene in rilievo per individuare l'oggetto della prestazione, rispetto alla quale si dovrà valutare se il debitore ha adempiuto in modo esatto (123).

Nel caso di specie, l'agenzia non garantisce la solvibilità o l'affidabilità del debitore, ma semplicemente è tenuta a prestare, in modo diligente, la propria opera al fine di esprimere una valutazione precisa ed attendibile. Di conseguenza, essendo in presenza di una obbligazione di mezzi - nelle quali il mancato od inesatto risultato della prestazione non consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno conseguente alla non diligente esecuzione della prestazione - l'agenzia, per liberarsi da responsabilità, deve dimostrare l'esattezza dell'adempimento, provando che la sua condotta è stata conforme alle regole tecniche che dovevano essere seguite nel caso di specie.










[1] Al riguardo il sito di Borsa italiana (http://www.borsaitaliana.it/documenti/rubriche/sotto­lalente/mutuisubprime.htm) evidenzia che tra le varie tipologie di mutui subprime hanno avuto una certa diffusione i mutui con un tasso fisso iniziale che si converte nel tempo al tasso variabile ed è quindi ancorato al tasso d'interesse stabilito dalle banche centrali. Alcune formule prevedevano che per i primi due o tre anni il mutuatario subprime pagasse un tasso fisso che nel periodo restante (spesso dai 28 anni in su) diventava variabile. Si sono in questo settore registrati numerosi casi in cui un tasso d'interesse iniziale intorno al 4% finiva con gli aggiustamenti annuali per avvicinarsi al 10 per cento. Un simile incremento nel tasso d'interesse può portare la rata mensile che il debitore deve pagare a una crescita dell'85 per cento.
[2] Secondo la definizione contenuta nel Glossario della Borsa Italiana «gli strumenti che appartengono alla categoria delle CDO (Collateralized Debt Obligation) sono strumenti di debito emessi a valere su un portafoglio di attività eterogenee fra loro: obbligazioni, strumenti di debito, titoli in generale. Le CDO possono essere a loro volta classificate in diversi gruppi di attività che differiscono in base alla tipologia di titoli presenti nel pool sottostante. Si hanno così le CBO (Collateralized Bond Obligation), con sottostante un portafoglio obbligazionario oppure le CMO (Collateralized Mortgage Obligation), con sottostante un pool di prestiti/mutui. Gli strumenti inclusi nel portafoglio differiscono per il grado di rischio e per la qualità dell'emittente; naturalmente, quanto più il portafoglio sottostante è composto da strumenti a basso merito creditizio tanto più elevato è il tasso di interesse associato alle CDO. Nonostante il sottostante possa avere un rating anche piuttosto basso (junk bonds), le CDO possiedono in genere un rating di "investment grade", ossia un rating migliore; ciò è possibile poichè l'elevato numero di strumenti presenti nel pool consente di ottenere un buon grado di diversificazione e quindi una diminuzione del rischio».
[3] Al riguardo, Il Committee of European Securities Regulators (Cesr) - l'organismo di consultazione fra le autorità di vigilanza sui mercati finanziari dei Paesi dell'Unione Europea, di cui la Consob fa parte - ha avviato ulteriori accertamenti sull'attività delle agenzie di rating (Comunicato stampa Consob del 12 settembre 2007).
[4] È noto che i gruppi Enron e Parmalat fino alla vigilia dei rispettivi default, da cui sono stati investiti, godevano di rating positivi. Sul rating di Parmalat, si veda l'Intervento di Standard & Poor's, Commissioni riunite VI "Finanze" e X "Attività produttive, commercio e turismo", della Camera dei deputati e 6 "Finanze e Tesoro" e 10 "Industria, commercio e turismo" del Senato della Repubblica, 3 febbraio 2004, 7.
[5] Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, in Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, del 11 marzo 2006.
[6] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati (a margine del recente intervento legislativo di "salvataggio" del rating dei titoli risultanti da operazioni di cartolarizzazione di canoni di leasing e della prossima attuazione del Nuovo Accordo di Basilea 2), in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2004, p. 594, nota 10.
[7] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[8] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, in Bancaria, 1995, p. 17.
[9] Direttiva 2006/48/CE del 14 giugno 2006, relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio.
[10] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati, cit., p. 598.
[11] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati, cit., nota 10, 594.
[12] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[13] Al riguardo, si veda il § 3.12 del Codice Moody's, in http://www.moodys.com/italia: «Nel recente passato Moody's non ha assegnato rating non richiesti. Tuttavia, nella sua veste di esperto che fornisce pubblicamente pareri in materia creditizia, Moody's si riserva il diritto di assegnare in futuro rating non richiesti se ritiene che (i) la pubblicazione di un rating di questo tipo sia nell'interesse del mercato o degli investitori e (ii) siano disponibili informazioni sufficienti su cui basare un'analisi adeguata e, se pertinente, anche una costante sorveglianza. Qualora il rating assegnato rientri tra quelli non richiesti, Moody's non solleciterà né accetterà compensi dall'emittente per i propri servizi di analisi per almeno un anno a partire dalla data di pubblicazione del rating in questione».
[14] Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, cit.
[15] Il rating è espresso da alcune categorie che, nelle classificazioni utilizzate da Standard & Poor's vanno dalla AAA, che corrisponde alla più elevata qualità del credito, alla D, corrispondente all'insolvenza o default. I rating che vanno dalla AAA alla CCC possono essere accompagnati da un + o un -.
[16] Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, cit.
[17] DI CASTRI, I conflitti di interesse degli analisti finanziari: disciplina statunitense, evoluzione della normativa comunitaria e prospettive nell'ordinamento italiano, in Banca impresa società, 2004, p. 483.
[18] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 22.
[19] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 24, il quale sottolinea, tuttavia, un limite all'utilità complessiva rappresentato dal dato che l'attribuzione del rating avviene generalmente su richiesta, di conseguenza appare verosimile che solo le imprese che ritengono di meritare la valutazione di più alto livello possono avanzare l'istanza di attribuzione del rating; agli altri emittenti, viceversa, non converrà sottoporsi ad un giudizio, poiché non otterrebbero dal rating quei vantaggi in precedenza considerati. In ogni caso, tali osservazioni cessano di essere valide quando l'attribuzione del rating è resa obbligatoria dalle autorità che regolamentano i mercati; negli altri casi, invece, il rating segnala solo gli emittenti migliori, non permettendo che gli investitori dispongano di un set informativo completo relativo ai titoli presenti sul mercato.
[20] Trib. Pinerolo, 14 ottobre 2005, Trib. Catania, 5 maggio 2006 e Trib. Cagliari, 2 gennaio 2006, n. 43, in Resp. civ. Prev., 2007, fasc. IV, 912, con nota di FACCI, Il rating e la circolazione del prodotto finanziario: profili di responsabilità; Trib. Mantova, sez. II Civile - G.U. Dr. Mauro Bernardi, 5 aprile 2005; Trib. Biella, 12 luglio 2005, Pres. L. Grimaldi, Rel. E. Reggiani, in http://www.ilcaso.it.
[21] Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, cit., la quale sottolinea che i rating sono utilizzati sempre più spesso nelle disposizioni contrattuali relative all'interruzione di una linea di credito, all'accelerazione del rimborso del debito o alla modifica di altre condizioni del credito.
[22] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 23.
[23] Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, cit.
[24] Secondo il co. II dell'art. 100 bis T.u.f. «Si realizza una offerta al pubblico anche qualora i prodotti finanziari che abbiano costituito oggetto in Italia o all'estero di un collocamento riservato a investitori professionali siano, nei dodici mesi successivi, sistematicamente rivenduti a soggetti diversi da investitori professionali e tale rivendita non ricada in alcuno dei casi di inapplicabilità previsti dall'articolo 100».
[25] Al riguardo RABITTI BEDOGNI, L'informativa derivata Le previsioni degli analisti e i giudizi delle agenzie di rating. Problemi attuali e possibili sviluppi regolamentari, in http://w3.uniroma1.it/dirittomercatifinanziari/Rating.pdf.
[26] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 23.
[27] Trib. Pinerolo, 14 ottobre 2005, cit.
[28] In questo senso il Codice Moody's, cit.
[29] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[30] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[31] Al riguardo, il Codice Moody's, cit.
[32] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[33] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati, cit., p. 603.
[34] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[35] Trib. Pinerolo, 14 ottobre 2005, cit.; Trib. Catania, 5 maggio 2006, cit.
[36] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 22.
[37] La direttiva 20036Ce vieta ad ogni persona che disponga di informazioni privilegiate di utilizzare tali informazioni al fine di acquisire o cedere gli strumenti finanziari ai quali tali informazioni si riferiscono; in tal modo, se un emittente decide di autorizzare un'agenzia di rating ad avere accesso ad informazioni privilegiate, l'agenzia non solo sarà tenuta ad un obbligo di riservatezza (art. 6, § n. 3, direttiva 20036Ce), ma anche non potrà utilizzare tali informazioni al fine di effettuare attività di negoziazione (Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, cit.). Un rating, inoltre, può di per sé costituire un'informazione privilegiata, soprattutto nel caso in cui l'agenzia abbia accesso ad informazioni non pubbliche dell'emittente; in questo caso, è vietato utilizzare il rating non ancora pubblicato per effettuare attività di negoziazione o comunicare tale informazione a terzi, eccetto nell'esercizio normale del proprio lavoro, della propria professione o nell'adempimento delle proprie funzioni. L'agenzia, comunque, è tenuta a comunicare un rating di imminente pubblicazione all'emittente, affinché quest'ultimo verifichi l'esattezza delle informazioni sulle quali tale rating è basato.
[38] FANNI, Il dibattito in corso sul riconoscimento formale delle agenzie di rating da parte di un'autorità pubblica europea o nazionale interessa il nostro Paese?, in Assicurazioni, 2005, p. 98. Sulla situazione di conflitto di interessi in cui spesso versa l'analista, si veda CAPRIGLIONE, L'attività di ricerca degli analisti finanziari. Definizione, contenuti e regole nel sistema normativo italiano, in Banca borsa e titoli di credito, 2004, p. 120.
[39] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 22.
[40] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 22.
[41] Al riguardo, PRESTI, La responsabilità del revisore, in Banca, borsa, titoli di credito, 2007, 179.
[42] L'art. 2 dispone che «1. Gli operatori incaricati di svolgere la valutazione del merito di credito nelle operazioni disciplinate dalla legge n. 130/1999 devono essere costituiti in forma societaria e essere organizzati in modo che: a) alla formulazione del giudizio sul merito di credito concorrano persone che abbiano maturato un'esperienza direttiva non inferiore a 3 anni in società o strutture aziendali specializzate nella valutazione dei crediti; b) sia prevista, per ciascuna fase in cui si articola la valutazione e per i relativi aggiornamenti, l'utilizzazione di procedure predeterminate e conformi alle prassi internazionali, che assicurino la riservatezza delle informazioni e dei dati acquisiti; c) siano predisposti supporti tecnici e dotazioni di personale adeguati in relazione alla procedure utilizzate ed agli incarichi che si stima di svolgere in ciascun anno. 2. I requisiti previsti dal comma 1 si considerano posseduti dagli operatori attivi nei mercati dell'Unione Europea da almeno tre anni nell'attività di valutazione del merito di credito alla data di entrata in vigore del presente regolamento».
[43] L'art. 3 prevede che «1. La valutazione del merito di credito nelle operazioni disciplinate dalla legge n. 130/1999 non può essere effettuata da operatori che: a) controllano o sono controllati da uno dei soggetti che partecipano all'operazione; b) sono controllati dal medesimo soggetto che controlla uno dei soggetti che partecipano all'operazione; c) sono collegati ad uno dei detti soggetti. 2. Il prospetto informativo contiene indicazioni circa i rapporti di partecipazione al capitale che intercorrono tra l'operatore incaricato della valutazione del merito di credito, gli altri soggetti che partecipano all'operazione ed i soggetti che rispettivamente li controllano e ne sono controllati. 3. Le situazioni di controllo e di collegamento sono definite in base al disposto, rispettivamente, dell'art. 93 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e dell'art. 2359, comma 3, del codice civile. Per soggetti che partecipano all'operazioni si intendono: il soggetto cedente, la società per la cartolarizzazione dei crediti, i soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento e gli altri soggetti che eventualmente partecipano all'operazione a garanzia del pagamento dei debiti ceduti.
[44] Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Danno e resp., 1999, p. 965, con commenti di PALMIERI e PARDOLESI, MONATERI, ROPPO, PONZANELLI; in Corriere giur., 1999, p. 1367, annotata da DI MAJO, Il risarcimento degli interessi "non più solo legittimi", e di MARICONDA, "Si fa questione d'un diritto civile ..."; in Resp. civ., 1999, p. 981; in Contratto e impr., 1999, p. 1025, con nota di FRANZONI, La lesione dell'interesse legittimo è, dunque, risarcibile.
[45] Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, cit.: «qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno riconducibile nello schema normativo delineato dall'art. 2043 c.c., dovrà procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) procederà quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame, o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della P.A.; d) provvederà, infine, a stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A.».
[46] FRANZONI, La lesione dell'interesse legittimo è, dunque, risarcibile, in Contratto e impr., 1999, p. 1042.
[47] Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Resp. civ., 1999, p. 652, con nota di FORZIATI, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il contratto sociale conquista la Cassazione; in Danno e resp., 1999, p. 294, con nota di CARBONE, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto; in Nuova giur. civ., 2000, I, p. 343, con nota di THIENE, La Cassazione ammette la configurabilità di un rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione; in Contratti, 1999, p. 1007, con nota di GUERINONI, Obbligazione da contatto sociale e responsabilità contrattuale nei confronti del terzo; Cass., 29 luglio 2004, n. 14488, in Dir. e Giust., 2004, f. 33, 12; con nota di ROSSETTI; in Resp. civ., 2004, p. 1348, con nota di GORGONI; in Famiglia e diritto, 2004, p. 559, con nota di FACCI; in Foro it., 2004, I, c. 1567, con nota di FABIANI; in Foro it., 2004, I, c. 3327, con nota di BITETTO; Cass., 21 giugno 2004, n. 11448, in Mass. Giust. civ., 2004, f. 6; Trib. Roma, 16 gennaio 2004, in Dir. e giur., 2004, p. 255.
[48] Cass., 23 ottobre 2002, n. 14934, in Riv. not., 2003, p. 766; Trib. Monza, sez. Desio, 17 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, p. 680.
[49] Trib. Bologna, 18 ottobre 2004, in La responsabilità civile, 2005, p. 74.
[50] Comunemente si individuano tre categorie di analisti finanziari: i sell side analyst, i buy side analyst e gli independent analyst. I primi tipicamente lavorano per conto di società di intermediazione, broker o dealer e la loro attività consiste nell'indirizzare le scelte di investimento dei clienti delle stesse; i secondi lavorano per conto di fondi e la loro attività è volta ad orientare le scelte del portafoglio dei soggetti per i quali lavorano; infine gli independent analyst svolgono attività in conto proprio o per conto di soggetti che comunque non sono riconducibili a gruppi di cui facciano parte gli intermediari finanziari; generalmente, l'analisi finanziaria è l'oggetto esclusivo della loro attività. È questo, essenzialmente, il caso delle agenzie di rating. Al riguardo, si veda RABITTI BEDOGNI, Gli obblighi di "disclosure" degli analisti finanziari, cit.; DI CASTRI, I conflitti di interesse degli analisti finanziari: disciplina statunitense, evoluzione della normativa comunitaria e prospettive nell'ordinamento italiano, in Banca impresa società, 2004, p. 483.
[51] MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile degli analisti finanziari, in Analisi giuridica dell'economia, 2002, p. 209.
[52] Su tale aspetto, si veda TONELLO, Le agenzie di rating finanziario. Il dibattito su un modello economico esposto al rischio di conflitto di interessi. Verso un sistema pubblico di controllo?, in Contratto e impr., 2005, p. 929.
[53] E. MONTI, Le asimmetrie informative e l'attività di rating: una proposta per l'Italia, cit., p. 22. Significativo, al riguardo, anche Intervento di Standard & Poor's, cit., p. 6, secondo il quale «il valore che il mercato ci riconosce, e che da sempre è alla base della nostra reputazione, è riconducibile all'indipendenza, credibilità e integrità delle nostre analisi».
[54] RABITTI BEDOGNI, L'informativa derivata. Le previsioni degli analisti e i giudizi delle agenzie di rating. Problemi attuali e possibili sviluppi regolamentari, 4.
[55] Sulla possibilità di estendere la responsabilità da contatto sociale agli analisti finanziari: MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile degli intermediari finanziari, cit., p. 228.
[56] È noto, come già ricordato, che sia Enron sia Parmalat godevano di rating positivi fino a poco prima dei rispettivi crack.
[57] Sulla lesione della libertà contrattuale in senso negativo, App. Milano 14 gennaio 1975, in Arch. civ., 1975, 894; Trib. Roma 21 gennaio 1989, in Corr. giur., 1989, 860.
[58] Il problema, invece, non sembra porsi nel caso di rating richiesto dall'emittente, in quanto il rating, prima di essere reso pubblico, viene sottoposto all'emittente, il quale può fornire chiarimenti ed informazioni ulteriori se ritiene che la valutazione non sia veritiera, potendo anche richiedere che il rating sia mantenuto riservato.
[59] Particolarmente significativo, al riguardo, è un caso accaduto di recente in Francia, riguardante non una agenzia di rating, ma analisi finanziarie prodotte da un periodico d'informazione di una banca d'affari che, costantemente forniva previsioni non incoraggianti sui titoli della società, presentando invece in modo più che elogiativo le prospettive del principale concorrente (sulla sentenza, ZENO ZENCOVICH, Profili di uno statuto dell'informazione economica e finanziaria, cit., 947; ARDIZZONE, La responsabilità degli analisti finanziari in Francia, in Riv. Dir. Soc., 2005, 294). Probabilmente, in un diverso ambito dell'informazione finanziaria, la condotta del quotidiano, sarebbe stata scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca e di critica; nel caso di specie, tuttavia, i giudici, nell'affermare la responsabilità della parte convenuta, hanno attribuito fondamentale rilievo alla situazione di conflitto di interessi della banca d'affari, la quale non solo svolgeva attività di consulenza ma era anche uno dei principali finanziatori dell'azienda concorrente e, dunque, aveva un diretto interesse al suo successo (ZENO ZENCOVICH, Profili di uno statuto dell'informazione economica e finanziaria, cit., 947).
[60] Con riguardo al caso ricordato nella nota precedente, il risarcimento del danno è stato calcolato in modo da ricomprendere non solo le spese pubblicitarie compiute per compensare l'attacco all'immagine ed alla reputazione finanziaria, ma anche una percentuale della riduzione della capitalizzazione di borsa conseguente ai consigli di vendita del titolo.
[61] In questo senso, circa la responsabilità dell'intermediario per violazione dei doveri informativi, in merito all'operazione di sottoscrizione di obbligazioni argentine, Trib. Milano 28 marzo 2007, in La responsabilità civile, XI, 2007.
[62] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[63] In questo senso Codice Moody's; § II, 8, cit.
[64] Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, cit.
[65] FRANZONI, L'illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, p. 914.
[66] Sul punto TONELLO, Le agenzie di rating finanziario. Il dibattito su un modello economico esposto al rischio di conflitto di interessi. Verso un sistema pubblico di controllo?, cit.
[67] Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, cit.
[68] In questo senso GALGANO, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contratto e impr., 1985, p. 11.
[69] Sul punto, per tutti, FRANZONI, L'illecito, cit., p. 807.
[70] GALGANO, Le mobili frontiere del danno ingiusto, cit., p. 11; BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e impr., 1991, p. 554, muovendo dalla distinzione tra informazioni inesatte che non ingenerano responsabilità e informazioni inesatte che ingenerano responsabilità, distingue tra informazione come consiglio amichevole, informazione come "servizio" e informazione come (elemento confluente in un) "prodotto"; nel primo caso, di regola, il danno non è mai ingiusto e nell'ultima ipotesi il danno è tendenzialmente sempre ingiusto, mentre il problema di individuazione dell'ingiustizia del danno si pone per il caso centrale.
[71] Sul punto si veda BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, cit., p. 563. In senso contrario, RANIERI, Responsabilità da false informazioni, in Le operazioni bancarie, a cura di PORTALE, I, Milano, 1978, p. 294.
[72] Di recente, PERCHINUNNO, Il danno da lesione dell'affidamento suscitato dalla lettera di patronage, in Contratto e impr., 2006, p. 611; SOLDATI, Le lettere di patronage, in Contratto e impr., 2003, p. 1656.
[73] App. Milano, 14 marzo 1986, in Banca Borsa, 1987, II, p. 627, secondo la quale «la banca che fornisce informazioni false o inesatte circa la situazione economica e la solvibilità di un cliente è responsabile in via extracontrattuale, verso il destinatario delle informazioni, dei danni da costui subiti (nella specie, per i finanziamenti erogati al cliente insolvibile in seguito alle suddette informazioni)"».
[74] Tra le tante, Cass., 1 agosto 2001, n. 10492, in Danno e resp., 2002, p. 90, secondo la quale «la banca trattaria, ove fornisca, pur non essendo a ciò obbligata, le informazioni richieste da altro istituto di credito in ordine alla esistenza di una sufficiente provvista per il pagamento di un assegno di conto corrente, deve dare, per non incorrere in responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., informazioni esatte e completamente veritiere con riguardo alla situazione presente al momento della richiesta, anche specificando, nel caso in cui si debba attendere il buon fine di effetti versati sul conto del traente, che i fondi non sono immediatamente disponibili». Inoltre, Cass., 9 giugno 1998, n. 5659, in Foro it., 1999, I, c. 660, con nota di LAMBO; Cass., 7 febbraio 1979, n. 820, in Banca, borsa, 1980, II, p. 1042; Cass., 13 luglio 1967, n. 1742, in Giur. it., 1967, I, 1582, hanno affermato la responsabilità della banca trattaria verso il richiedente, a titolo di illecito extracontrattuale, dei danni che possono derivare in conseguenza del pagamento o dell'accreditamento al presentatore dell'assegno sul non veritiero presupposto della sua copertura. Si deve, però, segnalare Cass., 5 luglio 2000, n. 8983, in Giust. civ., 2000, I, p. 2555, con nota di GIACALONE, secondo la quale "l'istituto bancario che, tramite un proprio dipendente, abbia, su richiesta di un cliente correntista, fornito assicurazioni a quest'ultimo (telefonicamente o con altro mezzo di comunicazione) circa l'esistenza di fondi sufficienti al pagamento di un assegno di conto corrente è contrattualmente responsabile - configurandosi nella specie un rapporto di mandato - se le notizie così fornite non risultino, poi, rispondenti alla situazione di fatto esistente al momento della richiesta".
[75] Cass., 9 giugno 1998, n. 5659, in Danno e resp., 1999, p. 56; Trib. Latina, 28 aprile 1990, in Banca, borsa, 1985, II, p. 107.
[76] Lo sottolinea FRANZONI, L'illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, p. 905. In giurisprudenza, riconducono il benefondi ad una prassi interna nei rapporti tra gli istituti di credito, fonte di affidamento reciproco e di responsabilità civile, tra le altre: Cass., 10 marzo 2000, n. 2742, in Nuova giur. civ., 2001, p. 449; Cass. civ., 6 giugno 2003, n. 9103, in Resp. civ., 2004, p. 756, con nota di FRAU, Brevi note in tema di benefondi e di informazioni bancarie.
[77] MAZZONI, Le lettere di patronage, Milano, 1986, p. 197; BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, cit., p. 570.
[78] Cass., 6 gennaio 1984, n. 94, in Mass. Giust. civ., 1984, fasc. 1, secondo la quale "sussiste a carico di un'organizzazione che svolge il compito di fornire informazioni commerciali la responsabilità per danni cagionati a terzi, ex art. 2043, qualora, pur senza formulare apprezzamenti o giudizi negativi sulla moralità della persona (fisica o giuridica) sulla quale fornisce le informazioni stesse, riferisca una situazione non corrispondente al vero, costituendo la divergenza tra la situazione reale e quella risultante dall'informazione una violazione delle comuni norme di prudenza e di diligenza occorrenti nella ricerca della fonte dell'informazione".
[79] Sul punto, TACCANI, Danno da informazione economica: sistema tedesco e sistema italiano a confronto, cit., p. 724, al quale si rimanda con riguardo al dibattito sulla possibilità o meno di applicare in via analogica l'art. 164, co. II.
[80] Al riguardo, sia consentito il rinvio a FACCI, Il danno da informazione inesatta nell'attività di revisione contabile, in Resp. Civ. prev., 2007, p. 2013.
[81] Al riguardo, FERRARINI, La responsabilità da prospetto, Milano, 1986, p. 147; CARNEVALI, La responsabilità civile degli amministratori per danno ai risparmiatori, in questa rivista, 1988, p. 85; FRANZONI, Gli amministratori e i sindaci, in Le Società, Trattato diretto da Galgano, Torino, 2002, p. 363; PARALUPI, Responsabilità civile da prospetto: informazione e danno ingiusto, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2001, p. 596; ALVISI, Abusi di mercato e tutele civili, in Contratto e impresa/Europa, 2007, p. 252. Sul caso giurisprudenziale che sta alla base dell'art. 2935 c.c., si veda App. Roma 8 luglio 1911, in Riv. Dir. Comm., 1911, II, p. 663 e Cass. Roma 24 maggio 1912, in Riv. Dir. Comm., 1912, II, p. 945.
[82] Comunicazione della Commissione sulle agenzie di rating del credito, cit., la quale sottolinea l'importanza per la Commissione che le agenzie di rating applichino effettivamente le procedure dirette a garantire la qualità del rating.
[83] Codice elaborato dalla Organizzazione internazionale delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari (c.d. Codice Iosco) pubblicato nel dicembre 2004; tale testo è stato emanato in seguito all'iniziativa delle autorità internazionali di regolamentazione in materia di valori mobiliari, delle agenzie di rating, degli emittenti e di altri operatori di mercato. Il codice opera sulla base della formula «conformarsi o spiegare»: le agenzie di rating dovrebbero integrare tutte le disposizioni del codice IOSCO nel loro codice di condotta interno e, qualora non lo facciano, sono tenute a spiegare in che modo il loro codice rifletta comunque le disposizioni del codice della IOSCO.
[84] Al riguardo, si veda il Titolo I bis (artt. 180-187 quaterdecies) del Testo Unico della finanza, concernente l'Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, introdotto dall'art. 9 della l. n. 62 del 18.4.2005 (Legge comunitaria 2004).
[85] COSTI, Informazione e contratto nel mercato finanziario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 720; SENIGAGLIA, Informazione contrattuale nella net economy e trasparenza del mercato, in Europa dir. priv., 2002, p. 234. Sull'assenza di notizie quale limite alla libertà di concorrenza, si veda anche VETTORI, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv. dir. priv., 2003, p. 241.
[86] L'art. 114 del T.U.F., co. VIII, come sostituito dall'art. 14 della l. n. 262 del 28.12.2005 (legge sul risparmio), nel prevedere obblighi di trasparenza sui soggetti che producono studi o raccomandazioni, esclude dal proprio ambito di applicazione le «società di rating»; tuttavia, la precedente versione del co. VIII dell'art. 114 T.U.F., introdotta dall'art. 9 della l. 18 aprile 2005, n. 62 (recepimento della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato - abusi di mercato - e delle direttive della Commissione di attuazione 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE), ricomprendeva, nel proprio campo di applicazione, le «società di rating». In seguito, la c.d. legge sul risparmio di qualche mese successiva le ha escluse dal proprio ambito di operatività.
[87] Nella versione risultante dalla delibera n. 15915 del 3 maggio 2007, l'art. 69 decies Regolamento Consob espressamente prevede che «I soggetti abilitati e gli altri soggetti che professionalmente producono o diffondono valutazioni del merito di credito, escluse le agenzie di rating, osservano, nello svolgimento di tale attività, le prescrizioni contenute negli articoli 69, 69- bis, 69-ter, lettere a), b), d), e) e f), 69-quater, 69-quinquies, commi 1, 2, lettera a), e 3, 69-sexies e 69-septies». La precedente versione, invece, prevedeva che le agenzie di rating informano «il pubblico delle misure adottate al fine di presentare l'informazione in modo corretto e di comunicare l'esistenza di ogni interesse o conflitto di interessi riguardo ai soggetti o agli strumenti finanziari cui l'informazione si riferisce, specificando, altresì, se e in quale forma tali misure sono aderenti a quelle emanate dalla International Organization of Securities Commissions in materia di Credit Rating Agencies».
[88] A tal proposito, si veda i co. VIII e X, dell'art. 114, del T.U.F.
[89] Al riguardo, si segnala la La Carta dei Doveri dell'Informazione Economica, emanata dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Sull'argomento, ZENO ZENCOVICH, Profili di uno statuto dell'informazione economica e finanziaria, in Dir. Inf., 2005, 935. Di recente, comunque, la Consob, con provvedimento del 5 giugno 2007, n. 15964, (in G.U. del 17 luglio 2007, n. 164), ha deliberato ai sensi dell'art. 114 T.u.f., co. X, la sussistenza, per le norme di autoregolamentazione contenute nella Carta dei doveri dell'informazione economica, delle condizioni indicate nell'art. 69-octies, co. 1, del regolamento Consob n. 11971/1999 (c.d. Regolamento Emittenti).
[90] DOGLIOTTI, FIGONE, I diritti della personalità, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, p. 331.
[91] DOGLIOTTI, FIGONE, I diritti della personalità, cit., p. 331. In giurisprudenza in questo senso, tra le altre Trib. Roma, 23 luglio 1984, in Foro it., 1984, I, c. 1963, "la liceità del c.d. Warentest (servizio giornalistico che presuppone o diffonde verifiche delle caratteristiche qualitative di un prodotto o di più prodotti tra loro fungibili) va determinata in base al criterio della serietà e scientificità del metodo seguito nell'analisi comparativa tra prodotti diversi, a nulla rilevando l'eventuale erroneità dei risultati conseguiti, salvo il caso in cui tale erroneità sia conosciuta o conoscibile dal giornalista di media preparazione professionale".
[92] FRANZONI, L'illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, p. 907.
[93] Trib. Catania, 23 gennaio 2007, Pres. G.B. Macrì, Rel. B. Paternò Raddusa; Trib. Venezia, 4 maggio 2006 - Pres. R. Zacco, Rel. A. Fidanzia; Trib. Milano, Sez. VI civ. - Pres. Alda Vanoni, Rel. Carla Romana Raineri -, 9 novembre 2005. Trib. Genova, sez. I civ. - Rel. Dr. D. Canepa -, 15 marzo 2005. In senso diverso, Tribunale di Mantova, sez. II - Pres. Dr. A. Dell'Aringa, Rel. Dr. L. Bettini - 15 marzo 2005, secondo la quale «il cliente è onerato solo della prova della condotta del soggetto che presta il servizio di investimento e di quella del danno subito, restando a carico di tale soggetto quella di un fatto che elida il nesso di causalità sussistente fra illecito e conseguenze dannose, il quale si presume esistente fino a prova contraria».
[94] Al riguardo, Codice Moody's, cit., p. 6.
[95] Trib. Pinerolo, 14 ottobre 2005 - Pres. Parnisari, Est. Salerno; Trib. Catania, 5 maggio 2006, cit.
[96] Sul c.d. principio di vicinanza della prova, Cass. 2 febbraio 2007, n. 2308, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, in Danno e resp., 2005, 23, con nota di DE MATTEIS; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297, in Riv. it. medicina legale, 2005, 1273; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316, in Foro it., 2003, I, 2970.
[97] Un nesso potrebbe essere ravvisato, tuttavia, tra il rating e l'eventuale maggior prezzo di acquisto pagato per titoli, classificati erroneamente come a rischio debole, allorché il prezzo sia stato «falsato» dall'erronea valutazione dell'agenzia.
[98] Trib. Milano, sez. VI, 26 aprile 2006, n. 4882, Pres. A. Bernardini, Rel, S. Puliga; Trib. Bari, sez. II, 7 novembre 2006, Giud. unico Agostinacchio; Trib. Bari, 11 dicembre 2006, Pres. Di Lalla, Rel. Magaletti, secondo la quale «l'informazione sul rating dei titoli è espressamente prevista nel solo servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi e pertanto, non può legittimamente prevedersi siffatto onere allorché l'intermediario si limiti a negoziare per conto dei clienti titoli di investimento ricercati sul mercato, su loro espressa richiesta».
[99] Sul punto, ROSSELLO, Il danno evitabile, Padova, 1990, 64.
[100] Con riguardo alle false informazioni contabili, in senso affermativo, PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell'investitore, Milano, 2003, 216; BRUNO, L'azione di risarcimento per danni da informazione non corretta sul mercato finanziario, Napoli, 2000, 215.
[101] FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, diretto da GALGANO, Bologna-Roma, 1993, sub art. 2043, 132.
[102] In questo senso BUSSANI, La colpa soggettiva, Padova, 1991, 18.
[103] Al riguardo, GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati (a margine del recente intervento legislativo di "salvataggio" del rating dei titoli risultanti da operazioni di cartolarizzazione di canoni di leasing e della prossima attuazione del Nuovo Accordo di Basilea 2), in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2004, p. 594.
[104] Cass., 9 aprile 2003, n. 5552, in Giur. it., 2004, p. 559, con nota di SANZO. In particolare, la S.C., ha ritenuto che in caso di fallimento del concedente del bene in leasing traslativo, ove la cosa venduta non sia ancora passata in proprietà del compratore, il curatore ha facoltà di scelta fra lo scioglimento del contratto e il subentro nel rapporto.
[105] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, cit., p. 594.
[106] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, cit., il quale sottolinea come le agenzie avessero preannunciato una drastica riduzione del rating, per il timore che, una volta sciolto da parte del curatore il contratto di leasing da cui originano i crediti cartolarizzati, le operazioni potessero colassare, per il venire meno dei crediti.
[107] Intervento di Standard & Poor's, cit.
[108] GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati, cit., p. 602.
[109] Cass., 4 febbraio 2005, n. 2271, in Mass. Giur. it., 2005; Cass. pen., sez. V, 9 luglio 2004, n. 37345, in Riv. pen., 2005, p. 1024; Cass. pen., Sez.V, 16 gennaio 2001, n. 8570; Cass. pen., sez. V, 17 gennaio 2001, n. 11657.
[110] Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1992, n. 1147, in Foro it., 1992, I, c. 2127; ed in Corriere giur., 1992, p. 774.
[111] Nella motivazione, in ogni caso, si sottolinea la maggiore responsabilità professionale cui deve attenersi il giornalista televisivo, tenuto conto della particolare incisività del mezzo, allorché diffonda notizie che possono pregiudicare i diritti di terzi.
[112] Al riguardo, si veda il § 21, Principi di revisione, n. 240, a cura del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri, Milano, 2007. Gli errori di bilancio, infatti, che possono presentarsi ai revisori possono derivare da frodi o comportamenti o eventi non intenzionali: ciò che distingue le due categorie è l'intenzionalità o meno dell'atto che determina errori in bilancio. In particolare, le frodi rilevanti che comportano la presenza di errori significativi in bilancio sono le false informative economico finanziarie, che riguardano l'omissione in bilancio di importi o di un'informativa adeguata al fine di ingannare gli utilizzatori del bilancio, influenzando la loro percezione della redditività aziendale. L'altro tipo di frode rilevante per il revisore deriva dall'appropriazione illecita di beni ed attività dell'impresa. L'appropriazione illecita è spesso commessa da dipendenti, tuttavia, può coinvolgere anche la direzione che normalmente ha maggiore possibilità di occultare o dissimulare tali appropriazioni.
[113] SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, p. 1025. Sul punto anche BUSSOLETTI, Le società di revisione, Milano, 1985, 88, il quale sottolinea come il revisore abbia la possibilità di scoprire non tutti i falsi ma solo quelli che possono emergere nell'attività di ricerca di quel «vero» che è la realtà attingibile del revisore.
[114] Al riguardo, il § 20, Principi di revisione, n. 240, cit.
[115] In questi termini, MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2004, 316. Si pensi, ad esempio, al caso in cui alcuni documenti rilevanti siano stati falsificati; la revisione svolta in conformità ai principi di revisione, raramente, comporta la verifica dell'autenticità della documentazione, né il revisore è preparato a tale scopo o ci si può attendere che sia considerato un esperto in questo campo; senza considerare, inoltre, che un revisore può non individuare l'esistenza di modifiche ad un documento, per esempio, attraverso un accordo a latere, che non è stato reso noto al revisore. In questa fattispecie, pertanto, appare improbabile individuare responsabilità, a meno che durante l'espletamento del controllo contabile, non fossero emersi elementi che potevano indurre il revisore a ritenere che un documento potesse essere non autentico o che il contenuto dello stesso fosse stato modificato, con la conseguenza che il revisore avrebbe dovuto svolgere approfondimenti, come per esempio una richiesta di conferma diretta ai terzi, oppure valutando l'eventuale utilizzo del lavoro di un esperto per accertare l'autenticità del documento (in questo senso, il § 26, Principi di revisione, n. 240, cit.).
[116] In senso favorevole a configurare la responsabilità da contatto sociale degli analisti finanziari: MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile degli intermediari finanziari, cit., p. 228.
[117] VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, p. 555; REALMONTE, Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, Milano, 1967, p. 205.
[118] Il limite della prevedibilità, infatti, di cui all'art. 1225 c.c., è strettamente collegato alla funzione della responsabilità contrattuale, consistente nel tutelare le parti da un rischio specifico di danno, creato dalla particolare relazione che si è in precedenza instaurata tra due soggetti (sottolineano tale aspetto SALVI, voce Risarcimento, in Enc. del dir., XL, Milano, 1989, p. 1068; ROSSELLO, Il danno evitabile, Padova, 1990, p. 23.
[119] GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una distinzione attuale?, in Riv. Crit. Dir. priv., 1986, 86.
[120] Sul punto, si veda PINORI, Il danno contrattuale, Criteri di valutazione. Tecniche e regole giudiziali di liquidazione, II, Padova, 2001, 250.
[121] Di recente, Cass. sez. un. 28 luglio 2005, n. 15781, in La responsabilità civile, 2006, 229, con nota di FACCI, L'obbligazione di risultato del progettista al vaglio delle Sezioni Unite.
[122] Tra gli altri, CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 47; PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, p. 329; FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Franzoni, in I grandi temi, Torino, 2004, p. 1343.
[123] In ogni caso, anche nelle obbligazioni c.d. di mezzi, il debitore è tenuto ad un risultato, inteso non come il raggiungimento dello scopo finale perseguito dalla parte, bensì come insieme delle prestazioni che il debitore deve compiere in vista di tale fine A. GABRIELLI, La r.c. del professionista, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, VI, p. 265.






















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